BIOGRAFIA
(n. 1751 m. 1819) - Re di Sardegna 1796 - 1802
(deposto da Napoleone)

sua moglie: MARIA ANNA CLOTILDE DI FRANCIA
(n. 1759 - m. 1802)

 

Carlo Emanuele IV, successo a Vittorio Amedeo III, suo padre, nel 1796, fu uomo d'ingegno alquanto limitato, molto religioso, di una rettitudine assoluta. Essendo di costituzione gracilissima ed anche affetto da una grave malattia nervosa, non ebbe, neppure in gioventù, attitudine alcuna alle armi, e parve quindi, e fu veramente, assai meno adatto del suo genitore a fronteggiare la tempesta che imperversava per tutti i regnanti, e a portare quella corona che Vittorio Amedeo gli aveva lasciata e che egli soleva chiamare una "corona di spine".

La sua mente era stata nutrita di buoni studi sotto la direzione del Padre Giacinto Gerdil, professore nell'Università di Torino, e uomo di grande dottrina, che poi divenne cardinale. Aveva sposato Maria Adelaide Clotilde di Francia, sorella di Luigi XVI, la quale non potè mai dargli prole. Salì al trono a quarantacinque anni, raccogliendo l'eredità di uno Stato esaurito da cinque guerre più o meno disastrose, profondamente minato dai principi della Rivoluzione del 1789, e completamente in balìa della Francia, che avrebbe potuto dichiararsene padrona, da un giorno all'altro.

Nel Piemonte era più facile che in qualunque altro Stato italiano il fatale dilagare delle idee rivoluzionarie, perchè il paese era rinserrato fra le tre repubbliche Francese, Ligure e Cisalpina, ugualmente pervase dal giacobinismo, e non poteva rimanere a lungo nella sua equivoca condizione di « Stato anfibio, mezzo rosso e mezzo nero, sotto il doppio governo del Re legittimo e dell'Ambasciatore francese ».

Eccitate dagli spietati provvedimenti giudiziari contro i fautori della rivoluzione, erano cominciate intanto nelle città piemontesi le insurrezioni, che, prontamente domate ad una ad una, costarono la vita a non pochi audaci insofferenti di freni. Seguirono poi dei tentativi d'invasione da parte dei fuorusciti, che vennero facilmente respinti, ed infine ebbe luogo l'attacco di Genova, città doppiamente ostile al Piemonte, per antiche gelosie e per il nuovo fanatismo repubblicano che vi si era introdotto.

Questi avvenimenti lasciarono uno strascico di attriti fra il governo regio e il generale Brune (successore del Berthier nel comando dell'esercito francese della Cisalpina) che impose il condono generale delle pene inflitte ai rivoluzionari e la consegna della cittadella di Torino. Allora la rivoluzione, « sempre più ingorda quanto più otteneva », come dice il Cibrario, mise in subbuglio anche la capitale Sabauda, ed infine, col pretesto di inesistenti trame di accordo col Regno di Napoli, allora in guerra con la Repubblica francese, il Brune invase il Piemonte, e costrinse il Re ad abdicare (1798).

Passando per Parma e per la Toscana, dove andò a baciare la sacra pantofola di Pio VI, là rifugiato, Carlo Emanuele IV riparò in Sardegna, accolto festosamente dai fedeli isolani.
Dalla Sardegna
emanò una protesta contro l'abdicazione, che "aveva sottoscritta - così disse - unicamente per evitare al suo popolo gli orrori e i danni della guerra". Ma di quella protesta non si curarono affatto nè la Francia, nè i patrioti piemontesi.

Le vicende dell'abdicazione erano state intensamente drammatiche. « Bisogna resistere ad ogni costo! » aveva detto il duca d'Aosta nel Consiglio reale ch'era stato tenuto il 7 dicembre 1798, mentre i Francesi minacciavano da tutte le parti. « Volete dunque mandare al patibolo me e questa santa donna? » aveva risposto il Re, additando la Regina.

L'abdicazione era stata trattata tra il balì di San Germano, per conto del Re, ed il generale Clausel. Le trattative erano durate nove ore. Il Re, la Regina, il balì di San Germano, erano stati lungamente, insieme, a commentare il doloroso evento, ed infine, alle due del mattino dell'8 dicembre, tutti i patti voluti dai Francesi erano stati accettati, tranne la consegna in ostaggio del duca d'Aosta, che potè essere sostituito dal ministro Damiano di Priocca.
Il duca d'Aosta, così liberato, quando era stato invitato a sottoscrivere la convenzione vi aveva aggiunto queste calcolate parole : « Garantisco di non recare alcun impedimento all'atto presente ». E il 9 dicembre alle dieci di sera, il Re partì con la famiglia e la Corte in trenta carrozze accompagnate da lacchè e scortate da dragoni che portavano delle fiaccole.

Il 12 dicembre, sotto un cielo nuvoloso, venne piantato a Torino, in piazza Castello, l'albero della libertà. In quello stesso giorno, il generale francese Joubert, istituì un governo provvisorio, che fu prima di 15, poi di 25 membri. Due giorni prima, un decreto aveva abolito in Piemonte tutti i titoli e tutte le distinzioni.

L'inverno era freddissimo, e il viaggio di Carlo Emanuele IV verso la terra d'esilio fu lungo e disastroso. La regina si ammalò a Voghera; e a Parma Joubert ordinò che il balì di San Germano venisse separato dal re.

Nel maggio del 1799, quando gli Austro-Russi ebbero conquistato il Piemonte, Carlo Emanuele IV venne in Toscana con la speranza di riavere il trono, e mandò a Torino il duca d'Aosta suo fratello, mentre la Prussia, l'Austria e la Russia discutevano se fosse o meno il caso di restituire ai Savoia i loro domini. La discussione fu troncata fulmineamente da Napoleone, che, vittorioso a Marengo, reintegrò dappertutto la Francia.

Allora Carlo Emanuele IV lasciò Firenze, si recò a rendere omaggio, in Foligno, al nuovo papa Pio VII, indi si ritirò a Roma, dove aveva accettata l'ospitalità offertagli dal principe Colonna, congiunto dei Savoia-Carignano.

Diverse ragioni indussero poi l'ex re di Sardegna a recarsi da Roma a Caserta, presso il re Ferdinando di Napoli, indi in quest'ultima città, dove gli morì la moglie. Questa sciagura lo abbattè completamente. E il 4 giugno 1802, mentre tutta la famiglia reale, ridotta alla miseria, viveva in modo assai meschino coi sussidi che le venivano largiti dall'Inghilterra e dalla Russia, rinunciò definitivamente alla corona, in favore del fratello Vittorio Emanuele I, duca di Aosta.

Dopo questa seconda e definitiva abdicazione, Carlo Emanuele IV ritornò a Roma, dove entrò nel Noviziato della Compagnia di Gesù, coi voti semplici, conservando il titolo e la dignità di re, come pure una modesta corte e la facoltà di possedere e di testamentare. Negli ultimi suoi anni di vita ebbe molto a soffrire per i suoi mali e divenne quasi cieco.

Morì il 6 ottobre 1819, nel convento dei Gesuiti in S. Andrea del Quirinale, dove fu sepolto.

la moglie: MARIA ANNA CLOTILDE DI FRANCIA
(n. 1759 - m. 1802)

La sorella del re di Francia Luigi XVI e dei principi che poi furono Luigi XVIII e Carlo X, Maria Anna Clotilde di Francia nacque a Versailles il 23 settembre 1759. « Fin dai suoi più teneri anni, scrive il Litta, questa principessa ebbe l'intenzione di rinchiudersi in un convento delle Carmelitane di San Dionigi, presso Parigi, con quella sua zia Maria Luigia, che, per ottenere da Dio la conversione del padre suo, re Luigi XV aveva voluto dedicarsi alla vita monastica ».

Dovette rinunciare alla sua vocazione, nel 1775, quando fu unita a Carlo Emanuele IV di Savoia, che, non avendola prima vista, non la trovò bella, nè piacente, ma che tuttavia le fu poi sempre fedele e rispettoso. Ella aveva molta tendenza alla pinguedine, e poichè a questa venne attribuita la sua sterilità, « dovette, così scrive il Predari, crudelmente assoggettarsi ad esperimenti farmaceutici intesi a farla dimagrire. Rassegnata, obbedì, ingoiò pillole, soffrì, patì e finalmente dimagrì, ma non concepì.
Dopo alcuni anni l'amore dei coniugi fu puramente spirituale, e Clotilde tutta si consacro alla pietà; e ardendo di udire con frequenza la parola di Dio, ottenne la grazia di assistere, in quaresima, a tutte le prediche, alle quali la Corte, a cui si volevano evitare pensieri molesti, soleva non assistere mai, per non udir parlare del giudizio universale, o dell'inferno, o di altri terribili argomenti
.

« Era angelo di pace nella famiglia (continua l'autore citato) ove il malumore non era insolito. Quando le giunsero da Parigi le notizie fatali delle sventure della sua famiglia, prese l'abito votivo nero di lana e non lo smise più».
La sua vita semplice sempre ed in tutto veramente esemplare, e la fama del suo fervore religioso, suscitarono intorno a lei, più che rispetto, vera e propria venerazione, e i Francesi, quando occuparono il Piemonte, nel 1798, le usarono i massimi riguardi. Alcuni storici affer
mano d'altronde ch'ella contribuì grandemente a far sì che Carlo Emanuele IV non indugiasse a cedere ai Francesi stessi, decidendosi da un'ora all'altra all'atto di abdicazione.

La famiglia reale partì da Torino come s'è già detto, in una sera fredda e piovosa di dicembre, lasciando nella reggia, quali proprietà inviolabili dello Stato, tutte le gioie della Corona, le argenterie e settecentomila lire in oro. Alcuni dei principi piangevano, ma il re e la regina si mostravano nobilmente forti e rassegnati nella sventura.
Maria Clotilde, peraltro, di salute assai delicata, non potè sopportare le fatiche del doloroso viaggio verso l'esilio. Fu colpita, a Voghera, da una malattia non grave, ma che tale divenne per la stagione freddissima e per i disagi e da quella malattia non potè guarire completamente. Visse ancora, soffrendo, per quattro anni, « sollievo e consolazione di un marito immerso in mille afflizioni ».

Dopo aver seguìto Carlo Emanuele in Toscana, a Roma, a Caserta, indi a Napoli, si ammalò nuovamente in quest'ultima città, dove morì il 7 marzo 1802 in gran concetto per le sue rare virtù. Il papa Pio VII, che di queste virtù era stato sincero ammiratore, volle proclamarla Venerabile, e così fece il 10 aprile 1808.