POPOLI ANTICHI

I MAYA
UNA CIVILTA' EVOLUTA
STRONCATA DALL'ARRIVO DELLA "NUOVA CIVILTA'"

Ancora oggi nel Messico (precisamente nella Penisola dello Yucatàn e nello Stato di Vera Cruz), nel Guatemala e nell'Honduras britannico, vive una popolazione indigena che è rimasta fedele ai costumi e alla lingua dei propri avi, resistendo tenacemente a qualsiasi sollecitazione della civiltà moderna.
A vederli, riesce difficile immaginare che questi miseri indios siano i discendenti di un grande popolo, quello dei Maya, che elaborò una delle civiltà più evolute e interessanti dell'America precolombiana, esercitando una influenza grandissima sulla cultura e sul progresso di tutte le popolazioni meso-americane, Aztechi compresi.

IL VECCHIO IMPERO MAYA

I Maya furono gente pacifica, che ricorse alle armi solo in caso di estrema necessità; per questa ragione la loro storia si presenta nel complesso molto diversa da quella degli Aztechi. E' intessuta non tanto di episodi di guerra e di violenza, quanto di vicende di pace: migrazioni verso località più fertili, città edificate, monumenti innalzati in onore delle divinità, patti d'alleanza conclusi fra città e città.

Intorno al 2000 a.C. o forse prima, i Maya partirono da lontane regioni a Nord del Messico, ancora non bene identificate, e per via mare raggiunsero la foce del Rio Panuco (nel Golfo del Messico). Vivevano di caccia e di pesca, e nei secoli successivi si spostarono lentamente verso Sud sulle orme della selvaggina.

La prima ad abbandonare la vita nomade fu la tribù dei Chontal, i cui discendenti risiedono ancora oggi nella Penisola dello Yucatàn, da loro occupata appunto a quel tempo.
I Chontal, verso il IV secolo a.C., furono raggiunti dagli Itza, pure appartenenti alla grande famiglia Maya, e vennero assimilati dai nuovi venuti, in possesso di una organizzazione superiore. Frattanto, altre tribù Maya invadevano l'odierno dipartimento guatemalteco di El Petén e le regioni limitrofe, già occupate in parte da popolazioni di lingua nahuatl (cioè affini agli Aztechi).

Sul loro esempio, i Maya del Guatemala si trasformarono in agricoltori, impararono l'arte della ceramica e si raggrupparono in villaggi che, con lo scorrere dei secoli, si moltiplicarono, si disseminarono su un territorio sempre più vasto, si trasformarono in città rette da un governo autonomo, sul tipo della città-stato. Naturalmente occorsero secoli per questo processo di trasformazione: noi, oggi, ne conosciamo soprattutto i risultati, cioè la civiltà giunta al suo apogeo.

Questo periodo, che è compreso tra il 320 e il 987 d.C., viene chiamato dagli studiosi Vecchio Impero Maya.
Il termine di Impero non va però inteso nel significato di una dominazione politica e militare, bensì in quello di una egemonia di carattere culturale, che conferì una straordinaria omogeneità di linguaggio, religione, arte, costumi, fra città Maya politicamente autonome e, relativamente per quei tempi, anche situate in maniera molto distanziata fra loro.

Durante il Vecchio Impero, si assiste all'espandersi dei Maya su una regione sempre più vasta e alla conseguente fondazione di numerose città. Tra il IV e il V secolo vengono fondate Tikal, Uaxactun, Balakbal, Uolantùn; seguono le località oggi denominate Altar de Sacrificios e Piedras Negras; le città di Toninà, Xultùn, Palenque e numerosissime altre, situate sia nel cuore del territorio Maya sia nelle regioni periferiche. Sempre durante il « Vecchio Impero Maya », vengono fondate Copàn (Honduras) e, per opera degli Itza, Chichen-Itzà nello Yucatàn.

Alla fine dell'VIII secolo, quest'espansione si arresta. Dai rilevamenti archeologici sappiamo anzi che, a partire almeno dai primi decenni del secolo successivo fino alla fine del Vecchio Impero Maya, le città vengono progressivamente abbandonate: prima quelle del Guatemala, poi quelle delle regioni limitrofe.

Perché? Le cause che costrinsero i Maya a lasciare le loro terre ci sono ignote. E però da escludere che fossero fuggiti sotto l'incalzare di un popolo invasore, più bellicoso di loro. Le ipotesi più attendibili sono due: che epidemie improvvise avessero decimato le popolazioni delle città, inducendo i superstiti a cercare rifugio altrove, oppure che l'irrazionale sfruttamento del terreno avesse finito con l'inaridirlo e renderlo inadatto all'agricoltura, donde la necessità di emigrare alla ricerca di nuove terre vergini.

IL NUOVO IMPERO MAYA

Dopo un periodo oscuro, che riesce difficile ricostruire, si assiste a una nuova fioritura della civiltà Maya, chiamata Rinascenza Maya o più comunemente Nuovo Impero Maya.

Il centro di questa nuova civiltà è la Penisola dello Yucatàn, e ha inizio con il ripopolamento di città già abbandonate e la fondazione di nuove da parte di popolazioni Maya fuggite prevalentemente dal Guatemala. La causa di questa fuga è probabilmente da ricercarsi nei mutamenti climatici di tale regione.

Ma, a questo punto, la storia dei Maya si fonde con quella di altre popolazioni molto più bellicose e avvezze alle armi, pur restando ai Maya quella supremazia culturale a cui abbiamo accennato: i Tutul-Xiu, i quali già da vari secoli si erano stabiliti nello Yucatàn fondandovi Uxmal, e i Toltechi.

Questi ultimi compaiono nello Yucatàn intorno al 940, provengono dalla Valle del Messico, e sono guidati da Quetzalcoatl, un grande capo che verrà poi divinizzato. I Toltechi arginano le mire espansive dei Tutul-Xiu; per contro danno il loro appoggio ai Maya e li aiutano a ricostruire le loro città, o a fondarne di nuove, fra cui Mayapàn, dove Toltechi e Maya convivranno pacificamente.

Comunque, la storia del Nuovo Impero (sarà certo per colpa di quell'elemento straniero infiltratosi nella compagine Maya) non sarà mai più pacifica. Tre potenti e prospere città dominano quelle minori: Chichen-Itzà, Uxmal, Mayapàn. Dal 987 al 1194 esse si legano in una alleanza (la Lega di Mayapàn) ai danni delle aItre città, composte da puri elementi Maya. L'alleanza ha vita relativamente breve perché nel 1194 Mayapàn muove guerra a Chichen-Itzà e la sconfigge, per essere a sua volta sopraffatta nel sec. XV da Uxmal; ciò provocherà l'intervento degli Aztechi in difesa dei soccombenti.

L'ultimo atto di questa vicenda comunque, non fu scritto mai per il subentrare di un avvenimento del tutto imprevisto: l'arrivo dei Conquistadores spagnoli.

UNA DIFESA DISPERATA

Alcuni militari spagnoli erano già approdati sulle coste dello Yucatàn nel 1511, ma si trattò di un naufragio. Erano stati presi prigionieri e sacrificati agli dei, tranne due: uno fu ritrovato nel 1519 da Fernando Cortés, l'altro si sposò con la figlia di un capo Maya.

La conquista dello Yucatàn fu tutt'altro che facile per gli Spagnoli, perché si trovarono di fronte a una resistenza tenace e insospettata. Dopo vari tentativi infruttuosi di Fernando Cortés e Bernal Diaz del Castillo, nel 1527 Francisco de Montijo riuscì a impadronirsi dell'Isola di Cozumel, quindi di Chichen-Itzà; ma una rivolta, quattro anni dopo, lo costrinse a ritirarsi.

Lo Yucatàn fu sottomesso definitivamente solo nel 1548; l'ultima città Maya rimasta indipendente, Tayasal, nel Guatemala, cadde definitivamente in mano spagnola nel 1697.


L'ORGANIZZAZIONE SOCIALE

« ... Città perfettamente ordinate, ben sistemate, ripulite convenientemente dalla vegetazione incolta e ornate di bellissimi alberi. Al centro, sopraelevati, si ergevano i templi, a dominare le belle piazze; intorno ai templi erano disposti i palazzi del governatore, dei sacerdoti e dei personaggi più importanti. I cittadini più ricchi abitavano in prossimità del centro, mentre le case della gente del popolo erano disseminate nei sobborghi ... ».

Così, nel XVI secolo, il vescovo spagnolo Diego de Landa tentava di descrivere l'aspetto delle città Maya, quali dovevano apparire, naturalmente, prima che venissero abbandonate dai loro abitanti alla fine del Vecchio Impero, o che venissero devastate dai Conquistadores.

Effettivamente, su tutto il territorio un tempo occupato dai Maya restano superbi avanzi di città.
Contrariamente a ciò che pensava il vescovo spagnolo, sembra però che esse non ospitassero affatto la gente del popolo, neppure nei sobborghi. Piuttosto erano centri religiosi e politici, sedi del supremo signore e dei sacerdoti; luoghi sacri, insomma, dove la popolazione minuta si recava solo durante le festività.

Fra i Maya cioè, a differenza che fra gli Aztechi e gli Incas, non esisteva una vera e propria popolazione urbana, avente abitudini e attività diverse da quelle delle campagne: tutti, a eccezione delle autorità politiche e religiose, vivevano nelle campagne, riuniti in villaggi di misere capanne, a capo dei quali era probabilmente il capofamiglia più anziano.

Durante il Nuovo Impero, l'assetto sociale delle città-stato Maya doveva presentarsi pressappoco così: capo supremo è l'halach uinich o « uomo vero », che abita nella città in uno splendido palazzo, circondato da armigeri, cortigiani e tre consiglieri. Da lui dipendono i vari governatori (batab) che amministrano le varie « province » in cui è suddiviso il territorio.
Il batab detiene questo ruolo per diritto ereditario: suo compito è amministrare la giustizia, arruolare i giovani in caso di guerra (particolare importante e significativo: i Maya non avevano un esercito permanente), nonché chiamarli al lavoro obbligatorio in occasione di importanti opere pubbliche (l'erezione, appunto, degli edifici nelle città).

Suo rappresentante nelle piccole comunità è il capovillaggio che, fra gli altri compiti, ha anche quello di sovrintendere all'attività agricola, stabilendo le date delle semine e dei raccolti, e assegnando agli agricoltori nuovi appezzamenti di terreno via via strappati alla foresta con quel sistema rudimentale di bonifica e di concimazione che fu di tutti gli agricoltori primitivi, detto ray; tale metodo consiste nell'incendiare boschi e sterpaglie, e seminare poi nella terra concimata dalla cenere.

Altro particolare davvero eccezionale per le civiltà precolombiane (si pensi allo Stato « comunista » degli Incas) è che gli agricoltori diventano proprietari dell'appezzamento loro assegnato e possono trasmetterlo ai figli.

Accanto al capo politico supremo, e con poteri equiparati, sta il sommo sacerdote. Anch'egli risiede nelle città, analogamente ai sacerdoti e alle sacerdotesse addette ai templi, mentre tutta una folla di attendenti alle cose del culto risiede o girovaga di villaggio in villaggio.

UN POPOLO DI ARTISTI

L'architettura monumentale dei Maya, malgrado certi elementi comuni a quella delle altre grandi civiltà meso-americane, rivela non solo una tecnica assai avanzata, ma anche una grande sensibilità artistica, che si rivela soprattutto nella cura dei particolari, quali modanature (elementi architettonici sagomati), tetti sormontati da creste ornamentali ecc., nell'elegante proporzione delle singole parti dell'edificio, sia esso tempio o palazzo, e soprattutto nella raffinatezza con cui questi edifici venivano ornati.
Si tratta per lo più di fitte decorazioni scolpite in pietra o in stucco, originariamente policrome, fortemente stilizzate, recanti motivi ispirati alla vita animale, vegetale, alle divinità, oppure di carattere astronomico.

Ciò che rende simili queste costruzioni a quelle di altri popoli precolombiani è soprattutto l'alto basamento tronco-piramidale su cui poggiano. Il tempio era il monumento principale: in esso ogni giorno i sacerdoti si riunivano per salutare il sorgere del sole con cerimonie rituali. Nelle città maggiori, non mancano piattaforme destinate alle cerimonie religiose e al gioco della palla che ha un carattere sacro, come pure spiazzi ove si teneva in occasione delle festività religiose, quando la gente rurale accorreva ai templi.

UN CALENDARIO QUASI PERFETTO

Il calendario Maya, antico di 2 millenni, distribuiva in un anno 365,242 129 giorni. Si avvicina perciò con sorprendente esattezza all'anno solare, che secondo il calcolo degli astronomi moderni, è di 365,242 198 giorni; era quindi molto più preciso del nostro, che è di 365,242 500 giorni.

DUE TIPI DI SCRITTURA PER I NUMERI

Alla fine di ogni Katun cioè ogni 7200 giorni, i Maya del Vecchio Impero usavano erigere monumentali stele commemorative, ricoperte da cima a fondo di rilievi raffiguranti al centro la figura del dio protettore di quel particolare Katun e intorno la cronologia dei più importanti avvenimenti storici.
I Maya, oltre al sistema pittografico (forma di scrittura composta di disegni di oggetti, assunti con un significato ora immediato ora simbolico), usato in vari codici, conoscevano due tipi di scrittura più "abbreviata" per indicare i numeri.

Il primo è simile al sistema geroglifico degli Egizi: ogni numero è indicato con un glifo (incavo a sezione rotonda) raffigurante la testa stilizzata di un dio. II secondo sistema si basa sul diverso accostamento di punti e linee, e, può essere paragonato alla numerazione dei Romani.

I SACERDOTI MAYA, DEPOSITARI DEL SAPERE

La cultura dei Maya era così progredita da aver meritato loro la fama di «intellettuali d'America». Depositario della cultura è l'alto clero: solo le arti minori, esercitate con meravigliosa maestria dalle comunità agricole, sfuggono alla sua diretta influenza. Un gruppo eletto, per ragioni esclusivamente religiose, si occupa di matematica e astronomia; in questo campo, i Maya hanno raggiunto risultati sorprendenti, specie per quello che riguarda il moto di rivoluzione e le fasi della Luna, i movimenti di Venere, Mercurio, Marte, Giove, Saturno; di qui la sorprendente corrispondenza del loro calendario al nostro.

Altri sacerdoti sono preposti all'organizzazione delle feste e delle cerimonie religiose, e sono naturalmente la maggioranza, ma vi è pure un nutrito gruppo che influisce altrimenti sulla vita del piccolo stato, in quanto, quale esclusivo detentore del segreto della scrittura, funge da storiografo: compila i codici contenenti dati storici, formule magiche e profetiche, alcuni dei quali, in carta d'agave, sono giunti sino a noi, ammaestra gli scalpellini (analfabeti) che incidono le gigantesche e caratteristiche stele commemorative, ricoperte da geroglifici, la cui decifrazione ha consentito agli studiosi di ricostruire con una buona approssimazione le complesse tappe della storia dei Maya.

FINE

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