RUSSIA

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 LA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE - Un bilancio dopo ottant’anni 

MA LA STORIA HA DIVORATO
TUTTO  "IL CAPITALE" DI MARX?

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MARX Heinrich Karl - Filosofo, economista ed uomo politico tedesco (Treviri, 1818 - Londra, 1883).
Era nato a Treviri nel 1818, allora provincia prussiana, da un'agiata famiglia ebraica ashkenazita.


IL MANIFESTO

Il famoso “Manifesto del Partito Comunista” scritto nel 1848 da Engels e Marx, su incarico della Lega dei comunisti, fu pubblicato a Londra, e con “Il Capitale” divenne il programma politico della prima Internazionale (1864).

Ebbe amplissima diffusione. Vi si identificava la storia come storia di lotta fra le classi, prospettando i mezzi con i quali il proletariato poteva sconfiggere la borghesia e instaurare il comunismo.

“Questo testo, che termina col famoso incitamento “Proletari di tutti i paesi unitevi!”, inizia con l’evocazione di uno «spettro», termine che compare ben tre volte nelle prime due righe. La frase è una delle più citate dell'intera storia del pensiero politico. Ma non è stato mai sottolineato il significato dell’uso di un termine tolto dal linguaggio della “superstizione” medievale e della caccia alle “streghe”, contro le quali nei procedimenti giudiziari si usava anche la “prova spettrale”, l’asserita possibilità per il demone di impadronirsi anche del corpo del non consenziente” (Giorgio Galli, Storia delle dottrine politiche”, Il Saggiatore, 1985).



“Uno spettro si aggira per l'Europa: lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa si sono alleate in una santa caccia spietata a questo spettro. Il comunismo è ormai riconosciuto come potenza da tutte le potenze europee. E ormai tempo che i comunisti espongano apertamente a tutto il mondo il loro modo di vedere, i loro scopi, le loro tendenze, e che alla fiaba dello spettro del comunismo contrappongano un manifesto di partito... La storia di ogni società civile sinora esistita è storia di lotta di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressori e oppressi sono sempre stati in contrasto tra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte palese: una lotta che finì sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta... La moderna società borghese, sorta dalle rovine della società feudale, non ha eliminato i contrasti tra le classi... L'epoca della borghesia si distingue tuttavia perché ha semplificato i contrasti tra le classi. La società intera si va sempre più scindendo in due grandi campi nemici:... la borghesia e il proletariato...

La borghesia ha avuto nella storia una funzione veramente rivoluzionaria. Dove è giunta al potere ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliache... non ha lasciato tra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse... non può esistére senza rivoluzionare di continuo gli strumenti della produzione, quindi i rapporti di produzione, quindi tutto l'insieme dei rapporti sociali...

Nel suo dominio di classe, che dura appena da un secolo, la borghesia ha creato forze produttive il cui numero e la cui importanza superano quanto mai avessero fatto tutte insieme le generazioni passate, (ma) le condizioni borghesi di produzione e di scambio, i rapporti borghesi di proprietà, la moderna società borghese che ha evocato come per incanto così potenti mezzi di produzione e di scambio, rassomiglia allo stregone che non può più dominare le potenze sotterranee da lui evocate.

Da qualche decina d'anni la storia dell'industria e del commercio non è che la storia della ribellione delle moderne forze produttive contro i moderni rapporti di produzione, contro i rapporti di proprietà che sono le condizioni di esistenza della borghesia e del suo dominio.
Le forze produttive di cui essa dispone non giovano più a favorire lo sviluppo della civiltà borghese; al contrario, esse sono divenute troppo potenti per tali rapporti (e) minacciano l'esistenza della società borghese.

Le armi con cui la borghesia ha abbattuto il feudalesimo si rivolgono ora contro la borghesia stessa. Ma essa non ha soltanto fabbricato le armi che le recano la morte; ha anche creato gli uomini che useranno quelle armi: i moderni operai, i proletari. Nella stessa misura in cui si sviluppa la borghesia, vale a dire il capitale, si sviluppa anche il proletariato (che) attraversa diversi gradi di evoluzione. La sua lotta contro la borghesia comincia con la sua esistenza... Di quando in quando gli operai vincono, ma solo in modo effimero. Il vero risultato delle loro lotte non è il successo immediato, ma l'unione sempre più estesa degli operai.

Questa organizzazione dei proletari in classe e quindi in partito politico viene ad ogni istante nuovamente spezzata dalla concorrenza che gli operai si fanno tra se stessi. (Ma) nei periodi in cui la lotta di classe si avvicina al momento decisivo, il processo di dissolvimento in seno alla classe dominante assume un carattere così violento... che una piccola parte della classe dominante si stacca da essa per unirsi alla classe rivoluzionaria... Come già un tempo una parte della nobiltà passò alla borghesia, così ora una parte della borghesia passa al proletariato... Tutte le classi che sinora si impossessarono del potere cercarono di assicurarsi la posizione raggiunta assoggettando tutta la società alle condizioni del loro guadagno. I proletari, invece, possono impossessarsi delle forze produttive sociali soltanto abolendo il loro modo di appropriazione attuale e con esso l'intero modo di appropriazione.

Tutti i movimenti avvenuti sinora furono movimenti di minoranze o nell'interesse delle minoranze. Il movimento proletario è il movimento indipendente dell'enorme maggioranza nell'interesse dell'enorme maggioranza.
Che relazione passa tra i comunisti e i proletari in genere? I comunisti non costituiscono un partito particolare di fronte agli altri partiti operai: (se ne) distinguono per il fatto, che nei vari stadi di sviluppo che la lotta tra proletariato e borghesia va attraversando, rappresentano sempre l'interesse del movimento complessivo.

I comunisti sono la parte più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi, quella che sempre spinge avanti; dal punto di vista della teoria, essi hanno un vantaggio sulla restante massa del proletariato per il fatto che conoscono le condizioni e l'andamento e i risultati generali del movimento proletario. Le posizioni teoriche dei comunisti non poggiano affatto sopra idee o principi che siano stati inventati o scoperti da questo o quel rinnovatore del mondo. Esse sono soltanto espressioni generali dei rapporti effettivi di una lotta di classe che già esiste, di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi.

I comunisti possono riassumere la loro dottrina in quest'unica espressione: abolizione della proprietà privata... Il primo passo nella rivoluzione operaia (è) l'elevarsi del proletariato a classe dominante, la conquista della democrazia. Il proletariato si servirà della sua supremazia politica per strappare alla borghesia, a poco a poco, tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, vale a dire del proletariato stesso organizzato come classe dominante, e per aumentare, con la massima rapidità possibile, la massa delle forze produttive.
Naturalmente sulle prime tutto ciò non può accadere, se non per via di interventi autoritari nel diritto di proprietà e nei rapporti borghesi di produzione, vale a dire con misure che appaiono economicamente insufficienti e insostenibili, ma nel corso del movimento sorpassano se stesse e sono inevitabili come mezzi per rivoluzionare l'intero sistema di produzione.
Quando, nel corso dell'evoluzione, le differenze di classe saranno sparite e tutta la produzione sarà concentrata nelle mani degli individui associati, il potere perderà il carattere politico. Il potere politico, nel senso proprio della parola, è il potere organizzato di una classe per l'oppressione di un'altra. Se il proletariato nella lotta contro la borghesia si costituisce necessariamente in classe, e per mezzo della rivoluzione trasforma se stesso in classe dominante, e, come tale, distrugge violentemente i vecchi rapporti di produzione, esso abolisce insieme con questi rapporti di produzione anche le condizioni di esistenza dell'antagonismo di classe e le classi in generale, e quindi anche il suo proprio dominio di classe.
Al posto della vecchia società borghese con le sue classi e coi suoi antagonismi di classe subentra un'associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti... I comunisti appoggiano dappertutto ogni moto rivoluzionario contro le condizioni sociali e politiche esistenti (e) lavorano all'unione e all'intesa dei partiti democratici di tutti i paesi. I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro intenzioni. Essi dichiarano apertamente che i loro scopi non possono essere raggiunti che con l'abbattimento violento di ogni ordinamento sociale esistente.
Tremino pure le classi dominanti davanti a una rivoluzione comunista. I proletari non hanno nulla da perdere in essa fuorché le loro catene. E hanno un mondo da guadagnare.

Proletari di tutti i paesi unitevi!”

KARL MARX

MARX Heinrich Karl - Filosofo, economista ed uomo politico tedesco (Treviri, 1818 - Londra, 1883).
Era nato a Treviri nel 1818, allora provincia prussiana, da un'agiata famiglia ebraica ashkenazita.

 

Dopo essersi laureato a Bonn con una tesi sulla filosofia di Epicuro, si dedicò quasi esclusivamente allo studio dell'economia e dei rapporti sociali; nel 1842 venne chiamato a dirigere il giornale Rheinische Zeitung (= Gazzetta Renana), edito a Colonia: il giornale fu soppresso nel 1843 e M. si trasferì a Parigi, dove cominciò a pubblicare i Deutsch-Franzósische Jahrbucher, in cui iniziò i suoi lavori socialisti con uno studio sulla Critica della filosofia del diritto di Hegel. In quest'opera gettò le idee fondamentali della sua dottrina: "...i rapporti giuridici e le forme dello stato non sono tanto uno sviluppo dello spirito umano, quanto una conseguenza dei rapporti materiali della vita".
A quest'opera seguì la Sacra Famiglia, critica dell'idealismo filosofico tedesco, scritta in collaborazione con Engels. Nel '45 M. venne espulso dalla Francia e dovette trasferirsi a Bruxelles, dove pubblicò nel 1847 e in lingua francese, la Miseria della filosofia, critica della Filosofia della miseria di Proudhon, e, nel 1848, un Discorso sul libero scambio.

Nel 1847, sempre a Bruxelles, entrò nella Lega dei comunisti, trasformandone l'organizzazione e fondando anche un' "Associazione degli operai tedeschi" riuscì a dare un vasto carattere internazionale alla Lega. Per enunciare i principi fondamentali del movimento comunista (egli prescelse questa parola perchè "socialismo" indicava un movimento borghese, non operaio) redasse, con Engels il Manifesto del Partito Comunista, pubblicato nel 1848 a Londra.

Arrestato e quindi espulso dal governo belga, ritornò a Parigi e poi a Colonia, dove fondò la "Neue Rheinische Zeitung", che ebbe vita dal 1° giugno 1848 al 19 maggio 1849 e fu l'unico giornale che difendesse le posizioni del proletariato. In seguito alla soppressione delle libertà democratiche e al soffocamento delle insurrezioni nel Baden e nel Palatinato al giornale fu vietata la pubblicazione.

Dopo un breve soggiorno a Parigi, M. trovò rifugio a Londra. Dopo il colpo di stato del dicembre 1851, M. pubblicò il 18 brumaio di Luigi Bonaparte e Le rivelazioni sul processo dei comunisti a Colonia. Dopo la condanna dei membri della Lega dei Comunisti si ritirò dall'agitazione politica e si dedicò agli studi di economia, di cui il primo frutto fu Per la critica dell'economia politica. Fascicolo primo (Berlino, 1859), nel quale è contenuta la prima esposizione sistematica della teoria marxista del valore.
Accanto agli studi rigorosi di economia M. non cessò mai del resto, di battersi, in articoli e pamphlets, contro i movimenti reazionari, come il bonapartismo o la politica prussiana. Nel 1864, a Londra, riuscì a far approvare una proposta che da tempo aveva formulato nella sua mente: quella di fondare un' "Associazione Internazionale degli Operai". L'associazione fu fondata, e fu la 1a internazionale, di cui lo stesso M. fu l'animatore fino al 1872. Nel 1867 pubblicò ad Amburgo il 1° volume del Capitale, la sua opera principale, in cui espose le linee fondamentali della sua critica alla società capitalista.
Dopo il congresso dell'Aia (1872) e il trasferimento del consiglio generale dell' Internazionale in America, M. ritornò ai lavori di carattere teorico, di economia ed anche di filologia.

Il pensiero di M, è svolto nella Critica dell'economia politica, in cui si afferma che i rapporti di produzione non dipendono dalla volontà degli uomini, ma corrispondono a un certo grado dello sviluppo delle forze produttive economiche, materiali. Secondo Engels due sono state le grandi scoperte fondamentali di M.: la prima è "la rivoluzione da lui compiuta in tutta la concezione della storia mondiale".
Egli sostenne "che la forza motrice della storia è la lotta di classe, che sono sempre esistite classi dominanti e classi dominate e che la grande maggioranza degli uomini è sempre stata condannata a lavoro duro e a una vita misera e povera e, infine, che la classe dominante, ha praticamente adempiuto la sua missione storica".

La seconda scoperta di M. sta nell'aver spiegato in modo esauriente i rapporti tra capitale e lavoro e la formazione del capitale come frutto del plus-valore.
Il pensiero di M. è mirabile per l'organicità e la concatenazione del suo sviluppo.

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DI MARX
COS'E' RIMASTO?

 LA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE - Un bilancio dopo ottant’anni 

MA LA STORIA HA DIVORATO
TUTTO  "IL CAPITALE" DI MARX?

di Claudio Martinelli

I primi anni dello Stalinismo sono dunque gli anni della conquista di posizioni di forza da parte dell’Unione Sovietica nel consesso internazionale e del consolidamento dei principi della rivoluzione. Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale il quadro internazionale era piuttosto complesso. Infatti, alle tradizionali tensioni che nel corso della Storia si sono sempre venute a creare fra gli Stati, determinate dai loro interessi economici o territoriali, per la prima volta un elemento di disturbo è determinato dalla nascita e dall’ascesa di uno Stato portatore di radicali elementi di novità. 

Uno Stato fondato su basi ideali incompatibili con le caratteristiche e i principi tipici di gran parte delle Democrazie occidentali. Si può dire anzi che, essendo lo Stato bolscevico costruito e tenuto insieme dal mastice dell’ideologia marxiana concretizzatasi nella Rivoluzione d’ottobre per opera di Lenin, nel fondo della sua essenza vi fosse fin dalle origini la totale contrapposizione rispetto al sistema liberaldemocratico, e non solo nel senso di una avversione all’economia capitalistica, ma anche rispetto ad una concezione complessiva dell’Uomo e della sua libertà. A questa ingombrante presenza va poi ovviamente aggiunta quella degli Stati autoritari o totalitari venutisi a formare fra gli anni venti e gli anni trenta. 

La lista si deve ovviamente aprire con il fascismo sia per ragioni cronologiche, sia perché ad esso si ispirarono tutti gli altri regimi di questo tipo sia perché purtroppo costituisce l’unica originale elaborazione ed esperienza italiana nel campo dei regimi politici. Oltre al fascismo, l’Europa vedeva poi la presenza inquietante del nazismo in Germania, del Franchismo in Spagna e di Salazar in Portogallo.

IL PATTO RIBBENTROP-MOLOTOV  

Pur con le loro peculiarità, tutti questi regimi erano caratterizzati da una forte spinta antibolscevica oltre che antidemocratica. Mi riservo di ritornare in seguito sul complesso tema dei rapporti filosofici ed ideologici fra il marxismo-leninismo ed i totalitarismi di destra, molto più ambigui ed indeterminati di quanto solitamente non si creda. Per il momento è sufficiente, per riprendere l’analisi dei fatti che portarono l’URSS al centro dell’attenzione mondiale, ricordare come uno dei fatti determinanti per l’esplosione della Seconda Guerra Mondiale sia stato il cosiddetto patto Ribbentrop-Molotov, dal nome dei ministri degli esteri di Hitler e Stalin.

La stipulazione di un patto di non aggressione diede infatti la sicurezza ai nazisti che da quella parte non avrebbero avuto alcun fastidio nella loro folle opera di annessione di fette di territorio sempre più ampie. Come tutti sanno, l’URSS ebbe poi modo nel corso del conflitto di riscattarsi ampiamente sia per il tributo di sangue che fu chiamata a pagare sia per l’apporto che garantì alla vittoria alleata sull’Asse, l’importanza del quale fu talmente riconosciuta che le diede il diritto di partecipare alla conferenza di Yalta.
Nel corso di questa conferenza, cui parteciparono i leaders delle potenze vincitrici della guerra e che segnò il definitivo ingresso dell’Unione Sovietica nel ristrettissimo novero delle superpotenze, vennero decisi i destini del pianeta ed in particolare dell’Europa.
Il nostro continente venne diviso in aree di influenza: da una parte le vecchie e nuove democrazie occidentali, dall’altra i cosiddetti paesi dell’Est, modellati sullo stampo comunista della grande "chiesa" Sovietica. Simbolo di questa divisione drammatica al centro dell’Europa fu la città di Berlino, appunto divisa essa stessa in una parte occidentale ed una orientale. L’espansione delle idee della Rivoluzione d’Ottobre non fu però causata solamente da una virtuale espansione territoriale determinata da un conflitto bellico, ma anche dal fatto che nel mondo occidentale, nei decenni precedenti, le idee socialiste e comuniste avevano preso sempre più piede.

LACERAZIONI NELLA SINISTRA  

I movimenti sindacali ed i partiti di ispirazione marxista avevano tratto nuova linfa vitale dall’insegnamento della rivoluzione. Si faceva sempre più strada l’idea che la concreta instaurazione di un nuovo ordine sociale potesse realmente darsi, e non rimanere confinata nelle speranze del proletariato o nei discorsi utopistici di qualche intellettuale. Tutto ciò però, portò con sé anche lacerazioni nell’ambito della Sinistra e fu la causa di tragici errori ed estremizzazioni controproducenti. Basti pensare a cosa accadde in Italia a cavallo degli anni venti.
Durante il cosiddetto "biennio rosso" si assistette ad una ventata di sindacalismo rivoluzionario che sortì l’unico risultato di ingenerare fobie esagerate nella borghesia, anche in quella più aperta alle riforme sociali, e di provocare la scissione del Partito Socialista, che fino ad allora con le sue variegate anime aveva unitariamente rappresentato i lavoratori, con la nascita del Partito Comunista d’Italia, apertamente schierato su posizioni filo-bolsceviche.

Ma l’influenza sui Paesi occidentali da parte dell’Unione Sovietica fu estremamente forte anche dopo il 1945. In moltissimi Paesi infatti le forze politiche democratiche di ispirazione laica, cattolica o riformista dovettero per lungo tempo fare i conti con partiti comunisti più o meno legati allo Stato della rivoluzione proletaria. Ma è ancora una volta il caso italiano quello maggiormente interessante da analizzare. Da noi infatti, per circa 40 anni la Sinistra è stata egemonizzata dalla presenza di un fortissimo Partito Comunista, il maggiore dell’occidente, per il quale votavano da un quarto ad un terzo della popolazione, e che oltre ad un profondo radicamento sociale (assicuratogli anche dalla contiguità della CGIL), poteva contare anche sull’appoggio piuttosto esplicito di gran parte dell’intellighenzia italiana.

IL RAPPORTO PCI-MOSCA  

Inoltre, moltissimo si è detto e scritto sul rapporto tra il PCI e Mosca. Si trattava certamente di una forte dipendenza nelle scelte politiche di fondo oltre che, come pare ormai storicamente accettato, anche di un certo legame finanziario, ma la storia del PCI è fatta anche di tentativi più o meno espliciti o sotterranei di ricavarsi uno spazio di autonomia decisionale e di elaborazione ideologica originaria. Basti pensare ai turbamenti che provocarono in quel partito ed in tutta la Sinistra italiana eventi fondamentali nella storia del dopoguerra, come i fatti di Budapest del ‘56 o di Praga del ‘68, o ai tentativi, operati da alcuni dirigenti del PCI negli anni ‘70, di portare fuori dall’ombrello Sovietico alcuni partiti comunisti occidentali attraverso l’esperienza dell’Eurocomunismo.

Certamente la situazione politica italiana risentiva in modo molto stretto di quella internazionale. Dopo Yalta e la divisione del mondo in due grandi blocchi politici, economici e militari ( con la costituzione della NATO e del Patto di Varsavia), la persistenza della pace venne garantita dal cosiddetto equilibrio del terrore, cioè dalla sostanziale parità nella forza distruttrice degli ordigni nucleari a disposizione dei due blocchi. Non va inoltre dimenticato che anche al di fuori dei confini europei l’influenza delle idee della rivoluzione ebbero buon gioco ad affermarsi. Basti pensare alla Cina di Mao Zedong, al sud-est asiatico alla Cuba di Castro. Questa situazione di equilibrio armato si protrasse fino al 1989-90, passando attraverso accadimenti drammatici come la costruzione del Muro di Berlino, la guerra in Vietnam, la corsa al conseguimento di armamenti sempre più sofisticati e dissuasivi.

IN ITALIA COMUNISTI ISOLATI  

Tutto ciò ebbe delle conseguenze molto dirette sulla vita politica italiana. La principale fu la cosiddetta conventio ad escludendum, cioè la regola non scritta ma presente nei fatti secondo cui il Partito Comunista non avrebbe mai potuto giungere alla guida del governo di questo Paese in quanto troppo legato ai dettami di Mosca, cioè del nemico principale dell’alleanza politico-militare di cui l’Italia faceva parte. Si venne quindi a determinare una situazione che in piccolo quasi riproduceva quella internazionale: un sistema di veti e controveti che per decenni contribuì ad assicurare un certo grado di pace sociale.
Va ricordato infatti che questa situazione, che taluno ha denominato di democrazia bloccata, ebbe come corollario forse obbligato quello che gli studiosi hanno chiamato " consociativismo", e cioè il coinvolgimento da parte dei partiti di maggioranza, ferme restando le scelte di fondo circa la collocazione internazionale dell’Italia, dell’opposizione comunista nella gestione della vita quotidiana della Nazione, vuoi con leggi di spesa spesso dissennate e clientelari, vuoi con la lottizzazione o altro.
Questo sistema si reggeva su alcuni elementi di fatto pienamente accettati da quasi tutti i soggetti politici.
Un sistema elettorale proporzionale che garantiva il massimo grado di rappresentatività ed il minimo grado di governabilità, un sistema economico fra i più statalisti dei paesi occidentali, il ruolo determinante della corporazioni e delle parti sociali nelle scelte economiche e giuridiche, ed anche, si è visto, una criminogena commistione fra politica ed economia. Ma con gli anni ‘80 gli assetti planetari cominciarono a mutare. La presidenza Reagan, che agli inizi fu presa quasi come un evento folkloristico, era destinata a mutare profondamente non solo e non tanto gli Stati Uniti, quanto il futuro dell’Umanità.

IL CROLLO DEL GIGANTE D’ARGILLA  

Quello che tutto il mondo considerava solo un rozzo cow-boy, era convinto del fatto che l’Unione Sovietica ed il mondo comunista nel suo complesso non possedessero le risorse necessarie per rispondere ad una sfida sul piano economico-militare, simbolo nelle sue intenzioni di una più ampia sfida di civiltà. E questo fu ciò che puntualmente avvenne. Portata sul piano inclinato della corsa agli armamenti (che l’URSS aveva iniziato con installazione degli SS 20 convinta che l’occidente, bloccato da spinte contrapposte e da una specie di inferiority complex), l’Unione Sovietica iniziò il suo declino che ancora oggi lascia stupiti per repentinità ed ineluttabilità. 

Quello che sembrava essere lo Stato dell’avvenire ed il paradiso del proletariato si dimostrò invece un gigante dai piedi d’argilla. Il crollo dell’89, simboleggiato dalla caduta del muro di Berlino, è stato qualcosa in più della fine di un regime politico, si è trattato anzi della fine dell’illusione che le ingiustizie sociali potessero essere debellate attraverso la scorciatoia di un’elaborazione dottrinale con troppi e troppo evidenti punti deboli.

Ma quali erano le idee di fondo che avevano animato i rivoluzionari del ‘17? La grandezza storica di quell’evento consiste nel fatto che per la prima volta veniva applicata ad una concreta entità statale, in particolare attraverso la leadership di Lenin, l’ideologia elaborata da Karl Marx nell’ottocento. In questo modo, il Marxismo cessò di essere una pura utopia filosofica o, nel migliore dei casi, un’aspirazione, difficilmente realizzabile, ad una definitiva emancipazione del proletariato. Karl Marx, esponente della cosiddetta sinistra hegeliana, fece del metodo dialettico elaborato dal padre dell’idealismo, uno strumento di analisi e di previsione sul futuro della Storia.

IL GROSSO ERRORE DI MARX  

Vi era in lui fortissima l’idea che quando lo sviluppo capitalistico fosse giunto alla sua fase di definitiva maturazione, sarebbe entrato in crisi e si sarebbe assistito al prevalere di un sistema economico basato sulla fine dei valori borghesi sostituiti da quelli della rivoluzione proletaria.
Quest’ultima avrebbe dovuto essere caratterizzata da una prima fase in cui la dittatura del proletariato avrebbe comportato l’abolizione della proprietà privata, la collettivizzazione dei mezzi di produzione, la fine dell’iniziativa economica privata. Quando questo sistema si fosse consolidato, si sarebbe dovuto poi giungere alla abolizione dello Stato e del denaro, edificando così una società dove non avesse più alcuno spazio l’aspirazione personale al benessere proprio e della propria famiglia.
Questa sintesi, necessariamente scarna ed incompleta, del pensiero di Marx è però sufficiente per cominciare a formulare delle ipotesi sul perché, dopo avere così tanto influito sul divenire del ‘900, sia così miseramente fallita l’esperienza storica che più di tutte l’aveva incarnata.

La Storia ha dimostrato come al fondo del Marxismo vi fosse un errore di valutazione sulle caratteristiche dell’individuo. L’idea cioè che certi valori tipici della borghesia costituissero semplicemente uno strumento di conservazione sociale e di prevaricazione del proletariato, e che quindi, qualora quest’ultimo fosse andato al potere, avrebbe saputo costruire una società nuova su basi radicalmente diverse. Ed invece i fatti ci dicono che purtroppo l’individuo, sotto qualunque latitudine ed in presenza di qualsiasi regime economico sociale è caratterizzato da uno spiccato "egoismo" di fondo, che comporta la conseguenza che egli può dare il meglio di sé solo se è stimolato a raggiungere risultati pratici ragguardevoli per se stesso e non per una entità lontana e spesso irriconoscente come è lo Stato.

TEORIA AFFASCINANTE MA...  

...Produrre per lo Stato, per la propria classe sociale, per la collettività è magari un’idea teoricamente affascinante ma concretamente irrealizzabile, perché l’Uomo, privato di stimoli immediati ed importanti, si adagia, provocando una reazione a catena su di se e sui propri simili, fatta di lassismo, pigrizia, apatia e quant’altro vi possa essere per distruggere un sistema economico anche di grande potenzialità come certamente era quello Sovietico. Ma vi è forse una ragione ancora più profonda per spiegare la fine del Marxismo. Essa va ricercata nel fatto che Marx non si accorse che la Storia del pensiero dopo l’Illuminismo non poteva che andare verso l’accettazione della fine di tutti gli "Immutabili", cioè di tutti quei valori che le idee sostenitrici della libertà individuale avevano messo in crisi.
L’idealismo e Marx in particolare, forse anche perché animato da una grossa vena profetica, tentarono invece di sostituire il sistema di valori di un mondo che non c’era più con una nuova visione complessiva delle cose, apparentemente così diversa dalla precedente ma in realtà ad essa accomunata da una visione finalistica della Storia e soprattutto dalla fede nella possibilità di imbrigliare e canalizzare il divenire ad un certo fine: cioè il paradiso comunista in terra. 

Va sottolineato come queste concezioni in realtà accomunino tutti i regimi autoritari di qualsiasi epoca: dall’Assolutismo Monarchico al comunismo, dal fascismo al nazismo. Molto si è detto e scritto sul controverso rapporto fra totalitarismi di desta e di sinistra, ma, al dì là dell’aleatorietà di queste categorie e dell’asserita comune matrice di queste esperienze politiche, una cosa si può forse dire con una certa sicurezza: e cioè che le grandi tragedie di questo secolo sono state tutte determinate direttamente o indirettamente dalla convinzione in capo ad alcuni protagonisti della Storia e ad i loro ideologi che l’Essere può venire piegato e cristallizzato in nome di un ideale, di una certa idea della vita, della fede estremistica delle proprie convinzioni; tutti elementi generatori di fortissime intolleranze.

...E’ PREFERIBILE LA DEMOCRAZIA  

Non è un caso che la forma di totalitarismo sopravvissuta ai terremoti del ‘900 sia il fondamentalismo religioso, in particolare di matrice islamica. Cosa c’è di più onnicomprensivo, rassicurante, facile da capire per qualsiasi strato della popolazione dell’idea di un Dio padrone dei destini di tutti noi? Un Dio che si prende cura delle nostre debolezze e ci guida con il suo sguardo ed attraverso i suoi ministri? Verrebbe quasi da dire che il ‘900 è stato il tentativo fallito, operato dall’occidente, di sostituire l’Assolutismo divino, ormai abbattuto dall’Illuminismo, con diverse forme di Assolutismo terreno, tutte accomunate dall’avversione nei confronti del relativismo di stampo liberale. E non è un caso pure il fatto che siano state proprio le tanto vituperate democrazie liberali a sconfiggere i totalitarismi. Esse infatti, pur nelle loro drammatiche contraddizioni, rappresentano tuttora il sistema sociale più avanzato e aperto che si sia mai dato.
E forse la spiegazione di questo epocale successo va ricercata proprio in alcune contrapposte caratteristiche rispetto a quelle dei regimi totalitari. L’assenza cioè di una visione assoluta delle cose fa sì che i problemi possano essere affrontati con maggiore elasticità e pragmatismo, conseguendo così risultati più apprezzabili e duraturi.

Infatti una delle innumerevoli profezie errate di Marx fu quella di prevedere il crollo dell’economia capitalistica a causa delle ingiustizie sociali che questo sistema avrebbe provocato. Ma anche in questo caso la Storia si è peritata di dimostrare come invece il riscatto del proletariato passasse necessariamente attraverso lo sviluppo capitalistico accoppiato a meccanismi moderni di redistribuzione della ricchezza, e non dalla via rivoluzionaria basata sulla mortificazione della libertà personale. Ma al termine di questa analisi impietosa dell’esperienza comunista, siccome le cose non sono mai tutte bianche o tutte nere, e possibile tracciare anche qualche giudizio positivo? C’è, in altre parole, qualcosa da salvare nel marxismo?

UN INSEGNAMENTO DA COGLIERE  

C’è da salvare l’aspirazione ideale ad un sempre maggiore grado di giustizia sociale, che tuttavia non è certo una esclusiva di questa dottrina politica: basti pensare al solidarismo cattolico o all’umanesimo socialista. C’è probabilmente da cogliere un insegnamento circa la non ineluttabilità del sistema capitalistico per evitare che esso stesso si trasformi in un dio indiscutibile ed immutabile. E c’è sicuramente da salvare il contributo che la Sinistra nel suo complesso ha portato allo sviluppo delle democrazie occidentali in termini di assetti sociali, contributo peraltro più ascrivibile ai filoni socialisti e socialdemocratici, spessissimo avversati dai comunisti, che non da questi ultimi.
Quanto poi al ruolo che la Sinistra potrà giocare nel futuro le opinioni sono le più disparate, ma forse è possibile sostenere la tesi che dopo aver contribuito ad ampliare le garanzie sociali, la Sinistra dovrà occuparsi soprattutto di estendere le opportunità, al fine di favorire il più possibile la mobilità e la vitalità di una società avanzata come quella occidentale.

FINE

di Claudio Martinelli

Ringraziamo per l'articolo
concesso gratuitamente a Storiologia
dal direttore Gianola di "Storia in Network"
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