BIOGRAFIA
(n. 1136 - m. 1189) - Conte 1148 - 1189

Morto Amedeo III, la tutela del fanciullo suo successore, Umberto III (nato nel castello di Avigliana il 4 agosto 1136), e quindi l'effettivo governo del contado di Savoia, rimase affidata ad Amedeo d'Altariva, vescovo di Losanna. Questi era stato priore del monastero di Altacomba, e Amedeo, prima di partire per la Crociata, gli aveva raccomandato di vigilare sul suo primogenito.
La morte del padre in terra lontana e la tutela del vescovo influirono molto sulI' animo del principe adolescente, nel quale si sviluppò una spiccatissima tendenza a preoccuparsi della religione e delle sue pratiche e a favorire con venerazione chiese e monasteri.

Una delle prime cure del tutore fu quella di fargli pagare certi debiti, assai considerevoli, che il defunto Conte di Savoia aveva contratti con la badia di San Maurizio per poter partecipare alla seconda Crociata.
Le particolari condizioni d'instabilità e di disordine dei possedimenti ereditati obbligarono Umberto III a risolvere molte ardue questioni, mentre, di tempra assai debole, egli sarebbe stato proclive soprattutto alla vita solitaria e contemplativa, o addirittura monastica, come dimostrava ritirandosi spesso a vivere ed a pregare fra le austere mura di Altacomba. Egli quindi s'indusse a transazioni e a rinunzie che pregiudicarono seriamente la sua autorità, non solo nei suoi rapporti con monaci ed abati, ma anche in quelli con quasi tutte le categorie di sudditi, dai baroni ai servi della gleba.

Sostenne nondimeno con valore una piccola guerra contro Guido, Delfino del Viennese, che lo assalì per vendicare suo padre, morto per le ferite riportate a Monmeliano combattendo contro Amedeo III. Mosse Umberto contro il Delfino alla testa dei suoi armati, e lo sconfisse, dicesi, nel luogo stesso in cui già il suo genitore aveva riportato una memorabile vittoria.

Venne poi l'epoca della fiera lotta tra Federico Barbarossa, calato in Italia nel 1154, ed i liberi Comuni di Lombardia. Il mite Umberto III, per natura amante della pace, si sforzò di non avversare nè l'imperatore nè i Comuni, i quali ben volentieri avrebbero accettato l'aiuto del principe che aveva signoria sulle Porte d'Italia. Così gli accadde (come sempre agli uomini incapaci di dominare gli eventi) di trovarsi in una condizione disgraziatissima. Infatti ebbe contrari contemporaneamente i Comuni e l'imperatore, e l'autorità sua e della sua Casa ne rimase diminuita e compromessa.

Frattanto, nel 1173, sostenne un'altra piccola guerra, contro Manfredo I, machese di Saluzzo, che gli aveva rifiutato l'omaggio feudale dovuto da tutti i signori minori al marchese d'Italia. Gli tolse, con la forza delle sue milizie, parecchie terre, e già s'accingeva ad assediarlo in Saluzzo, quando, intermediario Bonifacio del Monferrato, acconsentì a deporre le armi, ma non prima di avere ottenuto che la supremazia dei Conti di Savoia fosse formalmente riconosciuta dai Saluzzesi.

Rimane però accertato che Umberto III fu sempre « uomo più di sermone che di spada », come lo chiama il Cibrario, così da meritare il soprannome di Beato, che gli rimase nella storia. E molto probabilmente questo principe sarebbe rimasto celibe, se la ragione di Stato non gli si fosse stata imposta come più forte della sua inclinazione all'ascetismo.

Si ammogliò, dunque, e non una, ma ben quattro volte. Sposò prima Faidiva di Tolosa, che morì presto, senza lasciargli figli; poi Anna, o Germana, di Zoeringen, dalla quale ebbe una figlia, Agnese, che dopo esser stata fidanzata a Giovanni, figlio di Enrico II, re d'Inghilterra, si unì ad Umberto, conte di Ginevra. Morta Germana poco dopo aver dato alla luce quest'Agnese, Umberto III prese in moglie Beatrice di Vienna, che gli diede un'altra figlia, Eleonora, la quale ebbe successivamente due mariti: Guido, conte di Ventimiglia, e poi Bonifacio III, marchese di Monferrato e re di Tessalia.

Da Beatrice nacque anche, nel 1177, un figlio a cui venne imposto il nome di Tomaso e che poi successe al padre. Ultima moglie del Beato fu Geltrude d'Alsazia, che non gli diede figli e che gli sopravvisse.
Federico Barbarossa ebbe a volta a volta favorevole e contrario Umberto III, e gli tolse e gli ridiede domini, a seconda delle vicende delle sue invasioni e delle sue guerre in Italia. Il Beato riebbe tutto quanto aveva perduto, allorchè l'imperatore dovette fuggire (come un ladro, nottetempo, da Susa) attraverso la Savoia. Grato al marchese Guglielmo III di Monferrato che l'aveva aiutato a riconciliarsi col Barbarossa, lo appoggiò in un'aspra lotta contro Asti.

Nel 1174, quando Federico ritornò in Italia per il Moncenisio, e volle punire Susa che gli era stata avversa, ed assediò inutilmente Alessandria, Umberto III gli fu favorevole. Il nome del Conte di Savoia figurò poi fra quelli dei signori che nelle trattative con la Lega Lombarda si resero garanti della tregua conclusa a Montebello nel 1175. E dopo la vittoria delle città italiane a Legnano (29 maggio 1176), Umberto III partecipò di nuovo ai preliminari di pace, discussi a Piacenza nella chiesa di Sant'Antonio.

Certo egli non fu ricompensato della sua sottomissione all'imperatore, poichè questi, in una lite assai complicata per diritti e possessi, gli diede torto a vantaggio di Milone da Cardano, vescovo di Torino. Gli fu avverso anche il figlio e successore del Barbarossa, Arrigo VI, che nel 1186 gl'invase lo Stato, gli distrusse la rocca d' Avigliana, estese a danno di lui i possedimenti del vescovo d'Aosta, ed infine, con un atto del 7 marzo 1188, Io mise al bando dell'impero.

Quel bando giunse in ritardo, poichè Umberto III era morto a Chambéry tre giorni prima (4 marzo), ma non per questo ebbe minore effetto. Il figlio di Umberto, infatti, ereditò uno Stato diminuito di tutti i domini conferiti al Conte di Savoia per la sua qualità di « grande vassallo » dell'Impero, e quasi ciò non bastasse lo spirito d'indipendenza di cui le città lombarde avevano dato splendido esempio agitava frattanto la Valle d'Aosta e altri luoghi rimasti alla Casa Sabauda.

Per la sua grande fede e per la sua devozione, Umberto III fu posto, dall'Ordine cistercense, nel novero dei santi, santità confermata, nel 1838, da Gregorio XVI. La sua festa rimase segnata, nel calendario d'Ivrea, al 7 settembre.