RUSSIA
I COMMERCI MAFIOSI DEI VARIAGHI
ossia l’organizzazione mercantile mafiosa
del primo Medioevo in Terra Russa

Quando si parla di Variaghi di solito si pensa al Mar Baltico, alla Russia ed è sicuramente giusto localizzare queste persone nella zona del Grande Nord e della grande Pianura Russa, ma poi erroneamente li si associa con i Vichinghi e con i Rus’. Non sono solo pregiudizi di gente colta o curiosa che ha letto di sfuggita qualcosa sul Medioevo Russo! No! Ci sono anche autori e ricercatori che s’impegolano sui Variaghi e ne fanno addirittura un popolo al quale attribuiscono imprese concettuali assolutamente non provate e inesistenti nei riscontri documentari.
Già la parola in sé è abbastanza tarda poiché appare come denominazione della guardia del corpo dell’Imperatore Romano d’Oriente sotto la forma Varangos nel 1034 in una nota dello scrittore bizantino Kedrenos.
In russo la parola passa come Varjaga (maschile) col significato (v. Kolesov) di portapacchi (sostantivo con desinenza del tipo un po’ spregiativo come bodrjaga, bandjuga) e poi si afferma nel nome dato al Mar Baltico che le Cronache Russe spesso e volentieri chiamano appunto Mar dei Variaghi ossia Varjazhskoe More. Alla denominazione Varjag (altra variante in russo) è associata anche quella di Kl’bjag ossia sperticatore, rematore et sim.
Secondo le Cronache Russe però questi Variaghi apparvero nei dintorni dell’area dove poi sorgerà Novgorod la Grande intorno agli inizi del IX sec. d.C. e alle loro prime apparizioni s’imposero come predoni e sfruttatori delle genti locali. Furono una prima volta cacciati, ma ritornarono alla carica e stavolta addirittura col crisma di salvatori della sorte degli Slavi (Slaveni) che li pregarono di tornare per mettere ordine fra loro e le popolazioni locali di altra stirpe (finnica e baltica). A capo di questi “salvatori” c’erano Rjurik e i suoi fratelli Sineus e Truvor che si divisero il territorio del nord con cura e attenzione. Infatti non erano i soli ad essere presenti come armati e impositori di tributo. Secondo lo storico del XIX sec. Belaev a Polotesk (oggi Polozk) c’era già la banda di un certo variago Kvillan che poi passerà il potere ad un altro variago Ragnvald (in russo Rogvolod), mentre a Turov c’era il variago Tur (ossia Thor) e, come ci dice la Vita di santa Olga, a Pleskov (oggi Pskov) c’erano già Variaghi che vivevano lì integrati per cui uno dei fratelli di Rjurik (Sineus), non potendo entrare nella città, si era sistemato lì vicino, a Izborsk.
La domanda che sorge ora è: Che ci facevano da queste parti questi Variaghi e da dove venivano?
Le fonti bizantine ci informano che costoro provenissero dal Grande Nord Europeo e parlassero una lingua affine a quella dei Germani. Liutprando di Cremona che li aveva incontrati a Costantinopoli ci dice che erano Uomini del Nord ossia Normanni.
Spostiamoci allora a nord. Intorno al IX sec. la zona è quasi deserta. Coperta di foreste fittissime, man mano che si sale di latitudine la presenza umana diventa sempre più precaria e rara e le genti registrate da Tacito nella zona del Baltico Orientale sono con grandissima probabilità Baltici e verso nord est Finnici. Entrambi questi popoli sono immigrati qui visto che per i Finnici troviamo le loro radici più antiche di popoli affini e linguisticamente più primitivi verso Est, lungo gli Urali e a nord del Volga e che per i Baltici invece troviamo tracce più antiche verso ovest nella zona dove oggi è il nord polacco e la Lituania propriamente detta.
Questi due gruppi di popoli appartengono però a famiglie linguistiche diverse: I Baltici affini agli Slavi parlano lingue indoeuropee e i Finnici lingue ugrofinniche abbastanza diverse. La toponomastica bielorussa ci indica poi che sia i Baltici che i Finnici erano giunti qui molto prima degli Slavi Krivici e Dregovici registrati dalle Cronache Russe mentre nella zona di Novgorod l’archeologia ci conferma che gli Slavi slaveni erano stati gli ultimi a giungervi e ad incontrarsi con i Finnici (Ingri, Esti, Ciudi, Vepsi etc.). E i Variaghi?
Se accettiamo la loro origine scandinava e propriamente svedese, ne troviamo tracce archeologiche specialmente a Ladoga (oggi Staraja Ladoga) sul lago omonimo che una volta però si chiamava Nevo (dal finnico palude). Quelle lungo le coste del Golfo di Riga e sul lago Peipus o nell’interno continentale sono invece molto più rare. In generale le tracce scandinave non sono molto antiche e tutt’al più si giunge indietro nel tempo fino al VIII sec. d.C. Non solo! A Ladoga, che si trova praticamente sulla riva sinistra, alla foce del fiume Volhov che appunto sbocca nel lago, le tracce sono più tarde di quelle del villaggio finnico che si trova di fronte sull’altra riva dello stesso fiume e dunque ciò ci conferma che i Finnici erano presenti lì da molto prima. Anzi! Ci dice che i due gruppi vivevano separatamente e probabilmente Ladoga era una base logistica stagionale, visto che gli scandinavi non ci hanno lasciato grandi tracce di raccolta di generi alimentari né indicazioni di conflittualità permanente.
            Le ragioni della loro presenza vanno quindi cercate nelle loro probabili terre d’origine.
Nel periodo che siamo riusciti a delimitare fra l’VIII e il IX sec. d.C. la Penisola Scandinava è in pieno sviluppo demografico a quanto sembra poiché dalla parte occidentale norvegese essa espelle i cosiddetti Vichinghi che si gettano come valanghe distruttive sulle (relativamente) vicine coste scozzesi abitate da contadini e già cristianizzate dai monaci itineranti irlandesi, mentre dalla parte orientale, e quindi sul Baltico, essa spinge i meno numerosi svedesi a lasciare le loro terre e navigare nel Baltico. Le grandi migrazioni germaniche non sono dunque finite e questi ultimi germani periferici sono anch’essi attratti dal miraggio del caldo e ricco sud mediterraneo.
I Vichinghi, e questo dobbiamo subito dirlo per eliminare uno dei soliti pregiudizi che danno ai Variaghi il nome di Vichinghi dell’Est in una generalizzazione inutile e senza ragioni storiche, giungeranno fino in Africa e in America, fonderanno regni e domini stabili come la Normandia e si disinteresseranno del Baltico totalmente. Per andarci infatti devono attraversare il Kattegat e le isole dell’Øresund oppure i passi lungo le Alpi scandinave per arrivare nell’attuale Svezia scontrandosi con chi già ci abita e frequenta quelle rotte. Sappiamo dalle saghe nordiche che i norvegesi seppero dell’esistenza delle Terre Russe (Bjarmaland o Terra di Perm) poiché ci fu qualche raro tentativo di arrivarci doppiando il Capo Nord, ma furono tentativi che si estinsero rapidamente per la difficoltà della rotta seguita (ghiacci, lunghezza del tragitto, scarsa conoscenza dei luoghi, impossibilità di trovare cibo). Dunque niente Vichinghi nel Baltico! E i Danesi? In questo caso abbiamo a che fare con genti poco numerose e impegnate più che altro a mantenere una loro posizione nel luogo dove giù si trovavano sotto le spinte degli Angli, dei Sassoni e dei Frisoni e dunque nessun impegno verso est.
            Dunque la Svezia. Nel nostro periodo non esiste ancora uno stato unitario e le terre sono divise fra  vari signorotti locali che s’imparentano fra di loro e litigano quando vogliono. Dall’élite al potere di solito vengono espulsi i figli cadetti che devono emigrare con un piccolo capitale fornito dalla famiglia. La scelta è dunque fare i mercanti-predoni lungo il mare come già fanno sulla costa meridionale opposta gli Slavi Vendi (e quindi su questo lato del Baltico occorre affrontare molti più rischi) oppure cercare la via per il sud attraverso i grandi fiumi che attraversano la grande foresta nordica (di cui oggi i resti sono la Bjalovjescia) a nordest. Tutto questo si può organizzare formando delle bande non molto numerose (massimo una cinquantina di persone), armando una nave e salpando verso nordest. Di fronte alle coste svedesi c’è immediatamente una grande isola, Gotland, dove ci sono i primi covi di pirati mercanti che poi faranno fiorire (sulla costa occidentale dell’isola) la famosa base anseatica di Visby.
Di qui ci vuol poco per arrivare sulle altre isole davanti al Golfo di Riga ed entrare sulla Dvinà (il fiume Daugava, in lettone odierno). Dopodiché occorrerà risalire questo fiume per immettersi sulla corrente (ora discendente) del Dnepr e giungere al Mar Nero. Questa è una via rimasta famosa col nome di Via dai Variaghi ai Greci.
Un viaggio un po’ più lungo e più ardito, ma più sicuro perché è molto meno frequentato, è dirigersi verso l’odierno Golfo di Finlandia dove oggi si trova San Pietroburgo, risalire la Nevà (sono soltanto una settantina di km controcorrente con un dislivello di soli 5 m) e entrare nel lago Ladoga. Certo, c’è anche l’alternativa di entrare subito la foce del fiume Narva in Estonia odierna a confine con la Federazione Russa, navigare verso sud lungo il lago Peipus e giungere fino al fiume Grande (Velikà), dove si trova Pleskov (oggi Pskov), ma qui bisognerà fare i conti con gli abitanti locali o pacificamente o attaccando con le armi.
Tutte queste sono le alternative che i Variaghi tenteranno sia usando il modo pacifico che con gli scontri militari.
Sorge però un problema. Le spiagge baltiche sono ampie nella buona stagione e finiscono in foreste fitte e senza fine e sbarcare qui è pericoloso perché si è subito esposti alle osservazioni guardinghe delle popolazioni locali nascoste nel folto e si possono prevedere degli scontri, perdite di tempo e nessun vantaggio economico, dunque occorre evitare sbarchi sia di giorno che di notte (quando si accende il fuoco si è subito individuati da chi osserva nascosto fra gli alberi!). L’abitudine di stare ad osservare gli stranieri dal folto rimase per lungo tempo presso gli aborigeni del nord, come ci racconta la Storia dei Popoli Settentrionali di Olao Magno del XVI sec.). Ecco che la scelta, già fatta peraltro secoli prima dai Goti di Ermanarico e quindi raccolta in Svezia come informazione a Gotland (l’Isola dei Goti!), è di far base a Ladoga e poi continuare per il sud lungo l’altra rotta che risale il Volhov, attraversa il lago Ilmen’, s’immette o sulla Msta o sulla Lovat’. Dalla Lovat’ si continua per il Dnepr, mentre dalla Msta si va verso il Volga o fino alla foce o, arrivati al Grande Perevolok, passare sul Don e di lì uscire sul Mar d’Azov.
Il reietto nobile variago perciò raccoglie queste informazioni sulla rotta da seguire, ma non è necessario sapere prima che cosa si va a fare e che cosa si può trovare da scambiare qui a nord?
Si sa che dal nord si ricavano alcune merci non molto ingombranti, ma di gran valore. Esse sono l’Ambra del Baltico, l’Avorio dei trichechi del Mar Glaciale Artico, le Pellicce di numerosi piccoli animali nordici molto apprezzate, e i costosissimi Schiavi di cui questa parte del nord è diventata il più grande serbatoio specialmente per i mercati di Baghdad, Fustat e Cordoba. Ci sono poi altri articoli che vengono dalla foresta nordica, ma certamente implicano un traffico più organizzato e con controlli di qualità che le bande variaghe di cui stiamo parlando non sono in grado di fare.
A Visby si trovano le armi importate dai Franchi, i marinai e i carpentieri esperti e dunque sarà qui che le bande si organizzano e giustamente di qui è molto probabile che provenga Rjurik come mostra il monumento eretto dalle autorità svedesi a questo personaggio leggendario proprio in questa città! Possiamo immaginare che (le saghe islandesi ci descrivono cerimonie similari) il reietto con il suo gruzzolo si circondi delle persone giuste e stringa con loro un patto di sangue, si faccia costruire qui la nave e finalmente si lanci nell’avventura. Per far ciò occorre però fidarsi della gente con la quale ci partirà e per questa ragione il patto deve essere consacrato e sotto la tutela di un dio. Anche la nave deve essere dedicata a quel dio altrimenti l’impresa non riesce. Dunque ci sono delle cerimonie che devono essere celebrate.
La prima cerimonia è quella di riunire intorno al tavolo i componenti della spedizione ed esporre una parte dei piani. Su una discussione si fonderà il patto e si giurerà la solidarietà e la soggezione al capo spedizione incrociando le spade e il capo avrà con ciò diritto di vita e di morte sui membri della lega. Questa è la cerimonia del convito dove i componenti partecipanti sono chiamati in norreno (la lingua comune dei Variaghi e dei Vichinghi, antenata dello svedese e delle due lingue norvegesi) suthnautar ossia commensali e si stringerà il patto nel nome del dio scelto (Vladimiro – ad esempio – scelse Perun), e si diventa vaering da cui probabilmente viene la parola Variaghi/Varenghi. La lega si scioglierà solo quando si sarà raggiunto lo scopo di aver raccolto abbastanza ricchezze per riscattarsi tornando in patria.
In tutto questo consiste la fondazione delle bande armate, spietate e mafiose, dei Variaghi, come vedremo. A questo sottolineiamo ancora una volta che non si tratta di un popolo che si muove, ma di piccole bande, armate fino ai denti e disposte a tutto. Lo sappiamo per le imprese come quelle di un certo variago Bravlin in Anatolia oppure commissionate contro i rivieraschi nel Mar Caspio o fin sotto le mura di Costantinopoli. A volte queste bande, per varie ragioni, si scombinavano e resti di esse vagavano di terra in terra come ce lo provano gli Annali di San Bertin quando parlano dei Sueones che, dovendo tornare in Svezia (Sueones in latino, ma Svear in norreno) chiedono il permesso di attraversare le Terre Franche perché la strada lungo la quale sono venuti non è più praticabile a causa di guerre locali. Logicamente ogni banda aveva i suoi itinerari sebbene poi alla fine più o meno coincidessero tutti data la natura del terreno, ma è anche logico che si appoggiavano a residenti locali, magari della loro stessa nazionalità.
Chi erano allora questi componenti? C’era prima il capo che, come abbiamo detto, doveva essere quello che aveva più informazioni di tutti e le serbava gelosamente tanto che, se fosse morto, la banda in pratica restava senza più mete o traguardi. Costui era il custode delle tradizioni religiose e il sacerdote di bordo, oltre che il giudice supremo di qualsiasi lite  Poi c’erano esperti carpentieri per le dovute riparazioni alla nave o per la costruzione di palizzate, difese e altre cose di legno. C’era un fabbro che probabilmente custodiva un acciarino e una pietra focaia, un dispensiere che custodiva soprattutto la pasta-madre per fare il pane e la birra, e per il resto ciascuno s’ingegnava a fare tutto per vestirsi, mangiare etc. Niente donne, invece!
Sicuramente oltre a queste bande, c’erano anche svedesi che vivevano lungo le coste, essendosi fatti una famiglia con le genti locali. Erano stati ben accolti forse perché pescatori esperti a fare certe cose o disposti a collaborare con i locali senza difficoltà inutili e pronti ad abbandonare il ricordo delle proprie origini. Di costoro abbiamo notizie specialmente nella zona di Pskov dove erano conosciuti con nome russo-dialettale di k’lbjaghi ossia sperticatori (dal norreno kylfingar dello stesso significato. Kylf/Kulb era la pertica) e costoro erano sempre disposti a far da guida lungo gli itinerari fluviali, molto complicati per chi non sapeva come orientarsi e non conosceva le lingue degli indigeni come si comportò la variaga santa Olga quando traghettò i variaghi Igor e Oleg sul fiume Grande nel X sec. d.C. E’ probabile che di qui venga la denominazione di Ruotsi data dai finlandesi agli Svedesi, se si accetta l’etimo da Rothsmandr ossia ancora sperticatore o rematore (che è poi la stessa cosa).
Dunque si salpa. Non bisogna però immaginare le navi dei Vichinghi, i famosi drakkar che sono troppo grossi e difficili da manovrare per ciurme piccole, ma i knoerrar, più piccoli e facilmente alabili sulla sabbia. D’altronde queste navi poi erano abbandonate, non appena si iniziava la rotta fluviale per cause diverse che staremo a vedere più avanti.
Arrivati dunque ad un punto d’arrivo davanti ad un fiume, la nave viene lasciata e si comincia una ricognizione dei luoghi tenendosi sempre lungo le rive del fiume. Infatti bisognerà pernottare e organizzarsi per raccogliere le merci da portare in vendita nei mercati del sud. Cercare una guida e ricompensarla per individuare i villaggi dove si può razziare specialmente qui nel nord dove i finnici quando è la stagione buona lasciano i luoghi abitati per portare gli animali a pascolare o per fare la raccolta nella foresta. Restano di solito i vecchi e i bambini e le donne, proprie le persone giuste da poter sottoporre ad angherie con le armi in pugno!
Siamo però dell’opinione che non ci fossero questi terribili soprusi, come il dar fuoco alle case di legno dopo averle svuotate e dopo aver fatto prigionieri gli abitanti. Piuttosto si ricorreva al commercio muto per ottenere le Pellicce, mentre per l’Ambra c’era poco da fare: Questo era un traffico riservato ai Vendi. Per gli Schiavi invece la cosa era già diversa: Le bocche dei bimbi in più erano tranquillamente vendute! Se ci si metteva ben d’accordo, si riuscivano a mettere insieme venti o trenta schiavi bambini (specialmente femmine), pellicce a non finire e già si potevano fare i conti dei ricavi, dopo aver sottratto i dazi necessari da pagare lungo il tragitto. I Variaghi però non erano gente di tal fatta! Le bande erano lì per usare le armi e non per condurre affari in pace e tranquillità. Non erano ancora mature a questo… In più questi traffici erano organizzati da molto tempo e avevano le loro regole ben standardizzate e l’unico impiego delle bande non poteva essere che ingaggiarle o per risolvere liti locali o per far da scorta ai convogli diretti verso sud. Gli Slavi specialmente avevano il loro bel guadagno dal mantenere questi traffici senza inutili interruzioni ed erano proprio loro che gestivano il tutto!
Gli intermediari per le vendite c’erano anche già: Erano gli ebrei rahdaniti che passavano le commissioni d’inverno e poi aspettavano nei posti stabiliti i convogli da far proseguire lunghe gli itinerari commerciali, anche molto lunghi! Erano poi degli intoccabili, sia per il loro saper fare sia per le loro relazioni estere sia perché erano protetti dai loro correligionari Cazari che dominavano il corso del Volga e avevano il controllo della città di KIEV!
Dunque si passa su altre imbarcazioni tipiche per i fiumi (v. P. Sorokin dell’Univ. di san Pietroburgo che ne ha studiate un centinaio) a fondo piatto del tipo chiamato parom in russo. Queste partono sempre da angoli particolari ben determinati sebbene talvolta, quando il fiume è in piena a c’è stata qualche tempesta, non rimangano gli stessi. Infatti il parom non può essere immesso nella corrente semplicemente, ma deve essere, se contro corrente, alato dalla riva a forza di braccia o con l’aiuto dei cavallini. Il pilota-guida è sempre a prua del primo parom con la pertica in mano che indica direzione e difficoltà in vista. Arrivati al punto di scambio fra una corrente e l’altra, in russo chiamato volok, anche qui si cerca un punto di approdo favorevole perché il parom sarà tirato a secco e trascinato su rulli (già portati a bordo). Naturalmente la guida conosce già il sentiero più agevole per questa faticosa operazione che deve affrontare ripidità talvolta abbastanza dure! Sull’altra riva c’è anche qui un porticciolo (pristan’) dove risistemare il carico, rimettere a bordo i rulli e ripartire.
Si arriva poi ai punti daziari rivieraschi dove bisognerà sostare per i controlli e per i pagamenti e addirittura per lasciare le armi che non sempre sono permesse da portare con sé!
Il viaggio dunque è lungo e per la Via dai Variaghi ai Greci si può stimare un percorso di ca. 800 km in media da coprire in una quindicina di giorni, mentre per quella lungo il Volga detto Via per i Figli di Sem (ossia sotto giurisdizione cazaro-ebraica)  il percorso è di oltre 1200 km e già oggi con la nave a motore ci vogliono almeno 10 giorni!
Poi finalmente si arriva ai mercati dove si scarica e si vende.
Tutto può capitare in questi lunghi viaggi. Ad esempio, si possono avere scontri, si può morire, ricevere ed accettare ingaggi che attirano più della paga promessa al ritorno oppure ritardare e non poter più tornare per quella stagione perché i fiumi cominciano a gelare e dunque dover svernare a sud. Molte di queste cose ci sono state raccontate dal vivo da osservatori come Ibn Fadhlan che vide i Variaghi “al lavoro” nei dintorni dell’odierna Kazan’ sul Volga.

A proposito di questo viaggiatore e delle sue note sui Rus’ teniamo presente che gli Slavi non sono presenti in queste operazioni perché affidano o vendono tutto alla partenza così come neppure il capo e pochi dei suoi. I Variaghi che viaggiano coi convogli sono di certo quelli meno importanti dal punto di vista politico, ma fidatissimi e saranno pagati quando ritorneranno e col ricavato delle vendite fatte…

 

Secondo noi però, è inutile dedurre dai nomi dati dagli osservatori esterni a questi itineranti o ai loro capi più famosi una “slavità” o una “germanicità scandinava” dei Variaghi per un motivo abbastanza semplice: Queste bande erano formate da giovani scapoli con una cultura bassissima, se non inesistente, visto il luogo da dove provenivano. Attraverso i contatti che avevano qui nelle Terre Russe scomparivano facilmente nel ricco mare culturale slavo vivendo per qualche mese fra questa gente. Non era accaduta la stessa cosa ai Bulgari in Bulgaria Danubiana attraverso amore e apparentamenti con gli slavi?
Col passar del tempo, siamo dell’idea che le bande variaghe dopo aver constatato l’inutilità di cercare abbazie o ricchi villaggi da saccheggiare come era invece capitato alla fortunata avventura vichinga in Scozia e sulle Coste francesi del Nord, cercarono di sfruttare l’unica cosa che sapevano fare: La guerra! Si continuarono a presentare quando era possibile nei villaggi delle Terre Russe offrendosi come difensori contro… loro stessi! Volete che non vi attacchiamo? Pagateci! Volete che altri come noi non vi attacchino? Pagateci! Volete essere protetti nei vostri traffici? Pagateci! L’alternativa di un rifiuto? Il saccheggio!
Certo ci fu una certa evoluzione nelle azioni dei Variaghi in Terra Russa, quando costoro si accorsero del vantaggio di vivere bene, senza inutili e costose guerre. A questo punto si presero l’incarico per conto degli Slavi di custodire le merci in speciali depositi blindanti e ben guarniti dei guerrieri più esperti (i gorod, i detinez), aiutarono gli Slavi di Kiev a liberarsi dai Cazari etc…. e chiedendo in cambio sempre più potere! Conservare una loro identità scandinava e a che pro? Senza gli Slavi non rappresentavano niente di concreto sia dal punto di vista politico che da quello culturale.
E allora chi affibbiò loro il nome di Rus’?

Di sicuro non sono i Ruotsi dei Finnici perché questi conoscevano gli Slavi intorno come Venäjä e dunque avevano già dato loro un nome (Vendi!). Gli stessi Baltici chiamavano i Russi Kriveis ossia Krivici e non Rus’ e gli stessi novgorodesi davano il nome Rus’ a Kiev e dintorni e di rusiny o rusici ai kieviani, sebbene poi Rjurik avesse fondato la dinastia dell’élite al potere dei Rus’ proprio a partire da Novgorod la Grande!

Risalire alle origini della parola Rus’ è molto difficile. Nell’ambito indoeuropeo questa radice rus-/rut- è comunissima per indicare il colore rosso a partire dal rame nativo fino ai capelli biondi e quindi malgrado le descrizioni generiche dei Rus’ fatte dai viaggiatori arabi del X-XI sec. non può essere questo l’origine d’un etnonimo. E’ vero che da dove partivano gli svedesi sulla costa c’è un’area intorno a Uppsala chiamata Roslagen ossia qualcosa come Terra di Ros, ma ros nelle lingue germaniche indica anche il cavallo e quindi può ben essere il soprannome di qualcuno “detto il cavallo” che governava (imponeva la sua lag) in quell’area! E’ anche vero che Rjurik corrisponde a nomi scandinavi abbastanza comuni, ma ciò non prova alcunché. Forse può essere il nomignolo che i Cazari davano loro dall’ebraico Rosc’/Ros ossia “capo” o “capobanda”? Ma perché il nome non si è affermato nell’estremo nord slavo-russo? Né si può tornare alle vecchie polemiche svedesi di voler ad ogni costo attribuire una natura svedese di tutta la civiltà russa per poter avanzare le proprie pretese territoriali della casa regnante svedese mascherando la Terra Russa sotto un’“eredità storico e culturale”.

E che cosa è rimasto di svedese nella cultura russa medievale? Quasi niente! Qualche parola mutuata dal norreno come kvas (hvas ossia fermentato, acido) per la birra di pane o mec’(makr per spada) per la spada tipica piatta e diritta o tyn (tun per recinto) per indicare il muro di legno di una fortificazione russa e qualche nome di persona Olga, Oleg, Gleb, Askold, Dir, Rogvolod, Roghneda e i nomi riportati nel trattato commerciale firmato con Costantinopoli nel X sec. o le denominazioni delle cataratte del Dnepr dopo Kiev! La toponomastica di tutto il nord invece è rimasta baltica finnica e slava a comprovare la provvisorietà della presenza scandinava in Terra Russa! La stessa Ladoga benché nelle saghe sia detta Aldeighjuborg in realtà non è altro che la lettura norrena del nome locale finnico di Bassofiume (Alode Joghi più borg) ad indicare la parte bassa della corrente del Volhov!
© 2007 di ALDO C. MARTURANO       
            Bibliografia essenziale 
Drevnjaja Rus’ v svete zarubezhnyh istoc’nikov, red. E.A. Mel’nikova, Moskvà 1999
Zwischen Hradschin und Vineta, di J. Hermann, Leipzig 1976
The Slavs, di B. Kropovsky, Praha 1989
Stanovlenie Rusi, di D. Ilovaiskii, Moskvà 2003
Tainy russkogo kaganata, di E. S. Galkina, Moskvà 2002
Slavjane v rannem srednevekov’e, di V.V. Sedov, Moskvà 1995
Etimologiceskii slovar’ Russkogo Jazyka, di M. Vassmer, Moskvà 1986
Russkaja Istorija, di M. Pokrovskii, Moskvà 2002
Kievskaja Rus’, B. Grekov, Moskvà 1997
Gosudarstvo i prava drevnei Rusi, di I.V. Petrov, Sankt-Peterburg 2003
I Vichinghi, di J. Brønsted, Torino 1976
Rus’ i Varjagi, di I. Vasiliev, Moskvà 1999

Una pagina concessa a Storiologia
da Aldo C. Marturano

Pagine pubblicate da Aldo Marturano, considerato il migliore storico della Russia come pochissimi in Occidente. (oggi anche nella stessa Russia) Recentemente ha ricevuto a Milano l' "Ambrogino d'oro. E dal Patriarca della Chiesa Ortodossa sulla storia religiosa ha ricevuto (cosa rarissima) le sue congratulazioni.

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