109 bis. (dopo GLI ARAGONA)
Il Meridione sotto il dominio degli Asburgo di Spagna
(da Carlo V in poi)

di Franco Savelli

Sommario
--- A Ferdinando II il Cattolico, re di Spagna, di Napoli e della Sicilia succede il nipote Carlo I di Spagna che, ereditando anche i domini del nonno paterno, l’Imperatore Massimiliano I d’Asburgo, diviene, col nome di Carlo V, Imperatore del Sacro Romano Impero (SRI) e titolare di un dominio che comprende Europa ed Americhe.
--- Eventi e successione dei re della casata Asburgo di Spagna: Filippo II, Filippo III, Filippo IV e Carlo II.
--- Anticipazione sintetica degli eventi verificatesi a seguito della scomparsa di Carlo II : dalla guerra di successione spagnola a quella di successione polacca.
--- I domini Italiani sotto gli Asburgo di Spagna : amministrazione ed aspetti sociali.
--- Il Regno di Napoli, la rivolta del 1647 e ripercussioni sulle regioni di Abruzzo, Basilicata, Puglia e Molise, Calabria.
--- Il regno di Sicilia, le rivolte di Palermo e Messina.
--- La Sardegna.

(Col simbolo (*) si rimanda al capitolo Meridione d’Italia Angioino ed Aragonese;
con (**) al cap. Meridione d’Italia Aragonese, stesso sito.



Formazione di un Impero per successione

Ferdinando II d’Aragona, il Cattolico, si era insediato in Sicilia già dal 1468 e, grazie all’apporto del generale spagnolo Consalvo di Cordoba ed all’aiuto determinante del brillante condottiero italiano Bartolomeo d’Alviano (2), aveva risolto a suo favore la contesa con i Francesi (Trattato di Lione del 1504) acquisendo il regno di Napoli e rinsaldando il possesso sull’intera Italia meridionale.

Ferdinando II d’Aragona, avendo sposato Isabella (1468), infanta di Castiglia e regina dal 1474, delineò in prospettiva l’unificazione dinastica dei due regni che si verificò, pur nel rispetto delle diverse istituzioni e dei singoli istituti, allorché egli divenne re (1479), malgrado i suoi poteri risultassero limitati rispetto a quelli della moglie (reina proprietaria) per la diversa consistenza dei due regni. La successione sul trono di Isabella di Castiglia spettava, a seguito della scomparsa dei figli maggiori, alla terzogenita Giovanna e la madre Isabella aveva provveduto in tal senso, pur se non ne condivideva l’anticonformismo religioso che puntigliosamente aveva cercato di correggere.


Giovanna, per via di una accurata e riuscita politica matrimoniale promossa dall’Imperatore SRI Massimiliano I d’Asburgo (1493-1519), sposò Filippo il Bello (1496), figlio di Massimiliano I e di Maria Bianca di Borgogna. Dopo il matrimonio Giovanna aveva reagito ai tradimenti del marito con scene isteriche. A seguito della morte della moglie Isabella (1504), Ferdinando assunse la reggenza ma la figlia Giovanna ed il marito Filippo presero possesso della Castiglia e Filippo riuscì ad estromettere dal potere la moglie (1506), sfruttando l’isterismo che aveva manifestato quale presunto stato mentale che la rendeva inabile al governo. Dopo qualche mese Filippo scomparve immaturamente e forse anche misteriosamente (peste o avvelenamento), lasciando erede il figlio di sei anni Carlo di Gand (1500-1558) nato e cresciuto nelle Fiandre e la moglie Giovanna, prostrata ed inconsolabile per la sua scomparsa, titolare di una prestigiosa corona. Ferdinando II, per avidità
di potere, riuscì ad utilizzare il presunto stato mentale della figlia per farla dichiarare insana di mente, Giovanna la Pazza (3), estrometterla dal potere e farla rinchiudere. Ferdinando II poté così unificare i regni di Aragona e Castiglia sotto la corona di Spagna che, alla sua morte (1516), il nipote Carlo di Gand, ereditò, col nome di Carlo I, assieme alle sue colonie (4) ed i suoi domini fra cui il regno di Sicilia, quello di Napoli e la Sardegna.

Alla scomparsa del nonno paterno Massimilino I (1519), Carlo di Gand, aggiunse i domini degli Asburgo d’Austria e la Borgogna e viene eletto Imperatore SRI (1519-1556), col nome di Carlo V, con cui resterà nella storia. A quanto ricevuto in eredità, aggiungerà successivamente Boemia, Moravia, Alsazia ed Ungheria ed il ducato di Milano (5), amplierà i possedimenti coloniali (nota 4) oltre a rafforzare i legami con il Portogallo sposando Isabella del Portogallo e venendo a costituire un assetto imperiale che, estendendosi dall’Europa alle Americhe, risultò il più vasto della storia moderna.

Dal punto di vista politico non conseguì rilevanti successi, condizionato da altre realtà, il Regno di Francia e l’Impero Ottomano (6), conflittuali con l’Impero. Perseguì il sogno della realizzazione di una Repubblica Cristiana, guidata dall’Imperatore e costituita dagli Stati d’Europa in lotta con i Turchi, contro cui combatté per difendere Vienna assediata (1529) e le rotte commerciali tra la Spagna ed i possedimenti Italiani di Napoli e Sicilia. Dovette contrastare un tentativo della Francia di Enrico II (7), sorretto dai Turchi, di conquistare il Regno di Napoli (1552) che fallì, malgrado una sconfitta subita dalla flotta di Carlo V a Ponza, per il mancato ricongiungimento delle flotte francese e turca.

Nel 1554, Carlo V decise la divisione dei domini tra il figlio Filippo II ed il fratello Ferdinando I, lasciando loro il gravoso compito di risanare un impero che le guerre sostenute avevano avviato alla decadenza economica.

Ferdinando I (1556-1564) ricevette i domini austriaci e mantenne la corona imperiale, perpetuando il ramo austriaco degli Asburgo.

Filippo II, unico erede, ricevette, tra il 1554 ed il 1556, la corona di Spagna con le colonie, il Ducato di Milano, le province dei Paesi Bassi, il Regno di Napoli, il Regno di Sicilia e la Sardegna, dando origine al ramo spagnolo degli Asburgo che governò il meridione d’Italia fino al 1700.
Del suo lungo regno vanno ricordati : la politica di uniformità religiosa che causò la ribellione dei Paesi Bassi (1568) e dei moriscos (musulmani convertiti) di Spagna (1568-70) (8); la costituzione della Lega Santa che, composta da spagnoli, veneziani e da altri, sconfisse i Turchi nella battaglia di Lepanto (1571) arrestando la penetrazione ottomana in Europa (9); la pace di Cateau-Cambreis (1559) firmata con il re di Francia Enrico II (1557-1559) in cui la Spagna, assicurandosi, lo Stato dei Presidi (10) in Toscana, veniva riconosciuta potenza egemone in Italia.

- Vanno ancora citati due fatti politici rilevanti dello scacchiere europeo: il primo è l’annessione del regno del Portogallo con il vasto impero coloniale (1580-1598) avvenuta per l’estinzione del ramo regnante ed essendo figlio di Isabella del Portogallo, il secondo è la sconfitta della invincibile armata (1587) allestita per punire l’Inghilterra responsabile dell’uccisione della cattolica Maria I di Scozia, evento che consentì una nuova ribellione dei Paesi Bassi coronata da successo (1581) (11). I due ultimi eventi accentuarono la decadenza verso cui si era avviata una Spagna stremata dai conflitti. Decadenza che si accentuò con l’espulsione di comunità progredite come ebrei (12) e moriscos che, privando la Spagna di banchieri ed abili artigiani, contribuì ad accelerarne la decadenza economica e culturale.

A Filippo II succedettero:
- Filippo III di Spagna (1598-1621), per mancanza di risorse finanziare ed umane, fu costretto ad interrompere la guerra con i Paesi Bassi e riconoscere l’indipendenza delle province settentrionali che costituirono la Repubblica delle Province Unite (1609) (13). Ma per evitare i pericoli che ne sarebbero derivati da questo riconoscimento fu costretto a riprendere la guerra
(guerra dei trent’anni) (14) intensificando il prelievo finanziario ed umano particolarmente dai regni di Napoli e di Sicilia. Ma la Spagna soffriva per la scarsa attitudine della nobiltà all’attività produttiva, per la debolezza della borghesia, per gli squilibri sociali e per la scarsa coesione fra gli Stati che componevano la monarchia. Problemi che né Filippo III né i suoi successori furono in grado di affrontare.

- Filippo IV di Spagna (1621-1665), concluse con la pace la guerra dei trent’anni. Il suo regno fu caratterizzato da una scarsa autorità che consentì al Portogallo di recuperare l’indipendenza (1640) e favorì ribellioni nei regni di Napoli e di Sicilia (1647).

- Carlo II di Spagna (1665-1700), inabile fisicamente ed intellettualmente, frutto del matrimonio di Filippo IV con la nipote Marianna d’Asburgo (figlia della sorella Anna Maria di Spagna) e conseguenza di due secoli di matrimoni fra consanguinei contratti al fine della conservazione dei possedimenti. Salito al trono in tenera età (era nato nel 1661) fu sostituito nel governo dalla madre. In mancanza di eredi, dispose quale successore il Duca Filippo d’Angio il quale, nipote del re di Francia Luigi XIV (Re Sole, 1643-1715; ramo Borbone) assumeva il nome di Filippo V di Spagna e veniva incoronato re (1701).

Questo evento diede avvio ad una sequenza di conflitti che, qui anticipati, verranno sviluppati successivamente.
Le monarchie europee, allertate contro un evento che, prefigurando l’unione dell’impero spagnolo con quello francese, avrebbe assemblato un impero paragonabile a quello di Carlo V, costituirono una Grande Alleanza (1701) che comprendeva Inghilterra, Austria ed Olanda e successive adesioni col fine di impedire l’attuazione delle volontà testamentarie di Carlo II. La guerra di successione si concluse nel 1711, con la pace di Utrecht (1713) che sancì:
- Filippo d’Angiò, del ramo Borbone di Francia, viene riconosciuto, col nome di Filippo V di Spagna (1700-1746), legittimo re di Spagna;
- La Spagna cedette all’Austria il Regno di Napoli, il Ducato di Milano, Lo Stato dei Presidi Toscani e la Sardegna che vengono assunti dall’Imperatore Carlo VI d’Asburgo (1713-1734) ;
- Al duca Vittorio Amedeo II di Savoia venne assegnato il Regno di Sicilia (1713-1718) con il titolo di Re.

Ma Filippo V decide di tentare di riprendere i domini italiani perduti e, nel 1718, fece invadere la Sicilia. L’atto fu avversato da Inghilterra, Francia, Austria ed Olanda (quadruplice alleanza) che intervennero e le forze spagnole dovettero abbandonare la Sicilia e riconoscere il trattato dell’Aia (1720) con cui si stabilì che :
- la Sicilia passasse dai Savoia agli Asburgo d’Austria, nella persona dell’Imperatore Carlo VI (1718-1734), già titolare degli altri domini italiani;
- la Sardegna passasse dagli Asburgo d’Austria a Vittorio Amedeo II che ne divenne re (1718-1730), titolo che i Savoia conserveranno fino alla unificazione del Regno d’Italia (1861).
- il Ducato di Parma, appartenente alla famiglia Farnese, sarebbe andato, in mancanza di eredi, al figlio di Elisabetta Farnese, Carlo di Borbone. Ciò che si verificò nel 1732, allorché Carlo prese possesso del Ducato di Parma e Piacenza.

Dopo sedici anni di dipendenza Austriaca dei domini Italiani, a seguito della guerra di successione polacca, Carlo di Borbone, duca di Parma (1732-1735), a seguito della Pace di Vienna (1738), riportò i regni di Napoli e di Sicilia (15) sotto la dominazione della dinastia Borbone di Spagna, col nome di Carlo III (Don Carlos, 1734-1759). Situazione che si manterrà fino alla unificazione del Regno d’Italia.


Amministrazione spagnola nei domini italiani

La monarchia spagnola degli Asburgo affidò la gestione delle province Italiane ad un Supremo Consiglio d’Italia con sede a Madrid, presieduto da un nobile spagnolo e composto dai reggenti, di cui tre spagnoli, di ciascuna provincia. Il Ducato di Milano venne amministrato da un governatore, mentre i regni di Napoli, di Sicilia e la Sardegna da
viceré (16) che inizialmente si servirono, per l’amministrazione, di elementi locali ma, col tempo, ogni funzione pubblica divenne monopolio di spagnoli che governavano con criteri antieconomici e metodi antiquati. I vicerè, controllati saltuariamente da un visitador (ispettore), avevano il compito preminente di salvaguardare i privilegi reali, di riscuotere la maggior quantità possibile d’imposte, di mantenere tranquillo il paese ed, ove emergesse, di reprimere il banditismo.

Accanto ai viceré, che nominavano i sindaci dei vari centri, sedevano, con funzioni giudiziarie, amministrative e fiscali i Parlamenti, in rappresentanza di clero, aristocrazia e cittadini. Sui viceré il sovrano ed il suo Consiglio esercitavano un controllo piuttosto rigido. La qualcosa rappresentava un limite alla loro gestione, condizionata per un verso dal rispetto delle leggi dei paesi governati e per l’altro dalla volontà del sovrano, le cui disposizioni giungevano da Madrid con mesi di ritardo e sovente finivano con il non trovare applicazione.
Nelle capitali e città più importanti stanziava un piccolo esercito bene armato ed una efficiente polizia che vigilava sulle popolazioni servendosi di spie ed informatori.
I domini dell’Italia, oltre che per risorse finanziarie e militari, rivestivano un’importanza strategica: quelli meridionali, nella lotta contro i Turchi e quelli lombardi, nel controllo dei valichi alpini


L’imperatore Carlo V non operò neppure il tentativo di dare una organizzazione unitaria ai suoi domini e ciascuno conservò autonomia con i propri ordinamenti ed istituzioni. Tuttavia egli godette di una potenza superiore ai sovrani precedenti che adoperò per conferire un maggiore sviluppo all’organizzazione degli Stati.

La logica con cui la monarchia Spagnola governava i domini era quella del compromesso che consisteva in uno scambio politico col quale venivano riconosciuti alla classe dominante una serie di privilegi in cambio dell’impegno di fedeltà. Tuttavia a Napoli ed in Sicilia il compromesso con la classe baronale assunse connotati caratteriali locali in quanto questa, più corrotta e sorda che altrove agli interessi pubblici, era rimasta padrona assoluta nel suo feudo i cui abitanti si ritenevano più sudditi del barone che della Corona Spagnola. Del resto gli interessi che questa perseguiva erano nazionali e dinastici, per nulla interessata al benessere dei sudditi di cui riteneva di poterne disporre a discrezione, impegnando le loro vite in guerre il cui interesse dinastico prevaleva su quello nazionale (17). Il governo spagnolo pertanto tollerò la violenza e l’anarchia più di quanto fosse solita fare negli altri domini, potendo prelevare, quale contropartita e col consenso della classe dominante, maggiori risorse finanziarie ed umane che finirono per aggravare le debolezze strutturali delle popolazioni locali, gia in arretrato rispetto allo sviluppo del tempo. Inoltre queste erano vessate da incursioni di predatori saraceni che le coste incustodite, per la necessità di impiego altrove dei contingenti preposti a tale funzione, favorivano.

Nei domini italiani, a Napoli più che in Sicilia, si verificò un processo diretto a svigorire vecchi istituti come i Parlamenti che, pur riconosciuti e mantenuti dall’amministrazione spagnola, erano ritenuti strumenti dell’autonomia locale e perciò cercò, più o meno lentamente, di spegnerne le velleità. A farne le spese fu la classe più elevata che le gestiva ed alla quale, per logica del compromesso, la monarchia spagnola riservò esenzioni e privilegi fiscali non indifferenti in quanto la riteneva, una volta resa inoffensiva, sua naturale alleata. A questa preferenza per le alte classi sociali faceva da contrappeso la profonda noncuranza verso un ceto medio vivace ed il disprezzo per la plebe, ridotta alla miseria più squallida ed utilizzata talvolta come massa d’urto verso la nobiltà.

I domini meridionali, durante il periodo di dominazione spagnola, videro il rafforzamento dell’aristocrazia feudale e del grande latifondo che non consentirono l’adeguamento delle strutture agricole e causarono l’impoverimento delle popolazioni rurali la cui produzione era quasi per intero assorbita dal consumo familiare, poco avanzando per i mercati dove era sottoposta ad una rigorosa stagnazione dei prezzi. Questa precaria situazione indusse le popolazioni agricole ad inurbarsi senza riuscire ad inserirsi nei canali produttivi, la qualcosa contribuì a sottoporli ad uno stato di disagio che divenne insostenibile con la pressione fiscale che, peraltro, tralasciava i patrimoni. Questa, determinata dalle esigenze finanziarie della Spagna per sostenere la guerra dei trent’anni (nota 14), era di conseguenza essenzialmente focalizzata sulle imposte indirette che riguardavano generi alimentari di largo consumo.

La guerra dei trent’anni esasperò con i suoi disastrosi effetti e con la pressione fiscale e militare i conflitti sociali. Nei domini spagnoli in Italia le nuove imposte non bastarono a pagare gli interessi dell’ingente debito pubblico per cui furono venduti i comuni che appartenevano al patrimonio della corona. L’autorità dello Stato e del sovrano, verso cui in precedenti periodi di governo Spagnolo (es. Alfonso il Magnanimo,** nota 1) i ceti popolari avevano trovato riferimento di garanzia ed equilibrio, vennero meno. Il disagio per il malessere provocato dalla pressione tributaria ed aggravato da ricorrenti carestie e pestilenze (18), sopportato più agevolmente nel milanese, concorse ad opprimere la popolazione economicamente più debole e socialmente meno equilibrata del meridione dove, nel 1647-48, allorché le masse furono ridotte alla fame vera e propria, si svilupparono tumulti e feroci ribellioni in diversi centri, fra cui quelle di Palermo (1647) e Napoli (1647-48) ebbero maggior risonanza.

Anche Messina fu teatro di una rivolta, nel 1674, ma con diversa connotazione.

Regno di Napoli
Napoli, centro culturale di prim’ordine (19) ma anche travagliato dalle continue ribellioni dei baroni, aveva perso la possibilità, con Roberto d’Angiò, di divenire egemone sul resto della penisola che intanto registrava l’affermazione di altri Stati regionali come il Ducato di Milano, la Repubblica di Venezia, la Signoria di Firenze, lo Stato Pontificio. La sua situazione politica andò sempre più degradando a causa dei feroci conflitti che contraddistinsero il periodo precedente l’avvento di Alfonso d’Aragona e che ripresero sotto il lungo regno di Don Ferrante (**, nota 1).
Nel primo periodo del cinquecento Napoli era una delle città più popolose della penisola per l’urbanizzazione di numerosi nuclei provenienti dalla campagna per le opportunità di sopravvivenza che una vasta comunità offriva rispetto alla provincia. La nobiltà di campagna, atavicamente refrattaria ad ogni attività produttiva e totalmente resistente all’investimento, amministrava le terre attraverso i gabelloti (20) che, spinti da avidità personale, cercavano di sfruttare al massimo il podere, imponendo una agricoltura o pastorizia di rapina che portava al depauperamento del podere e riduceva allo stremo i contadini. Era inevitabile che i patrimoni lentamente scivolassero dalle tasche della nobiltà a quelle del ceto medio (21) che qui era rappresentato, oltre che dagli appaltatori di gabelle, da strozzini, mercanti di pochi scrupoli ed avvocati che si arricchivano sfruttando la litigiosità della classe abbiente (22).

La plebe era rappresentata da bottegai, barcaioli, facchini che riuscivano a sopravvivere accanto al popolino (23) una moltitudine cenciosa ed affamata che viveva di espedienti. Poi c’era il clero che, rappresentato da domenicani, francescani e gesuiti insediati in più di cento conventi (nella sola Napoli), beneficiava di immunità e privilegi ed i prelati di rango più elevato rivaleggiavano con la nobiltà per sfoggio di ricchezza.

Il parlamento nel regno del Napoli, progressivamente svigorito finì con lo scomparire e la burocrazia ebbe un compito più facile ad introdurre riforme rispetto a quanto verificatosi in Sicilia che, consessasi volontariamente alla Spagna, mantenne il parlamento con sue proprie leggi.

Nel 1532 fu nominato viceré Don Pedro di Toledo, marchese di Villafranca, che, autoritario ed efficiente, contribuì ad abbellire la città ed a migliorare le condizioni della plebe.
L’abbellimento della città fu realizzato con la ristrutturazione di Castel San’Elmo (24), la costruzione del Palazzo Reale (25) e di un nuovo quartiere spagnolo, ottenuto dall’ampliamento della cinta muraria e diviso dal porto con la via Toledo. Le condizioni della plebe migliorarono con l’elargizione di sussidi ai disoccupati, perseguitando usurai, istituendo il Monte di pietà, bandendo una serie di comportamenti (26) e favorendo pittoresche e spensierate feste popolari.

Nel regno di Napoli la rivolta antispagnola del XVII sec. in cui confluirono componenti sociali e politiche diverse fu sostenuta prevalentemente dai ceti popolari affiancati da una parte di borghesi ed intellettuali, artigiani e mercanti che si schierarono contro il dominio spagnolo affiancato dalla nobiltà e dall’aristocrazia finanziaria. La libertà operativa che queste classi avevano ricevuto dal governo spagnolo, fu rivolta ad audaci e rovinose speculazioni, favorite dalla miseria popolare e dal disagio della borghesia.

La scintilla della rivolta a Napoli si accese per la protesta contro un nuova imposta sulla vendita di frutta. Il primo moto, scoppiato il 7 luglio del 1647 con la richiesta di abolizione di tutte le nuove imposte e la parificazione della rappresentanza dei nobili e del popolo, era guidato da un giovane popolano Tommaso Aniello d’Amalfi (Masaniello) (27) sostenuto da varie categorie portatrici, ciascuna, di una idea di autonomia articolata su obiettivi di parte. Infatti il moto era ispirato da alcuni esponenti del ceto medio fra cui avvocati, magistrati, funzionari di stato e dall’abate Giulio Genoino che perseguivano un nuovo equilibrio interno al sistema politico-amministrativo ed era sostenuto da capipopolo e comandanti di bande armate operanti nelle province agrarie che aspiravano alla conquista di pezzi di territorio da controllare con le loro bande. Le azioni si indirizzarono ad incendiare i palazzi dei baroni, dei più potenti finanzieri e del loro braccio violento, i faccendieri, che furono eliminati dalla furia popolare, memore del terrore che questi avevano seminato nelle città e nelle province, salvaguardati dall’impunità che i baroni beneficiari della loro violenza garantivano. Ottenuta la promessa di accoglienza delle richieste formulate, i capi più moderati avrebbero voluto desistere dalla ribellione e consegnare le armi, contro il parere di Masaniello che, non volendo sciogliere le milizie, fu assassinato da un complotto ordito dal viceré (duca d’Arcos) e dai capi moderati.

Coll’intento di ottenere l’indipendenza dalla Spagna sul modello delle Province Unite (nota 13), la ribellione riprese ed i capi, tra cui Gennaro Annese, chiesero sostegno alla Francia la quale, attraversando anch’essa un periodo difficile (28), esitò a rispondere alla richiesta. Le redini della rivolta vennero assunte da un avventuriero, Enrico di Lorena, duca di Guisa, che, fattosi eleggere capo della costituita Real Repubblica Napoletana (con obbedienza al re di Francia) cercò di gestire il potere in maniera faziosa e dispotica. La difficoltà di coordinamento con le insurrezioni delle province e la disparità di interessi fra le componenti in lotta indebolirono l’organizzazione della resistenza all’attacco della flotta spagnola, inviata dal governo di Madrid per ristabilire l’ordine nel regno che resistette per mesi all’assedio. La borghesia che aveva aderito alla rivolta convenne infine un compromesso con il viceré che accolse parte delle richieste, attuando per alcuni anni una politica moderatamente riformatrice. La repubblica cadde nell’agosto del 1648 destando una risonanza che valicò i confini nazionali.

In alcuni centri periferici che avevano aderito alla rivolta, la controffensiva spagnola e baronale fu implacabile, attuandosi con spargimento di sangue, aggravando la crisi sociale all’origine della rivolta ed accordando qualche concessione (istituzioni di province autonome) che, in definitiva, finiva col consentire al governo spagnolo un maggior controllo del territorio.
Le rivolte di quell’anno che avevano coinvolto diversi centri del regno di Napoli e della Sicilia diedero inizio ad un movimento politico di popolo che si poneva l’obiettivo dell’indipendenza e della riforma sociale e politica.

Nei rapporti ufficiali del XVI sec. si cominciò a parlare di brigantaggio che, da tempo, il disordine sociale e la carenza di giustizia avevano alimentato. Il fenomeno era comune anche in Europa ma nel meridione assunse una consistenza più ampia e duratura per ragioni di ordine generale ed individuale. Le prime erano attribuibili agli odiosi ed abituali abusi cui il popolo era sottoposto dalle classi dominanti, le seconde vanno ricercate nell’indole reattiva e violenta di una parte che costituiva il limite per lo sviluppo di uno spirito civico e per il rispetto della legge. Considerando a parte i clan che si contrapponevano in città fra loro e contro il potere, la scelta della vita difficile del brigante-predone riguardò soprattutto gente di montagna, pastori o contadini che, in mancanza di cibo o denaro con cui pagare le tasse, si davano alla macchia, attuando rappresaglie contro i proprietari terrieri e depredando le piccole comunità. I motivi scatenanti la scelta di darsi alla macchia potevano consistere nella sottrazione ai pastori di terre da pascolo da destinare all’agricoltura o l’esclusione di contadini dalla loro terra di cui qualche barone si era illegalmente appropriato. Ma la componente prevalente era la rivolta contro il potente o contro il governo, i quali riuscirono anche ad utilizzare il brigante, il primo per mantenere asservita la popolazione contadina, il secondo nel farsene strumento per la repressione di altri crimini. Per combattere il brigantaggio, gli spagnoli avevano istituito un corpo di poliziotti (29) a cavallo che, allorché furono costretti a risarcire le vittime delle aggressioni, risultarono più efficaci nell’azione di repressione. Nelle leggende popolari la figura del brigante assunse l’alone eroico del ribelle contro le ingiustizie e del difensore degli oppressi.

Abruzzo, Lucania, Puglia e Molise e Calabria fin dall’avvento degli Angioini fecero parte del Regno di Napoli di cui ne seguirono le sorti fino all’annessione al Regno d’Italia.

- Abruzzo
La storia dell’Abruzzo sotto il dominio Spagnolo è costellata da una serie di vicende locali legate alle estemporanee rivolte antifeudali contro le gabelle che si svilupparono in maniera più vistosa a Chieti e Lanciano dove, a seguito della reazione, furono eseguite alcune esecuzioni che funzionarono da deterrente per tutta la regione.

- Basilicata
Verso la metà del XVI sec. la regione, che aveva subito (1528) il saccheggio di Melfi da parte dei lanzichenecchi (nota 5), visse un periodo di tranquillità in cui, per l’emergere di una nuova classe intermedia che rappresentava i baroni ed i vescovi nella gestione dei feudi, si avviò un processo di autonomia dei comuni e delle terre comprese nell’agro che si realizzava con l’intervento dei cittadini che versavano la somma del riscatto direttamente alla Corona (30).
Anche qui si verificarono, nella metà del XVII sec. moti di intolleranza antispagnola che vennero implacabilmente repressi ma con il risultato, rivendicato dal popolo, della concessione di una provincia autonoma a Matera (31), peraltro utile anche al governo Spagnolo per il controllo del territorio.

Nel 1694 fu colpita da un violento terremoto che distrusse quasi per intero Potenza senza che le autorità spagnole intervenissero a soccorso delle popolazioni.

- Puglia e Molise
L'occupazione francese (1495) e quelle dei conflitti franco spagnoli (1501) causarono contrasti interni alla regione (1503; la disfida di Barletta e la battaglia di Cerignola) (32). Solo con la pace di Cambrai (1529) (33) i Francesi ed i veneziani abbandonarono la regione che, durante la dominazione spagnola, non subì gravi attacchi esterni, ma vide aggravarsi le condizioni interne per gli attacchi della pirateria turca. A seguito di ciò la gente si stabilì all’interno abbandonando le coste che impaludarono, molti porti (Brindisi) si insabbiarono ed il commercio diminuì sensibilmente ripercuotendosi sull’agricoltura che regredì.

La pace di Cambrai tra Francesi e Spagnoli riportava quasi tutta la Puglia sotto l'unico dominio spagnolo che fu pesante per la pressione fiscale esercitata, per il disordine amministrativo e per la desolazione causata dalle carestie, dalla malaria, dalla peste, dalla piaga di un inerte latifondismo e dalle speculazioni di avidi profittatori.
Dopo il Concilio di Trento (1545) il clero greco ortodosso che si era sviluppato fin dal 1054 (scisma d’oriente) fu sostituito da quello cattolico, officiato in latino. Le comunità greche abbandonarono progressivamente la lingua madre che si mantenne circoscritta in una isola linguistica di tredici villaggi situati nella penisola salentina.
Durante la dominazione spagnola il contado del Molise attraversò anni di isolamento e decadenza. Esso fu unito (1558) alla Capitanata (34) vivendo le stesse condizioni della Puglia.

Nel 1647, come Napoli, le città di Bari, Brindisi, Randazzo, Lecce, Taranto furono sede di un vasto movimento antispagnolo ed antifeudale con tentativi da parte della borghesia di appropriarsi del potere.

- Calabria (35)
Il sistema fiscale imposto dagli angioini (XIII sec.) continuò con il dominio spagnolo che, sovrapponendosi alle prepotenze baronali cui la corona spagnola aveva lasciato il governo della regione, all’isolamento dalle correnti di traffico, al brigantaggio ed alle calamità naturali, quali terremoti (1552 a Reggio, 1638 a S. Eufemia), inondazioni, carestie e peste, contribuì ad immiserire ancor più la popolazione. Questa, prostrata anche dalle aggressioni turche (36) perse capacità reattiva a tal punto che si ritiene non avrebbe risposto al tentativo insurrezionale promosso da Tommaso Campanella (37) nel 1599.

La Calabria era priva di presidi spagnoli e Campanella ritenne che era il momento di liberarsi dall’oppressione spagnola coinvolgendo alcuni congiurati e contando sull’appoggio dei Turchi presso cui aveva mandato degli emissari. Il piano prevedeva che all’arrivo della flotta turca i ribelli avrebbero occupato Catanzaro, Squillace, Nicastro, Castelvetere, Locri e Reggio e radunato gli oppositori a sostegno della flotta che, con trenta vascelli al comando di Sinan Cigala (nota 36), giunse puntualmente sulla costa ionica. Ma una delazione consentì all’amministratore regio Xarava di prevenire il piano insurrezionale con una dura repressione che costrinse alla fuga i congiurati.

Sotto il dominio spagnolo ed anche successivamente sotto quello austriaco e borbonico, la popolazione, così come in Puglia, intensificò il suo ritiro sulle colline e sui monti, per sfuggire alla malaria, ma anche dalle incursioni dei pirati saraceni prima e turchi poi. Fenomeno che ha creato isolamento non solo esterno ma anche interno in quanto i centri abitati sorti sulle alture e nelle vallate erano privi di collegamento o mal collegati, attraverso sentieri impraticabili per tutta la stagione invernale. In questo periodo la Calabria riassunse il ruolo anti-islamico che aveva avuto nel periodo bizantino attraverso il recupero e la costruzione di nuove torri di avvistamento posizionate lungo la costa (ogni torre vedeva la precedente e la seguente) mediante cui l’allarme per l’arrivo di incursori risaliva la costa in breve tempo ed allertava le popolazioni.


Nella lotta che la corona spagnola intraprese nel perseguire l’unità religiosa e razziale (
limpieza de sangre) (38) vanno collocate l'espulsione degli ebrei (1540) ed il massacro dei valdesi. L’espulsione degli ebrei che avevano trovato asilo in Calabria sotto gli Svevi rappresentò un motivo d'inaridimento delle attività commerciali. Il massacro dei valdesi di Calabria (1561), una comunità di eretici che, giunti nel medioevo dalle Alpi piemontesi si era insediata a Montalto e Guardia Piemontese mantenendo intatta la propria fede, rappresentò un episodio di fanatismo violento.
Anche qui, a Cosenza ed in altri centri, si verificarono (1647) ribellioni antispagnole con obiettivi dettati dalle esigenze locali e con modalità analoghe a quelle descritte.


Regno di Sicilia
L’interesse della Spagna verso la Sicilia era rivolto non solo al contributo finanziario che essa poteva fornire ma ancor più a quello cerealicolo, impiegato per preparare gallette per le truppe ed alla fornitura di galee da impiegare su fronti disparati, dalle Fiandre all’Oriente. Particolare interesse era rivolto alla sua posizione, al centro del complesso euro-afro-asiatico, da essere utilizzata sia come base avanzata e sicura contro l’impero turco, in quanto sorretta dal regno di Napoli che era stato progressivamente fortificato, sia come sede privilegiata per insediarvi guarnigioni (Messina, Reggio e La Goletta) (39) per il controllo dei principali canali di commercio fra Oriente ed Occidente. Tuttavia, malgrado la sconfitta di Lepanto (nota 9), la flotta turca, comandata dal rinnegato calabrese Occhialì (nota 36), riuscì a conquistare Tunisi (1574) e La Goletta, lasciando agli Spagnoli la sola Orano. Non pochi siciliani, attratti dal mondo economicamente più attraente del nord Africa, vi si trasferirono e la loro presenza può spiegare perché le incursioni dei pirati centrassero così precisamente gli obiettivi.

La Spagna, per la necessità di concentrare i suoi sforzi nel controllo dei Paesi Bassi e nella guerra contro l’Inghilterra (1580) in cui utilizzò disastrosamente anche le galee siciliane, si ritirò parzialmente dal Mediterraneo, avviando la sua decadenza. La Sicilia fu quindi lasciata alla sua sola possibilità di difesa e fu, per i successivi due secoli, alla mercé delle incursioni operate anche da flotte ad allestimento siciliano che, esercitando fra l’altro il commercio di schiavi lungo le coste africane, si crearono cospicui patrimoni. Gli schiavi, mori e turchi, con cui militavano anche volontari siciliani erano impiegati sulle galee che, per la vita dura, erano difficile da equipaggiare (duecento rematori rasati ed in catene) rispetto ai velieri. Gli attacchi della pirateria oltre a costringere alla decadenza economica Palermo, Messina, Trapani, Marsala che non potevano competere, sul pino commerciale, con le città del nord, causò quel fenomeno, già anticipato per la Calabria e la Puglia, di abbandono dei borghi e dei depositi alimentari costieri, per sistemazioni in alture, più difendibili e meno malariche. Venne così a declinare la tradizionale attività marinara della Sicilia, a parte la pesca del tonno che, praticata con barche a remi non lontano dalla riva, conservava il suo sviluppo, raggiunto in epoca araba.

Il dominio spagnolo in Sicilia (40) si protrasse più che altrove, per oltre quattro secoli (ad iniziare da Pietro III d’Aragona, 1282*, nota 1) ed è ritenuto responsabile di quella maniera che, identificata con spagnolismo (41) è assimilabile ad un complesso di aspetti rimasti nel carattere popolare e che comprendono indifferenza, inclinazione alla conservazione, gusto del fastoso, passionalità ed inclinazione agli agi ed alle piacevolezze.

In Sicilia i viceré (42) trovarono ostacolo ad ogni cambiamento per l’attaccamento dei siciliani al mantenimento dei privilegi, per la qualcosa erano disposti anche alla corruzione pur di promuovere gli interessi del cliente o parente. Questo tratto, accanto alla venalità della giustizia, rappresentò la debolezza storica dell’amministrazione ed uno dei motivi che consigliarono la nomina di un maggior numero di funzionari spagnoli.
La Spagna mostrò rispetto verso l’antiquato parlamento siciliano ed i privilegi dei nobili e del clero ma ciò non bastò a risparmiarla, a fronte di motivazioni sociali quali la fame e le tasse, dall’opposizione turbolenta e dalle ribellioni le quali trovavano, in contrapposizione, siciliani che, a difesa di interessi settoriali, accendevano candele all’immagine del re. Interessi settoriali di cui non erano immuni le località e quando Palermo insorgeva, Messina, con cui esisteva un antico dualismo, si univa entusiasticamente nella repressione, altrettanto accadeva allorché era Messina a ribellarsi (43).
Rivolte popolari contro le gabelle, il malgoverno e gli abusi della nobiltà avvennero, nel 1647, a Palermo, Catania, Sciacca, Girgenti ed a Messina.

A Catania si protrassero per un anno, con incendi, impiccagioni e scontri violenti fra le parti al punto che i nobili furono costretti ad abbandonare la città finché il vicerè accolse alcune richieste fra cui la nomina di un governatore che riportò l’ordine in città.

A Palermo, oltre ad una certa soddisfazione per le difficoltà della Spagna nella guerra dei trent’anni, era palpabile un qualche sentimento di indipendenza che si abbinava al malessere economico, accentuato dalle risorse inviate all’estero per sostenere le guerre degli spagnoli. L’agitazione per il troppo grano spedito all’estero aveva indotto Messina e Siracusa a sequestrare navi cariche di alimenti.
Nella primavera del 1647 altri eventi, come le condizioni atmosferiche avverse contribuirono a far sorgere pessimistiche previsioni per il raccolto ed a peggiorare la situazione. Dapprima il viceré Los Velez che fissava il prezzo del pane cercò di contenerne il prezzo la qualcosa fece affluire a Palermo popolo affamato in cerca di cibo a buon mercato. Quindi, nel maggio 1647, quando il vicerè promise che avrebbe tolto le gabelle sul cibo, i poveri affamati avevano già dato alle fiamme il Municipio, demolito gli uffici del dazio ed aperto le carceri. La folla era guidata da Nino La Pelosa, un pregiudicato evaso contro cui si schierarono le corporazioni artigiane (44) che, assaliti da sentimenti contrastanti in cui al risentimento per il fatto che l’amministrazione della città era in mano ai nobili si contrapponeva la considerazione che da questi dipendeva la loro attività, avevano buoni motivi per temere il dominio della plebe.

Quindi, grazie al loro intervento la rivolta fu sedata ed il La Pelosa trucidato. Il viceré, grato, affidò loro il presidio delle fortificazioni della città e riconobbe loro altre concessioni. Nel contesto degli eventi Messina (nota 43) cercò di accattivarsi il favore del viceré fornendogli risorse per controllare la rivolta di Palermo. Ma a Palermo la situazione sedata era apparentemente tranquilla in quanto la cessazione dei dazi municipali aveva lasciato l’amministrazione senza un soldo e le corporazioni fecero il tentativo di far pagare le imposte ai ricchi. Alcuni mesi dopo, in agosto, allorché giunse notizia del moto napoletano di Masaniello, riarse la rivolta guidata da un artigiano, Giuseppe d’Alessi, un personaggio generoso che aveva in animo di migliorare la condizione dei poveri senza venir meno alla lealtà verso la Spagna.
Egli fu inizialmente nominato capitano generale del popolo e, circuito dall’inquisitore Trasmiera, al fine di controllarne le mosse, cercò di ottenere concessioni dal viceré. Alessi assurse ad una posizione che, non essendo in grado di gestire, creò l’avversione da parte di alcune categorie (pescatori e conciatori), sostenute dai nobili e assecondate dall’inquisitore. Questi arrembava il popolo contro l’Alessi che, assieme ai suoi fedeli, fu assassinato dalle stesse categorie che lo avevano sostenuto. La rivolta rimasta senza guida, fu rapidamente soffocata e le riforme concordate, pur confermate dal viceré, rimasero lettera morta.

A Messina, città apparentemente prospera, già nel decennio precedente la rivolta, c’erano segni di malessere economico attribuibile alla crisi dell’industria della seta, al conflitto di interessi tra nobili e ad altre ragioni di carattere finanziario. Tant’è che qui vi fu una rivoluzione il cui gruppo dirigente, costituito da tempo, era rappresentato da un’elite di nobili, borghesi, intellettuali e dal vertice della polizia annonaria. Questo gruppo, intendendo difendere interessi essenziali per il proprio benessere, aveva sviluppato ideali repubblicani e cercato di annodare contatti con altre città come Siracusa, Ragusa, Catania.
Le altre categorie escluse, fra cui nobili minori e dirigenti delle corporazioni, costituivano un partito disomogeneo con il precedente. Nel 1674, i prezzi erano stabili ed i salari migliori che altrove, ma, a seguito di una serie di cattivi raccolti vi erano state delle ristrettezze con conseguenti ribellioni dei poveri contro le speculazioni operate dai ricchi. Questi vennero censurati dallo
strategoto (sindaco) che, per ripristinare la pace sociale, dimezzò il numero dei seggi della nobiltà nel consiglio comunale a favore delle classi inferiori, il ché fece sorgere, nei nobili, il timore che venisse incoraggiata l’inquietudine di queste classi.
L’elite ribelle pertanto vietò l’ingresso in città delle truppe spagnole, fece giustiziare alcuni capi democratici e chiese aiuto al re, in quel momento, più potente d’Europa, Luigi XIV di Francia. Questi, consapevole dell’importanza strategica della Sicilia, inviò il duca Vivonne, quale governatore della Sicilia la quale, a causa delle contrapposizioni fra Palermo e Messina, cadde in una rovinosa guerra civile.

Gli spagnoli inviarono vari contingenti ed una flotta che, nel giugno 1676, fu sconfitta dai francesi a Palermo senza che l’evento stimolasse alcun segno di ribellione contro gli spagnoli. I Francesi cercarono di fomentare il sentimento autonomista dei siciliani e la nobiltà era pronta a disertare il campo spagnolo in caso di accoglimento di interessi di parte che invece Luigi XIV, guardingo, non assecondò, respingendo la richiesta di supremazia su Palermo, avanzata da Messina.
I cittadini, avendo negli scontri già subito danni a colture, erano infastiditi dalla ingombrante presenza dei soldati francesi che, alloggiati nelle varie abitazioni senza pagare pigione, non rispettavano i privilegi dei nobili ed urtavano, su questioni di onore, la delicata sensibilità del popolo che, tantomeno vedeva esaudite le sue velleitarie attese (45). Messina si andò defilando dai Francesi che la abbandonarono senza negoziare una pace che la proteggesse dagli spagnoli e da Palermo.
Le famiglie che avevano gestito il governo della città, timorose delle ritorsioni, fuggirono con le loro risorse verso Tripoli e Costantinopoli, mentre gli spagnoli rientravano in città bene accolti.
Messina subì ritorsioni con abolizione del consiglio comunale ed eliminazione di tutti i privilegi ma la rivoluzione aveva lasciato segni nella popolazione che, sentendosi più insicura, aveva conservato le armi procuratesi durante le rivolte e concentrato il suo interesse sul privato, trascurando ancor più il bene pubblico.

La Sicilia, nel 1693, subì il catastrofico terremoto che, oltre alla distruzione di Noto (46) e Modica, arrecò gravissimi danni a Siracusa, Ragusa e Catania.
Divenne poi teatro di guerra per un intero anno allorché, nel 1718, nel corso della lotta di successione all’inglorioso regno di Carlo II (vedi sopra) fu invasa dall’esercito di Filippo V.


Sardegna
Con la conquista bizantina del sec. IX, la Sardegna era stata divisa nei
Giudicati di Cagliari, Torres, Arborea e Gallura che decaddero progressivamente con l’insediamento degli Aragonesi (trattato di Anagni *, nota 1).
Nei principali centri, privati dagli antichi ordinamenti si susseguirono, per circa un secolo e mezzo, ribellioni armate in opposizione alla feudalità spagnola che, comunque, ne uscì rafforzata inserendo nell’amministrazione suoi funzionari in sostituzione dell’elemento locale. La scelta fu fonte di contrasti che determinarono l’assassinio (1668) del vicerè, marchese di Camarassa, quale ritorsione per l’uccisione del marchese Agostino di Cantelvi che reclamava incarichi pubblici per i sardi, compreso quello di Viceré.
Il Parlamento locale, benché riaperto da Alfonso V (**, nota 1) non riuscì a stabilizzare una precaria situazione economica che, oltre ai riflessi della decadenza spagnola e della avidità dei feudatari, risentiva, come altrove, delle carestie, epidemie ricorrenti e delle calamità naturali.
Con l’assegnazione della Sardegna a Vittorio Amedeo di Savoia (1720) si costituì il primo nucleo territoriale e politico del futuro regno d’Italia.

FINE

 

- NOTE
1) Col simbolo (*) si rimanda al capitolo Meridione d’Italia Angioino ed Aragonese;
con (**) al cap. Meridione d’Italia Aragonese, stesso sito.
2) Aveva partecipato allo scontro fra Francesi e Spagnoli per conto di Venezia che formalmente si era dichiarata neutrale ma, di fatto, aveva aiutato questi ultimi, ragion per cui aveva mantenuto il controllo di alcuni porti pugliesi.
3) Giovanna fu sacrificata per l’anticonformismo religioso che aveva manifestato fin da giovane e per la ripulsa dei metodi dell’Inquisizione, istituita quest’ultima dai genitori nella Spagna bigotta di quel tempo (**, nota 1). Il suo presunto stato patologico (demenza), opportunamente enfatizzato e diffuso non fu mai accertato da alcun medico, analista o cronista del tempo. Ella, nel 1506 dopo la scomparsa del marito, fu relegata nel tetro palazzo di Tordesillas, custodita ma abbandonata dalla famiglia fino alla sua scomparsa nel 1555. Nel 1517 ricevette, a soli fini di legittimazione del potere, la visita del figlio Carlo che, bigotto quale era, nulla fece temendo le idee anticonformiste della madre. Allorché, nel 1520, scoppiò una rivolta contro Carlo, i rivoltosi liberarono Giovanna che, lucidamente, non accettò di avvallare la loro azione perché rivolta contro gli interessi del figlio. La rivolta fu repressa e Giovanna riimprigionata.
4) Allora si limitavano alle isole caraibiche, conquistate con i viaggi di Colombo. Successivamente si aggiunsero (1519) l’impero Azteca (Florida, Cuba, Messico, Guatemala ed Honduras) e, nel 1532, l’impero Inca (Perù e Cile) e conquistati rispettivamente da Hernan Cortés e da Francisco Pizzarro.
5) Luigi XII di Francia, vantando diritti ereditari derivanti dalla nonna Valentina Visconti, aveva estromesso (1500) Ludovico il Moro divenendo Duca di Milano fino al 1512, allorché gli Svizzeri gli sottrassero il controllo del ducato affidandolo a Massimiliano, figlio di Ludovico. I francesi, nel 1515, ripresero con Francesco I di Valois, il controllo del Ducato di Milano fino a che l’Imperatore Carlo V, con le sue truppe mercenarie dei cosiddetti lanzichenecchi guidati da Lautrec, ne assunse la tutela (1521) che, sotto il controllo di un suo governatore, affidò al fratello di Massimiliano, Francesco II, ultimo degli Sforza. Allorché questi morì, 1535, il governatore spagnolo di Milano, de Leyva, occupò le fortezze e fece prestare a tutti gli amministratori giuramento di fedeltà all’Imperatore, contrastando anche i tentativi della Francia di riappropriarsi di Milano che resterà spagnola fino alla fine del 1700.
Durante questa campagna, i lanzichenecchi, rimasti senza paga, presero l’iniziativa di saccheggiare e distruggere Roma (sacco di Roma), costringendo il Papa ad asserragliarsi a Castel S.Angelo, quindi non risparmiarono il sud, arrecandovi terrore e distruzione.
6) L’Impero ottomano o Turco musulmano che fu protagonista nell’area mediterranea, dal XIV al XX sec., nasce da un primo nucleo fondato nel 1299 in Anatolia da Osman capo della tribù turcomanna qayi, sui resti dell’ex sultanato selgiuchide. Dall’Anatolia gli ottomani conquistano la penisola balcanica, segnando la fine dell’impero Bizantino (1453), quindi il vicino oriente e l’Egitto. Con Solimano il Magnifico (1520-1566) l’impero raggiunge la massima potenza. Gli ottomani non si sono mai mescolati con le popolazioni conquistate lasciando larga autonomia e gestendo direttamente l’esercito e le rendite finanziarie. Nel XVII sec. inizia la decadenza che si rende via via evidente facendo emergere arretratezza economica, militare ed amministrativa. Le potenze europee, pur considerandolo l’impero ottomano “il grande malato”, lo mantennero in vita come corpo unitario in funzione antirussa. L’impero crollò dopo la I Guerra Mondiale, allorché fu smembrato nel novembre 1922.
7) Era stato sollecitato da Ferdinando Sanseverino, principe di Salerno, così come il suo predecessore Antonello di Sanseverino era tra coloro che avevano convinto Carlo VIII (1494) a conquistare il Regno di Napoli (**, nota 1).
8) Quella dei Paesi Bassi (1567) fu guidata da Guglielmo I d’Orange ed oppressa dalla brutale reazione spagnola condotta dal Duca d’Alba. Guglielmo d’Orange fu assassinato nel 1584 da un fanatico cattolico, dopo la ribellione del 1581.
Quella di Spagna fu causata dalla politica di conversioni forzate e di persecuzioni nei riguardi di ebrei e musulmani.
9) Il valore simbolico della vittoria conseguita a Lepanto va paragonata a quella di Poitiers (732) con cui Carlo Martello arrestò la penetrazione musulmana nell’Europa occidentale.
10) Nucleo territoriale che comprendeva Orbetello, Porto Ercole, Porto S.Stefano Talamone, Ansedonia, Piobino e l’isola d’Elba.
11) Nacque da questi eventi la rappresentazione satirica delle imprese spagnole con il Don Chisciotte di Manuel Cervantes.
12) Già nel 1492, con la cacciata dei Mori da Granata da parte dei re Cattolici Ferdinando II d’Aragona ed Isabella di Castiglia, venne emanato un bando che concesse agli ebrei sei mesi di tempo per convertirsi o espatriare. Gli ebrei rappresentavano a quel tempo circa 1/3 della popolazione. Metà si convertirono (marrani) e metà lasciarono la Spagna verso l’Africa e Costantinopoli o verso la Francia ed il Portogallo da dove poi saranno cacciati.
Dal regno di Napoli gli ebrei furono messi al bando dal viceré Don Pedro di Toledo.
13) Le Province Unite erano Olanda, Zelanda, Utrecht, Frisia e Groninga.
14) Tra il 1618 ed il 1648, la guerra dei trent’anni coinvolse le principali potenze europee con motivi molteplici e finalità diverse: dalla tendenza degli Asburgo ad accrescere la loro egemonia, alle mire espansionistiche di Francia ed alla esigenza della Spagna di garantirsi un passaggio verso l’Europa (la Valtellina). Si concluse con il trattato di Vestfalia.
15) Il padre Filippo V, da Madrid, gli cedette tutti i diritti regali sul regno conquistato. Quale contropartita gli Asburgo d’Austria acquisiscono il Ducato di Parma e lo manterranno fino al 1748. Alla morte del fratellastro Ferdinando VI, Carlo III diverrà re di Spagna (1759-1788).
16) I viceré risiedevano a Napoli, Palermo e Cagliari. La loro carica consentiva di ricavare enormi vantaggi, accasare opportunamente i figli, sposare ereditiere e venire in possesso di latifondi, o darsi al commercio, personalmente o attraverso membri della famiglia o addirittura armare navi pirate. La carica di vicerè, per i privilegi e le possibilità che offriva, era ambita e talvolta comprata.
17) La corrente calvinista, in Europa, incrinò tale concezione inducendo una concezione dello Stato non più ancorato al sovrano. La Spagna, non toccata da questo movimento, poté perpetuare il suo regime assolutistico.
18) L’epidemia di peste colpì il centro-nord, nel 1629-32, ed il centro-sud, nel 1656-57, provocndo la mortalità di circa un terzo della popolazione.
19) Nel XVII sec. Napoli, pur intrecciandosi con la grave decadenza dell’impero spagnolo, vide fiorire l’arte barocca di cui rappresenta una delle maggiori espressioni mondiali di questo stile accanto altri centri in Sicilia (Noto) e Puglia (Lecce e Martina Franca).
20) Così definiti perché pagavano la gabella al padrone che dava loro in affitto annuo il podere. Il gabellato.
21) Nel resto d’Italia il ceto medio era rappresentato dalla borghesia artigianale, imprenditoriale e mercantile.
22) Scrive il Croce : la strada dell’avvocazione parve la sola aperta agli uomini intraprendenti, perché quella delle armi non valeva più a tal fine e quella dei commerci e delle industrie mancava onde a vender fole ai garruli clienti divenne la vera industria ed il lucroso commercio interno di Napoli.
23) Stipato in bassi fatiscenti, forniva manovalanza alla malavita locale rappresentata dalla camorra, nata nel ‘600 dal nome di una bisca. Esso era particolarmente esposto alle calamità naturali che, nel periodo spagnolo, si manifestarono con tre terremoti (il più devastante nel 1688), la peste ed una catastrofica eruzione.
24) Costruito nel 1275 in epoca angioina.
25) Palazzo Reale sede dei viceré spagnoli ed austrici e poi dei re Borbone.
26) Tra cui duelli, musiche notturne, duoli luttuosi con urla e pianti nelle pubbliche piazze. I bordelli furono riuniti in un quartiere e furono rase al suolo le grotte di Chiatamone, convegno di prostitute e pederasti.
27) Era un pescivendolo la cui figura ha avuto risonanza europea ed, a seguito della “Storia napoletana dell’anno 1647” di M. Baldacchini, notevole fascino in ambito europeo e persino nella musica con le opere: “Muta di portici” di Auber ed il “Masaniello of Naples” di Horace Boscoe St. John.
28) Il governo francese, guidato dal primo ministro cardinale Mazzarino, non voleva aprire un fronte di guerra con la Spagna, attraversando esso stesso un momento delicato che sarebbe sfociato in una ribellione (1648) per motivi di natura fiscale.
29) Nell’arruolamento dei poliziotti, si evitava l’elemento locale ritenuto troppo coinvolto.
30) Un analogo processo di autonomia, conseguito pur in un contesto diverso, trova riferimento in quello conseguito dai cittadini di Saponara che, nel 1404, ricevettero dal re di Napoli, Ladislao di Durazzo (1399-1414), l’impegno a non infeudare il comune.
31) Fino ad allora la Basilicata era sottoposta alla provincia di Salerno. La scelta cadde su Matera che, con i suoi 60.000 abitanti, compresi quelli dell’agro circostante, era la città più vivace intellettualmente e più operosa del tempo con attività commerciali che si servivano dei porti pugliesi.
32) La disfida del 13.2.1503 si riferisce allo scontro, vinto dagli italiani, fra 13 italiani guidati dal capitano di ventura, Ettore Fieramosca di Capua e 13 cavalieri francesi in risposta all’accusa di codardia rivolta dal francese Carlo della Motta agli italiani al soldo degli spagnoli. La battaglia di Cerignola, svotasi nell’aprile successivo fra i francesi e gli spagnoli di Consalvo de Cordova che con questa vittoria e con la successiva di dicembre sul Garigliano concluse la conquista del regno di Napoli per la Spagna(**, nota 1).
33) Nota anche come pace delle due dame perché negoziata da Maria Luisa di Savoia, madre di Francesco I re di Francia (1515-1547) e da Margherita d’Austria, zia dell’imperatore Carlo V.
34) Corrispondente alla attuale provincia di Foggia. Il nome deriva dal catapanato bizantino, amministrato dal catapano (v. Meridione d’Italia dalla caduta dell’Impero alle dominazioni straniere – Sec. IV-XI, stesso sito)
35) Nel periodo del vicereame si registrarono notevoli testimonianze di cultura fra cui, a parte Campanella (nota 39), va ricordato il filosofo cosentino Bernardino Telesio (1509-1588) la cui opera principale è il De rerum natura, il poeta Galeazzo di Tarsia (1520-1553), il pittore Mattia Preti (1613-1699) la cui singolarità sta nel fatto di aver inviato molte sue opere nelle Chiese del paese di nascita, Taverna. A Cosenza si ritrovano palazzi appartenenti alle più importanti famiglie del tempo: Telesio, Tarsia, Sersale, Giannuzzi-Savelli, ecc.
36) Esse, benché diradatisi dopo la battaglia di Lepanto, non cessarono e vanno anche inquadrate nell’ambito della controffensiva turca contro la Spagna che investì tutto il vicereame. Molte di esse furono opera di corsari (il più famoso fu Dragut) fra cui anche rinnegati (cristiani che si convertivano all’islamismo) come Scipione Sinan Cigala proveniente da una nobile famiglia di Tiriolo ed Ulug Alì, detto Occhalì di Caporizzuto che raggiunsero posizioni di vertice. Per molti l’arruolamento sulle navi corsare rappresentò una opportunità per sfuggire alla povertà e per pochi anche una occasione di promozione sociale.
37) Tommaso Campanella (1568-1639), domenicano originario di Stilo in Calabria, contrapponendosi all’arretrato insegnamento ecclesiastico, subì diversi processi per eresia. Dopo il fallito tentativo di insurrezione rimase, fino al 1626, in carcere dove scrisse gran parte delle sue opere. La più celebre La città de Sole, modello totalitaristico della società ispirata al miglioramento biologico: la famiglia non esiste ed i bambini vengono allevati dallo Stato che li addestra per i suoi fini. Tutti uguali realizzano la felicità individuale ed il bene collettivo. Sembra che, in qualche misura, la visione ideale descritta abbia avuto pratica attuazione da parte dei Gesuiti, nelle Missioni cattoliche del Paraguay, tra la tribù Guaranì che abita il territorio delle cascate di Iguazù.
38) Il popolo spagnolo mostrava una orgogliosa superiorità nei confronti di ebrei e musulmani convertiti (moriscos) che furono dispersi su tutto il territorio per rompere i vincoli familiari, ponendo le basi per la loro espulsione.
39) La Goletta, fortezza avamposto situato all’ingresso della laguna di Tunisi.
40) La dominazione spagnola ha lasciato a Palermo trecce urbanistiche che si sovrappongono a quelle arabe. Alla fine del XVI sec. il viceré Maqueda, sventrando quartieri medioevali, fece costruire l’omonima via che incrociava l’arteria principale della città di costruzione araba, il cassaro (al-Qsar: castello), attuale corso Vittorio Emanuele, alla cui intersezione si apre lo slargo dei quattro canti che divide la città in quattro zone, dette mandamenti: palazzo reale (nucleo più antico), castellammare (quartiere mercantile), monte di pietà (quartiere islamico), tribunale (antica città fortificata, Kalsa, in cui vi è palazzo Chiaramente, sede del tribunale dell’Inquisizione spagnola).
41) Il termine spagnolismo è nato nel Ducato di Milano per significare gusto del fastoso, quindi ha assunto per la Sicilia la connotazione riportata.
42) Non avevano controllo sull’Inquisizione (**, nota 1).
43) In varie occasioni Messina si mostrò, per mentalità ed interessi più vicina alla Calabria che alla Sicilia. Con Palermo fu, anche per questioni di patronato religioso, in continua contrapposizione, quasi due capitali aspiranti ad assumere la leadership e tale da costituirne un handicap per lo sviluppo politico dell’isola. E pur se in qualche periodo le due capitali suggellarono patti di amicizia con scambio di ambasciatori, Messina fu ben felice di concorrere a reprimere le ribellioni di Napoli e Palermo ma la sua fedeltà era condizionata dal fatto di essere assimilata quasi ad una città stato indipendente.
44) I membri della corporazioni vivevano in zone della città che governavano, facendo giustizia da soli.
45) Per salvaguardare il senso dell’onore molte mogli e figlie persero la vita. Le velleitarie attese si riferiscono alle aspettative che la Francia inviasse gratis in Sicilia carichi di vettovaglie, mantenesse incarichi formali retribuiti e perpetuasse antiche protezioni del commercio.
46) Il terremoto coinvolse anche la Calabria e distrusse circa 45 centri, causando la morte di circa 60.000 persone. Esso rappresenta, con quello del 1908, l’evento catastrofico di maggiori dimensioni sul territorio italiano. La città di Noto, completamente distrutta, fu ricostruita secondo il gusto barocco che si affermava in quel tempo, divenendone uno dei centri più rinomati. La struttura urbanistica si sviluppa su tre strade principali e parallele sulla direttrice oriente occidente in maniera da risultare sempre illuminate. La luce del tramonto conferisce una tonalità rosata alla tinta dorata del calcare con cui sono costruiti le ammirevoli chiese e palazzi.


Francesco Savelli

 

segue:

IL MERIDIONE CONTESO DAI SAVOIA, ASBURGO, BORBONE
a margine delle guerre dinastiche europee

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