1963

I BEATLES
non più capelloni, non più beat,
"d'ora in avanti fate come dico io, fate i bravi educati  ragazzi,
e fate sempre un profondo inchino al pubblico che paga.
Solo così diventeremo voi e io ricchi". (Epstein, il loro manager)

Epstein, il loro pigmalione, é un accorto profeta della Civiltà dei consumi di massa
e i 4 capelloni non possono far altro che adeguarsi e inchinarsi.

 

Irrompono sulla scena quattro ragazzi di Liverpool. Non è solo musica, divismo, moda e irrazionalità.
Nasce la consacrazione della cultura di massa. "La quantità dell'effetto e l'effetto della quantità come nuovo fulgidissimo oggetto di venerazione, lottava ancora con l'aristocrazia ormai vecchia e cieca venerazione dell'alta qualità''.  (
Robert Musil lo aveva anticipato)

Il fenomeno Beatles, che aveva attirato l'attenzione della cultura e del potere ufficiale contiene, in forma macroscopica ed eccezionalmente amplificata, tutti gli aspetti, gli atteggiamenti, le tensioni e le contraddizioni dei giovani anni Sessanta.
E' la prima gioventù che non sa nulla della guerra, sa poco dei sacrifici dei genitori, anzi di quella "molto strana" guerra che hanno fatto i padri non ne vogliono sentire nemmeno parlare; del resto molti di quei padri non avevano proprio nulla di che vantarsi - sia quelli che erano da una parte che dall'altra, e  molti a distanza di anni interrogandosi non sapevano ancora perchè si erano schierati da una parte o dall'altra, per CHE COSA e PER CHI; di questi ultimi, moltissimi (politici, manager, funzionari, dirigenti, giornalisti ecc ) sempre ai loro posti erano rimasti. Si erano tutti riciclati. I più furbi la loro ideologia l'avevano cambiata dalla sera alla mattina (A piazzale Loreto - Più nessuno in Italia era fascista).

 Ma per quanto molto appariscente, il fenomeno Beatles va ricondotto più che altro come fatto di moda imposto, anche se c'era "qualcosa" in più nell'aria: una "nuova" società (quella giovane) che facilitava molto questa prescrizione. Ma da sola non sarebbe andata da nessuna parte.

Non sono stati i Beatles a creare i giovani,
ma (di fatto) i meno giovani (cioè i vecchi marpioni) a creare i Beatles.

(Sembra incredibile e anche paradossale;  perfino questo fenomeno della musica giovane (antecedente e ispiratrice dei Beatles, cioé il Rock) che era andato nel 1955 a sconvolgere tutto il pianeta,  gli artefici di questa "rivoluzione" erano tre personaggi  proprio per nulla giovani. 

Max Freedman aveva 63 anni!!!!  E' lui  l'autore del testo di Rock Around the Clock.
Con lui c'era Richard Brooks che aveva  43 anni, il regista del film Il seme della violenza (Blackboard Jungle). E' lui a determinare il successo clamoroso della canzone. Ha fiuto. Non l'annega il pezzo nelle scene della pellicola, nei dialoghi, con gli alti e i bassi del sonoro in sottofondo. La canzone gli piaceva intera, non la voleva rovinare, ed ecco la geniale soluzione: metterla nei titoli di testa che scorrevano lentamente.
Così l'intera canzone passava intera e conservava tutto il suo ritmo diabolico, l'aggressività del suono, dall'inizio alla fine, anticipando le  scene del film; che era piuttosto violento (intanto si stava pure girando "Fronte del porto" di Marlon Brando).
E infine c'era Bill Haley; che aveva più di 30 anni, grassottello, stempiato, già affaticato.
Da 15 anni suonava dove gli capitava; di esperienza però ne aveva tanta; del resto la sua orchestrina era una dixieland; la musica nera la conosceva bene, dal rhythm and blues fino al jazz caldo. Con quel testo di Freedman, Bill  Haley  ha  insomma il lampo di genio, e anche la fortuna dalla sua parte. Ne venderà 25 milioni di copie.

Le canzoni e le proposte dei Beatles non avevano all'inizio nulla di particolarmente illuminante e sconvolgente, sono però diventati i quattro ( quest'anno - a comando) degli esemplari "capelloni a caschetto",  per farsi conoscere come modelli da una enorme fetta della società; prima giovanile, poi in quella più matura, che non riuscì a ignorarla, compresi gli intellettuali,  i sociologi, gli economisti, e dopo quarant'anni (con un po' di ritardo) anche il teologi. 

Un successo senza precedenti fu dovuto a un buon fiuto di un  manager, all'onnipresenza del messaggio televisivo, e alle comunicazioni in toto;  che andavano di pari passo col boom economico; con la società del benessere; con il sistema che era riuscito a manipolare bene il fenomeno gonfiando come un pallone il mito dei giovani, dove tutto ciò che era giovane, era bello, e tutto ciò che doveva essere venduto, doveva essere giovane o far diventare giovane perfino tutto quello che era vecchio. 
Creando l'effetto contrario, furono così i più maturi a trasformarsi in giovani, e i giovani paradossalmente diventarono subito "vecchi".

Giovani che avevano recepito dai messaggi (suadenti o gridati in ogni luogo) che la gioventù non era uno stato provvisorio in cui ci si dovesse preparare a diventare adulti (così predicavano una volta i vecchi), ma era la loro grande stagione, da vivere in tutta la sua pienezza, amando, cantando, beffeggiando il grigiore di chi le stagioni le aveva vissute senza viverle pensando solo a un passato triste di cui ormai (nel boom economico) non si vedeva nemmeno più l'ombra. 

Impararono quindi a non aspettare, ma a voler tutto e subito. Ma avevano anche dimenticato che era un micidiale boomerang  quel volersi imporre ciò che era stato inconsciamente imposto e assimilato. Quello che loro predicavano, in pochi anni si sarebbe ritorto su di loro, subentravano le nuove leve, e purtroppo non avevano previsto che dopo cinque anni, nel '68, erano gia' vecchi e stanchi. Non erano cresciuti e  nel medesimo tempo a 20 anni non erano nemmeno più giovani. Dieci anni dopo andò ancora peggio, quelli poi del '77 rivolgendosi a Sessantottini li chiamavano già "matusa".

Nella prospettiva della Storia,  i Beatles non dobbiamo ne' sopravvalutarli (non erano l'unica energia motrice di idee e movimenti mondiali), ne' sottovalutarli relegandoli a semplici fenomeni di moda e di spettacolo perchè sono stati comunque il crogiolo che ha reso possibile la fusione di tanti elementi di una nuova società che stava cercando di costruire o di ricostruire in questi anni, un nuovo modello di sviluppo, compreso quello esistenziale, ormai completamente diverso da quello del dopoguerra.
Ormai libera e priva di cappe ombrose era una società che stava imborghesendosi anche se in un modo artificioso. 

I nuovi ricchi  solo perchè ora avevano in tasca soldi credevano di essere saliti sul carro dell'aristocrazia  e si pavoneggiavano, mentre i lavoratori dopo anni di sub-umano proletariato, appena fecero qualche conquista nei beni (che poi era qualche etto di mortadella in più e qualche patacca) li stavano anche loro scimmiottando senza averne i mezzi e nemmeno la cultura. 

Il boom aveva in tutto il mondo occidentale drogato il sistema. Un sistema che alle prime avvisaglie dovette drammaticamente interrogarsi dove aveva sbagliato. Anche chi non era stato toccato dal benessere ora pretendeva di partecipare a questa opulenza, ma chi c'era già dentro si accorse che non bastava più una macchina, un televisore, il frigo, un pranzo a mezzogiorno e sera, ma occorrevano servizi sociali, cultura, centri di aggregazione, trasporti, ospedali, città vivibili. Le generazioni giovani volevano aspettative molto diverse da quelle dei padri, di quella vecchia società disattenta che si ritrovò a fare i conti con quelli che prima (nessuna precedente generazione aveva mai considerato i giovani) non aveva neppure notato o  aveva commiserato con il solito "ai miei tempi ecc," e  neppure lontanamente pensava che le pretese dei giovani potenzialmente riguardassero anche lui. 

Solo dopo se ne accorse e dovette presto rivedere il suo mondo, quando esplose nel '68 la grande contestazione. Contestazione di cosa? a una cultura e quindi a una esistenza mummificata, non per nulla la contestazione iniziò nelle scuole che poi andò a unirsi a quella proletaria, compresi
(e questo non era mai accaduto prima di allora) i figli dei nuovi ricchi (di soldi), che in casa sì avevano tutto, ma mancava il "resto".
In casa prima erano i padri che dicevano ai figli "tu stai zitto non capisci", ora erano i figli che dicevano ai padri "ma stai zitto, non capisci".
Era il periodo dove molti italiani per non essere (o non sentirsi) mortificati preferirono stare zitti. E quindi perfino a casa con i figli, che ora nel '63, hanno già tutti un "diploma" di scuola media o sono già alle superiori.
Del resto loro i "matusa" pensano ancora in dialetto, l'italiano é una lingua ancora ostica, quasi incomprensibile. Alcuni l'hanno imparata a fatica a scuola, ma appena usciti l'avevano messa poi da parte.
Figuriamoci quando i figli a tavola con i fratelli o gli amici si mettono a parlare di pacifismo, di mondi migliori e di crisi dei valori di una società.

Non è comunque assodato che chi la fece la contestazione guadagnò molto, ma è certo che non si perse il messaggio per strada, perchè fece riflettere tutti, e molti cambiarono se non proprio la vita, una parte di essa, anche se non cambiò di molto la società. Chi rubava platealmente, iniziò a rubare di nascosto creando le scatole cinesi.
Mentre per i giovani i problemi aumentarono quando si accorsero che non bastavano solo le manifestazioni; ricorsero così ad "altro", convinti che "si poteva" spaccare tutto,  perchè "siamo forti", "hanno paura di noi!".(vedi anno 1968).

I giovani di allora, che hanno vissuto questa euforia, dopo il '68 passeranno direttamente dalla gioventù alla vecchiaia, senza lo stadio della maturità, e non cercarono più altre vie. Si integrarono nel sistema, salvo qualche irriducibile scheggia impazzita. Negli anni '70-78 infatti ci fu il "riflusso". Tutti a casa! 
A godersi la Moda, la Musica e le ristrette amicizie.

Lo avevano del resto detto loro, fin da questi primi anni, con degli slogan; dopo i venticinque anni si e' matusa, e le nuove generazioni li presero in parola. Li misero subito da parte quelli del '68, ed ogni successiva generazione si comportò allo stesso modo, suddividendosi sempre di più. A fine anni Settanta i sedicenni, erano già un'altra cosa rispetto ai ventenni dei Sessanta, e anche questi non avevano nulla a che vedere con i venticinquenni. Ogni classe di età si era creata la sua nicchia, i suoi beniamini, la sua moda, le sue amicizie, le sue libertà.
Nicchia Libera? Individualista? Nemmeno per sogno: conformista e sempre seguendo quei canoni che l'industria  consumistica creava appositamente per loro. E loro l'assecondavano!

Realisticamente oggi nel 2000, quel periodo beffeggiante che va da questo 1963 al '67
(con i giornali dell'epoca che scrivevano che gli amanti dei Beatles avevano un quoziente di intelligenza inferiore alla media, salvo poi cavalcare tutti insieme, compresi gli intellettuali e i sociologi, il fenomeno) sbiadisce, e volerlo rivivere ancora con quegli aromi, significa come profeticamente già in questi anni diceva McLuhan "guardare il presente in uno specchietto retrovisore. Si arretra nel futuro". 

Questo guardare indietro lo si fa quando si è di fronte a situazioni assolutamente nuove,  spesso prima di fare un sorpasso di un'era o di una età, ma bisognerebbe non indugiare troppo nello specchietto, si rischia di non vedere più la via davanti e andare fuori strada. A una buona parte, accadde proprio questo, ci fu chi diventò agnostico - dopo questo periodo veramente unico - chi reazionario, chi anodino, chi terrorista, chi menefreghista di tutto e di tutti, e chi seppe approfittare degli uni e degli altri ideologizzandoli o politicizzandoli. Ma una cosa rimase a tutti,  l'"individualismo" di "massa", che era proprio il contrario di quello che voleva dire la generazione beat di questo periodo (un termine che significa ribelle)

I Beatles durarono cinque anni; fino al ''66 sulle scene, come complesso fino al '68 (!!), realizzando 19 miliardi di lire e creando una notevole catena di imprese commerciali. Poi furono vittime del loro stesso successo. Alcuni rimasero con la testa sulle spalle, altri caddero nel delirio dell'onnipotenza, tanto da far dire a uno di loro, JOHN LENNON, che era diventato più famoso di Gesù Cristo. (ai concerti andavano perfino gli storpi convinti di essere miracolati dal nuovo "rito del nuovo Gesù").
Questa blasfemia scatenarono negli States ondate di sdegno pubblico, alcuni
fanatici religiosi
innalzavano falò con i loro album.

E fu proprio Lennon a scatenare il fanatismo di un altro giovane che si sentì tradito, venne infatti ucciso nel 1980 con una revolverata a bruciapelo, quando ormai Lennon viveva nell'esaltazione dei paradisi artificiali e nella ostentata opulenza.

Non fu l'" Eta' dei Beatles" una nuova epoca, furono solo uno strumento di un epoca!!

Nasceva infatti l'opportunistica plutorockrazia, che divento' consumorockrazia, e arriveremo fino al 1997 quando si trasformerà persino in teo-rock-razia.

Il rock e i Beatles ribelli? diabolici? trasgressivi? libertari? Una balla! Ribelli lo sono tutti i giovani quando hanno meno di venti anni. Poi si adeguano.
I Beatles  erano beat (ribelli) fino a quando conobbero Epstein, che li ripulì, li rivestì, li pettinò bene e disse loro "d'ora in avanti fate come dico io, fate i bravi educati  ragazzi, e fate sempre un profondo inchino al pubblico che paga. Solo così diventeremo voi e io ricchi".
Fu lui a darsi da fare per avere contratti con le case discografiche; e per colpirli maggiormente e per essere convincente si presentava con un disco già realizzato e non un nastro; lui poi in gran segreto acquistava migliaia di dischi per convicerli a puntare sulla sua "nuova creatura"; lui a promuovere e a organizzare i loro primi concerti che pubblicizzava come un avvenimento straordinario.
E avendo negoziato per se stesso un bel 25 per cento degli incassi fece con i 4 ragazzi soldi a palate.

Il profondissimo  inchino nella foto di apertura del 1963, non è certo quella dei ragazzi "ribelli" che Epstein aveva incontrato la prima volta al Cavern di Liverpool, "in un locale buio, umido, maleodorante, col rumore assordante, non molto puliti, mangiavano, cantavano, fumavano, sbraitavano, ridevano" (affermazioni di Epstein, in I Beatles, di H.Davies, ed. Longanesi, pag. 122).
In molti locali e club di Liverpool si faceva moltissima musica skiffle, folk, blues, e anche un po' di rock and roll d'oltreoceano. E i Beatles (che si chiamavano allora The Quarrymen - ed erano dei 15enni compagni di classe) non erano altro che uno dei duecento gruppi beat che cercavano con la loro musica il successo.

Epstein (già un uomo ricco) e che da poco era entrato nel giovanissimo business dei dischi, ascoltando i
Quarrymen in uno di queste "caverne", volendo lui creare un proprio business, ne diventò il loro architetto, il loro ragioniere, il loro manager, cioé il Pigmalione della situazione. Lui persino a mettere dentro il batterista Ringo Star, togliendo dal quartetto il giovane Pete Best la cui madre aveva messo a disposizione per i quattro giovanissimi amici, un garage casalingo, dove nel piccolo Club Casbah si riunivano a suonare i ragazzi della scuola Quarrybank dove vi studiava Lennon. Infatti il loro primo  nome del gruppo fu proprio Quarrryman.
Solo nel 1959 spunta fuori in nome "Silver Beatles", che ne '60 diventa solo più Beatles.

 Insomma Epstein iniziò a "edificare"  il suo "miracolo" come voleva lui, fino a costruirci sopra in soli quattro anni  una "religione" e un potente impero finanziario.

Del resto I potenti di turno hanno sempre inventato tante beatlemanie; ogni religione e ogni politica all'inizio è beat = ribelle; è contestazione dei valori correnti in nome di un individualismo anarcoide permeato di istanze irrazionalistiche. Del resto anche beat-ificare significa trasformare l'uomo a "servo di Dio" e molti uomini pur in questa condizione vi trovano la beat-itudine e la felicita'. (cosa c'era di diverso? a sentire molti giovani, nulla).

Quello che mancava in questi anni, anche se erano passati i tempi  più difficili,  era appunto un po' di felicità. C'erano già i mezzi: la televisione, la pubblicità, la rapidità delle comunicazioni, i facili consumi, con i media che li propagandavano tali; ma gli adulti erano ancora imperturbabili, avevano sempre davanti lo spettro gli anni precedenti.
Non c'era del resto, madre o padre di questi giovani che non avesse vissuto 5-6 anni della sua migliore gioventù in quel cataclisma di orrori, di miseria e di fame della lunga guerra e poi del dopoguerra.
Come potevano dimenticare e rispondere alle sollecitazioni del consumismo dei figli chi aveva ancora i segni dei geloni nelle mani, o conservava ancora nell'armadio (dicendo "non si sa mai") i vestiti rattoppati? Ancora negli anni '60 era ancora un periodo in cui non si buttava via niente. Nelle immondezze c'era proprio solo immondezze. 

Fu così che il mondo del business si rivolse al mondo dei giovani senza le "ferite" nel cuore e nell'anima; bisognava rivolgersi a questi primi 16-18 enni del dopoguerra - e costoro furono contenti di uscire dal grigio ambiente familiare - per fargli vivere (anche se era una illusione - per non dire follia collettiva) la loro beat-itudine, pur rimanendo sempre  "servi" di un sistema.
Un sistema che però uccise anche lo stesso Epstein. Diventato ultraricco, divenne anche consumatore abituale di psicofarmaci che gli furono fatali. Fu trovato morto il 27 agosto 1967.

Poco prima, convinti di poter fare da soli, i Beatles interruppero l'attività dal vivo - come invece voleva Epstein - e si dedicarono esclusivamente all'attività in studio di registrazione volendo puntare da soli alle vendite dei milioni di dischi. Fu questa una scelta dolorosa per Brian Epstein.
I grandi successi nei concerti nei dischi i 4 ragazzi li avevano ormai alle spalle, inoltre si accorsero che nonostante i precedenti trionfi, di non avere più tra loro quella sintonia dei primi tempi. Furono sempre più frequenti i contrasti interni (dovuti anche alla presenza ingombrante della nuova compagna di Lennon, Yoko Ono che non era infatti gradita agli altri componenti dei Beatles, perché influenzava troppo Lennon). Ma per stemperare le tensioni e lo stress delle preoccupazioni insieme nel '68 fecero un viaggio in India per una " rigenerazione spirituale".
Al ritorno, il 30 gennaio del 1969, ebbe luogo il loro ultimo concerto dal vivo e poco dopo i quattro ruppero del tutto i rapporti e poco dopo - senza più il loro manager Epstein - inesperti persero anche il controllo sulla loro casa discografica.

Paul McCartney fu il primo a comunicare ai compagni l'intenzione di abbandonare il gruppo. Poi Lennon se ne partì per gli Stati Uniti. Qui compose Imagine che avendo avuto un successo strepitoso, anche lui voleva essere autonomo dall''industria discografica. Lennon pretendeva la totale autonomia.
Ma Imagine pur essendo il disco di maggior successo negli States stava diventando un inno internazionale del pacifismo (ricordiamo qui una frase "« Immagina che non esistano le nazioni, non è difficile, niente per cui uccidere o morire e nessuna religione.»
In più lui e Yoko Ono rilasciavano interviste e dichiarazioni sulla pace nel mondo e contro le spese militari. Per questi atteggiamenti disfattisti, risultarono così sgraditi agli statunitensi fino al punto di non pernettergli di risiedere liberamente sul suolo statunitense.
Qui ricordiamo che gli americani avevano iniziato fin dal '60 un massiccio intervento militare in Vietnam, e per le perdite via via subite
senza ottenere alcun riusltato vi erano forti contrasti interni nell'opinione pubblica, con marce della pace oceaniche.
Nel 1972 il governo Nixon e l'FBI iniziarono una massiccia campagna di discredito nei confronti di John Lennon. Risultò sgradito. Lui abbandono gli States, tornò in Europa.
Nel '73 gli americani abbandonarono completamente il teatro di guerra, cui seguì la pace. E Lennon nel '75 tornò
con Yoko Ono a New York dove ottenne finalmente la ambita Green Card, che permetteva a entrambi di risiedere liberamente sul suolo statunitense, dove condussero all'inizio una vita appartata, ma poi si trasferirono nel lussuoso palazzo Dakota Building sulla 72ª strada di New York, entrambi vivendo nell'esaltazione dei paradisi artificiali e nella ostentata opulenza. Restando a letto anche una intera settimana, ricevendo i giornalisti per i suoi sermoni.
Ma come già accennato sopra, proprio davanti al Dakota
il fanatismo di un altro giovane sentendosi tradito, lo uccise la sera dell'8 dicembre 1980 con una revolverata a bruciapelo.

Gli altri, ognuno andò per la sua strada. Chi con qualche successo, chi invece fu dimenticato.

Rimase però il Mondo dei Beatles e del business che aveva ormai cominciato ad allargare il suo regno partendo dai giovani ma  poi riuscì a sedurre anche gli adulti e le mature signore, stregate anch'esse dalla minigonna che esce quest'anno, per opera della stilista britannica Mary Quant, con la sua provocatoria e irritante giovinezza (da imitare ad ogni costo - già preludio di quella rivoluzione sessuale che lacererà del tutto il bempensantismo e scandalizzerà i preti).

L'immagine dell'eva frustrata salta, e quella dell'adulto serioso anche. Sta alzandosi non solo la gonna ma anche una ondata ubriacante; che in crescendo ne saranno travolti tutti. 
Lo slogan "se non hai questo non sei felice e non ti godi la vita" oggi fa sorridere anche il più disincantato, ma nei primi anni Sessanta era una cosa seria; si provava una vera frustrazione. Perfino il linguaggio causava nei padri di questi figli, avvilimento (come vedremo sotto).

FEDERICO FELLINI proprio quest'anno presenta il film Otto e mezzo Una narrazione con inquietanti riferimenti alla realtà contemporanea e alle sue contraddizioni. Una autobiografia immaginaria e straordinaria con apparente svagatezza in temi come l'Arte, la Memoria e la Morte. Vinse due Oscar, ma soprattutto fu un film che si rivede sempre volentieri. Un capolavoro da 4 stelle.

JOSEPH LOSEY anche lui esce con il film Il servo che si impone subito all'attenzione per una profonda critica dei comportamenti degli individui all'interno delle strutture borghesi. Un saggio sui rapporti di classe con la logica di un thriller. Un capolavoro anche questo con quattro stelle nella storia del cinema.

Mentre LUIGI MENEGHELLO dall'Inghilterra dove insegna, ci manda in Italia il suo Libera nos a malo. Nello sfacelo di un'acculturazione anomala e perversa, come l'aveva descritta Pasolini in Ragazzi di Vita, Meneghello cerca ad ogni costo di salvare la memoria di un vivere che sta tramontando con l'integrazione, insieme la lingua ufficiale scritta istituzionale, la televisione. Tutto un mondo che si sta allargando non solo nelle città ma anche nei piccoli paesi, persino nelle campagne, riuscendo  perfino a far dimenticare loro il linguaggio, il dialetto, il nome delle cose, e con esso il tramonto di una cultura, e di tutta quella saggezza paesana, che sta scomparendo e che prima era, e aveva un valore esistenziale. E' il momento in cui in Italia si pensa ancora in dialetto e si traduce in una lingua ancora ostica, quasi incomprensibile, quella imparata a fatica a scuola, e che appena usciti si metteva poi da parte.
In questo mondo popolare e dialettale Meneghello fa splendere la sgrammaticata grammatica, il pensiero puro non ancora contaminato dalla modernità, un mondo dove il popolano è ora costretto a viverci ma non capisce e spesso non è piu' capace di esprimersi, né di tradurre i propri pensieri.
E' il periodo dove molti italiani per non essere (o non sentirsi) mortificati preferiscono stare zitti. Perfino a casa con i figli, che ora in questo '63, hanno già tutti un "diploma" di scuola media.

( http://www3.istat.it/dati/catalogo/20120118_00/cap_7.pdf )

anno
Analfabeti
Alfabetizzati (1)
(senza tit. di studio
)
3a elementare
titolo di studio
Licenza
Elementare

tit. di studio
Licenza
Media

titolo
di studio
Diplomati
tit.di
studio
Laurea
1951
5.456
7.582
24.946
2.515
1.380
422
1961
3.797
15.598
19.304
4.375
1.939
603
1971
2.547
13.240
21.586
7.151
3.364
883
1981
1.608
9.548
21.278
12.480
6.019
1.477
1991
1.145
6.533
17.406
16.412
9.937
2.048
2001
783
5.199
13.686
16.222
13.923
4.042

Troppo immediato il salto. Infatti metà popolazione italiana, 35 milioni ha solo la licenza (3a e 5a) elementare, 10 milioni non ha un titolo di studio ma sa leggere qualcosa, e 6 milioni sono ancora analfabeti.
In sostanza 41 milioni hanno un vocabolario italiano molto ristretto, conosce bene solo la lingua parlata (appunto il dialetto locale) e non quella scritta che si parla invece in televisione, e, come se non bastasse, nel nord, i locali non capiscono i 4-5 milioni di immigrati del sud che gli uomini si trovano accanto in fabbrica o le donne nelle bancarella del fruttivendolo; al massimo il primo racconta la partita di calcio che ha visto e le seconde come si cucinano le melanzane e i peperoni, ma poi basta, non vanno oltre perché appena iniziano un discorso su altre cose serie reciprocamente fanno fatica a  capirsi. E non solo tra di loro ma con gli stessi figli.

LA MUSICA LEGGERA

In questo 1963 è sempre alla ribalta MINA ma stavolta non per le sue canzoni ma per un fatto che segna la storia del costume nazionale. La cantante ventitrenne il 18 aprile, mette al mondo Massimiliano. Il bimbo è figlio di Corrado Pani, famoso attore teatrale, in quel periodo sposato con una propria collega di lavoro, Renata Monteduro.
Mina entra dunque nell'occhio del ciclone in quanto è diventata ragazza-madre, per di più di un uomo sposato con un'altra donna. La stampa (anche quella non scandalistica) e la televisione (quest'ultima strettamente collegata al mondo cattolico) condannano la cantante che è costretta a subire prima la censura e in seguito un ostracismo dalle scene per oltre un anno.
L'Italia si trova di fronte ad una donna che per la prima volta osa sfidare il finto perbenismo e l'ipocrisia latente che serpeggiavano nella moralità nazionale.
Ma l'Italia del 1963 non era poi forse così tanto bigotta. Mina - sempre sull'onda del successo di vendita dei dischi - nonostante i veti - tornerà (se volevano far ascolti) trionfante in TV nel 1964 e soprattutto l'anno seguente con STUDIO UNO.
Il pubblico - soprattutto le donne, l'altra "metà del cielo" (di ogni età) fino a ieri non considerate, spesso sposate a uomini che non sceglievano loro - l'aveva capita e le rimase assolutamente fedele. Questa sua vicenda è stata certamente di aiuto per le tutte le donne italiane le quali cominciano a rendersi conto di quanto era importante il valore della libera scelta nella vita di ogni essere umano.

FINE DEL MIRACOLO ECONOMICO

Purtroppo in questo stesso anno inizia il lento declino dell'economia Italia che dopo il "Miracolo" inizierà a dare agli italiani pochi servizi-sociali e problemi infiniti, soprattutto sulla programmazione economica del Paese.
A San Remo la Cinquetti il prossimo anno vincerà con "non ho l'età". Sembra una surreale riflessione su un modello di sviluppo degli italiani al di sotto della maturità e al di sopra dei propri mezzi, già turbati dai primi licenziamenti a fine anno che fanno presagire la tempesta proprio con l'inizio del '64, dove una buona metà degli italiani canteranno l'altra canzone, quella di Bobby Solo, Una lacrima sul viso, una vera premonizione nell'orizzonte dell'economia italiana.

L'altrettanto precedente surreale "Volare" di Modugno che aveva fatto decollare subito dopo nel '58, come il missile dello Sputnik l'economia italiana, sembrava più solo un "infinito" modugnano; il missile sta infatti ritornando a terra all'inizio del '64 con ancora a bordo tutti i problemi irrisolti.
Ci sono per il proletariato i sindacati, che inducano a fare scioperi per ottenere questo e quest'altro, che vogliono spaventare gli industriali, i politici. Vanno avanti qualche anno così, ottenendo qualcosa, poi anche per loro arriva l'emarginazione. Si dividono le categorie, uno va a destra, uno al centro, l'altro a sinistra, dove ognuno fa il capetto. Ma poi ognuno trova il compromesso nell'aerea di partiti che lui ha scelto.
Ci fu il tentativo di unificazione nel '71. I tempi sembravano ormai maturi per iniziare un discorso unitario. I sindacati erano faticosamente e gradualmente passati negli ultimi tre anni dalla competizione al dialogo, dal dialogo all'unità di azione contrattuale e da questa all'unità delle rivendicazioni sociali.
I successi ottenuti insieme furono tanti: Pensioni di anzianità, invalidità e vecchiaia; Trattamento in caso di malattia; Prevenzioni infortuni e trattamento in caso di infortunio sul lavoro; Disciplina del collocamento e dell'apprendistato; Trattamento delle lavoratrici madri; Disciplina del lavoro delle donne e dei fanciulli; Disciplina dei licenziamenti; Le mense aziendali; Ferie retribuite; Istituzione dei consigli di fabbrica. E tanti altri riconoscimenti lunghi da elencare. Ma il capolavoro fu essere riusciti a ottenere e poi a far applicare lo Statuto dei Lavoratori. (il giorno prima della "Strage di Piazza Fontana a Milano" - qualcuno indubbiamente non aveva gradito).
La conquista fatta dai tre sindacati li spinse a considerare formalmente l'unificazione.

In tutte le riunioni non mancarono le discussioni accese sull'attuazione dell'unificazione, che alcuni volevano a tempi brevi, altri a tempi lunghi. Per quest'ultima proposta sono i moderati a insistere per permettere un maggior chiarimento all'interno delle tre confederazioni ed eliminare quelle divergenze che impediscono sul nascere l'unificazione, oppure la ritardano.

E le divergenze non erano poche, ma le tre principali erano in sostanza queste:
1) Autonomia dei sindacati dall'ingerenza dei partiti, quindi incompatibilità tra cariche sindacali e cariche politiche.
2) Inserire nel processo unitario i lavoratori agricoli finora poco rappresentati.
3) Collocare il sindacato unitario in una prospettiva decisamente più internazionale (pansindacalismo)

Ma è il primo punto dove le divergenze sono forti e controverse. Anche se ora esiste in Italia una nuova realtà dove le organizzazioni sindacali ormai si muovono meglio e dentro nei partiti e meglio del governo. Lo abbiamo visto nelle lotte precedenti a quali risultati sono arrivati. Soprattutto con l'approvazione dello Statuto e la possibilità di poter colloquiare direttamente con gli imprenditori. Per i professionisti della politica era uno smacco, una frustrazione e alcuni richiamarono all'ordine i ribelli o allertarono la piazza con discorsi faziosi disegnando scenari foschi.

Dopo il prossimo "autunno caldo" del 69, i sindacati con la loro azione unitaria avevano fatto sentire il loro peso nel mondo della produzione, determinante nella vita del paese e avevano trovato ampi spazi di manovra che gli organi rappresentativi, come i partiti, il governo e il Parlamento non riuscivano a colmare.

Non per nulla perfino gli osservatori stranieri avevano fatto notare - come il Washington Post - che "i sindacati italiani sono stati chiamati dagli avvenimenti a riempire il vuoto lasciato dai partiti politici", o "Le Monde" che affermava che "i sindacati sono ormai solo loro gli interlocutori dei partiti politici".

Per sostenere queste posizioni il movimento sindacale usa lo Statuto dei lavoratori come concreto strumento giuridico. Lo abbiamo già scritto, dopo queste vittorie il sindacato diventa di fatto uno dei poteri della società e dove si fa strada anche una tentazione "pansindacalista" e un'estensione del sindacato stesso a compiti che istituzionalmente non gli spetterebbero ma che rivendica in virtù d'un diritto di "supplenza", data l'evidente carenza delle autorita' competenti. Il sindacato si appropria cosi' di poteri di governo e di poteri del Parlamento.

Sono grosse novita' che sembrano inizialmente produrre effetti positivi e progressivi (che indubbiamente si verificheranno pure). Si vedrà poi, verso la fine degli anni Settanta, che il risvolto negativo c'era stato ed era assai pesante. Le novità infatti, applicate spesso con una certa rigidità, alterano profondamente i preesistenti equilibri economici e spingono le imprese verso investimenti dove cercano non solo di risparmiare al massimo la manodopera ma decentrano su insediamenti a bassa tensione sociale, e ricorrono a ditte appaltatrici per i lavori e i servizi prima dentro gli stabilimenti, a subfornitori per la produzione di accessori e parti staccate. Cioè si appoggiano a piccole ditte esterne dove la sindacalizzazione dei dipendenti è scarsa o inesistente e il costo del lavoro quindi decisamente più basso perchè i piccoli imprenditori saltano tutte le osservanze dei contratti di lavoro.

E' un aggiramento dell'industria vero e proprio, che coincide con quella "disaffezione" alla "fabbrica" dell'italiano Anni Sessanta che abbiamo descritto nelle pagine iniziali. Sono ormai impalliditi i miti di "un posto in fabbrica" e sono crollati del tutto quelli della socializzazione. Il Far West ce l'avevano sotto gli occhi tutti, inutile illudersi.
Viene così riscoperta la "virtu'" dell'iniziativa individuale e privata, libera da vincoli, animata dalla fantasia, dalla voglia di lavorare in modo autonomo e fare soldi, anche autoschiavizzandosi (prima si lamentavano delle 8-10 ore, in casa iniziarono a farne anche 15), quindi soggetti apparentemente non molto felici, per nulla organizzati, ma molto vitali e per tanti questo neo-stakanovismo fu decisamente gratificante economicamente. Dando vita così a un'altra alienazione; prima si lavorava sodo con mille disagi per produrre e guadagnare l'indispensabile e il necessario per vivere, ora si produce e si lavora sodo solo per soddisfare la brama di apparire o per arricchirsi sempre di più, scambiando il mezzo per il fine.

In sostanza questo sviluppo detto del "terziario povero" (che diventera' "ricco") porterà verso la fine degli Anni Settanta a superare come numero di addetti il settore industriale. Infatti quest'ultimo dal 44,4% di quest'anno calerà al 36,2%, e a fine anni Ottanta al 32,2%. Un vero e proprio crollo!

Insomma se da soli gli "operai sciolti" (e anche i sindacati "sciolti") non avevano concluso mai nulla, ora hanno fatto delle conquiste. Sono le premesse per farne altre anche se ci sono le tre federazioni unite; ma dall'altra parte ci sono i piccoli e grandi industriali e sono questi che vanno a modificare l'apparato industriale, ripensano il management, condizionano lo sviluppo. Decentrano, escono dai cancelli, creano i "terzisti", un popolo di formiche che lavorano nei sottoscala, che fanno ricordare, i primi vagiti della Rivoluzione industriale in Inghilterra nel '7-800.
Una massa che si riverserà nei "servizi" e nel "sommerso", che nel 1971 sarà al 38,4%, ma poi tocchera' il 50,9% a fine Anni Settanta e sfiorera' il 60% a fine Anni Ottanta.

Il calo degli addetti nelle aziende con oltre i 100-500-1000 dipendenti caleranno drammaticamente in dieci anni a meno 9,7% con una popolazione a crescita zero.

Tutti i nodi verranno a pettine nell'autunno del 1980 quando si registra non una sconfitta ma un ridimensionamento del movimento sindacale nelle fabbriche e si ristabilisce (tirando un sospiro) l'autorita' del management che riducono i conflitti di lavoro. Da una media annua di 130 milioni di ore perse negli scioperi negli anni Settanta, negli Ottanta la media scendera' a 40 milioni annue, che però sono pari alle ore perse perchè non si "ha voglia".
L'assenteismo tocca cifre paradossali. (perfino nell'ambiente impiegatizio) All'Alfa Sud (complice eventi sportivi) si andrà oltre il 30-35%).

Per tutto il periodo del "boom" e fino al 1965, il tasso medio di assenze nelle fabbriche era stato del 5%, poi iniziò a salire. Nel 1971 sarà del 13%. Alla Fiat ogni giorno 20.000 operai risultano assenti. 35 milioni sono le ore perdute nel corso dell'anno.
Gli industriali danno la colpa alle troppe garanzie dell'art. 5 dello Statuto dei lavoratori e ai medici della Mutua troppo zelanti nel rilasciare certificazioni.
Ma i medici "zelanti" dell'INAM si difendono. "Le diagnosi? è vero, non sono grandi malanni, ma sono specifiche patologie causate dai ritmi e dal tipo di lavoro alienante, malattie a risolvere le quali è spesso sufficiente un breve periodo di riposo; che non è un regalo, ma una seria necessità fisica e psichica del lavoratore "malato".
Un luminario dell'INAM polemicamente aggiunse "Non si possono togliere sette milioni di contadini dalle campagne e immetterli in un ciclo altamente tecnicizzato senza che si verifichino conseguenze per la salute" (aveva ragione allora Wiener che abbiamo citato più volte in questi anni "chi vuol trasformare in formiche gli uomini, non conosce ne' le formiche ne' gli uomini!".

Ma il secondo imputato di questa disaffezione non è solo la fabbrica ma è il modello di società; il fenomeno del "posto vuoto" si va allargando, ingigantendo, e l'assenteismo contagia tutti i settori di attività, in quello privato e in quello pubblico, negli uffici e nelle scuole, nel commercio e nel credito, anche se in minor misura nei rapporti di lavoro più ravvicinati.
Insomma il "lavoratore" italiano (che non è più solo l'operaio proletario, ma anche l'impiegato, pure lui ora sindacalizzato) ha mutato pelle; è crollata tutta una impalcatura che gli economisti i politici e gli industriali avevano costruito su di lui (uomo formica) soprattutto nella fabbrica taylorista, con l'organizzazione scientifica del lavoro, con l'organizzazione a catena o il cottimo, cioè quell'ideologia che secondo gli esperti spingeva il lavoratore ad accettare e adeguarsi a questo sistema perché spinto dall'incentivo economico che lo avrebbe trasformato in un buon Homo oeconomicus , cioè mosso soltanto dalla molla del guadagno monetario individuale; facendo ore straordinarie, accettando i cronometristi e il cottimo, i locali insalubri e pericolosi, e sobbarcandosi non solo i disagi ma anche pagando 1.633.559 infortuni e 4.360 morti sul lavoro in un anno. (11 infortuni al minuto, e 7 morti al giorno - sono i dati dell'anno 1971!!!!!!).

Insomma se da soli gli "operai sciolti" (e anche i sindacati "sciolti") non avevano concluso mai nulla, ora hanno fatto delle conquiste. Sono le premesse per farne altre con le tre federazioni unite; ma dall'altra parte ci sono gli industriali sconfitti, e sono questi che vanno a modificare l'apparato industriale, ripensano il management, condizionano lo sviluppo. Decentrano, escono dai cancelli, creano i "terzisti", un popolo di formiche che lavorano nei sottoscala, che fanno ricordare, i primi vagiti della Rivoluzione industriale in Inghilterra nel '700/800.
Ad esempio la stessa Fiat a Torino, delocalizza; sorgono a Torino 20.000 piccole imprese, e chi non ha soldi per crearla, ci pensa la stessa Fiat, all'inizio facendogli credito a lungo termine; poi alla consegna del materiale prodotto paga a sei mesi.

Poi proprio a Torino il 14 ottobre del 1980, dopo i trentacinque giorni di agitazioni molto dure degli operai e la "marcia dei quarantamila " colletti bianchi che vogliono rientrare nella fabbrica occupata, si conclude un decennio di lotte operaie ed entra in crisi la rappresentatività dei sindacati confederali dopo aver commesso molti errori, non meno plateali di quelli fatti dai politici. E per un solo motivo: immobilismo e irrigidimento mentre la societa' stava cambiando sotto i loro occhi.

Come abbiamo già raccontato nelle prime pagine, questo è un decennio che ha modificato tutta l'economia nazionale, trasformata quella sociale, quella politica, e quella del costume. Un decennio denso di trasformazioni. Anzi è avvenuta una vera e propria mutazione epocale dove è cambiata anche la coscienza civile.

Nel bene e nel male, sono dieci anni dove gli italiani (non parliamo poi delle italiane! Vedi il '72) realizzano quasi timorosi e apparentemente senza molta fiducia - spiazzando politici sociologi e psicologi del lavoro che li credevano assuefatti al "sistema formica"- le maggiori libertà, e in un modo che in questi anni sembrò persino osceno, amorale e spregiudicato; invece riuscirono a spazzare via pregiudizi, riverenze curiali, arcaici tabù e tante ipocrite concezioni virtuose; anzi riscoprirono molte virtù nascoste o addormentate quando, svegliandosi da un lungo letargo iniziarono a riversare tanta "acqua fresca" nel paese Italia. Dimostrando che gli italiani c'erano e che bisognava semmai fare l'Italia e non l'incontrario. Soprattutto "governarla" e non "comandarla".

Una testimonianza di un politico: "Abbiamo capito subito e ci siamo resi conto che non avremmo saputo dirigere la società italiana. Il Paese, fuori, era più forte della politica, e anche più intelligente. Non fare nulla fu la scelta migliore di tanti provvedimenti governativi. Il paese fu così lasciato nella logica della foresta e per fortuna ci è andata bene". Onestamente lo confesserà l'industriale ma anche senatore Dc Piero Bassetti, su Repubblica, anni dopo.
L'esplosione di questa illimitata creatività latente venne dal 1971 in poi- e fu davanti agli occhi tutti

Qualche politico capace c'era ed era tutto di guadagnato. Basterebbe vedere le due realtà di questo 1971 in Sicilia e nel Veneto, considerato quest'ultimo la "balena bianca", quasi tutta in mano a una corrente demoscristiana. Le due regioni erano nella stessa situazione, ma in Veneto, soprattutto nel vicentino, il "Pio Mariano" RUMOR > > iniziò a fare i "miracoli, quando fu al Governo per 5 volte. Ma poi anche per lui venne il conto. Altri a lui molto vicino volevano imitare il maestro facendogli le scarpe.

Alcuni sindacalisti abbandonate le piazze, vanno loro stessi a sedersi nelle poltrone del Parlamento. Ci si incollano facendo gli anodini. Aggiuntasi alla casta non uno lascerà il segno.

Intanto stanno nascendo ai bordi delle grandi città le "Coree", cubicoli addossati l'uno all'altro, dove nessuno pensa a scuole e negozi, chiese e ambulatori, farmacie o cinema, e dimentica di fare perfino le strade e le fogne.
Troppi gli interessi di alcuni che sulla speculazione edilizia stanno creando i propri imperi con l'appoggio del sottobosco politico emergente. All'edilizia di una lobby occorrono licenze? si fanno chiudere gli occhi in Comune. Occorrono sovvenzioni a tizio, caio e sempronio? si fanno le leggine a doc. Occorre cercare degli spazi? si impedisce la liberalizzazione di tanti terreni demaniali, comunali, cosi quelli vicini dei latifondisti salgono di costo.

Si vuole fare un aeroporto, un nuovo quartiere? Prima ancora che esca la legge si avvisa il parente che crea una società, che il giorno dopo acquista quel terreno (acquitrinoso come l'aeroporto di Roma) , lo rivende allo Stato e la settimana dopo ha perfino in mano tutti i lavori che appalta a dei prestanomi . Poi riconoscente fornisce il "foraggio" ai politici di turno, li trasforma in burattini, e si crea le sue scatole cinesi, le lobby.

Ci fu il politico Sullo che basandsoi sulle esperienze europee e allo studio fatto dall'Istituto nazionale di Urbanistica che aveva fondato ADRIANO OLIVETTI, aveva presentato un disegno di legge che si basava sull'esproprio generalizzato preventivo dei terreni spesso incolti da parte dei Comuni, che li urbanizzavano e poi concedevano ai privati il diritto di costruire. Era insomma un freno efficace alla speculazione di pochi soggetti che stavano facendo nelle città quello che volevano con i loro grandi appezzamenti di terreni, spesso vicino alle aree urbane, costruendo palazzoni con tipologie costruttive da caserma, fuori da ogni idea urbanistica non solo moderna, ma nemmeno impostata sullo sviluppo dei nuovi servizi sociali occorrenti per creare una vera comunità moderna; invece non si avvicinavano nemmeno a quelli di 2000 anni fa, quando l'urbanistica delle città antiche era migliore, Pompei ne e' un esempio straordinario.

La legge di Sullo fu in parlamento bocciata. Sullo come Olivetti (che nella sua Ivrea aveva realizzato un villaggio moderno simili a quelli del nord-europa) furono considerati dei "sinistroidi". I proprietari di terreni tornarono a fare sogni tranquilli. Il pericolo era passato. La caotica colata di cemento coprirà città e le costiere d'Italia, alimentando una speculazione di migliaia di miliardi a beneficio di pochi gruppi, i cosiddetti "palazzinari".

La "grande corruzione" cominciò così; prima di tutto sull'edilizia.

 

Ma ora lasciamoci alle spalle questi problemi
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