RELIGIONE

IN NOME DEL RE E DI DIO
MASSACRATELI
Anno del Signore 1572,  mese di Agosto, giorno 24, notte di San Bartolomeo
LA STRAGE DEGLI UGONOTTI

 A Parigi  si scatena il fanatismo religioso
I CATTOLICI "cristiani" MASSACRANO
DIECIMILA PROTESTANTi "cristiani"

di ELENA BELLOMO

Parigi, sabato 23 agosto 1997. "Alla vigilia del 24 agosto, non possiamo dimenticare il doloroso massacro di San Bartolomeo, dalle motivazioni molto oscure nella storia politica e religiosa della Francia. Dei cristiani hanno compiuto atti che il Vangelo condanna. Se evoco il passato, è perché ‘riconoscere i cedimenti di ieri è atto di lealtà e coraggio che ci aiuta a rafforzare la nostra fede, rendendoci avvertiti e pronti ad affrontare le tentazioni e le difficoltà dell’oggi’. (Tertio millennio adveniente, 33)".

Con queste parole a Parigi il 23 agosto papa Giovanni Paolo II durante la giornata mondiale della gioventù ha commentato una delle pagine più fosche della storia francese. Come già fece ricordando il movimento crociato e il processo contro Galileo, il pontefice ha riconosciuto gli errori del passato, ponendoli a severo monito per la generazione presente e le future.

La coincidenza cronologica e geografica evocavano in questo caso un episodio di incredibile ferocia avvenuto durante le guerre di religione del XVI secolo. Stridente appare quindi il contrasto tra la folla colorata e festante che sotto gli occhi del papa gremiva l’ippodromo di Longchamp e la furiosa esaltazione collettiva che poco più di quattro secoli fa sconvolse Parigi per tre interminabili giorni.

Sabato, 23 agosto 1572.

Già da diversi giorni la capitale è percorsa da fremiti di insofferenza. Si sono appena celebrate le nozze tra il re di NAVARRA Enrico e Margherita di Francia, ma l’intento pacificatore di questa unione tra un sovrano protestante ed una principessa cattolica è purtroppo destinato a rimanere lettera morta nell’ormai insanabile divisione tra le due opposte fazioni religiose.

Parigi trabocca degli spettatori che hanno assistito alle fastose celebrazioni del matrimonio regale e, nel contempo, la carestia che affligge le campagne ha spinto in città folle di affamati in cerca di cibo e riparo. Il malcontento è palpabile. I predicatori popolari provvedono a fomentarlo ulteriormente, scagliandosi con veemenza contro i protestanti, affluiti in città in gran numero. Essi sono rei di crimini contro Dio e contro gli uomini, unici veri responsabili dei problemi del popolo e del Paese e tuttavia appaiono intoccabili grazie all’incontrastata influenza che l’ammiraglio COLIGNY, loro capo, esercita sul giovane sovrano Carlo IX. Ora il loro partito si è persino unito alla corona con l’impopolare matrimonio della principessa che la storia ricorderà come la regina MARGOT .

LA TRAGEDIA SI PREPARA AL LOUVRE  

La canicola del mese di agosto opprime ancora di più gli animi, esaspera l’insofferenza ed infiamma facilmente il sangue dei più facinorosi. Tuttavia, è lontano dalla strada ma nelle sontuose stanze del Louvre che si accenderà la prima, decisiva, scintilla dell’incendio che si sarebbe poi propagato in gran parte della Francia.

Pochi giorni prima in quello stesso palazzo la regina madre Caterina de’ Medici ed il figlio Enrico d’ANGIÓ avevano deciso di eliminare Coligny, pur di affrancare Carlo dalla sua perniciosa tutela. Il piano d’azione era stato congegnato con cura. I GUISA, duchi di Lorena e capi della fazione cattolica, lo avrebbero posto in pratica. Se ne sarebbero fatti carico per interesse politico ed odio personale, dato che Francesco, padre del duca Enrico, era stato assassinato proprio per volere di Coligny.

Intrighi politici, passione religiosa e rancori familiari da tempo dilaniavano la corte di Francia preparando dietro il fasto delle sue cerimonie il futuro spargimento di sangue.
Caterina lasciava dunque mano libera ai Guisa, allontanando da sé ogni sospetto, ma in realtà il suo piano era ben più spregiudicato. 

I LORENA sarebbero infatti stati immediatamente individuati quali mandanti dell’assassinio, diventando così oggetto della rappresaglia ugonotta.
Con una sola, astuta, mossa Caterina decapitava le due fazioni avversarie, riguadagnando a se stessa ed alla corona il completo arbitrio della situazione. L’attentato a Coligny, il 22 di agosto, era però fallito. L’ammiraglio si era chinato per aggiustarsi una scarpa proprio nel momento in cui il sicario, reo di aver già mancato quella stessa vittima anni addietro, premeva il grilletto dell’archibugio. La pallottola staccò quasi un dito dell’ammiraglio e gli si conficcò in una spalla.

ATTENTATO FALLITO... PER UNA SCARPA  

Ben lungi dall’essere in pericolo di vita egli venne quindi trasportato in rue de Bethisy (oggi al 144 di rue de Rivoli) nel proprio palazzo, difeso dagli ugonotti come una vera e propria fortezza.
Informato del fatto, CARLO IX si era recato immediatamente da Coligny. Sconvolto, lo aveva abbracciato, assicurandogli che gli avrebbe reso giustizia al più presto. Al fianco del sovrano Caterina ed Enrico si scioglievano in lacrime ed inveivano contro gli attentatori, ma le loro parole dovevano se non altro riuscire sospette all’ammiraglio ed ai suoi che probabilmente già li credevano possibili complici dei Guisa.

Ai Lorena infatti apparteneva la casa da cui il sicario aveva sparato e l’arma del delitto era un moschetto di una guardia del duca d’Angiò. Per l’ultima volta gli attori principali di questo dramma si ritrovavano riuniti sulla medesima scena. Ciascuno conosceva già da tempo la propria parte e era ben deciso a rispettare il copione a qualsiasi costo fino al termine del dramma.
Nel frattempo la notizia del ferimento si diffondeva per tutta Parigi ed il nome dei Lorena era sulla bocca di tutti. I cattolici lo scandivano esultando, i protestanti lo maledicevano, reclamando vendetta. Già scoppiavano i primi scontri, fomentati anche dalle bande di diseredati affluiti in città. Addirittura in pieno giorno le strade si facevano sempre meno sicure e non mancava chi si era già barricato in casa nel timore del peggio.

Persino al Louvre i nobili ugonotti osavano provocare le guardie reali. Lo scontro si approssimava rapidamente, alimentato da anni di rivalità segrete e di aperta guerra civile. La possibilità di una riconciliazione si faceva sempre più lontana. Inoltre, la posizione della regina madre andava aggravandosi, rischiando Caterina di essere coinvolta nell’inchiesta sull’attentato a Coligny e di venire quindi esposta alla vendetta del figlio e degli ugonotti.

IL RE: "UCCIDETE TUTTI I PROTESTANTI" 

Paradossalmente, in questo momento decisivo per la corona e la nazione francese la sovrana fiorentina era circondata solo dai propri fedeli consiglieri italiani, quegli stessi forestieri che tanto in passato si erano rivelati invisi alla corte.
L’unico francese ad essere interpellato fu il maresciallo di TAVANNES, da tempo devoto alla sovrana. Le rivelazioni che vennero fatte alla Medici durante il consiglio erano della massima gravità, se non sconvolgenti: Coligny ed i suoi erano risoluti a farsi giustizia da soli, arrivando però ad assassinare anche la stessa famiglia reale ed Enrico di Navarra, considerato troppo tiepido nella propria adesione alla Riforma.

L’unica soluzione che si affacciò al consiglio della regina madre fu quella di anticipare gli avversari. Era infatti necessario colpire i ribelli prima che mettessero in atto il loro piano. Non aveva forse affermato un concittadino di Caterina, NICCOLO' MACHIAVELLI: "Debbe, pertanto uno principe non si curare della infamia di crudeltà, per tenere li sudditi suoi uniti ed in fede; perché, con pochissimi esempli, sarà più pietoso che quelli e’ quali, per troppa pietà, lasciono seguire e’ disordini, di che nasca occasioni o rapine." Affinché questa azione potesse essere considerata legittima era però necessario l’assenso del sovrano ed invece Carlo IX andava ripetendo che avrebbe assicurato alla giustizia mandanti ed esecutori dell’agguato a Coligny.

Davanti però alla minaccia che incombeva sulla corona ogni preoccupazione di equità, ogni affetto e scrupolo dovevano venire abbandonati. Dirà poi la regina madre : "Abbiamo dovuto scegliere tra noi e loro. Abbiamo fatto solo ciò che era necessario fare."

Fu la stessa Caterina a strappare il consenso del figlio alle esecuzioni dei capi ugonotti. Ella mise a parte l’incredulo sovrano del complotto dell’ammiraglio e delle proprie responsabilità nel fallito attentato. Colto alle parole della madre da un violento attacco d’ira, un testimone afferma che il sovrano esclamò: "Ammazzateli tutti, finitela, acciocché questa peste non ci molesti più".
Il passo decisivo verso il massacro era ormai compiuto.

L’INIZIO: A MORTE VENTI UGONOTTI  

Caterina ed i suoi si apprestarono quindi a decidere le sorti dei capi protestanti. In tutto una ventina di persone furono condannate a morte e per ciascuno vennero designati gli esecutori della sentenza. La strage di S. Bartolomeo nacque quindi come un atto di polizia, legittimato dall’autorità regia. Gli unici ad avere salva la vita sarebbero stati i principi di sangue reale: Enrico di Navarra e Luigi di Condè.

Nella massima segretezza furono impartiti gli ordini necessari. I rintocchi della campana dell’Hotel de Ville avrebbero segnato l’inizio delle esecuzioni. Vennero anche convocati al Louvre i responsabili della città, i quali assicurarono alla regina madre che Parigi sarebbe rimasta sotto il controllo regio.
Non c’era infatti alcun rischio di sollevazione, dato che il popolo avrebbe applaudito entusiasta la rappresaglia contro gli ugonotti. Per maggior sicurezza si ordinò comunque che le porte della capitale fossero chiuse e che tutte le barche fossero legate sulle rive della Senna, inoltre, miliziani volontari cattolici avrebbero presidiato le strade. Questi stessi provvedimenti che avrebbero dovuto assicurare l’ordine interno in realtà avrebbero trasformato Parigi in una fatale trappola di morte per migliaia di persone.

Nel frattempo anche i riformati si stavano organizzando, temendo da un canto una nuova esplosione di violenza e preparandosi dall’altro a farsi giustizia da soli.
Così narra infatti la regina Margot : "Trovai il suo letto (di Enrico di Navarra) circondato da trenta o quaranta ugonotti che non conoscevo perché ero sposata solo da pochi giorni. Per tutta la notte parlarono dell’incidente occorso all’ammiraglio e decisero che all’alba sarebbero corsi dal sovrano a pretendere giustizia contro il signore di Guisa e che, se non l’avessero ottenuta, si sarebbero fatti giustizia con le proprie mani."

Dopo mezzanotte alcuni protestanti lasciarono il Louvre per fare ritorno alle proprie abitazioni. Fra essi anche il conte de La Rochefoucauld, da tempo intimo amico del sovrano.

UN RIPENSAMENTO TARDIVO

 Invano Carlo IX aveva tentato di trattenerlo, invitandolo a conversare per il resto della notte o a dormire con i propri servitori. La Rochefoucauld si era invece congedato, avviandosi verso casa ignaro che di lì a poco gli uomini del re avrebbero bussato alla sua porta non per invitarlo ad un divertimento notturno, ma per ucciderlo. In quegli stessi momenti Caterina ed i suoi cominciavano a nutrire dubbi sull’opportunità delle esecuzioni appena deliberate.

Davvero la decapitazione del partito ugonotto sarebbe stata un’operazione indolore ? La plebe parigina si sarebbe limitata ad applaudire ? L’odio per i riformati e per lo stesso re Carlo che li aveva protetti non avrebbero preso il sopravvento una volta che il sangue avesse cominciato a scorrere?

Improvvisamente, le funeste conseguenze di quella che doveva essere una rappresaglia mirata si palesarono alla regina ed ai suoi dignitari in tutta la loro gravità. Così ricorda il principe Enrico d’Angiò: "Consideravamo gli avvenimenti e le conseguenze di una così grande impresa cui, per la verità, sino a quel momento non avevamo affatto pensato, quando sentimmo un colpo di pistola (...) non saprei neppure dire se avesse colpito qualcuno. Ma so bene che quel rumore ci ferì così profondamente l’animo da offendere i nostri sensi ed il nostro giudizio, suscitando un sentimento di terrore e di apprensione per i grandi disordini che stavano per scatenarsi."

Immediatamente fu inviato un messaggero al duca di Guisa cui era stato dato l’ordine di uccidere Coligny. Gli si imponeva di rimanere confinato nei propri alloggi affinché, spezzato il primo anello della catena di omicidi, anche gli altri fossero scongiurati.
Era troppo tardi. Con un’ora e mezza d’anticipo l’ingranaggio costruito dalla regina si era messo in moto e per tre giorni nessuno sarebbe stato in grado di fermarlo. Enrico di Guisa, il duca d’Aumale suo zio, ed il fratellastro del re, il bastardo d’Angoulême si erano già recati in rue de Bethisy ed avevano assolto il proprio compito.

SANGUE E MORTE INVADONO LE STRADE  

La casa dell’ammiraglio Coligny era quasi del tutto indifesa, dato che a presidiarla erano le stesse guardie del duca d’Angiò. Gli assassini non ebbero quindi alcuna difficoltà a penetrarvi, ostacolati solo da pochi svizzeri del seguito di Enrico di Navarra. Un sicario colpì per primo l’ammiraglio che giaceva ancora nel proprio letto. Invano questi aveva chiesto di morire per mano di un gentiluomo. Il corpo esanime di Coligny fu poi gettato in strada: Guisa ed i suoi si assicurarono che fosse realmente il loro mortale nemico. La vendetta dei Lorena era finalmente compiuta, ma essi ignoravano quanto altro sangue sarebbe ancora costata.

Anche al Louvre era cominciata la caccia. I nobili protestanti che vi alloggiavano furono stanati sala per sala, uccisi nei loro appartamenti o finiti nel cortile del palazzo. Uno di essi, ferito e braccato, si rifugiò nelle stanze della regina Margot. Quando i suoi inseguitori lo videro terrorizzato avvinghiarsi ad una Margherita altrettanto spaventata, scoppiarono improvvisamente a ridere e decisero di risparmiarlo. Questo bizzarro comportamento ci illumina non poco sulla mentalità, per noi spesso incomprensibile, di un’epoca incline all’eccesso ed all’incostanza sia nella magnificenza che nelle proprie miserie.

Nel frattempo Parigi era ormai preda del terrore. Ai sicari incaricati dalla corona di uccidere i capi protestanti si erano affiancati non solo quegli stessi miliziani che avrebbero dovuto garantire l’ordine, ma anche comuni cittadini.
Alla ventina di vittime designate si aggiungevano individui di ogni condizione e fede. Dapprima fu saccheggiata la casa di Coligny. Il corpo di questi venne mutilato dalla folla e gettato nella Senna. Ripescato, fu ulteriormente oltraggiato e poi appeso alla forca di Montfoucon. Ne era stata spiccata anche la testa, che fu infine inviata in dono al papa. La Rochefoucauld fu ucciso dal fratello del buffone di corte. Teligny, genero dell’ammiraglio, si nascose sui tetti, ma non riuscì a sfuggire agli archibugi dei suoi nemici. Racconta un testimone riguardo i capi ugonotti:

LE SCELLERATEZZE DEI CATTOLICI  

"Non c’è stato tra loro niuno che c’habbia fatto difesa, o si sia messo in atto di farla, dall’Ammiraglio in fuori, come ho detto, perché la maggior parte de’ loro sono stati trovati nel letto o dallo spavento presi, nelle gole dei camini nascosti, o chi sotto il tetto delle case, altri nelle stalle, et altri in luoghi più imondi, per salvar la vita a ciascuno cotanto cara."

Solamente Gabriel de Montgomery, uno dei più valenti comandanti ugonotti, riuscì a salvarsi, sfuggendo all’inseguimento dei Guisa. Enrico di Navarra e Luigi di Condé ebbero salva la vita per la loro discendenza reale e grazie ad un rapido ed interessato riaccostamento al cattolicesimo.
La violenza dilagava ormai senza alcun freno. Scatenati gli istinti più brutali, la popolazione era ormai divenuta incontrollabile.
"Sì che data fu la licenza delle armi al furioso et precipitoso popolo, si commisero scelleratezze non udite, et erano così bene uccisi de’ fedeli cattolici come degli altri, perché bastava che alcun gridasse, "Ecco colà un Ugonotto", che senza ascoltarlo era il cattivello ucciso. Il che a molti accade per haver pianto con altri, et per haver d’haver denari d’alcuni degli ucciditori (...) furono usate crudeltà grandissime contra le donne et i fanciulli, onde erano senza riguardo uccise, quantunque molte di loro fossero gravide. Le vergini erano prima stuprate et poi uccise, et rapito il loro havere. Erano molti e molte condotte al ponte de’ (il pont des Meuniers), et infilato loro un coltello nel petto, gittate nella riviera, et per la copia di simili miseri si vide correr tinta di sangue." 

Si uccideva quindi per odio o per interesse, per vendetta o per il semplice gusto di farlo. Si poteva eliminare indisturbati il vicino insolente o la moglie scomoda, il giudice che aveva fatto perdere una contesa o il parente da cui si attendeva un’eredità. Un professore dell’ateneo parigino fu ucciso da un collega che ne voleva la cattedra. I suoi stessi studenti infierirono poi sul cadavere.

TORRENTI DI SANGUE NELLA SENNA  

Tavannes afferma: "Nei vicoli che scendono verso la Senna scorrono torrenti di sangue come se avesse piovuto a dirotto ."
Per tre giorni e tre notti ogni tentativo di ripristinare l’ordine fu inutile. Lunedì 25 un arbusto di biancospino nel cimitero degli Innocenti fiorì miracolosamente dopo essere stato sterile per diversi anni.
Molti credettero che la Vergine stessa avesse voluto quel prodigio. Il re, la regina madre ed il duca d’Angiò si recarono sul luogo in processione, ma non riuscirono a valersi di questo evento per far cessare la strage. Anzi, laici e chierici lessero nella straordinaria fioritura un segno del favore divino allo sterminio degli ugonotti.

La carneficina quindi riprese con rinnovata foga. Solo martedì 26 la furia omicida cominciò a sopirsi, abbandonando Parigi alla desolazione di un simile bagno di sangue, ma "non inganniamoci, la festa di san Bartolomeo non dura un solo giorno, ma un’intera stagione" ha affermato lo storico francese Michelet.

La notizia degli eventi parigini si era ben presto diffusa nel resto della nazione. Carlo IX aveva ordinato che i protestanti non fossero toccati, ma a Troyes ed a Orléans i vescovi incoraggiarono i facinorosi, a Bordeaux un gesuita annunciò che le stragi erano state ordinate dall’arcangelo Gabriele.

In queste ed in altre città dove l’autorità pubblica era debole si ripeté quanto era già avvenuto a Parigi.
Altrove, invece, vescovi cattolici presero sotto la propria protezione i protestanti e famiglie cattoliche nascosero i fuggiaschi. A Lione i soldati si rifiutarono di scontrarsi con gli ugonotti. Nella Champagne, in Piccardia ed in Bretagna non vi fu alcuna uccisione. Quando finalmente la quiete fu tornata nella capitale e nel resto della nazione, si tentò di stabilire le esatte proporzioni delle violenze di San Bartolomeo. Data però la spontaneità degli eventi e l’alto numero delle persone coinvolte, non si arrivò ad un preciso computo delle vittime, il cui numero varia notevolmente a seconda che ci si rivolga a testimonianze di parte cattolica o calvinista. 

Nel XVII secolo il vescovo di Parigi parlava addirittura di centomila morti ! Nell’intera Francia è possibile che si arrivasse ad un totale di diecimila vittime ed è estremamente significativo il fatto che tra le duemila - duemila cinquecento di Parigi solo settecentottantasette fossero riconosciute con sicurezza come calviniste.

LE RAGIONI DELLA STRAGE

Molteplici fattori contribuirono allo scoppio della sollevazione parigina. Motivazioni di ordine religioso e politico si unirono infatti ai più meschini interessi personali ed alla violenza gratuita. L’eccidio di San Bartolomeo rappresentò quindi la più cruenta manifestazione di un malessere in cui vicende individuali e nazionali venivano a fondersi.

Il calvinismo aveva attecchito oltralpe con grande velocità. Nel 1559 Calvino stimava che i suoi seguaci in Francia rappresentassero il 10% della popolazione. Nel 1572 essi erano addirittura raddoppiati. La loro predicazione riscuoteva consensi in ogni fascia sociale, rispondendo ad un’inquietudine di matrice non solo spirituale. Tutto ciò malgrado i provvedimenti repressivi caldeggiati dai Guisa e deliberati dalla corona.

Questa opposizione era degenerata in conflitto già sotto il regno di Francesco II, predecessore di Carlo IX, indebolendo ulteriormente una nazione già in piena crisi economica a causa della protratta guerra con gli Asburgo. A più riprese la corona aveva adottato una linea di maggiore tolleranza nei confronti dei riformati senza però riuscire ad ottenere una duratura riconciliazione. 

Nel 1570 con la pace di Saint Germain le concessioni fatte ai protestanti avevano assunto un’importanza senza precedenti, contemplando la libertà di culto (tranne che a Parigi), la piena eleggibilità alle cariche pubbliche ed il diritto di mantenere due anni sotto il proprio controllo ben quattro città. Tali riconoscimenti e la rinnovata vicinanza di Coligny a Carlo IX sarebbero poi risultati intollerabili da parte dei cattolici. In questo processo di dissoluzione dell’unità nazionale la notte di San Bartolomeo rappresenta un momento decisivo, segnando la sconfitta della politica del compromesso di cui era fautrice Caterina de’ Medici.

IL CINISMO DELLA REGINA MADRE  

Per la regina madre il problema religioso era in realtà di secondaria importanza. Ella aveva infatti affermato dopo una sconfitta cattolica: "Va bene! Invece di andare a messa andremo alla predica !"
Il vero credo della sovrana fiorentina era invece la dedizione alla corona di Francia ed ai propri figli che la cingevano. Proprio questo valore superiore alle due parti in lotta le aveva permesso di gioire per il riavvicinamento di Coligny e successivamente di decretarne la morte quando egli si era fatto pericoloso. Sempre in nome della difesa del potere reale, quando la strage era imminente, non ne aveva fatto parola nemmeno alla figlia Margot, lasciandola alla mercé dei riformati.

Invece di scongiurare lo scontro tra i due partiti e di rafforzare la monarchia, la politica della regina aveva però portato alla sollevazione risolutiva di San Bartolomeo le cui conseguenze furono disastrose per la dinastia dei VALOIS: l’autorità regia, incapace di imporsi alla due fazioni e di sedare poi il tumulto, ne uscì umiliata e sminuita; i GUISA si erano invece rafforzati nel loro ruolo guida, mentre la dissidenza dei riformati si sarebbe fatta sempre più intransigente.
La guerra civile avrebbe continuato a lacerare la Francia fino all’estinzione dei Valois, trovando una prima risoluzione solo nel 1598 con l’editto di Nantes, che riaccordava ai riformati la libertà di culto.

Si deve tuttavia riconoscere che la rappresaglia contro Coligny si era fatta pressante dopo la scoperta del complotto da questi ordito. Un ambasciatore italiano aveva notato: "Se i sovrani, dopo che l’ammiraglio fu ferito, avessero lasciato trascorrere anche solo due giorni, sarebbero rimasti vittime essi stessi di un attentato."

Dopo l’uccisione del capo ugonotto furono inoltre ritrovate inconfutabili prove dell’imminente colpo di stato che avrebbe portato Coligny al potere, signore assoluto di una fantomatica repubblica protestante.

MISERIA E FANATISMO RELIGIOSO

L’irrimediabile errore fu invece quello di sottovalutare le reazioni dei parigini, esasperati dall’odio contro i protestanti e dal difficile frangente economico. Sia la corona che le autorità cittadine ci appaiono indiscutibilmente colpevoli, ma fu invece fatalità che il contrordine di Caterina giungesse tardivo. In ogni caso sono false le rievocazioni di una certa storiografia che dipingono la Medici ed il figlio Carlo come belve assetate di sangue, capace quest’ultimo di sparare sulla folla dalle finestre del Louvre.

La strage di San Bartolomeo fu in realtà l’imprevista conseguenza di una esecuzione dettata dalla fredda e spietata ragion di Stato. Se quindi gli avvenimenti dell’agosto 1572 vanificarono la condotta politica della regina madre, sul piano internazionale ella tentò comunque di ribaltare la sconfitta in un trionfo.
All’ultra cattolico FILIPPO II di Spagna ed al papa, che avevano fatto innalzare un "TE DEUM" di ringraziamento alla notizia della strage, ella presentò il massacro come un atto consapevole e premeditato dell’osservante monarca francese.

I primi rapporti diplomatici smascherarono tuttavia le menzogne della regina ed anzi Filippo affermò che la rappresaglia della corona era stata insufficiente, tanto più che Coligny, prima di morire, stava spingendo Carlo IX ad attaccare i Paesi Bassi spagnoli.

Ai sovrani protestanti Caterina spiegò invece l’imprevedibilità della strage e ricordò la passata collaborazione tra l’ammiraglio ed il re Carlo. In realtà dalle corti riformate si alzarono ben poche proteste (Elisabetta I si limitò ad esempio a vestire il lutto) sarà piuttosto l’accesa pubblicistica ugonotta a serbare memoria dei martiri di San Bartolomeo e a delegittimare progressivamente l’autorità regia francese agli occhi dei propri sudditi protestanti.

Il massacro degli ugonotti fu quindi un fallimento politico, dato che non eliminò l’opposizione protestante, ma la rese ancora più motivata e combattiva e non riscosse gli sperati consensi sul piano internazionale. Soprattutto, però, segnò la disfatta di una monarchia incapace di difendere i propri sudditi dalla furia degli improvvisati carnefici di San Bartolomeo, ma soprattutto da se stessa e dal proprio arrogante esercizio del potere.

FINE

di ELENA BELLOMO
Ringrazio per l'articolo
concessomi gratuitamente
dal direttore di Storia in Network
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