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CAPITOLO OTTAVO
Popoli e patrie

 

240.
Ho udito, di nuovo per la prima volta - l'ouverture dei « Maestri cantori » di Wagner; e un'arte stupenda, sovraccarica, pesante e tarda la quale per esser compresa pretende ancor viventi due secoli di musica; - quale onore i Tedeschi che un tale calcolo non si sia dimostrato falso ! Quanti succhi, quante forze, quante stagioni e quanti climi sono qui mescolati insieme! Come questa musica ci sembra talora antica, talora strana, acerba e troppo giovane, ad un tempo arbitraria, e pomposamente tradizionale, talora birichina, più sovente rude e grossolana, - com'essa ha fuoco e coraggio, e nel medesimo tempo ci mostra la buccia aggrinzita e scolorita delle frutta giunte troppo tardi a maturazione! È una corrente che scorre larga e maestosa; poi vi è d'un tratto un momento d'esitazione inesplicabile, simile ad una lacuna tra la causa e l'effetto, un'oppressione che ci fa sognare, quasi un incubo - ma ecco che nuovamente la corrente s'allarga riproducendo quella sensazione di benessere multiplo di antica e di nuova felicità, precipuamente di quella felicità che l'artista prova per se stesso, che non vuole nascondere, d'una felicità conscia eppure sorpresa della maestria dei mezzi da lui adoperati, di mezzi nuovamente ritrovati e non ancora completamente sperimentati, come mi sembra egli voglia farci comprendere. In una parola, nessuna bellezza, niente di meridionale, nulla della delicatezza del cielo del sud, nessuna grazia, nessuna danza, appena un accenno alla volontà della logica.

Direi quasi una certa goffaggine anche sottolineata come se l'artista volesse far comprendere ch'è « voluta » ; una veste pesante, qualche cosa d'originalmente barbaro e solenne, una confusione di cose preziose, dotte e venerabili, qualche cosa di tedesco nel migliore e, nel peggiore significato della parola, qualche cosa di molteplice, informe, inesauribile alla maniera tedesca, una certa strapotenza tedesca dell'anima, la quale non teme di celarsi sotto i raffinamenti della decadenza - sotto i quali si sente anzi forse meglio che altrove, vera caratteristica dell'anima tedesca, ad un tempo giovane e decrepita, troppo debole ancora e purtroppo ricca d'avvenire. Codesta musica esprime perfettamente quello ch'io penso dei Tedeschi; essi sono di ierlaltro e di posdomani - non hanno ancora un oggi.

241.
Noi buoni Europei, abbiamo anche noi le nostre ore in cui ci permettiamo dare sfogo al nostro patriottismo, e ritornare agli antichi amori ed alle antiche piccinerie - ne ho fornito la prova pocanzi - ore di effervescenza nazionale, d'oppressione patriottica e di tanti altri sentimenti invecchiati.
Intelligenze più pesanti delle nostre impiegheranno maggior tempo a digerire quel tanto, per cui a noi bastano poche ore, gli uni ci spenderanno qualche anno, metà la vita, a seconda della loro forza digestiva, della loro capacità di "ricambio della materia". Sì, io potrei immaginarmi delle razze ottuse esitanti, le quali anche nella nostra Europa rapida nei suoi movimenti richiederebbero dei mezzi secoli per poter superare certi accessi atavistici di patriomania e di attaccamento alla gleba dove nacquero e ritornare nuovamente alla ragione, vale a dire al "buon Europeismo". E mentre divago su questa possibilità, mi accade d'assistere, testimonio auricolare, ad un colloquio tra due vecchi «patrioti» ; - a quanto sembra il loro udito non li serviva troppo bene, giacché discorrevano a voce molto alta Colui sa tanto di filosofia e tanto ci tiene a saperne, quanto un villano od uno studente che fa parte d'una cospirazione » - diceva uno di loro: «é ancora un innocentino, ma che cosa importa ciò oggidì ! Siamo al tempo delle messe e queste si gettano ventre a terra dinanzi a tutto ciò che é massiccio.

E così anche in politicis. Uno statista che sa innalzare dinanzi ai loro occhi una nuova torre di Babele, qualche conglomerato mostruoso d'impero e di potenza per loro é un uomo grande; che importa, se noi più prudenti e di maggior ritegno, per ora non vogliamo abdicare all'antica credenza, che soltanto la grandezza dell'idea possa conferire grandezza ad un fatto concreto. Supposto che uno statista dovesse ridurre il suo popolo a fare quindinnanzi una politica grande; per la quale per sua natura non ha nessuna attitudine e non é preparato: di modo che sarebbe obbligato, di sacrificare le sue antiche e sicure virtù ad una nuova ed ambigua mediocrità, - supposto che uno statista condannasse il suo popolo in generale a fare della politica, mentre esso aveva sino allora ben altro da fare e non può in fondo all'animo liberarsi d'un certo senso di nausea per l'irrequietezza, per la completa assenza d'idee, per le discordie chiassose che caratterizzano i popoli prettamente politicanti; - supposto che un tale statista aizzi le passioni e gli appetiti assopiti del suo popolo, gli faccia apparire quale una macchia la sua timidezza e la sua inclinazione a starsene appartato gli rinfacci quale una colpa la sua propensione per lo stranierismo, il suo segreto cosmopolitismo, gli deprezzi tutto quello, per cui maggiormente si sente portato, capovolga la di lui coscienza, renda il suo spirito angusto il suo gusto nazionale, - eccome? uno statista che facesse tutto ciò, mentre in avvenire il popolo dovrebbe pagarne il fio, dato il caso che abbia un avvenire, un simile statista sarebbe egli « grande » ?
«Sicuramente - gli risponde l'altro con veemenza, - altrimenti non avrebbe mai potuto fare tanto! È stata forse follia il voler una tal cosa, ma forse, in origine, grandezza non era che follia!» --- «Abuso di parole!» esclamò il suo interlocutore: - « forte, forte, forte e pazzo; ma non già grande! ».
I due vecchi s'erano evidentemente riscaldati, buttandosi in faccia tali verità ma io nella mia beatitudine dell'al di là pensava quanto presto un altro più forte potrebbe aver ragione del forte; pensavo anche che per una legge di compensazione la superficialità d'un popolo serve all'approfondimento di un altro.

242.
Si voglia chiamare « civilizzazione », oppure, « umanizzazione » o meglio ancora « progresso » ciò in cui attualmente si vede un titolo di distinzione per gli Europei; chiamiamolo semplicemente, senza lode e senza biasimi, con una forma politica, il movimento democratico europeo: dietro ai prosceni morali e politici, a cui si riferiscono tali formule, si compie un processo « fisiologico » immenso, che va sempre più allargandosi - un processo d'assimilazione di tutti gli Europei, il loro distacco sempre maggiore dalle condizioni, cui devono la loro origine le razze vincolate al clima ed alle classi, una crescente indipendenza da ogni milieu determinato, il quale vorrebbe imprimersi nel corpo e nell'anima con postulati secolari, - dunque l'avvento graduato di una specie d'uomo essenzialmente supernazionale e nomade, la quale, parlando fisiologicamente, possiede un massimo d'arte e di forca d'adattamento quale sua caratteristica tipica. Questo processo dell'Europeo in formazione, il quale può venir ritardato nel suo tempo da grandi ricadute, ma che precisamente per ciò acquisterà in forza e profondità sia qui accennato tra gli altri elementi ostili l'uragano del sentimento nazionale che ancor presentemente imperversa, e così pure l'anarchismo che sta per arrivare; -- questo processo avrà probabilmente dei risultanti, quali i suoi ammiratori e caldeggiatori, gli apostoli delle idee moderne sono gli ultimi a prevedere.
Le stesse nuove condizioni, che serviranno a mediocrizzare l'uomo, a darci un uomo di branco, utile laborioso, capace di molte cose - sono atte al massimo grado a formare degli uomini eccezionali della qualità più pericolosa ed attraente. Mentre cioè quella forza d'adattamento, la quale attraversa condizioni senza cessa mutanti e che comincia un nuovo lavoro con ogni generazione, quasi ogni dieci anni, rende impossibile la potenza del tipo; mentre l'impressione complessiva che faranno gli Europei dell'avvenire sarà quella di lavoratori molteplici, loquaci, poveri di volontà e molto malleabili, i quali hanno bisogno di un padrone, come del pane quotidiano; mentre dunque la democratizzazione dell'Europa tende alla formazione di un tipo egregiamente preparato alla servitù: nei casi singoli ed eccezionali, l'uomo forte riuscirà più forte e più rigoglioso di quanto possa esser riuscito sino ad ora, - in virtù della sua educazione spregiudicata, della sua immensa molteplicità d'esercizio d'arte e di simulazione. Oserei affermare che la democratizzazione dell'Europa é nello stesso tempo una preparazione involontaria alla formazione di tiranni adoperando questa parola in tutti i sensi, anche nel senso più spirituale.

243.
Sento con piacere che il nostro sole va appressandosi con moto rapido alla costellazione d'Ercole; e voglio sperare, che anche l'uomo di questa terra cercherà d'imitare il sole ! E noi per i primi, noi buoni Europei.

244.
Vi fu un tempo, in cui s'era abituati a chiamar
profondi i Tedeschi a titolo di distinzione: ora mentre il tipo più ricco di successo del germanismo moderno ha rivolto il pensiero a tutt'altri onori, ed in tutto ciò ch'è profondo deplora forse la mancanza della tagliente energia prussiana (Schneidigkeit.), é quasi patriottico e d'attualità il dubbio, che la lode di una volta fosse sbagliata: in breve che la profondità germanica sia qualcosa d'altro e peggiore: - e sia anche qualche cosa che la Dio mercé abbiamo speranza e siamo in procinto di levarci di dosso. Proviamoci dunque a modificare il nostro pensiero sul conto della profondità germanica: per far ciò di null'altro ci abbisogna che di una piccola vivisezione dell'anima tedesca. - - L'anima tedesca è anzitutto complessa, d'origine multipla, piuttosto un aggregato, una sovrapposizione d'anime anziché un vero edificio; ciò dipende dalla sua estrazione. Un tedesco che avesse l'audacia d'affermare: « due anime, ahimè ! albergano nel mio petto » - si sbaglierebbe grandemente sul numero, egli farebbe errore di molte anime. Essendo, come popolo, una miscela, un arruffio mostruoso di razze, forse anche con un'eccedenza preponderante di elementi "preariani", un "popolo del mezzo" in tutti i riguardi, i « Tedeschi sono gli esseri più inafferrabili, più vasti, più contraddittori, più incogniti, più imponderabili, più stupefacenti anche per loro stessi, più di quanto un altro popolo possa esserlo: essi si sottraggono ad ogni definizione e formano precisamente per questo, la disperazione dei Francesi ».

È caratteristica dei Tedeschi, che in loro la questione, che cosa sia « tedesco » e sempre all'ordine del giorno. Kotzebeue conosceva, bisogna ammetterlo, molto bene i suoi tedeschi; egli ci ha scoperti, giubilarono acclamandolo --- ma anche Sand riteneva di conoscerli. Giampaolo (Jean Paul Richter) sapeva quello che si faceva allorquando si dichiarò contrario alle adulazioni ed esagerazioni mendaci, ma patriottiche del Fichte, ma é presumibile che Goethe pensasse diversamente da Giampaolo sul conto dei Tedeschi, per quanto possa avergli dato ragione sul conto del Fichte.

Che cosa avrà mai pensato Goethe dei tedeschi? Purtroppo egli non si è mai espresso chiaramente su molte delle cose che erano intorno a lui; ed ha saputo far tesoro del proverbio che il silenzio è d'oro: probabilmente aveva le sue buone ragioni per agire così. Quello che è certo, è che non sono state le guerre di liberazione ad allietargli lo sguardo, tanto poco quanto la rivoluzione francese - l'avvenimento che gli fece mutar di pianta tutte le sue idee sul Faust, anzi su tutto il problema dell'uomo fu l'apparizione di Napoleone. Ci sono conservate delle parole di Goethe, con le quali si esprime, come se parlasse dall'estero, con durezza impaziente contro ciò che allora formava l'orgoglio d'ogni buon tedesco: il celebre « Gemüth », tedesco, egli lo definiva quale indulgenza per le debolezze altrui e per le proprie. Aveva egli forse torto? -

È caratteristico dei Tedeschi, che di rado si ha torto completamente, quando si giudica di loro. L'anima tedesca ha in se stessa dei corridoi grandi e piccini, delle caverne, dei nascondigli, dei recessi segreti; il suo disordine ha alcunché di misterioso che attrae : il tedesco conosce bene le vie torte che menano al caos. E come ogni cosa ama ciò che le somiglia, il tedesco predilige le nuvole e tutto ciò che è poco chiaro, che é in via di formazione, che è crepuscolare, umido coperto. Trova profondo l' incerto, ciò che é ancora nello stadio di formazione, che si sposta, che sta crescendo. Il tedesco stesso non esiste ancora, egli sta diventando egli si «sviluppa» -. L' evoluzione « é perciò la vera trovata tedesca nel regno delle formule filosofiche: - un concetto dominante che, mercé l'alleanza della birra e della musica tedesca sta per germanizzare tutta l'Europa : Gli stranieri restano meravigliati ed incantati dinanzi ai problemi che loro dà a sciogliere la natura contraddittoria che forma il fondo dell'anima tedesca (problemi sistemizzati dall'Hegel, messi in musica dal Wagner). « Bonari e perfidi ».

- Questo controsenso, rispetto ad ogni altro popolo, è purtroppo di sovente giustificato in Germania: si provi a vivere qualche tempo fra gli Svevi! La pesantezza dal dotto tedesco, la sua insulsaggine sociale si comporta spaventevolmente bene con un interno acrobatismo, con un ardimento leggero che hanno già incusso terrore a tutto gli dei. Per dimostrare ad occlus l'anima tedesca, basta osservare il gusto, l'arte, i costumi tedeschi : quale indifferenza villana per il buon gusto ! In qual modo sono mescolate le cose nobili e le volgari ! Quanto disordinata, eppur ricca é l'economia domestica di quell'anima! II tedesco trascina la propria anima: come fa di tutti gli avvenimenti della vita. Li digerisce male, non finisce mai la sua digestione: la profondità tedesca non è che una digestione stentata. Ed allo stesso modo che tutti gli ammalati abitudinari, tutti i dispeptici amano le comodità, il tedesco ama la « sincerità » e la « rettitudine » : quanto é comodo l'essere sinceri e retti ! - forse oggi é il travestimento più felice e il più pericoloso quello di cui si compiace il tedesco, la rettitudine fiduciosa, alla mano, che mette le carte in tavola; é la sua vera arte mefistofelica, con la quale potrà andar molto lontano ! Il tedesco si lascia andare e ci guarda coi suoi buoni occhioni tedeschi azzurri e vuoti - e subitamente all' estero lo si scambia con la sua veste da camera! - Intendevo dire: la profondità tedesca possa esser quella che si voglia - mi sarà permesso di riderne così tra noi? noi facciamo molto bene a continuare a tener in onore la sua apparenza e la sua fama; e di guardarci bene dal fare il cattivo mercato, di cambiare contro il militarismo prussiano, lo spirito berlinese e la sua sabbiosa pianura, la nostra antica reputazione di popolo profondo. Un popolo agisce molto sagacemente, se si dà per profondo, maldestro bonario, onesto senza astuzia; potrebbe darsi che in ciò consista la sua profondità! Infine: bisogna far onore al proprio nome - non si chiama per nulla il popolo "tiusche" (tedesco antico) il popolo che inganna.

245.
Buon tempo antico é sparito, con Mozart é cessato l'ultimo canto: quanto siamo felici noi che sentiamo parlare ancora il suo rococò, che la sua « buona società », il suo tenero sentimentalismo, il suo amore infantile per il gusto cinese, per i ghirigori, che la cortesia del suo core, la sua brama del tenero dell'innamorato, del danzante, del lacrimoso, della sua fede nel cielo meridionale possano far appello ad un antico rimasuglio in noi! Ah, sopraggiungerà un tempo in cui tutto ciò sarà finito! ma é fuor di dubbio, che ancor prima avremo cessato di comprendere e di gustare il Beethoven il quale pure non fu che l'ultima eco d'un passaggio, d'un interruzione di stile e non già, come Mozart, l'eco d'un gusto europeo durato da secoli. Beethoven é un incidente tra un'anima vecchia, tarlata, che continuamente si spezza e un'anima ebbra di giovinezza e d'avvenire che continuamente arriva: sulla sua musica si stende la luce crepuscolare di perenni rinunzie e di rinascenti immense speranze, la stessa luce che inondava l'Europa quando essa sognò con Rousseau, quando danzò intorno all'albero della libertà della rivoluzione, e quando si prosternò quasi adorante dinanzi a Napoleone.
Ma quanto presto impallidisce ora questo sentimento, quanto é difficile oggidì il conoscere di per se stessi un tale sentimento - quando suona oggi strano ai nostri orecchi il linguaggio dei Rousseau, degli Schiller, degli Shelley, dei Byron che furono gli araldi di questo destino d'Europa che Beethoven seppe cantare !
La musica tedesca venuta poi appartiene al romanticismo, vale a dire ad un movimento, storicamente ancor più breve; più fugace, più superficiale di quel grande intermezzo, che segna la transizione dell'Europa del Rousseau a quella di Napoleone ed all'avvento della democrazia. Webert: ma che cosa significa oggidì per noi il Franco Arciere e l'Oberon?! Oppure il Hans Heiling ed il Vampiro di Marschner?! Od anche il Tannhauser di Wagner!

È una musica remota, per non dire dimenticata. Eppoi tutta la musica del romanticismo non era una musica sufficientemente aristocratica per poter imporsi altrove che non fosse in teatro o dinanzi alla moltitudine; era già per sé stessa una musica di secondo grado, che tra i veri musicisti godeva poca considerazione. Ma le cose stanno ben diversamente riguardo a Felice Mendelssohn l'alcionico maestro che per la sua anima più leggera, più fina, più felicemente dotata, fu rapidamente venerato ed altrettanto rapidamente dimenticato: egli rappresenta il leggiadro Incidente della musica tedesca.
In quanto a Roberto Schumann che prendeva le cose gravemente e sin dal bel principio fu accolto gravemente egli stesso - : egli fu l'ultimo a fondare una scuola -: non ci sembra oggi una fortuna, una liberazione, un sollievo come da un incubo, l'aver superato il romanticismo d'uno Schumann? Schumann rifuggente nella « Svizzera sassone » della sua anima dotata di un'indole che teneva del Werther e del Giampaolo, certamente non del Beethoven e nemmeno dei Byron, la sua musica dei Manfredi é talmente dissonante dal soggetto, da rasentare il delitto, - Schumann col suo gusto, che in fondo era gusto piccino (vale a dire d'una propensione pericolosa, e tra i Tedeschi doppiamente pericolosa alla lirica silenziosa ed all'ubriacamento sentimentale) che se ne stava timidamente in disparte, traboccante di nobile tenerezza, festeggiante orgie di gaudi e di dolori anonimi, più fanciulla che maschio, un noli me tangere sin dal suo principio: codesto Schumann non rappresentò nella musica che un avvenimento tedesco, non più un avvenimento europeo, al pari Beethoven, o come in maggior misura ancora, di Mozart - con lui la musica tedesca fu minacciata dal maggiore dei pericoli, quello di cessar d'esser l'espressione dell'anima europea, diventando una fantasticheria nazionale.

246.
Quale martirio sono i libri scritti in tedesco per chi possiede il terzo orecchio! Con qual dispetto sdegnoso egli scorrerà il padule lentamente trascinantesi di parole senza suono, di ritmi senza danza, che presso i Tedeschi nomasi "libro"! Eppoi il tedesco che legge un libro! Quanto legge male, pigramente con ri
pugnanza ! Quanti sono i tedeschi che sanno, che pretendono da sé stessi di sapere, che in ogni buona frase c'é dell'arte, - dell'arte che richiede di esser indovinata, quando si voglia comprender la frase? «Un malinteso nel tempo », per esempio, ed il senso della frase é perduto! Che non sia lecito esser in dubbio circa alle sillabe che decidono del ritmo ché lo spezzamento di una simmetria troppo rigorosa debba esser sentito come una cosa voluta, come un'attrattiva, che ad ogni « staccato » ad ogni "rubato" si debba tender paziente orecchio, che il senso debba esser avvertito per la successione delle vocali e dei dittonghi, per la delicatezza e la ricchezza dei coloriti che assumono mentre si susseguono?
Chi, tra i tedeschi che leggono, é fornito di bastante buona volontà da riconoscere in chi legge tali doveri e tali postulati, ed avvertire tutta l'arte e l'intenzione riposte nella lingua? In breve, si manca di « orecchio » per tutto ciò: e così passano inavvertiti i più robusti contrasti dello stile, e gli, artifici più sublimi sono prodigati ai sordi. - Questi pensieri mi s'affacciarono allorquando m'accorsi quanto goffamente ed ingenuamente si avevano scambiato tra loro due maestri della prosa; l'uno, le cui parole stillano lente e fredde come dalla volta d'una umida caverna - perché fa assegnamento sul loro suono sordo e la loro risonanza -- con un altro, che maneggia la lingua al pari d'una spada flessibile e che dal suo braccio sino all'estremità del piede sente il fascino pericoloso della lama tremante troppo acuta che vuole mordere, fischiare, incidere.

247.
Quanto poco lo stile tedesco abbia da fare col suono e con l' orecchio, lo dimostra il fatto, che precisamente i migliori tra i nostri musicisti scrivono male. Il tedesco non legge ad alta voce, per l'orecchio, ma solamente con gli occhi: quando legge, ripone le sue orecchie nella busta degli occhiali. -
L'uomo antico quando leggeva - ciò che avveniva molto di rado - leggeva a sé stesso, a voce alta; si faceva le meraviglie se uno leggeva in silenzio e se ne indagava i motivi. Ad alta voce: ciò significa con tutte le alzate, le inflessioni, le variazioni di suono, le alterazioni del " tempo", alle quali trovava diletto l'antico mondo pubblico. In allora le leggi dello stile dello scrittore erano identiche a quelle dell'oratore; e quelle leggi dipendevano in gran parte dal meraviglioso sviluppo, - dalle raffinate esigenze dell'orecchio e dell' ugula, in parte dalla robustezza, durata a potenza del polmone antico. Un periodo, secondo gli antichi, é anzitutto un intiero fisiologico, in quanto che abbraccia un solo respiro.
Dei periodi, quali ne troviamo in Demostene, in Cicerone, due volte ascendenti, e due volte ricadenti, e tutto ciò nel limite di un respiro, erano godimenti per gli antichi, che sapevano apprezzarne la virtù, la rarità e la difficoltà per propria esperienza: - noi, moderni pensando bene, non abbiamo alcun diritto al periodo grandioso, noi, gente dal respiro corto in tutti i sensi! Gli antichi nell'arte oratoria eran dilettanti tutti senza eccezione, e per conseguenza conoscitori, e per conseguenza critici e con ciò essi spingevano agli estremi i loro oratori : nella stessa modo che nel secolo scorso, quando tutti gli Italiani e le Italiane sapevano cantare, presso di loro l'arte dei canto (e con lei l'arte della melodia) raggiunse l'apice. Ma in Germania (sino ai tempi più recenti, in cui una specie d'eloquenza tribunicia tentò le ali abbastanza timidamente e goffamente) non vi fu che una sola specie d'eloquenza pubblica ed approssimativamente artistica; quella del pergamo.
Solo il predicatore in Germania conosceva il valore d' una sillaba, d'una parola, sapeva quando una frase batte, salta, precipita, corre, si esaurisce; egli soltanto aveva della coscienza nelle orecchie, molto spesso una coscienza cattiva; giacché non mancano i motivi se il tedesco di rado, o quasi sempre troppo tardi raggiunge l'eccellenza nell'arte oratoria. Il capolavoro della prosa tedesca é perciò come si converrà, il capolavoro del più grande predicatore che si abbia avuto; la Bibbia è stata finora il miglior libro tedesco. In confronto della Bibbia di Lutero tutto il resto può dirsi « letteratura - una cosa che non é cresciuta in Germania, e che perciò non ha messo ne metterà radice nei cuori tedeschi come seppe fare la Bibbia.

248.
Vi sono due specie di geni: l'uno, che anzitutto genera e vuole generare, l'altro che ama esser fecondato e partorisce. E così fra i popoli geniali gli uni hanno avuto in retaggio il problema femminile della gravidanza ed il segreto compito di formare, maturare, perfezionare - di questa specie furono i Greci e così pure i Francesi - : gli altri sono destinati a fecondare, ed esser la causa di nuovi ordinamenti di vita - come i Giudei, i Romani e forse anche, sia detto con tutta modestia; i Tedeschi? - popoli dilaniati ed estasiati da ignote febbri e spinti irresistibilmente fuori del loro essere, innamorati e cupidi di razze straniere (di tali, cioè, che si lasciano « fecondare »); ed in pari tempo dispotici, come tutto ciò che sente in sé esuberante la forza che « feconda », « la grazia di Dio ». Queste due specie di geni si cercano, come il maschio cerca la femmina, ma non sanno intendersi fra di loro - come avviene tra maschio e femmina.

249.
Ogni popolo possiede una tartuferia sua propria, che chiama la sua « virtù ». - Ciò che vi è di meglio in lui, mai si conosce - né si può conoscere.

250.
Che cosa deve l'Europa agli Ebrei? - Molte cose, buone e cattive, ed anzitutto una cosa che tiene del meglio e del peggio che possa darsi : lo stile grandioso della morale, la terribilità e la maestà di postulati immensi, d'infiniti significati, tutto il romanticismo e il sublime dei problemi morali - e per conseguenza la parte più interessante, imbarazzante e ricercata di quel caleidoscopio di seduzione alla vita, che irradia dei suoi ultimi bagliori il cielo, - il tramonto, forse, della nostra civiltà europea. Noi artisti tra gli spettatori ed i filosofi ci sentiamo riconoscenti di ciò agli Ebrei.

  1. 251.
    Bisogna rassegnarci, se lo spirito di un popolo, che soffre è vuole soffrire di febbre nazionale e di ambizione politica é offuscato talvolta da qualche nube o da altra perturbazione, se ha, a dir breve, qualche accesso d'imbecillimento: così ad esempio i Tedeschi odierni sono colti talora dalla demenza antifrancese, tal altra dall'antisemitica, o dall'antipolacca, o dalla cristianoromantica, dalla wagneriana, dalla teutonica, dalla prussiana (come quei poveri testoni di storici, Sybel e Treitschke) -- sono insomma i piccoli ottenebramenti dello spirito e della coscienza tedesca. Mi si perdoni se anch'io, dopo un breve ma pericoloso soggiorno su territorio molto infetto, non fui del tutto risparmiato dal contagio ed ho incominciato, come tutti gli altri, ad occuparmi di cose che non m'interessavano minimamente; primo sintomo dell'infezione politica. Per esempio, a proposito degli Ebrei; state a sentire: -- Non mi sono mai imbattuto in alcun Tedesco cui gli Ebrei siano simpatici: e per quanto si rigetti incondizionatamente l'antisemitismo propriamente detto dagli assennati e dagli uomini politici, bisogna aver presente che codesta assennatezza codesta politica non é diretta contro la specie del sentimento per se stesso, ma soltanto contro la sua pericolosa smoderatezza e precisamente contro il modo disgustoso e vergognoso con cui un tale sentimento si manifesta - su ciò non é lecito ingannarsi. Che la Germania abbia degli Ebrei a sufficienza che lo stomaco, il sangue tedesco stenti (e stenterà a lungo) a digerire anche la quantità d'Ebrei di cui e attualmente provvisto come l'hanno già fatto gli Italiani, i Francesi, gli Inglesi, in grazia della loro digestione più robusta -; ecco quanto ci dice chiaramente la voce dell'istinto universale, della quale e giocoforza tener conto. Non si permetta l'ingresso in Germania ad altri Ebrei ! E, si chiudano gli accessi principalmente all'Oriente (ed anche dalla parte dell'Austria)! (Oesterreich, Ostreich, significa letteralmente "Impero d'Oriente".).
  2. Questo esige l'istinto d'un popolo, la cui indole è ancor debole e non peranco determinata, per cui facilmente potrebbe venir assorbita, cancellata da una razza più robusta. Ma gli Ebrei sono senza contestazione la razza più vigorosa, più tenace e più genuina che viva in Europa: essi sanno farsi strada anche tra le peggiori condizioni (e forse molto meglio che in condizioni favorevoli), e ciò in merito a talune virtù, che oggidì si vorrebbe gabellare per vizi, - in merito, anzitutto, d'una fede risoluta, che non ha bisogno di vergognarsi dinanzi alle « idee moderne » ; essi si mutano, quando e se si mutano, sempre nello stesso modo con cui l'impero russo --- impero che ha tempo davanti a sé e che non data da ieri allarga le sue conquiste: vale a dire secondo la massima: < il più lentamente possibile! ». Un pensatore, che avesse sulla coscienza l'avvenire dell'Europa, in tutti i suoi progetti riguardanti un tale avvenire dovrà far conto cogli Ebrei come coi Russi, ambedue i fattori più sicuri, e probabili nella grande gara, nella grande lotta delle forze.
    Ciò che in oggi in Europa dicesi « nazione » e che é piuttosto una "res facta" anziché nata (e che rassomiglia anzi maledettamente ad una res fitta et picta) é in ogni modo qualcosa che sta formandosi, una cosa giovane, facile ad essere, spostata, ma non ancora una razza, e meno ancora qualche cosa di aeree perennius, come sono gli Ebrei: codeste nazioni dovrebbero guardarsi bene da ogni concorrenza sventata da ogni ostilità tra di loro! Che gli Ebrei, se volessero e se vi fossero costretti - come sembrano volerveli costringere gli antisemiti - potrebbero avere il predominio, anzi letteralmente il dominio in Europa, è indubitabile: così pure che essi non ambiscono un tale dominio. Per ora essi domandano e desiderano, anche con una certa insistenza, d'essere assorbiti dall'Europa, hanno sete di aver una dimora stabile di essere tollerati, rispettati in qualche parte, di metter fine alla loro vita nomade, all' « ebreo errante »; e bisognerebbe prender in seria considerazione un tale desiderio, una tale tendenza (che significato da per sé un raddolcimento degli istinti ebraici), anzi andar incontro ai medesimi; ma per poter far ciò, sarebbe forse opportuno d'allontanare prima di tutto dal paese gli strilloni antisemiti. Si dovrebbe venir incontro agli Ebrei con tutte le precauzioni immaginabili, con un certo spirito di selezione, all'incirca come ha fatto la nobiltà inglese. E ovvio, che senza alcuna tema i tipi più vigorosi e più saldi del neogermanismo potrebbero entrar in relazione se coloro, per esempio l'ufficiale nobile della Marca; sarebbe di grande interesse lo studiare l' incrocio dell'elemento destinato per atavismo al comando ed all'obbedienza - in ambedue cose il suddetto paese può servire di modello classico - col genio del danaro e della pazienza (che apporterebbe anche un poco di spiritualità, della quale fa molto difetto nel paese sovvenzionato).
  3. Ma qui si conviene che io tronchi la mia gioconda divagazione patriottica, e che ritorni alla mia serietà, al «problema europeo » com' io l'intendo, vale a dire alla formazione della nuova casta che dovrà regnare nell'Europa.

    252.
    Non sono certo una razza filosofica - codesti inglesi ! Bacone significa un attentato contro lo spirito filosofico in generale, Hobbes Hume e Locke un avvilimento ed un deprezzamento per oltre un secolo del concetto "filosofo". Contro l'Hume sorse Kante; del Loche, Schelling pote dire "je mèprise Loche" ; nella lotta contro il meccanismo brutale della concessione inglese furono d'accordo Hegel e Schopenhauer (con Goethe), questi due geniali fratelli - nemici della filosofia, che camminarono verso i due poli opposti dello spirito tedesco, e che si disprezzarono come solamente due fratelli sanno farlo. Ciò che fa difetto all'Inghilterra e di cui ha sempre difettato, quel semi-commediante e retore, l'insulso confusionario Carlyle lo sapeva benissimo, allorquando s'industriava di nascondere sotto delle smorfie appassionate tutto quello che sapeva mancargli -- vale a dire la vera potenza dell' intellettualità, la vera profondità dello sguardo spirituale, in breve la filosofia.

    E' caratteristico per una razza così poco filosofica, ch'essa tenga al Cristianesimo con tanta rigidità; la sua disciplina gli é necessaria per rendersi morale ed umana. L'inglese, più tetro, più sensuale, più volenteroso e più brutale del tedesco, é anche, appunto perché è il più brutale dei due, più religioso del tedesco; appunto perciò il Cristianesimo gli é maggiormente necessario.
    Per chi, possiede un olfatto delicato questo Cristianesimo inglese sente ancora lo spleen e lo stravizio alcolico, contro i quali per certe buone ragioni esso deve servire di contravveleno -- vale a dire il veleno più fino contro il grossolano; difatti un avvelenamento raffinato significa già un progresso, un passo verso l' intellettualità in un popolo rozzo. La pesantezza e la rustica gravità dell'inglese é travestita e resa sopportabile, meglio ancora, spiegata e trasformata dalla nimica cristiana, dalla preghiera e dal salmodiare: e per quel branco di bruti ubriachi e dissoluti, che come nei tempi passati col metodismo, ora si sentono nuovamente grugnire con l ' « Armata della salute » può
    darsi realmente che i crampi penitenziari rappresentino il massimo d' « umanesimo » che possa esser raggiunto, si può far loro questa concessione. Quello però che ci offende anche nell'inglese più umanizzato è la sua totale mancanza di sentimento musicale, parlando metaforicamente (ed anche senza metafora). Ai movimenti della sua anima ed anche del corpo manca il ritmo del « tempo » e della danza, manca persino il desiderio di un tale ritmo della « musica ». Statelo a sentire quando parla, si osservi il modo di camminare delle più graziose inglesine - non vi è al modo delle colombe, dei cigni più belli di loro, - ebbene, ascoltate il loro canto! Ma io pretendo un po' troppo ....

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    Certe verità, le teste mediocri le percepiscono per le prime, perché più conformi alla loro intelligenza, e non hanno attrattive e seduzioni che per gli spiriti mediocri. Si é indotti a constatare questo fatto per sé stesso poco confortante precisamente adesso che le menti di alcuni inglesi rispettabilissimi, ma di mediocre intelligenza - nominerò Darwin, John Stuart Mill ed Herbert Spencer nella media del gusto europeo sembrano esercitare una certa influenza preponderante.
    Infatti, chi potrebbe dubitare che non sia utile il sorgere ad intervalli di simili spiriti? Sarebbe un errore il ritenere che precisamente gli spiriti superiori, i quali tentano sentieri inaccessibili agli altri, possiedano sufficiente abilità per constatare molti piccoli fatti volgari, per raccoglierli, per trarne delle conclusioni ; - all'opposto essi rappresentano l'eccezione, e si trovano in una posizione poco felice di fronte alle « regole ». Eppoi essi hanno da fare ben altro, che conoscere solamente -- essi devono essere, significare qualche cosa di nuovo, rappresentare dei valori nuovi!
    L'abisso che separa il sapere dal potere é forse più profondo ed anche più sinistro di quanto si creda; chi si sente di potere, in uno stile grazioso, chi ha lo spirito che crea potrà, forse dovrà essere un ignorante, -- mentre le scoperte scientifiche alla Darwin esigono una certa ristrettezza di vedute, una certa aridità dello spirito, una certa pedanteria, molto conformi all'indole inglese. - Non si dimentichi infine che già una volta gli Inglesi, grazie alla loro profonda mediocrità, hanno, causato una depressione generale dello spirito europeo; le cosiddette « idee moderne », oppure « idee del secolo decimottavo od anche « idee francesi » - vale a dire tutto ciò contro cui lo spirito tedesco si è ribellato con un senso di profonda nausea - sono di origine inglese, non è lecito il dubitarne.

    I Francesi non hanno fatto altro che scimiottare e mettere in scena quelle idee, nello stesso modo che ne furono i migliori difensori e disgraziatamente anche le prime e le più complete vittime: dappoiché al servizio della malefica anglomania delle « idee moderne » l'âme française ha finito per assottigliarsi e logorarsi al punto da non esser più riconoscibile per chiunque serbi il ricordo della sua antica forza appassionata e profonda, della sua distinzione ingegnosa, infine dei suoi secoli decimosesto e decimosettimo. Ma, comunque sia, bisogna aver sempre presente questo, comandamento dell'equità storica: che la nobiltà europea, quella del sentimento, del gusto, dei costumi, la nobiltà infine nel suo più alto significato - é opera e creazione francese; la volgarità europea, il plebeismo delle idee moderne è invenzione inglese.

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    Oggi ancora la Francia é la sede della coltura più intellettuale e più raffinata d'Europa e l'alta scuola del buon gusto; ma bisogna saper trovarla questa « Francia del buon gusto ». Chi della medesima fa parte si tiene gelosamente nascosto; essa non sarà composta che di un piccolo numero di persone, forse non troppo salde sulle loro gambe, per la più gran parte di fatalisti, di misantropi, di ammalati, in parte anche di effeminati, di raffinati, di invidiosi, che vanno superbi di nascondersi. Ma una cosa è loro comune; si tengono ben turate le orecchie. per non udire le solenni sciocchezze ed il vociare chiassoso del bourgeois democratico. E difatti, quella che s'agita sul davanti della scena é una Francia rimminchionita e grossolana, - recentemente, in occasione dei funerali di Victor Hugo, essa s'e sfogata in una vera orgia di cattivo gusto e di autoglorificazione. Anche qualcos'altro é loro comune: la buona volontà d'opporsi alla germanizzazione spirituale - e più ancora un'assoluta incapacità di raggiungere questo fine! Forse a quest'ora nella Francia dello spirito, che è anche quella del pessimismo, Schopenhauer é più
    conosciuto di quanto lo sia mai stato in Germania; non parliamo di Enrico Heine, che si é trasfuso nel sangue dei lirici più raffinati e pretenziosi dell'odierna Parigi, oppure dell'Hegel, il quale sotto le spoglie del Taine del più grande storico vivente -esercita un'influenza tirannica. E per quanto concerne Riccardo Wagner: più la musica francese imparerà ad uniformarsi ai reali bisogni dell' « âme moderne » e più diverrà wagneriana, - é lecito predirlo - lo é di già adesso abbondantemente!

    Eppure tre cose ancora possono i Francesi vantare orgogliosamente quale loro retaggio ed indiscussa proprietà, quale caratteristica incancellabile e di una superiorità di cultura sul resto dell'Europa, ad onta della volontaria od involontaria germanizzazione e plebeizzazione del gusto; in primo luogo la loro disposizione alle passioni artistiche, l'adorazione della « forma » per la quale fu creata, tra mille altre, l'espressione « l'arte pour l'art »: di ciò non fece difetto alla Francia da tre secoli in poi, ed ancor sempre, grazie al rispetto che si professa per il « numero minore » é possibile in Francia una specie di « musica di camera » della letteratura, 'ciò che non si riscontra in alcuna altra parte d'Europa.
    La seconda prerogativa dei Francesi, che conferisce loro la superiorità in Europa, é la loro antica e molteplice coltura moralistica che fa sì, che in media persino nei piccoli « romanciers dei giornali e dei boulevardiers de Paris » d'occasione si riscontra una sensibilità ed una curiosità psicologiche, di cui non si ha l'idea in Germania (o meno ancora un riscontro!). Per arrivare a ciò mancano ai Tedeschi, un paio di secoli di lavoro moralistico, che la Francia non ha risparmiato a sé stessa; chi per tal ragione chiamerà ingenui i Tedeschi, muterà in lode ciò che é un loro difetto (quale contrapposto dell'inesperienza, dell'ingenuità tedesca in voluptate psychologica, che hanno un'affinità non molto lontana colla noiosità della conversazione tedesca - e quale espressione la più riuscita della vera curiosità dell' immaginazione francese per codesto regno di brividi delicati serva di esempio Enrico Beyle, quel singolare precursore, il quale con un « tempo » proprio napoleonico attraversò la sua Europa e percorse molti secoli dell'anima europea, quale un investigatore e scopritore della medesima; - ci fu bisogno di due generazioni, per poterle raggiungere in qualche modo, per rimediare alcuni dei problemi, che, tormentavano ed estasiavano quel curioso epicureo irto di punti interrogativi, che fu l'ultimo grande psicologo francese). Ma la Francia vanta ancora un terzo titolo di superiorità; nell'indole francese si riscontra una sintesi sufficientemente riuscita del nord e del sud, la quale permette ai Francesi di comprendere e di fare molte cose, che un inglese non potrebbe; il loro temperamento che periodicamente si rivolge al sud e se ne allontana, e nel quale di tratto in tratto trabocca il sangue provenzale e ligure, li preserva dall'orribile grigio nordico, dalle fantasticherie, dalle anemie dei paesi senza sole - dalla nostra malattia germanica del gusto, contro la cui eccessività momentaneamente con grande risolutezza si é prescritto il sangue ed il ferro, intendo dire, la « grande politica » (a similitudine di una terapeutica pericolosa che m'insegna a pazientare, ma non mi permette di sperare).

    Oggi ancora in Francia si viene incontro, con un vago desiderio di comprenderli, a quegli uomini rari di difficile accontentatura, di vedute troppo larghe, per poter trovare il loro soddisfacimento nei limiti angusti dei sentimenti ultra-patriottici, che sanno amare il sud nel nord, e il nord nel sud, insomma ai « buoni europei », agli Europei dell'avvenire.
    Per essi fu scritta la musica di « Bizet » di quest'ultimo genio che ha intraveduto nuove bellezze e nuove seduzioni e che ha scoperto un lembo dei « sud della musica ».

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    Contro la musica tedesca ritingo s'impongano necessarie alcune precauzioni. Supposto che uno ami il sud come io l'amo, quale una grande scuola di risanamento, tanto spirituale quanto sensuale, quale un'immensa orgia di luce nella quale può espandersi un essere pieno della sua indipendenza e della fede in sé stesso; ebbene, costui dovrà guardarsi dalla musica tedesca, perché riguastandogli il gusto, essa gli riguasterà in pari tempo la salute. Il meridionale, non per la nascita, ma per la fede, quando sogna un avvenire della musica, deve in pari tempo sognare la sua redenzione dalla musica del nord e sentir nell'orecchio i preludi d'una musica più profonda, più potente forse, più maligna e misteriosa, d'una musica supertedesca la quale all'aspetto del
    mare voluttuosamente azzurro e del sole meridionale non dilinquisce, non ingiallisce, non impallidisce, come ciò avviene per tutta la musica tedesca; di una musica supereuropea, capace di resistere anche agli infuocati tramonti dei deserti africani, la cui anima sia affine alla palma, e che si senta in casa propria in mezzo alle possenti e belle belve feroci solitarie. - II mio ideale sarebbe una musica, il cui maggior fascino consistesse nell'ignoranza del bene e del male, una musica, resa tremola tutt'al più da qualche nostalgia di marinaio, da qualche ombra dorata, da qualche tenera rimembranza; un arte che assorbisse in se stessa, da una grande distanza, tutti i colori d'un mondo morale che tramonta, di un mondo divenuto quasi incomprensibile e la quale fosse ospitale e profonda abbastanza per accogliere in sé i tardi fuggiaschi.

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    Grazie alla, morbosa avversione, che il delirio del nazionalismo ha suscitato tra i popoli d'Europa, e mantiene viva oggi ancora; grazie ai politici dalla vista corta e dalla mano troppo ratta, i quali per virtù d'una tale avversione sono in auge e non presentano nemmeno come la politica dissolvente da essi preferita non possa essere che una politica da intermezzo -- grazie a tutto ciò ed a qualcosa d'altro che oggidì non si può esprimere, si trascurano o s'interpretano arbitrariamente e bugiardamente, gl'indizi i più sicuri della volontà d'unificazione dell'Europa.
    Tutto il lavorio segreto dell'anima degli uomini più profondi e di larghe vedute tendeva a preparare una simile sintesi e cercare di anticipare l'Europeo dell'avvenire; soltanto in apparenza oppure nelle ore deboli o nella vecchiaia essi parteggiarono per il principio della « nazionalità », - e si riposavano di loro stessi diventando «patrioti»

    Il mio pensiero ricorre agli uomini che aveano nome Napoleone, Goethe, Beethoven, Stendhal, Enrico Heine, Schopenhauer. Non mi si muova rimprovero se a questi nomi aggiungo anche quello di Riccardo Wagner, sul conto del quale non bisogna lasciarsi indurre a formarsi un falso concetto sulla base dei suoi propri malintesi - geni della sua specie hanno raramente il diritto d'intendere se stessi. Ancor meno si deve far qualche conto del chiasso triviale che si fa in Francia contro di lui ; - é un fatto ciònondimeno incontrastabile che tra la neoromantica francese di cinquant'anni fa e Riccardo Wagner esiste un'intima affinità. Essi s'accomunano intimamente sui culmini e nelle profondità delle loro aspirazioni; é l'Europa una di cui l'anima si spinge nella loro arte multipla ed imperiosa, aspirando al di fuori e verso l'alto, - a che cosa mai? Ad una nuova luce? Ad un nuovo sole? Ma chi mai saprebbe esprimere con chiarezza quello che codesti maestri, inventori di nuovi linguaggi non seppero chiaramente esprimere? Una cosa é certa, che cioé tutti erano travagliati dalle medesime tempeste, che tutti cercavano allo stesso modo, codesti ultimi tra i grandi cercatori ! Tutti insieme dominati completamente dalla letteratura - essi, i primi artisti che possedessero una coltura mondiale - per la maggior parte essi stessi scrittori, poeti, rivelatori, ed amalgamatori delle arti e dei sensi (Wagner quale musicista va classificato tra i pittori, quale poeta tra i musicisti, quale artista in generale tra i grandi attori); tutti insieme fanatici dall'espressione « ad ogni costo - rileverò soltanto il Delacroix, il cui spirito ha maggior affinità col Wagner - tutti insieme grandi scopritori nel regno del sublime, anche del brutto e dell'orribile, scopritori anche maggiori negli effetti, nella messa in scena, nell'arte dell'esposizione, tutti insieme ingegni di gran lunga superiori al loro genio -- virtuosi, perfetti, sinistramente accessibili a tutto ciò che seduce, attrae, costringe, rovescia: nemici giurati della logica e delle linee rette; avidi di tutto ciò che sa di estra neo, d'esotico, di mostruoso, di contorto, di contraddittorio, Tantali della volontà, plebei arrivati, i quali nel vivere e nel creare erano incapaci d'un « tempo » aristocratico, d'un « lento », si pensi a Balzac - lavoratori sfrenati che col lavoro rischiavano di distrugger se stessi antinomisti e ribelli nei costumi, ambiziosi ed insaziabili senza equilibrio e senza godimento; ma tutti insieme curvantisi dinanzi alla croce cristiana (e ciò fu inevitabile, perchè chi mai di loro sarebbe stato sufficientemente profondo ed originale per concepire una filosofia dell'Anticristo?), in complesso una specie di uomini superiori, temerariamente audaci, stupendamente violenti, il cui volo d'aquila seco trascinava gli altri, i quali al proprio secolo - che é il secolo delle masse - appresero il concetto dell' « uomo superiore » Vogliano gli amici tedeschi di Wagner esaminare coscienziosamente se nell'arte wagneriana ci sia qualche cosa di puramente tedesco o se il suo vanto non sia precisamente quello d'essersi ispirata a delle fonti supertedesche: e nel far ciò non trascurino il fatto, che al perfezionamento del suo tipo fu indispensabile Parigi, verso il quale nel momento più decisivo lo chiamava imperiosamente la profondità dei suoi istinti; che tutta la sua linea di condotta, il suo autoapostolato, non poterono perfezionarsi che sul modello del socialismo francese.

    Forse si troverà ad un raffronto meno superficiale, - e ciò ridonda ad onore dell'indole tedesca del Wagner - come egli si sia dimostrato più vigoroso, audace, elevato e meno scrupoloso di quanto potesse esserlo un francese del secolo decimonono -- e ciò per merito del fatto che noi tedeschi siamo più prossimi alle barbarie che non lo siano i Francesi. - Forse quello che Wagner ha creato di più singolare resterà per sempre, e non solo oggi inaccessibile, incomprensibile, immutabile per tutta la razza latina: la figura di Siegfried di codesto uomo molto libero, il quale invero é troppo libero, troppo rude, troppo giocondo, troppo sano, troppo anticattolico per il gusto di popoli che vantano una civiltà antica e caduca. Potrà anzi significare una contravvenzione alla romantica, codesto Siegfried: ebbene Wagner ha espiato a sufficienza tale suo peccato, quando ai suoi vecchi giorni - sacrificando ad un gusto che frattanto era passato nella politica - con la sua abituale veemenza religiosa incominciò, se non ad intraprendere, per lo meno a predicare il pellegrinaggio a Roma.

segue:

CAPITOLO NONO
Che cosa è aristocratico? > >

ALL'INDICE DELL'OPERA

H.P. STORIOLOGIA