STORIOLOGIA HA RAGGIUNTO E SUPERATO I 2 MILIARDI DI VISITE > >
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GIUSEPPE TONIOLO

PREAMBOLO AL "TRATTATO DI ECONOMIA SOCIALE"
(opera integrale a fondo pagina)

ANNI '900

Foto di famiglia (per gentile concessione dei parenti ) Toniolo il primo a dx

GIUSEPPE TONIOLO (1845-1918) , sociologo, economista di fama internazionale,
fondatore nel 1889 di una Unione Cattolica per gli Studi Sociali in Italia.

Nel 1894 gettò le basi della prima "Democrazia Cristiana"

Il 31 dicembre 1896 apparve anche il primo giornale con questo titolo
e con il sottotitolo "In difesa dei figli del popolo"


Nel 1908 pubblicò il "Trattato di economia sociale", che
pubblichiamo integralmente, digitalizzato, nei documenti a fondo pagina e sgg.


Opera notevole per l'incidenza sul nuovo movimento sociale cattolico italiano a inizio '900, che ben presto, oltre che sviluppare il sindacalismo cattolico ( detto "bianco" per distinguerlo da quello diretto dai "rossi"), dopo la sospensione del
non expedit, i cattolici parteciperanno in modo massiccio alle votazioni del 1913, e, ottenendo l'elezione di una ventina di deputati - per la prima volta dopo l'Unità d'Italia"- i cattolici entreranno in massa nel Parlamento Italiano.


E' particolarmente interessante il "Trattato" che pubblichiamo in originale perchè ripercorre le ....


Una documentata analisi dell'Italia politico-economica fine Ottocento inizio Novecento.

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Chi era Giuseppe Toniolo

GIUSEPPE TONIOLO nasce a Treviso nel 1845; laureatosi in giurisprudenza a Padova nel 1867, rimase nello stesso ateneo, in qualità di assistente, sino al 1872 trasferendosi successivamente prima a Venezia, dove insegnò Economia Politica, poi a Modena, indi a Pisa, quale docente universitario ordinario, posto che occupò fino alla sua morte nel 1918.

Il periodo nel quale incomincia la sua attività è pieno di fermenti politici, religiosi e culturali: il pensiero marxista sposta l'attenzione sulle condizioni delle masse proletarie, denunciandone le disagiate condizioni di vita e di lavoro; per conto in campo economico, la teoria classica, con le sue idee di utilitarismo e di liberismo economico, arriva a qualificare come dannoso per la stabilità qualunque intervento che possa influire sull'azione delle componenti macroeconomiche; è questo anche il periodo della famosa enciclica "Rerum Novarum" di Papa Leone XIII ( vedi > ), con la quale la chiesa prende ufficialmente posizione in merito alla situazione operaia di quegli anni.


Toniolo elabora così una sua teoria, personale, sociologica, che vuole il prevalere dell'etica e dello spirito cristiano sulle dure leggi dell'economia. Propone una soluzione del problema sociale che rifiuta sia l'individualismo del sistema capitalista che il collettivismo esasperato propugnato dal socialismo, attraverso la creazione di corporazioni di padroni e lavoratori organizzate gerarchicamente e riconosciute dallo stato.

Nei suoi scritti avanzò numerose proposte di azione: il riposo festivo, la limitazione delle ore lavorative, la difesa della piccola proprietà, la tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli.


Dal punto di vista religioso Toniolo propugnava una azione più decisa dei cattolici in campo sociale, ai fini di una loro più incisiva partecipazione all'evoluzione storica di quegli anni; per sostenere con l'apporto di intellettuali le idee delle basi cattoliche fondò a Padova, nel 1889, L'unione Cattolica per gli studi sociali in Italia; a distanza di pochi anni fondava la " Rivista Internazionale di scienze e discipline ausiliarie", progettando la creazione di nuove Unioni, capaci di raccogliere le forze cattoliche e farne un movimento ordinato e rappresentativo, gettando così le prime basi della democrazia cristiana, esposte nel cosiddetto "programma di Milano"; una serie di principi e di proposte per il rinnovamento in senso cristiano della società.

Dei suoi scritti ricordiamo: "La democrazia cristiana" (1900), "Il socialismo nella storia della civiltà" (1902),"L'odierno problema sociologico: studio storico-critico" (1905), infine nel 1908....

"Il trattato di economia sociale"
che pubblichiamo nelle pagine seguenti.
 
Qui il pensiero del Toniolo si propone come risposta sia al pensiero marxista che a quello liberale.
Notevole fu l'incidenza del suo pensiero sul movimento sociale cattolico italiano, anche perchè a fine '800 inizio '900 la sua concezione paternalistica e moderata della sua democrazia cristiana prevalse sulle posizioni più avanzate di ROMOLO MURRI (
il prete marchigiano teorizzava una possibile convergenza tra dottrina sociale della Chiesa e movimento socialista e tra spirito religioso e istanza democratica - Fondò infatti la Lega Democratica Nazionale, ma venne sospeso a divinis, e nel 1909, dopo la sua elezione a deputato proprio con l'appoggio radicale e socialista, fu addirittura scomunicato).

Tuttavia negli ultimi anni di fine secolo, la Rerum, Toniolo, Murri, l'Opera dei Congressi avevano iniziato una rete organizzativa cattolica che andò estendendosi rapidamente in modo capillare soprattutto nell'Italia settentrionale (2.092 comitati parrocchiali, contro 1.536 nell'Italia centrale e 206 nel meridione) e in particolar modo in Veneto, lavorando nel vivo della società civile e dando vita a un gran numero di strutture non solo a sfondo culturale, ma anche di carattere economico e sociale: nel 1897 l'Opera dei Congressi controllava 588 casse rurali, 668 società operaie, 708 sezioni di giovani. Si trattava di una forza consistente, all'ombra della quale sorgevano e si sviluppavano iniziative di forte impegno sociale. Ma -morto Leone XIII nel 1903- con al soglio Pio X (e con la sua famosa enciclica Enciclica "Pascendi dominici grecis" ("Sugli errori del modernismo") nacquero i primi forti contrasti con le gerarchie della Chiesa che segnò la fine dell'Opera dei Congressi, fatta sciogliere da Pio X e dai potenti prelati conservatori nel 1904 perché GRISOLI il direttore condivideva le posizioni socialisteggianti di Murri)
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Toniolo ebbe incidenza anche sul pensiero di DON STURZO , che però a differenza del Toniolo stesso (più ossequente verso l'autorità ecclesiastica), voleva già nel 1905 (celebre il discorso a Caltagirone alla vigilia di Natale) costituire un movimento, un partito, formato da cattolici, ma democratico e autonomo rispetto alle gerarchie ecclesiastiche, e con un programma aconfessionale. ( e non era nuova questa linea da dare al movimento, e quindi allo stesso nome del movimento o partito - già in precedenza concepito come "Democrazia Cattolica", "Democrazia Cristiana", "Socialismo Cristiano" - Le polemiche su questo nome furono accese. Vedi in fondo tutta la questione)
Sia Murri che Don Sturzo,
attaccando gli intransigenti conservatori sostenevano che i cattolici si dovevano impegnare concretamente nella difesa delle libertà fondamentali e dei ceti popolari "anche appoggiando alcune battaglie dell'estrema sinistra".
Sturzo rinuncerà ad attuare praticamente l'idea ritenendo i tempi (con Pio X sul soglio) prematuri. Fonderà il suo Partito Popolare Italiano solo nel 1919. Un Partito con una corrente ben presto in conflitto con il Fascismo. Nel '23 Don Sturzo ("per non creare impicci alla Santa Sede") fu costretto a prendere la via dell'esilio. Rientrato in Italia, nel dopoguerra, entrò subito in contrasto con l'altra anima della DC, quella degasperiana - vedi il link accennato sopra con un ampia documentazione: la vita, gli scritti, le profezie del (così lo chiamò Mussolini) "sinistro prete", che poi morto nel 1958, lasciò la sua eredità a un altro "rompiscatole": a GIUSEPPE DOSSETTI (
affascinato dal modello e dall'esperienza del Partito di Palmiro Togliatti che, nelle cosiddette "regioni rosse", aveva saputo mescolare ed unificare i movimenti sociali della base con la ricerca, la selezione e la formazione di una classe dirigente di alto profilo in grado di far si che il PCI stesso, in tali zone del Paese, fosse identificabile con la "società"). Deluso dai politicanti di "mestiere", si ritirò dalla politica attiva, prese i voti ed entrò nel silenzio di un monastero. Ultima fase della sua vita fu un ritorno alla politica attiva dopo la comparsa sulla scena politica della destra di Silvio Berlusconi, di cui temeva la pericolosa carica eversiva.


Dossetti è morto il 15 dicembre 1996.


VEDI ANCHE

LA POLITICA CLERICALE E LA DEMOCRAZIA (DI MURRI)


la democrazia "cristiana"
il concetto, come lo espose Giuseppe Toniolo

1) "Se vogliamo risalire alle origini della Democrazia Cristiana, non possiamo prescindere da Federico Ozanam, per l'appello da lui lanciato ai cattolici di Francia, dalle colonne de « Le Corrispondent » del 10 febbraio 1848, - appena 14 giorni prima della rivoluzione, scoppiata il 24 del mese stesso - che conteneva, fra le altre, le seguenti parole:
« Andiamo al popolo ed aiutiamolo non tanto con l'elemosina, che è obbligazione per tutti, ma con gli sforzi ordinati a preparare e mettere in efficienza istituzioni che lo affranchino e rendano migliore".
(Vistalli, Giuseppe Toniolo, 1954)

Quanto all'origine del nome di Democrazia Cristiana, ecco quanto scrive il P. A. Brucculeri S. J.
« Sulla fine del secolo XVIII, il popolo diveniva un oggetto di lotta e di preda. Sognatori ed Ingenui, speculatori ed arrivisti, uomini così detti d'ordine e predicanti la rivoluzione si sbracciavano a proclamare rivendicazioni, diritti, elevazioni e sovranità del popolo; mentre i più senza volerlo ne preparavano fatalmente la depressione, che segue ogni propaganda ed azione sociale destituita di una sua concezione filosofica.
«Fu allora che dal clero e dal laicato cattolico si levarono nelle varie nazioni degli uomini di mente e di cuore, che disseminarono dei fermenti, che via via riuscirono col creare un movimento sociale, il cui programma doveva nei suoi capisaldi avere la conferma di un Papa magnanimo.


« Qual nome doveva darsi a questo programma di propaganda e restaurazione sociale, che s'ispirava alle dottrine della Chiesa per salvare il popolo, prostrato dall'atomismo liberale ed illuso dal miraggio seducente della palingenesi socialistica?
«Alcuni parlarono di un socialismo cristiano, e il P. Curci sotto questo titolo pubblicò il grosso volume, ch'ebbe la sorte poco ambita di restare intonso nelle biblioteche. Altri preferì, come il Nitti, la denominazione di socialismo cattolico; ma nè l'uno nè l'altro di questi nomi poterono generalizzarsi, giacchè era così compromesso ed essenzialmente vincolato a concezioni irreligiose il moto socialista, che il suo nome riusciva ripugnante ed antitetico accanto al qualificativo di cristiano e di cattolico. Fu invece bene accolto quello di cattolicismo sociale, finchè più tardi prevalse e s'impose il nome fatidico di Democrazia Cristiana.
«II quale non è, come altri pensano, di origine belga, ma bensì italiana. Nell'opera che abbiamo indicata del Curci, edita nel 1885, ricorre più volte allorchè parla della gloriosa Repubblica Fiorentina. È vero però che cominciarono i cattolici belgi ad applicarla all'azione sociale, che essi con gran vigore e buon successo intrapresero contro il socialismo. Nel 1891, il deputato Helleputte, nel congresso di Malines, rivendicava ai cattolici "la parola democrazia, perchè non ancora confiscata, e perciò esprime un'idea conforme all'Evangelo ". "Noi la prendiamo", aggiungeva "prima che ce la tolgano, e sapremo giustificarla".

«Nel congresso del 1893 il Verhaegen, per individuare il movimento cattolico e distinguerlo da opposte correnti democratiche, adottava la espressione di Democrazia Cristiana, definendola: "Il partito di coloro che intendono, senza usurpare il diritto altrui, rendere al lavoro il posto che gli spetta mercè opportune riforme da adempirsi sotto la bandiera di Cristo e della Chiesa".
Ben presto il nome si fece strada, e leghe e congressi e periodici, non solo in Belgio ma in Francia, Olanda, Italia e altrove, assunsero la qualifica di democratici, e democratici cristiani si dissero dei cattolici che si davano all'azione sociale. «Roma doveva consacrare l'uso di questo nome e dare il battesimo alla democrazia ».
(P. A. BRUCCULERI S. J. - «G. Toniolo, il milite della Democrazia Cristiana» - Milano, Soc. Ed. « Vita e Pensiero », pag. 5.6.)

Vent'anni dopo, erano già cresciuti, nella stima dei francesi, tre uomini, socialmente differenti ma profondamente uniti tra loro nello spirito e nell'idea : Renè de la Tour du Pin, il dottrinario, Alberto de Mun, l'oratore, e Leone Harmel, il realizzatore della Democrazia Cristiana.
Su questi però e nelle loro opere, si estende come bianca ala e li domina, l'Enciclica Rerum novarum, che fu il vero lievito fomentatore della cristiana democrazia nelle coscienze cattoliche.
Il 16 agosto 1893, a Liegi - fin d'allora grande centro cattolico di opere sociali - davanti ad un uditorio imponente di operai e di simpatizzanti, l'Abate Naudet, famoso per la sua eloquenza intessuta di armonie e di immagini, così parlò:
« Io saluto con entusiasmo il giorno in cui l'operaio avrà conquistato la sua dignità e ritrovata la sua domenica e il suo riposo nella notte, un giorno in cui sarà messo un limite alla durata del lavoro contro lo sfruttamento dell'avarizia e contro l'usura denunziata dal Pontefice. Io saluto il giorno in cui i consigli d'arbitrato saranno ovunque costituiti, in cui il salario minimo sarà deciso e fissato dal Consiglio della Corporazione; in cui la casa dell'operaio sarà veramente sua e dichiarata inalienabile quanto gli strumenti di lavoro; e una parte di denaro gli verrà riconosciuta e dichiarata, essa stessa immune da aggravi e sanzioni; il giorno in cui la Corporazione avendo costituita la proprietà collettiva a fianco della proprietà privata e senza punto intaccarla, potrà fondare delle istituzioni economiche che saranno non una elemosina o una elargizione, ma un diritto del lavoratore. In quel giorno, che io saluto, la donna potrà restare vicino al suo focolare, sicura di essere veramente sposa e madre, e di non venire gettata nell'officina, ove la sua fecondità è impedita o costretta a dare in luce - come dice il Taine, un analizzatore, non certo sospetto di tenerume, - dei poveri esseri destinati a popolare i cimiteri ».
Questo discorso ebbe subito una larga eco sopra dei giornali, i cui commenti finirono col fissarsi sulla duplice interpretazione opposta, dei conservatori e dei democratici. I primi vi riscontrano il prodromo di una rivoluzione e gli altri l'espressione rosea dei loro sogni e delle loro aspirazioni.

Anche in Italia gli animi si accesero, in quegli anni al nome ed al contenuto della democrazia, ed è riferendosi a quelle polemiche che il Toniolo scrisse:
« Nulla di più vago, di più intralciato, di più ribelle ad una formula teoretica, quanto questa parola democrazia. Ad intorbidare la comprensione, vi contribuiscono: teoricamente, la naturale complessità del concetto di democrazia, che può riferirsi ai vari aspetti della vita o politica, (o sociale, o civile, od economica) e che in ognuno di essi tocca gli istituti più delicati e fondamentali della società, la libertà, la proprietà, la solidarietà, l'eguaglianza; storicamente, le riminiscenze remote della democrazia pagana, e le impressioni prossime e immanenti della democrazia moderna, poste a contatto, intrecciate con le tradizioni della democrazia medievale, svoltasi di sotto le influenze del cristianesimo e del Papato: confusione e complicanza accresciuta logicamente da improprietà di linguaggio, attinto oggi troppo spesso al calore della polemica opportunistica; per cui spesso la parola eccede e travisa il concetto degli stessi disserenti. Invero nel concetto di democrazia, come oggi si discute, si sente e si intravede, vengono a sovrapporsi ed a collidere fra loro confusamente le idee di un determinato regime politico, a base popolare per eccellenza, di un governo di plebe e insieme di universale libertà ed eguaglianza, di conflitto di classe e di sovrapposizione di quelle inferiori alle superiori, di giustizia sociale che soppianta la carità, di interessi materiali che assorbono i più elevati, di mobilità sistematica che legalizza la rivoluzione, di aspirazioni sconfinate che vagheggiano e preparano i programmi radicali del socialismo ».

In questa congerie di nozioni, di malintesi, di equivoci e di fatti, annidano i temi delle discussioni e delle polemiche che arsero, per mesi e mesi, sulle colonne dei giornali e delle riviste del tempo.

Ma un giorno venne la parola d'ordine, che aprì gli occhi a chi li aveva chiusi e bendati, e portò la questione della democrazia dal terreno arroventato delle passioni a quello calmo della ragione raziocinante. E ciò si ebbe prima col discorso e poi con l'articolo del Toniolo, pubblicato dalla Rivista Internazionale di Scienze Sociali e discipline ausiliarie del luglio 1897, sotto il titolo:


« Il concetto cristiano della democrazia ».


Ed ecco, per somme linee, quello che ne è il contenuto.
Un fatto profondo, da tutti riconosciuto, si avverò nella seconda metà del secolo XIX, che interessa l'ordine delle idee per ripercuotersi in quello dei fatti; ed è la elaborazione, la promulgazione ed infine la accettazione d'un programma dottrinale e pratico di riforma della società da parte dei cattolici. Preparato di lunga mano, prima da uomini di scienza e di cattedra, poi da uomini di azione nel campo civile e politico, spesso da persone appartenenti alla alta gerarchia ecclesiastica, in Francia, in Belgio, in Spagna, in Austria e in Germania, più tardi in Inghilterra e negli Stati Uniti, e nella nostra Italia, trovò infine una forma sintetica, sistematica ed autorevole nelle encicliche di Leone XIII, e da esse ricevette la sua consacrazione.

Le linee maestre di rinnovamento cattolico della società erano così poste sicuramente, e da quel giorno il programma sociale dei cattolici, volenti o nolenti i partiti che si disputano la soluzione della crisi odierna, ebbe il suo posto accanto, al disopra dei programmi che militano in questa orbita litigiosa, in specie di quelli del partito della politica sociale (come s'intilola in Germania) e di quelli del socialismo, escluso il programma liberale perchè affatto negativo.
Grande avvenimento da cui comincia un nuovo e caratteristico momento nella storia delle odierne idee dei cattolici, quello dell'interpretazione, dello svolgimento e dell'applicazione dei documenti pontifici sul riodinamento degli Stati e della società.

La analisi, le discussioni, i dibattiti in questa ermeneutica dei pontifici ammaestramenti, possono estrinsecarsi in alcuni punti massimi di differenza, in specie circa la organizzazione della società per classi e la funzione dello Stato nell'opera riformatrice. E si tradussero in singoli programmi concreti di determinati gruppi o scuole di cattolici: l'uno conservatore del passato assetto sociale, e l'altro più arditamente innovatore.
Il dissenso dei cattolici non è più intorno ai principi fermati nelle encicliche, ma:
a) in talune deduzioni logiche dei medesimi, le quali si accettano più o meno lucidamente, più o meno docilmente;
b) e su taluni modi o mezzi di applicazione a singole questioni pratiche.

Allo scopo di unificare le menti e le opere intorno ad un certo ordine di idee, si manifestò un bisogno speciale fra i cattolici pensanti, desiderosi di rinvenire una espressione sintetica che comprenda e scolpisca un intero programma.
Si attribuì così dapprima al programma dei cattolici la nomea insidiosa di socialismo cattolico, poi di cattolicismo sociale, di partito sociale cattolico, infine una parte crescente di studiosi e di operai cattolici, in più luoghi, si compiacque intitolarsi della Democrazia Cristiana.

Parve un progresso e prometteva di esserlo: ma ecco sorgere i contrasti a motivo di collisioni storiche ed ideologiche. L'autore non manca di osservare che in mezzo a correnti secolari, il cristianesimo insinuò, maturò, tradusse in atto un concetto originale efficacissimo della democrazia, che nessuna mente di legislatore o vocazione civile di popolo aveva nella sua integrità prima intuito.
Tale concetto risponde ad argomenti di ragione per l'armonia con i principi e le virtù del Cristianesimo, si avvalora delle esperienze storiche della Chiesa, massime del Medioevo, che fu detto « la balda giovinezza dell'ordine sociale cristiano ».

Ma questo concetto di democrazia va ritratto ed illustrato da argomenti di filosofia, di religione e di storia.
Che cosa è la Democrazia? Questo è l'assunto che il Toniolo si propone di dimostrare. Egli definisce la Democrazia:
«Quell'ordinamento civile nel quale tutte le forze sociali, giuridiche ed economiche, nella pienezza del loro sviluppo gerarchico, cooperano proporzionalmente al bene comune, rifinendo in ultimo risultato a prevalente vantaggio delle classi inferiori ».

Risulta da questa definizione che:

I - L'essenza della democrazia si desume dal fine cui converge l'insieme dei rapporti civili.

II - Questo fine rimane quello che è, ossia l'unica ragione d'essere dell'umano consorzio : il bene comune.
La sua giustificazione poi trae dai principi dell'ordine sociale. Quindi:
a) L'ordine umano sociale deriva remotamente dall'autorità di Dio, che all'uomo prescrive il fine e i presidi di cui valersi per conseguirlo e prossimamente dal dovere degli uomini di riconoscere e cooperare alla sua attuazione.
b) L'ordine sociale prima che sul diritto si fonda sul dovere in tutte le sue applicazioni, dovere di religione verso Dio e di giustizia verso di sè e dei propri simili.
c) Tale ordine sociale, fondato sul dovere, è prestabilito da Dio a vantaggio di tutti, ma incombe ai singoli in proporzione delle capacità e delle attitudini rispettive, e quanto agli altri in proporzione del bisogno che ne hanno. In ciò sta l'essenza della Democrazia. E nella giustificazione che così se ne fa, nulla d'illogico, d'artificioso e di violento.
La democrazia piene per tal modo a confondersi col concetto di ordine sociale, che per natura sua e dei suoi fini riesce in ultimo a particolare tutela e sollievo dei deboli e degli umili. E intende a questo fine senza alterare l'organismo della società lasciando intatta, anzi presupponendo l'essenziale costituzione degli elementi e delle forze sociali. Ottiene il suo risultato mercè la guida della giustizia e della carità sorrette dal sacrificio personale.

III - Tale concetto dell'ordine sociale, che di natura importa una speciale tutela e sollecitudine delle moltitudini inferiori (ciò che compone la sostanza della democrazia) appena intraveduto da qualche genio solitario, senza eco nel comune pensiero, non si insinua, non si svolge ed infine non grandeggia nella sua prosperità, nella sua giustificazione logica, soprattutto non si tradisce nelle idee, nella coscienza e nella vita operativa dei popoli, se non nel giro e sotto gli influssi del Cristianesimo.
L'Autore si richiama qui, per la dimostrazione, ai Libri Sacri dell'Antico e del Nuovo Testamento.
Già nei libri della sapienza divina troviamo affermata la sollecitudine perso gli umili ed i diseredati sulla base dei principi di eguaglianza, libertà e fratellanza, cardini dell'ordine sociale. Questa sollecitudine si estende ai deboli, derelitti, operai, agricoltori, orfani, vedove ecc.
La giustizia, fondamento dei regni (ordine sociale), viene munita di intense e severe sanzioni in pro delle moltitudini.
Negare la mercede agli operai ed opprimere i deboli, sono peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio. La legislazione teocratica, osserva il Toniolo, è un complesso sistema economico, inteso a contenere i ricchi e salvaguardare i poveri. Ne fan prova le maggiori istituzioni: il sabato, il settennato, il giubileo... Si aggiungano a questi le istituzioni giuridico-sociali, per mantenere l'unità del corpo sociale.
Nei libri del Nuovo Testamento, si schiudono nuovi e più ampi orizzonti.
Il cristianesimo perfeziona l'ebraismo affermando ed illustrando ancora più chiaramente i principi di eguaglianza, libertà, fratellanza ed eguale umana solidarietà. Gesù Cristo precede con gli esempi, cui seguono gli insegnamenti. E basta scorrere il Vangelo per farsi un'idea del suo trattamento verso gli afflitti, i negletti, i poveri. Nè si rimette solo alle sanzioni della vita futura, chè già di quaggiù egli rivendica e tutela la dignità negli uomini di fratelli e figli di Dio.

IV - La Chiesa e la Democrazia. Opportunissime e chiarificatrici le parabole di N. S., tra cui quella di Lazzaro mendico e del ricco epulone, che mette a nudo la missione sublime e gravida di responsabilità dei ricchi. Onde si può dire che dal giorno in cui la dottrina di Cristo si divulgò ebbero con essa e per essa ad esprimersi nuove idee sociali, da cui poteva e doveva uscire un assetto nuovo dell'umano consorzio, che il Toniolo definisce:
« Un ordinamento di forze sociali converso al bene comune, nel quale legittimamente, per virtù di giustizia e di carità, tiene un posto predominante il benessere delle classi inferiori ».

E come la democrazia si tradusse in atto? per opera della Chiesa, custode della dottrina di Cristo e continuatrice sulla terra della sua mssione. Essa importa da questa dottrina, quando consacra i Re, e la nobiltà e la borghesia mercantesca del Medio Evo... Ma più che mai essa si prende a cuore le classi più umili coi seguenti provvedimenti:

a) Poco a poco procede all'abolizione della schiavitù, allevia e trasforma la servitù della gleba. Coi tribunali episcopali rende al popolo la giustizia che gli è negata altrove; introduce e trasforma l'ufficio della tutela a pro delle vedove e degli orfani; stabilisce i diritti di umanità e di asilo. Assume sotto le sue ali i transfughi della zolla servile e della prepotenza feudale e scalda i germi dei futuri comuni feudali.

b) Alla nobiltà terriera, erede della brutalità germanica munita della duplice forza militare e politica, intima di assumere col dominio la tutela dei volghi abbrutiti sulle zolle; e ne esce l'istituto del patronato, quasi estensione dell'ufficio di paternità sulle moltitudini rurali, e l'altro della cavalleria che consacra il braccio e la spada a rivendicazione degli innocenti e degli oppressi.

c) La borghesia, cupida di plutocrazia, infrena ed induce a rispettare le plebi cittadine contadinesche, prone a ricadere sotto la duplice servitù del debito e dell'ignoranza, e ne sorgono le accomandite, i censi e le mezzadrìa, in cui le moltitudini operose si trovino fraternamente associate negli esercizi della produzione.

Certo - e il Toniolo non è uomo da permetterselo - questo confortevole programma attraverso i secoli non trovasi tradotto in opera senza oscuramenti, soste e ricorsi. L'ordine sociale anche dell'umanità redenta raffigurerà sempre un edificio ammirevole; intravisto dalla mente attonita, ma pur sempre in qualche parte interrotto, corroso, diruto... Ma questo è fuori dubbio, che il giorno in cui fu annunciato cominciò un moto di ridestamento dei volghi e una sequela di pacifiche rivendicazioni morali e di graduali elevazioni civili, economiche, politiche.
E il movimento democratico fu un fatto che a sua volta determinò la legge storica dell'incivilimento; e la Chiesa come fu riconosciuta autrice dell'ordine sociale dovette anche proclamarsi fautrice e creatrice della vera Democrazia Cristiana.


Ciò che è essenziale
e ciò che è accidentale nella Democrazia.

Il Toniolo ci tiene a che non si confondano nella democrazia due cose: ciò che deve essere nell'ordine sociale della cristianità, e ciò che può essere ed inclinar ad essere, sotto data condizione e climi diversi ma senza comporre il prodotto necessario di essa.
L'essenza della democrazia (lo ripetiamo di nuovo) è determinata dal fine e «consiste nella cospirazione del pensiero, opere e gradi sociali al bene comune e prevalentemente delle classi disagiate».
Ma una volta accesa e fatta splendere l'idea finale del popolo e della sua dignità ed importanza, è logico e probabile che l'assetto sociale vi si pieghi e atteggi in modo da meglio servire allo scopo.
Avremo allora istituti privati, classi sociali e forme politiche che possono mutare. Ma questi sono gli accidenti, non la sostanza dell'organismo sociale. Ora queste hanno un ufficio e valore relativo; comunque possono essere indizio di un avanzamento sociale. Non si dimentichi che la democrazia nel suo concetto essenziale si immedesima con la nozione stessa di ordine sociale civile, fondata sul dovere. È però in questo suo contenuto essenziale, e non si confonde con alcuna forma di governo e di regime politico. È più democratico quello Stato che, qualunque sia il suo regime, meglio tuteli gli interessi di tutti. Così la monarchia di S. Luigi IX fu indubbiamente più democratica che la repubblica di Ottavio Oliviero Cromwell.

Perciò sarebbe antistorico ed illogico lo scorgere la democrazia soltanto nei comuni sovrani di Firenze, Siena, Genova, Milano e non già nei Borghi inglesi, nelle Anse germaniche, nei Feudos spagnoli, nei Cantoni svizzeri, nelle provincie unite d'Olanda, sotto un involucro di reggimenti popolari il più vasto e complesso. In ogni caso, gli scrittori cristiani di scienze politiche erano ben lungi dall'immedesimare il regime democratico con la partecipazione universale delle plebi al potere. Anzi il popolo politicamente non visse soltanto entro i grossi parlamenti, bensì, piuttosto, negli organismi autonomi dei Comuni, delle Corporazioni rivestite di funzioni civili, nelle Università campagnole, nelle Vicinie parrocchiali, nella autorità feconda delle consuetudini giuridiche sociali.

La Democrazia Cristiana pertanto potrà rifluire occasionalmente nell'aspetto politico degli Stati ma la sua esistenza e i suoi destini aleggiano al di sopra di qualunque forma di governo.
In via accidentale potrà anche avvenire - è probabile anzi che avvenga - che le popolazioni democratiche cristiane - la cui spinta a salire dovrebbe essere data dalle classi sedenti sul vertice, - e la nobiltà del sangue, delle tradizioni, ed anche della ricchezza, si trovino ogni giorno più un nuovo ceto crescente per numero e per influenza direttiva, cioè una nobiltà popolare i cui titoli vengono dalle opere dell'ingegno e della virtù nonchè dalle benemerenze popolari in pro della società: finalmente nei rapporti economici la Democrazia Cristiana non involge affatto l'eguaglianza di ricchezza, pareggiamento comunista delle ricchezze nel loro uso, usurpazione e trasformazione della società. Tutt'altro anzi: la legittima libertà del lavoro, del risparmio e dell'impiego, favorirà una costante differenziazione di possessi e di condizioni economiche. Soltanto si esigerà che nella coscienza e nelle consuetudini sociali si accolga e trapassi il concetto vero della proprietà, che è quello cristiano con i corrispondenti doveri.

Così in via accidentale ma per processo logico e storico pienamente legittimo, la Democrazia avvierà ad una equa ripartizione dei beni che abbrevi la distanza tra gli abbienti ed i nullatenenti, fra la plutocrazia in alto ed il proletariato in basso.

La Democrazia finalmente, rispetto ai mezzi di attuazione del suo programma, si fonda sulla giustizia e la carità, Non però soltanto sopra una giustizia commutativa, come insinuerebbe una filosofia individualista liberale, ma ancora sopra una giustizia distributiva, con le relazioni da superiori ad inferiori, come richiede l'esistenza organica di classi. Nè semplicemente sopra una carità materiale ristretta ad elemosine o sussidi, ma in aiuti morali, con i quali si metta a disposizione degli inferiori mente e cuore ed operosità dei ceti superiori: quindi una giustizia e carità dominata da una più alta concezione del dovere etico sociale.

E tale democrazia non è, non può essere, e non fu mai altra che quella cristiana. Ed essa, storicamente, nella sua pienezza, non si riscontra o avvera che nel cattolicismo, il quale nell'ordinamento e nella vita della Chiesa offre in tutti i secoli il modello di una virtuale insuperabile democrazia.
E questo fatto virtualmente perenne si converte in legge dell'incivilimento, che traducesi nella graduale elevazione dei più umili e numerosi.


La Democrazia anticristiana.

Il Toniolo oppone alla Democrazia Cristiana le altre che si idoleggiano nel mondo laico di oggidì. E sono le democrazie anteriori al cristianesimo ed anche posteriori. Tali democrazie presentano caratteri diametralmente opposti a quelli della democrazia cristiana. Essi infatti denotano una forma di governo politico contrario allo sviluppo gerarchico delle classi sociali, inteso anzi a tutte asservirle ad una sola.
Lo scopo che esse si prefiggono non è il bene comune ma l'interesse egoistico proprio dell'unica classe. E tutt'altro che fondarsi sulla giustizia e sulla carità, essi hanno per solo presidio una iniqua coercizione giuridica e materiale, e geneticamente poi derivano dalla violenza e dal sopruso.
Tali le democrazie che furono prima del Cristianesimo, principali quelle tanto vantate di Grecia e di Roma. E tali quelle razionalistiche che fiorirono dal Rinascimento classico e via via dal protestantesimo, dalle rivoluzioni e dal regime liberale del secolo XIX.
Conglobate insieme queste democrazie, per l'origine, lo scopo e i presidi o mezzi di cui dispongono, formano una unica democrazia che in opposizione a quella da noi illustrata si può denominare la democrazia anticristiana.

Hanno, l'una e l'altra, delle tradizioni? Senza dubbio, e la storia ce le documenta in pieno. Anzi le loro tradizioni perdurano nelle nostre società occidentali. Queste due correnti - comunque logicamente contrarie - nel fatto si sovrappongono e facilmente si confondono. E di codesta eterogenea commissione di indirizzi sono inconsapevolmente, loro malgrado, partecipi i cattolici stessi.
Non vi è saggio (fu scritto) che non condivida i pregiudizi del proprio tempo e tanto più facilmente in questo della democrazia; chè tutti sanno comporre il problema complesso e compromettente di questo momento, e quello che in vario senso (giusta la differente soluzione) dominerà il secolo venturo.

4) Dopo un secolo dalla pubblicazione del Toniolo sul concetto cristiano della democrazia, è legittimo domandarsi se esso fu dovuto esclusivamente al suo impulso o ad un consiglio ed ispirazione sovrana. Io non ho dubbio che il Toniolo si sia posto all'opera del saggio sulla Democrazia, dietro un invito di Leone XIII. E gli indizi sono i seguenti:

a) anzitutto il Toniolo, uomo di assoluta competenza negli studi sociali, era però così modesto e delicato di coscienza da non presumere di erigersi a maestro e giudice nelle astiose questioni che allora dividevano i cattolici, un po' dappertutto ma specialmente in Italia;

b) e tanto più in quanto le divisioni si erano aperte su quel campo sociale che era stato schiuso da Leone XIII colla Enciclica Rerum novarum;

c) d'altra parte dove poteva trovare, il Papa sociologo, un uomo meglio adatto di Toniolo a tracciare una linea e programma di azione sociale, valevole a derimere le questioni ed avviarle verso una equa soluzione?
Si aggiunga che, da quando sulla fine del 1889 venne istituita a Padova « L'Unione Cattolica degli studi sociali », il Toniolo divenne (e risulta dalla sua corrispondenza) il fiduciario, in fatto di scienze sociali, di Papa Leone XIII.

 

A FAVORE - I DUBBIOSI - LE POLEMICHE
INTORNO AL CONCETTO "DEMOCRAZIA CRISTIANA"
espresso dal Toniolo

 

A FAVORE

Nel luglio 1897, Sua Santità ricevette in privata udienza l'illustre sociologo francese Henry Lorin, cui si accompagnava un altro campione dell'idea cattolica sociale di Francia, Georges Goyau. Di ritorno in Francia, Henry Lorin passando per Torino, ebbe un colloquio col P. Giuseppe Chiaudano S. J., il quale in data 1° agosto così scrisse al Toniolo
« Reduce da Roma, fu qui da me Henry Lorin, che aveva avuto una lunga udienza da Leone XIII: e di questa udienza mi disse cose che io non posso ripetere a V. S. senza offendere la sua modestia; e George Goyau, che gli fu compagno nell'udienza mi scrisse che, secondo il Papa, le speranze dei democratici erano riposte nel Prof. Toniolo ».

Siamo nell'estate del 1897, dopo l'apparizione nella Rivista Internazionale di scienze sociali dell'articolo di Toniolo. In data 4 luglio 1897, il Card. Agliardi scriveva a sua volta al Toniolo:
" Mio Sig. Professore,
La S. Sede non è stata per ora chiamata a dirimere la questione della Democrazia Cristiana. Ciò non toglie che essa sia ben informata della polemica sorta tra il Corriere di Torino e l'Osservatore Cattolico di Milano. Il Cardinale di Stato desidera ch'ella pubblichi., e al più presto, la bella conferenza che ha tenuto qui a Roma sulla Democrazia Cristiana".


Mons. Giacomo Radini Tedeschi, in data 5 luglio 1897, scrisse anche lui al Prof. Toniolo
"Carissimo Professore,
Il Card. Rampolla - a cui or ora ho parlato della questione torinese - mi ha dato incarico di scriverle che desiderava vivamente sia da lei stampata subito subito, in opuscolo a parte, la sua conferenza sulla Democrazia Cristiana. E' importante anzi che Ella lo faccia al più presto, e ne sarà doppiamente contento; e per la questione che si chiarirà in buon senso e per la corona che avrà il suo lavoro".


Ha la data del 20 luglio 1897, la seguente dell'E.mo Rampolla al Prof. Toniolo:
"Illustre Signore,
Ben gradita mi è stata la notizia comunicatami da V. S. I.ma della prossima pubblicazione del suo opuscolo « Il Concetto Cristiano della Democrazia ». Non appena ne avrò copia, mi sarà gran piacere farne omaggio al S. Padre".


Ernesto Vercesi ci assicura che l'articolo di Toniolo sul « Concetto Cristiano della Democrazia » si trovò in bozze sulla scrivania di Leone XIII, per oltre una settimana. Un fatto, anche questo, che non si spiega se non riferendosi a precedenti intese ed incarichi che il Toniolo ebbe dal grande Pontefice. Rimane quindi acquisito che l'articolo di Toniolo o direttamente o indirettamente fu ispirato da Leone XIII, come un tentativo di pacificazione dei Cattolici Italiani sul terreno sociale cristiano.
A riprova di ciò, abbiamo consensi che vennero via via espressi al Toniolo dall'Italia e dall'estero e di cui è prenunzia la seguente del Marchese Crispolti:
"Cuneo, 29 luglio 1897
Gent.mo e caro professore, Gradirei estremamente di avere, appena sarà pubblicato, il suo articolo sulla Democrazia Cristiana, che qui in Piemonte avrà una vera efficacia opportunissima, poichè il tema agita tutte le menti, e vedo dal brano pubblicato su «L'Avvenire d'Italia » che Lei ha ben saputo illuminarla e chiarirla"
.


Interessante il pensiero dei pastori della Chiesa.

"Treviso, 3 agosto 1897.
Mons. Giuseppe Appolonio, Vescovo di Treviso, ringrazia l'illustre Prof. Toniolo del prezioso opuscolo che si è degnato mandargli in dono.
« Questo stupendo, magnifico, opportunissimo lavoro, che io avevo evidamente letto nell'ultimo fascicolo della Rivista Internazionale, piacerà assaissimo al S. Padre ».

Esso richiama e pone in vivissima luce una questione di suprema importanza ed è destinato a produrre un gran bene.
Il Card. Patriarca di Venezia, Eminentissimo Giuseppe Sarto (futuro Pio X) scrive all'autore
«Ringrazio vivamente la Signoria vostra illustrissima del dono che ella mi ha fatto del suo magistrale lavoro " La Democrazia Cristiana " che io aveva già letto ed ammirato sulla Rivista Internazionale. La ringrazio del bene che esso farà, avendo ella messo chiaramente nel suo aspetto la tesi che tanto agita gli animi ».

Il Card. Andrea Ferrari, Arcivescovo di Milano, non è meno esplicito:
« Ho già visto nel periodico Rivista di Scienze Sociali il suo magnifico lavoro sul concetto cristiano di democrazia e mi piacque assai. Oh, valga esso a porre termine a certo dissidio, nato non so dove e prolungantesi già troppo e con gravissimi danni ».

Mons. Agostino Riboldi, Vescovo di Pavia, e futuro Card. Arcivescovo di Ravenna, così si esprime a sua volta
"Egregio signor Professore, Pavia, 5 agosto 1897 Mi congratulo sinceramente con lei dell'opportunissima e veramente saggia conferenza, di cui mi ha voluto fare omaggio, e benedico il Signore da cui ogni miglior dono discende a gloria della Chiesa ed a vantaggio degli uomini. Con quella così vera e capitale distinzione del concetto essenziale della Democrazia e degli elementi suoi accidentali, ella ha messo la Democrazia in tale condizione che proprio nessun cattolico ne può fare viso arcigno. La Democrazia, nella sua sostanza, non solo è logicamente e veramente giusta e giustificata, ma è il frutto della legge di giustizia e di carità, presa in quella perfezione che vi ha scorto il Divin Maestro. Ed anche le conseguenze accidentali che sorgono o possono sorgere da quelle sostanziali non possono non essere giuste e provvidenziali".

La testimonianza degli amici e dei dotti.

Mons. G. Tiberghien, il noto prelato francese, così scrive da Roma al Toniolo, in data ottobre 1897:
« Ho ricevuto il suo dono prezioso intorno al concetto cristiano della Democrazia con l'animo pieno di riconoscenza. E non so dirle la soddisfazione provata nello scorrere le splendide pagine, soddisfazione della quale da lungo tempo non ho mai provato l'uguale.
Sento di non potere sdebitarmi con un ringraziamento puro e semplice per il dono estremamente gradito, specie in questo momento in cui la polemica dei nostri giornali induceva a desiderare che una penna maestra si facesse innanzi a stroncarla ».

Il Marchese G. D. Volpe Landi di Piacenza, in data 20 luglio 1897, scrive:
« La ringrazio sentitamente dell'omaggio gentile che mi ha fatto del suo importantissimo lavoro sul concetto cristiano della Democrazia. Importantissimo ed opportunissimo, nel momento presente in cui c'è tanta confusione e passione nel sostenere e combattere la democrazia. Il suo scritto, così chiaro e così preciso, illuminerà tutti noi ».

Mons. Giuseppe Ballerini di Pavia
"Pavia, 31 luglio 1897
Ill.mo e carissimo sig. Professore, Il suo articolo è un vero trionfo della verità e della causa cattolica. Tutti eravamo d'accordo nei principi fondamentali ma non tutti (io compreso) vedevamo le conseguenze ultime di quei principi. Colla sua analisi minuta, comprensiva e profonda del concetto di società ella mi aperse tali orizzonti da dissipare non solo tutti gli equivoci e le confusioni, ma da determinare un nuovo progresso anche nel campo cattolico. Sia benedetto Iddio. A voce le domanderò qualche schiarimento più per mia istruzione che per opposizione. Fin dove posso, sarò anzi difensore e propagatore indefesso del suo Saggio in merito.
Dev.mo aff.mo
Prof. GIUSEPPE BALLERINI"

 

Altre lettere significative.


"Roma, 13 agosto 1897
Illustre sig. Professore, Lessi la sua Democrazia nella Rivista Internazionale; ne fui entusiasmato ma non le scrissi nulla, perchè riflettei che in mezzo alle numerosissime congratulazioni che ella avrà ricevuto, le mie non avrebbero alcun valore.
Ma ella con un atto di cui non so se debba ammirare più la sua umiltà o l'amicizia che tanto mi onora mi inviò il suo stupendo scritto richiedendomi del mio giudizio. Signor Professore, vuol proprio sapere cosa mi ha scritto un amico? L'ha definito lavoro di un intelletto sovrano e di un cuore di santo. Professore S. C."

Biella, 3 agosto 1897
"Illustre Professore, ho letto con immensa soddisfazione la sua grande monografia sulla Democrazia Cristiana. Ella ha colorito un quadro splendido ove la società umana appare in tutta la sua forza e maestà che le seppe dare il Cristianesimo ponendole innanzi come faro e vessillo supremo il Crocifisso.
Non si possono scorrere le sue pagine senza sentirsi commuovere per l'onda inesauribile di idee fecondissime. Professore A. SIMONETTI"

Luglio 1897
"Egregio Signor Professore,
Nessun altro che lei, illustre professore, poteva illustrare con tanta chiarezza la Democrazia Cristiana nel suo concetto. Per questa via si cerca il bene e si salva la patria dalle rovine.
Il suo opuscolo fa dire: Ecco un programma che, basato sulla nostra storia e sulle dottrine civili e sociali della Chiesa, può essere il programma della rigenerazione italiana. Professore FRANCESCO BARONI".

Roberto Puccini, scrive da Colle di Val d'Elsa nel luglio 1897:
« Ella, carissimo professore, è dei pochi (dovrei dire unico) di coloro che lavorano con vera conoscenza di causa nel campo delle dottrine sociali cattoliche, ed anche in questo suo scritto ha portato la giusta nota nel concerto non sempre armonico degli scrittori italiani ».

Franco Invrea, a sua volta, scrive:
« La conferenza sua rappresenta un nuovo passo in avanti e risoluto del Movimento Cattolico Italiano, proprio nel senso Democratico Cristiano, e credo che farà epoca in Italia e fuori ».

Il Canonico Professore Giuseppe Piovano di Torino, già dalla fine di agosto 1897 parla dei buoni frutti prodotti dallo studio del Professor Toniolo
« Molti che in buona fede seguivano il Corriere Nazionale hanno già aperto gli occhi e stanno ora con noi. Parecchi (anche sacerdoti e professori che conosco assai bene), infetti di liberalismo, non osano più fare guerra alla Democrazia: taluni articoli infelicissimi da essi pubblicati sul Corriere Nazionale suscitarono il riso e l'indignazione di tutto il Piemonte. Ma oggi hanno un certo riserbo e non potranno più nuocerci: parecchi altri sono titubanti. Ma i più giudiziosi ed operosi, si sono rivolti alla Democrazia ed il numero di costoro va continuamente crescendo ».

Attestazioni dall'estero.

Gli ammiratori di G. Toniolo si moltiplicarono dopo la pubblicazione del Concetto Cristiano della Democrazia. Gli antichi amici quali il Decurtins, il Beck, l'Hitze, il Pieper, di lingua tedesca, ebbero una folta schiera corrispondente di lingua francese, come i già conosciuti De Mun, H. Lorin, Goyau, Gairaud e soprattutto Leone Harmel, che più volte fu tra i suoi uditori alle conferenze romane. Egli divideva in pieno il suo pensiero su la Cristiana Democrazia e ne riferiva con sereno entusiasmo ai suoi amici di Francia.

L'abbè Paul Six scriveva al Toniolo
« Veneratissimo professore, ho l'onore di indirizzarle il numero della nostra rivista, La Democratie Crethienne, in cui il vostro recente studio " Il Concetto della Democrazia Cristiana " è ampiamente analizzato e commentato dalla penna di uno dei nostri più valorosi redattori. Voglio credere che egli abbia ben colto e interpretato il pensiero di Vostra signoria.
Siamo pienamente d'accordo quanto alla Democrazia Cristiana come da lei esposta, ma non sono affatto dell'avviso che l'ora dell'evoluzione storica, nel senso proprio della parola o meglio dell'idea, sia oggi suonata ».

L'illustre Padre Dehon, fondatore e procuratore dei Missionari del Sacro Cuore, scriveva al Toniolo da Saint Quentin (Aisne) in data 9 agosto 1897:
« La ringrazio assai dell'invio del suo libro " La Democrazia Cristiana ". È cosa perfetta, spero di vederlo quanto prima tradotto in francese. Esso contribuirà molto a placare le controversie sollevate in Italia, in Francia, in Belgio ed in Germania. Ella ha pienamente dimostrato ciò che è sostanziale nella Democrazia razionale e cristiana, cioè la cura principale dei poveri, come risultato del regno della giustizia e della carità. Quanto alla seconda parte, eccole alcuni miei punti interrogativi:
a) Si capisce essere ella d'avviso che la Democrazia Cristiana inclina alla forma di governo popolare, di più accentrata; ciò che è non può a meno, in ultima analisi, influire sull'aspetto politico degli Stati. Io la penso in proposito come Lei : ma ciò ammesso, la spada di Damocle pende sulla testa dei Re. In quest'ultimi giorni mi incontrai con il Re del Belgio, il quale paventa la Democrazia Cristiana nè più nè meno che il socialismo.
b) Sotto il rapporto sociale, ella prevede da parte delle Camere o Paria rappresentanza professionale. E anch'io penso che un giorno o l'altro si arriverà fin là : ma poi un governo con tre Camere non costituirà una babele? In Paesi democratici come la Francia e il Belgio, la Camera professionale potrà sostituire il Senato: in Paesi aristocratici, come l'Austria e l'Inghilterra potrà essa rimpiazzare il Senato aristocratico ed il Parlamento borghese?
c) Quanto al lato economico, la Democrazia servirà allo scopo di una più equa ripartizione delle ricchezze. E per questo Ella è d'avviso che si appoggi l'imposta progressiva, , che è oggi uno dei punti più dibattuti.
Ho così con semplicita esposte alcune piccole difficoltà. Un libro come il suo è destinato a far progredire le questioni. Ed io per mio conto la ringrazio di cuore ».

Una voce soprattutto autorevole e sincera
"Val des Bois, 5 ottobre 1897
Qui siamo tutti desiderosi che al più presto possibile la sua brosciura, «Concetto Cristiano della Democrazia » abbia essere tradotta in francese.
Avremo in ottobre un Congresso, ed avrei piacere che l'opuscolo, uscito alle stampe, si potesse largamente distribuire. Avremo altra adunanza alla fine del mese ed un altro Congresso per il 10 novembre. Si affretti a dare alla stampa e me ne mandi un grande numero di copie. LEONE HARMEL"

Ancora una adesione di plauso
"Parigi, 12 settembre 1897
REDAZIONE DE LA CROIX - Caro ed illustre Professore, mi affretto a prevenirLa che, secondo il desiderio manifestato da Mons. Tiberghien a Roma, avremo pronte le bozze della sua bella e succosa conferenza sulla Democrazia. Purtroppo, per diverse circostanze, la traduzione subì un ritardo. A tutti i modi crediamo che l'opuscolo sia destinato a fare un grande bene e a gettare luce ed ad affrettare l'unione degli spiriti, in una questione così vivamente discussa. Sono le divisioni che ci indeboliscono: la sua conferenza così solida, persuasiva ed eloquente contribuirà all'unione delle menti e dei cuori. E. BAILLY - Procuratore generale degli Agostiniani dell'Assunzione".

Il pensiero di Toniolo sulla Democrazia in senso cristiano ebbe in seguito sanzioni autorevolissime che vanno dall'Enciclica «Graves de Communi» al discorso natalizio di Leone XIII del 1902, e si chiarì sempre meglio nel ciclo di conferenze da lui stesso pronunciate e poi raccolte in volume dal titolo: « Indirizzi e concetti sociali all'esordire del secolo ventesimo ».
Interessanti al riguardo i due seguenti documenti:

N. 61323
"Sig. Prof. G. Toniolo - PISA - Ill.mo Signore, Ricevuta la lettera di V. S. in data di ieri, ne ho dato subito conoscenza al Santo Padre. I sentimenti da Lei espressi a riguardo dell'Enciclica « Graves de communi » sono stati accetatissimi a Sua Santità; la Quale confida che, tolte ormai le dissensioni, tutte le forze cattoliche si volgeranno a mettere in pratica i Pontificii insegnamenti per il bene morale e fisico delle classi popolari. Ben volentieri la stessa Santità Sua le imparte la implorata benedizione.
Con sensi di distintissima stima passo intanto a raffermarmi
di V. S. Ill.ma - Roma, 30 gennaio 1901. Aff.mo per servirla - f.to M. Card. Rampolla"

N. 69421
"Sig. Prof. G. Toniolo
PISA - Ill.mo Signore, La lettera, da Lei acclusami nel foglio del 4 corrente, è stata da me rassegnata alle auguste mani del Santo Padre. L'omaggio della Società scientifica presieduta da V. S. Ill.ma e l'adesione, che essa fa alla recentissima Enciclica Papale, sono stati oltremodo accetti a Sua Santità, la Quale, nel degnarsi darmi incarico di renderne grazie in Suo nome, ha impartito a Lei ed ai singoli membri della prelodata Società la benedizione Apostolica. Protestandomele grato di quanto mi diceva nella sua più sopra citata, con sensi di particolare stima passo a ripetermi di V. S. Ill.ma - Roma, 8 aprile 1902. - Aff.mo per servirla - f.to M. Card. Rampolla"

 

I DUBBIOSI

E' fuori dubbio che l'articolo di G. Toniolo, da noi sopra riassunto, sul concetto cristiano di democrazia, ebbe a non lungo andare dei buoni effetti sulla pubblica opinione; e il Card. Rampolla, Segretario di Stato di S. S. Leone XIII, ed il vescovo di Padova Mons. Giuseppe Callegari lasciano intravedere ciò nelle lettere successivamente scritte all'Autore.
La mentalità del pubblico è però sempre difficile ad essere mutata, per virtù di uno scritto; ma in questo caso dei mutamenti si ebbero, se anche un po' lenti, ed i giovani se ne prevalsero per la loro, propaganda.
Non è il caso di scendere a particolari, nè vogliamo perderci in troppi dettagli poichè saremmo troppo lunghi; ci basti constatare che taluni concetti sulla democrazia, radicati in molti e immediatamente espressi al Toniolo in lettere inviategli e per di più imbastiti in articoli di giornali e riviste del tempo, nel volgere di men che un decennio finirono per cadere, apparendo via via delle posizioni superate.

Riferiamo qui, a mo' di esempio, le lettere al Toniolo dirette dall'Avv. Stefano Scala, dal P. Giuseppe Chiaudano S. J. e da Monsignor Emiliano Malacorda Vescovo di Fossano.
Cominciamo dalla seguente lettera al Toniolo dell'Avv. Scala di Torino, uomo di buona fede, legato a concetti e forme di tempi passati.

"Ill.mo Sig. Professore,
Il suo opuscolo « Il Concetto Cristiano della Democrazia » l'ho divorato dapprima con avidità, poi l'ho riletto ponderatamente. Vi ho ammirato la potente sintesi, unita a squisita finezza di analisi che vi rifulge; lo spirito eminentemente cristiano che vi aleggia, la nitida esposizione dei punti più ardui
E difficili, e soprattutto applaudo alle folgoranti dimostrazioni del programma sociale-cattolico, che fonda l'ordine sociale sul dovere, prima che sul diritto, e fa consentire l'ottimo governo nel concorso di tutti al bene comune... Ma questa è la democrazia?
Se tale concetto se ne fa qualche anima eletta, come la S. V., l'immensa massa dei democratici, sedicenti cristiani, la respinge proclamando la rivendicazione dei diritti come base del suo programma, sdegnando ogni tutela e sollecitudine dei superiori verso gli inferiori, escludendo di ricevere con gratitudine quello che pretende esigere con imperio: mentre d'altra parte la scuola antidemocratica e conservatrice, che io respingo al pari di V. S. poggiando anch'essa sul diritto, che esagera a suo pro anzichè sul dovere che misconosce e a danno altrui, vorrebbe gratitudine per una parvenza di carità.
A mio modesto parere pertanto, l'opuscolo splendido di V. S. dovrebbe intitolarsi « Il concetto cristiano del buon governo », o meglio forse « Il concetto cristiano dell'ottimo ordinamento sociale ».
Ma può la Democrazia prendersi come sinonimo di ottimo dei governi? E la definizione dell'ottimo governo può applicarsi alla Democrazia? Ecco il nodo della questione: e l'opuscolo della S. V., per quanto magnifico, non può convincere gli avversari, perchè dà come risolta la questione che si dibatte, ponendo come concesso per definizione ciò che precisamente si nega."

Ecco l'altra lettera del P. Giuseppe Chiaudano S. J. della provincia taurinense
« a) Anzitutto mi sembra che quelle parole (dell'articolo di Toniolo da noi segnalato) "Rifluendo nel suo ultimo risultato a prevalente vantaggio delle classi inferiori ", prese isolatamente siano alquanto oscure e possano porgere facile accesso a interpretazioni non rette. La ragione è perchè il socialista può farne suo pro, deducendo dalla predetta definizione che le classi inferiori debbono, in un governo retto e giusto, prevalere nella direzione della pubblica cosa e ricevere tanto da eguagliare le altre classi; il che sarebbe gravissimo errore. Le spiegazioni ch'ella dà, escludono tali interpretazioni, ma è chiaro che i socialisti si atterrebbero alla sola definizione.

b) La definizione ch'ella dà della democrazia, nel suo concetto essenziale, è del tutto nuova, nè vi ha esempio presso alcun filosofo e teologo, economista o sociologo. Ella comprende come è sempre pericoloso mutare il significato d'una parola che filosofi, teologi e canonisti, da molti secoli concordemente presero in senso ben diverso.

e) La mutazione da lei indotta nel linguaggio potrebbe avere conseguenze assai perniciose in Filosofia e Diritto Canonico. Tra le altre conseguenze pericolose, che dialetticamente seguirebbero, vuolsi annoverare anche questa: che cioè anche il governo della Chiesa, secondo il nuovo linguaggio, bisognerebbe dire che sia essenzialmente democrazia, il che è contro la dottrina dei teologi e canonisti cattolici.

d) Secondo il nuovo modo di parlare e definire la democrazia, nel suo concetto essenziale, si confonde il soggetto dell'autorità col fine dell'autorità. La parola democrazia non ha mai significato il fine dell'autorità, ma bensì il soggetto. Che il popolo sia oggetto dell'autorità è bensì accidentale all'autorità ma non è accidentale la Democrazia, come, a mo' d'esempio, non è accidentale alla monarchia che sia retta da un Re.

e) Sembra che, di quando in quando, si confonda ciò che è simpliciter (come parlano i filosofi) democrazia, democrazia secundum quid, si direbbe.

f) Non v'è ragione di prendere la Democrazia come tessera dell'Azione Cattolica, se non si intende di promuovere la democrazia come, forma di governo. Ora quest'ultima cosa nuoce grandemente all'unione delle forze cattoliche.

g) Il miglior modo per allontanare il Piemonte dalla causa cattolica, dividendo le forze, è appunto il voler porre tal causa sotto la bandiera della democrazia. Il metodo tenuto dai seguaci della medesima in Piemonte, nuoce; sommamente alla causa della libertà e dei diritti del Papa. Questo asserisco di certa scienza. Conosco il Piemonte meglio di tanti altri, conosco il clero secolare e regolare, il laicato nobile e non nobile. Se avrò occasione di parlarle le prometto di mostrargliene le prove. Mons. Riccardi di s. m., che conosceva molto bene Torino, ne era dolentissimo dell'indirizzo dato all'Azione Cattolica dalla democrazia: spesso parlò a me in termini di grande dolore e con Mons. Manacorda...
Queste sono alcune delle principali ragioni per le quali, in coscienza, non posso approvare che si prenda il nome di democrazia come tessera-bandiera del Movimento cattolico. Ho comunicato queste ragioni a uomini consumati in filosofia, teologia e diritto, ed ho trovato che tutti la pensano allo stesso modo di me...
Mi creda, Signor Professore, quel vantaggio che può ricavarsi dall'uso che si vuol fare della parola Democrazia, non compensa il danno che ne è derivato e ne deriverà
».

Di Mons. Manacorda, Vescovo di Fossano, è la seguente:
« Illustre signor Professore,
... La Democrazia o la si prende quale è in sè, e quale fu sempre, una forma di governo, oppure quale apostolato a favore della classe sociale infima.
Nel primo caso, niente osta che gli eruditi, accademicamente discutendo sulle varie forme di governo, prendano ad esaminare la natura della democrazia, la sua potenzialità e la sua pratica efficacia nel procurare il bene del popolo, secondo le circostanze, i tempi ed i luoghi; ma che la turba dei giornalisti si circondi di sacerdoti e di laici, non pesandone la capacità intellettuale, ma facendo calcolo sul numero, e levi alto il segnale della democrazia, questo non è scientifico, non è cristiano ma rivoluzionario.
La Chiesa nacque in mezzo al popolo, diffuse la sua vita in mezzo al popolo e per il popolo. La dottrina della Chiesa come quella del Vangelo, sono a beneficio del popolo senza distinzioni di classi: una eguaglianza diversa da quella predicata da Gesù Cristo e dalla Chiesa non può essere che un inganno, un delitto...
Una Democrazia che sgorga dallo spirito della Bibbia e che per nulla altera l'ordine sociale non è più a considerarsi quale una forma di governo, sì piuttosto quale una regola del vivere sociale, che sostanzialmente appartiene al sacro magistero della Chiesa.
Ridotta a questi termini, non rimane più che una questione dottrinale di economia sociale, di secondaria importanza ».

Queste motivazioni non rappresentano altro che vedute unilaterali, quisquiglie di una vita scolastica, e spiegazioni inficiate dal pregiudizio del tempo.

LE POLEMICHE

Polemiche intorno al nome di Democrazia Cristiana.
Gli attacchi e le polemiche non intaccavano solo il contenuto della Democrazia Cristiana ma anche il nome, che ne rifletteva la sostanza.
Quale è infatti il significato dei due termini insieme riuniti, Democrazia e Cristianesimo? Democrazia non è altro che governo di popolo, una formula politica buona in sè come tutte le altre, adattabile a cristiani e non cristiani; mentre Cristianesimo e forma religiosa, componibile bensì con la Democrazia ma senza escludere nè l'aristocrazia, nè la monarchia. Georges Goyau ha detto bene: «Il Cattolicesimo (Cristianesimo integrale) e la Democrazia sono due fatti, ed i fatti non si conciliano ma si scostano, buon grado o malgrado nostro; questi due fatti entrano in linea di battaglia nella vita sociale, e la democrazia non può cacciar via il cattolicismo, come il cattolicismo non può cacciare la democrazia ».

Ma poichè le forme popolari e democratiche di governo non avevan nulla contro la coscienza dei cattolici, questi, accettandola in Paese ove erano già in vigore aristocrazia e monarchia, dissero ai loro avversari liberali di essere bensì anch'essi democratici ma soprattutto ed anzitutto cristiani e cattolici, ossia democratici in politica e cattolici in religione. Così avvenne che quel significato cattolico, che la democrazia cristiana non poteva trarre con la sua etimologia, finì con l'averlo storicamente.
Ora una Democrazia Cristiana intesa così, storicamente, non era certo condannabile; poichè, alla fin fine, da una parte le forme popolari di governo sono buone e lecite quanto le monarchie e le aristocrazie; d'altra parte l'accettarle sinceramente, là dove sono in vigore, può essere di gran giovamento alla stessa causa della Chiesa Cattolica, sia per togliere di dosso ai Cattolici l'accusa di essere nemici dello Stato, sia altresì perchè, colle leggi e cogli atti di un governo democratico, si può favorire la Chiesa.
Vengono così a terminarsi via via i fraintesi e gli equivoci di cui furono vittima anche vari illustri personaggi.
Sia ad esempio Mons. Benedetto Lorenzelli, Nunzio Apostolico a Parigi (futuro Cardinale), insigne scolastico (come lo sta a dimostrare la sua opera Philosophiae theoreticae istitutiones - Roma 1896), ma non altrettanto esperto economista e sociologo, che così scriveva al Toniolo in data 12 aprile 1898:
« Voleva e doveva ringraziarla da tempo, per l'articolo sul concetto essenziale della Democrazia Cristiana. Mi è mancato il tempo, e poi mi è venuto il timore di non piacere a V. S. perchè, per dirla da vero ammiratore, io ammetto il fondo del concetto ma non so adattarmi a chiamarlo Democrazia Cristiana. Io la chiamerei Morale Sociale Cattolica. So bene che Ella, illustre professore, detesta le nefaste aberrazioni del Pottier e democratici cristiani di Liegi (
si vede che Mons. Lorenzelli era poco bene informato, perchè il Pottier e compagni di Liegi furono, all'atto pratico, gli amici e collaboratori del Toniolo) ma, per carità, faccia opera compiuta anche col mandare al diavolo il titolo di Democrazia Cristiana, che oggi vuol dir nulla all'infuori del vago ed indefinito desiderio di tutto riformare, prima nell'ordine economico e poi in quello dogmatico ».

Il Card. Alfonso Capecelatro, Arcivescovo di Capua, con molto maggior moderazione, circa lo stesso tempo si manifestava contrario ad accettare il nome di Democrazia Cristiana, e ne scriveva a Mons. Talamo (direttore e condirettore con Toniolo della Rivista di Scienze Sociali). Questi a sua volta così per lettera si esprimeva:
« Il Cardinale mi manifestò il desiderio che io raccomandassi a lei che voglia desistere dal discorrere di democrazia cristiana. Egli notava che il termine Democrazia, che ha un significato determinato ed accertato storicamente, scientificamente e filologicamente, non può volgersi ad altri significati senza rigenerare equivoci e malintesi e dissensi più o meno dannevoli, massime in Italia e nelle presenti condizioni agitate degli animi. Tanto più, quando quel nome, volto ad altro significato, si voglia assumere come espressione e programma dell'azione sociale del cattolicismo, che certamente è molto più ampio che non il nome di democrazia. L'Episcopato italiano, soggiunse egli, non sarà perciò inclinato ad accettare quel nome ».

Mons Vincenzo Sarnelli, Arcivescovo di Napoli, pregato durante il Congresso Cattolico tenutosi a Milano, nel settembre 1897, dal Cardinal Ferrari di v. m. ad assistere ad una riunione in cui doveva discutersi la vessata questione della Democrazia Cristiana, vi intervenne e disse:
« Questa vostra discussione mi conferma nell'opinione che la formula "Democrazia Cristiana" non è opportuna, appunto perchè equivoca. Io certo non le sarò contrario, ma non la userò mai; nè permetterò che essa sia usata nella mia diocesi, specie se si vuol assumere come programma della universale azione sociale del cattolicismo ».

Siamo in un periodo di opposte opinioni e di gusti diversi. Un giorno, scrive il Conte Soderini, il Card. Decano, Oreglia di S. Stefano, in un indirizzo collettivo che leggeva al S. Padre in rappresentanza del Collegio Apostolico, ardì manifestare il suo disappunto riguardo alla Democrazia Cristiana; ma il Card. Agliardi, presente, si volse al collega più vicino e gli disse, netto e chiaro: « Non tutti la pensano così! ». È fuori dubbio che, come l'E.mo Agliardi, la pensavano i Cardinali Rampolla, Ferrata, Segna e Cavagnis. E tra i prelati del Vaticano maggiormente in vista si trovavano a parteggiare per la Democrazia Cristiana Monsignor Volpini, Mons. della Chiesa (futuro Benedetto XV - fu poi proprio lui a non opporsi al progetto di Don Sturzo) e Mons. Pietro Gasparri (futuro Cardinale Segretario di Stato), Mons. G. Radini Tedeschi, e lo stesso collaboratore del Toniolo Mons. Salvatore Talamo.

Anche i fatti entrano a sventare accuse e malintesi.

A sbarazzare il terreno al giusto concetto di Democrazia Cristiana come venne illustrato dal Toniolo, ed alla conseguente accettazione del nome, così ostico ad alcuni, molto servirono alcuni fatti che in parte precedettero ed in parte seguirono alle polemiche da noi accennate.
Tra questi fatti gli imponenti pellegrinaggi degli operai di Val des Bios accompagnati a Roma da Leone Harmel. Memorabile quello del settembre 1891. L'udienza pontificia seguì la Messa e durò dalle 8 alle 13. Leone XIII si confuse allora tra gli operai e volle stringere loro amabilmente le sue mani con quelle dure e callose dei lavoratori. Storico restò anche il trionfale ricevimento dei 20.000 operai ai quali Leone fece aprire la porta centrale della Basilica di S. Pietro, riservata prima ai sovrani, invitando poi quei rappresentanti del popolo lavoratore a salire la Scala Regia.

Leone Harmel, in nome dei suoi operai, condotti con sè ai piedi del trono di Leone XIII, lesse poi un indirizzo in cui era detto tra l'altro:
« La Democrazia Cristiana, concepita ed intesa nel suo vero senso cattolico, può incontrare degli avversari che non la conoscono, ma essa condurrà in seno alla Chiesa le folle che il socialismo rivoluzionario aveva da essa allontanato. Sì, S. Padre, noi possiamo darVi su ciò una consolante notizia; i Vostri insegnamenti sono di più in più compresi, e seguite le Vostre direttive. Malgrado una opposizione che dissimula la sua debolezza, i giovani e le giovani di buon cuore Vi comprendono, e salutano in Voi il profeta il cui sguardo lungimirante sa fissarsi nell'avvenire a divinare i nuovi tempi. Sì, S. Padre, Voi assicurate il trionfo della duplice causa : quella del nostro Maestro e Re, Gesù Cristo, e quella del popolo dei lavoratori »

A queste parole Leone XIII rispose:
« Poichè voi avete alluso alla Democrazia, ecco ciò che ne pensiamo a proposito. Se la Democrazia si ispira agli insegnamenti della ragione illuminata dalla fede; se, premunendosi contro teorie fallaci e sovversive, accetta con religiosa rassegnazione e come un fatto necessario le diversità delle classi e delle condizioni; se nelle ricerche delle soluzioni possibili di molteplici problemi sociali, che sorgono giornalmente, non perde un istante di vista le regole di quella carità sovrumana che Cristo ha dichiarato essere la caratteristica dei savi; se, in una parola, le Democrazia vuol esser cristiana, essa darà alla vostra patria un avvenire di pace, di prosperità e di felicità".

Queste parole, che ammettono la parola difendendone il contenuto, ebbero una vastissima risonanza. Il Card. Lucido Maria Parocchi, Vicario di S. S., dottissimo porporato, che presiedette al banchetto dato poi agli operai pellegrini di Francia, nel recinto del Vaticano, accentuò il significato delle parole papali aggiungendo:

« La questione di una sana e legittima Democrazia è ormai risolta. Voi siete veramente i democratici cristiani, ed io mi felicito con Voi. Ma il vostro compito va più in là; Voi dovete fare ciò che S. Remigio fece con Clodoveo, Voi dovete battezzare la democrazia e renderla cristiana. Per riuscire, Voi non avete altro che seguire la saggezza, l'indirizzo e la longanimità del nostro Santo Padre Leone XIII. Custodite in cuor Vostro le Sue ultime parole, prezioso commentario delle Sue Encicliche. L'insegnamento esposto nella Enciclica "Rerum novarum ", questa Magna Charta degli operai, si trova abbellito e completato da ciò che Egli vi ha detto oggi, e fate che la vostra Democrazia sia cristiana, al punto da costringere i vostri amici e nemici a diventare, come voi, Democratici cristiani » .

Il Card. Parocchi è rimarchevole anche la lettera seguente scritta al Toniolo sul principio del secolo:
«Signor Professore Illustrissimo, gli Indirizzi e Concetti Sociali di V. S. si riassumono sinteticamente nell'assioma dell'ultima Conferenza. "L'incivilimento non è che la storia della congiunzione dell'umano col divino".
Non perchè l'incivilimento in se stesso abbia a confondersi con la religione, ma perchè non si dà vero e completo incivilimento, che non sia cristiano, ed alla civiltà cristiana è fondamento e vita l'ordine soprannaturale. Tale pensiero si dirama in tutte cinque le conferenze, dal compito economico dell'avvenire sino alle virtù e i presidii del civile rinnovamento.
Essa, pensino, come arresta la dissoluzione de' principii organici, onde risulta la convivenza sociale, così ferma sulla china delle sdrucciolevoli conseguenze, così trattiene da nondifficili sviamenti la grande questione della cristiana democrazia. La quale non fallirà il segno giustamente propostasi quando, intenta al Pastore della Chiesa che la guida, ne incarnerà gl'insegnamenti nelle sue teorie, e ne applicherà i precetti nei suoi pratici ordinamenti. Ma la più splendida conclusione del suo lavoro, il riassunto più fedele de' nobili suoi
filosofemi, Professore chiarissimo, si riscontra nelle ultime parole del suo volume: "chi definitivamente recherà a salvamento la società presente, non sarà un diplomatico, un dotto, un eroe, bensì un Santo, anzi una società di Santi". Mi associo al giudizio, condivido l'augurio, ringraziandola di tutto cuore, congratulandomi Aff.mo in G. C. -L. M. Card. Parocchi ».

Dalla Scuola di Liegi al Toniolo.

Occorre riportarsi al tempo in cui le parole di Papa Leone furono pronunciate, per comprenderne la portata. La democrazia, in Francia e fuori, si presentava come nemica acerrima del cattolicesimo. Trattavasi di darle - giacchè l'onda era irresistibile - una anima cristiana e di attrarne le folle col fascino del programma cattolico sociale.
I fautori della scuola di Liegi, che respingevano i postulati della scuola mancesteriana, tornavano allora dall'aver rifiutato il nome di socialismo cattolico, per esprimere il loro riformismo sociale, ed adottavano la nuova denominazione, Democrazia Cristiana.
Essi si differenziavano dai conservatori cattolici, mancesteriani in economia, e miravano a quella che il Toniolo aveva definito : « un ordinamento civile in cui tutte le forze sociali giuridiche ed economiche, nella pienezza del loro sviluppo gerarchico, cooperano proporzionalmente al bene comune, rifluendo in ultimo risultato a prevalente vantaggio delle classi inferiori ».
( Il più illustre rappresentante della Scuola di Liegi così scriveva « Ill.mo Signor Professore, Leggo nell'ultimo fascicolo della Rivista francese "La democratie Chretienne" la lettera: scritta da V. S. al mio amico Paul Six e riferendosi agli articoli della Rivista Internazionale di Roma che trattava l'argomento del movimento odierno cattolico popolare. In questa lettera si dice: " Lorsque l'article sera publiè en entier, je vous demande, vous et à tous vos vrais amis, de voluir bien me donner leur appreciation ". Queste parole mi fanno ardire di scrivere a V. S. non il mio apprezzamento ma bensì la mia ammirazione e per quanto mi appartiene i miei ringraziamenti. Tutti i professori di teologia in questo Seminario di Liegi sono stati assai rallegrati e confortati alla lettura dei due articoli della Rivista. Quella Democrazia cristiana che V. S., ha così magistralmente descritta nei suoi elementi assoluti e necessari e nei suoi elementi relativi o contingenti, è quella che abbiamo qui concepita, esposta e difesa. « Tutti quanti cercano assidere in questa Democrazia sulle sue basi scientifiche, saranno rallegrati e aiutati colla sapientemente profonda esposizione tanto storica quanto filosofica, che si svolge così magnifica nei suoi articoli della Rivista. - Gradisca Ill.mo Signor Professore, i miei sensi di profonda venerazione. - A. Pottier, professore di Teologia - Liegi, 8 maggio 1898. Morale nel Seminario di Liegi")

Trasportata la questione in un campo più vasto, dove tutte le stirpi e tutti i popoli debbono rispondere alla loro missione etico storica, ai fini dell'incivilimento, il Toniolo proclamerà più tardi, nell'ora della mischia, quando i vari imperialismi si troveranno a cozzare fra loro, il rispetto della libertà e dell'eguaglianza di tutte le nazionalità, affrettandosi ad aggiungere: « con speciali garanzie a favore degli organismi politici più deboli ».

Siamo con ciò di fronte ad un palpito per gli umili e per i deboli, che risponde all'intima natura dell'anima del cristianesimo.

Democrazia sociale e democrazia politica.

In proposito, va ben meditata la seguente lettera dal Toniolo indirizzata, addì 11 luglio 1897, al Professore Giuseppe Ballerini, allora professore di Seminario e poi Vescovo di Pavia:
"Egregio Signor Professore, Tutto giova a considerare, da ogni parte, una questione poliedrica.
Ma forse non è più ampio e più vero in concetto di democrazia, inteso nel senso di una cooperazione di forze sociali e giuridiche converse a proteggere, rispettare, elevare il popolo?
Ne deriva, non fosse altro, questa conseguenza decisiva, che la democrazia, nel suo spirito e nei suoi intendimenti finali (qualunque sia la forma di governo) dev'essere propria di tutti i tempi e di tutti i luoghi, e chi si mette fuori dalla democrazia, in questo senso, si mette fuori dall'ordine sociale bene inteso.
Il resto viene storicamente da sè. Affrancato, onorato, elevato, educato il popolo (ciò che non può essere e non fu mai che opera di palingenesi cristiana) è naturale, che presto o tardi, anche politicamente il popolo acquisterà la propria importanza e troverà il suo posto nel governo; e può essere del pari che si arrivi anche ad un governo repubblicano, come già nei popoli latini.
Tutto vi conduce, con probabile beneficio della stessa causa cattolica.
Ma questa democrazia politica, in tal caso, è una conseguenza di quella sociale giuridica... ».

La condizione dei tempi.

Certo è che, a trattare più ampiamente l'argomento della democrazia, il Toniolo trovò difficoltà nelle condizioni dei tempi, e specialmente in quella interna dei cattolici.
E' notevole ciò che discepoli ed amici del tempo gli scrissero in proposito.
Così ad esempio l'Avv. Filippo Meda, fin dal 1897:
« Sento che le nostre idee le vanno: io vorrei che un programma quale lei lo tracciasse, completato per la parte politica, venisse discusso, proclamato e fatto conoscere a tutta Italia per mezzo di un Congresso. E creda troverebbe opposizioni, perchè nel campo nostro ci sono purtroppo ancora dei borbonici, degli austriacanti, dei savoiardi, di quelli insomma che non hanno capito quanto superiore sia la professione cattolica a tutte queste meschine cause personali che nell'avanzare della democrazia non hanno più ragione d'essere ».

Il Conte Luigi Caissotti di Chiusano, in data 21 ottobre 1897, scriveva al Toniolo
« ... Che gliene parrebbe se quasi, in risposta alle circolari rudiniane si riunisse un Congresso che venisse fuori con una specie di programma minimo contenente la riforma che noi cattolici pretendiamo dallo Stato liberale? Un programma provvisorio, in cui, pur facendo le nostre riserve sulla questione romana, si accampassero gli altri punti del nostro programma? ».

Più chiaro ancora, si allude alle condizioni dei tempi nel programma della Democrazia Cristiana, che fu steso a Torino nel 1899, di cui c'interessa soprattutto la finale seguente:
« Come democratici cristiani italiani, vogliamo poi che cessi l'antagonismo esistente fra le istituzioni politiche e civili del nostro Paese, e la Chiesa Cattolica e il Pontificato Romano, che sono il centro storico della nazione italiana. Noi vogliamo l'unità, la libertà, e l'indipendenza della Chiesa. Noi invochiamo perciò, nella coscienza nazionale italiana, una trasformazione che la conduca a vedere la propria missione e la garanzia migliore della propria grandezza e prosperità avvenire, là dove essa è realmente: nel farsi centro e cooperatrice, col Pontificato, di un rinnovamento universale dell'umanità in senso cristiano e in senso popolare; nel promuovere cioè l'avvento di quella Democrazia Cristiana internazionale che, in forza di impellenti ascensioni sociali, sarà la gloria del secolo XX. Finchè una simile trasformazione dello spirito pubblico italiano non sia avviata e finchè duri il divieto pontificio dell'accesso alle urne politiche, i Democratici Cristiani Italiani, organizzati nell'astensione politica, si ripromettono, con un'efficace opera extraparlamentare, di promuovere questa nuova coscienza nel Paese e di educare e organizzare il popolo per la propria redenzione economica e per il rinnovamento di tutta la vita pubblica moderna ».

Così, tutto considerato, il Toniolo nel discorrere della Democrazia, ha dovuto un poco cedere alle esigenze del suo tempo. Egli, capo dei cattolici sociali d'Italia, doveva dare per primo il buon esempio; egli era altresì così profondamente cattolico che non avrebbe mai passato il segno posto e voluto dalla S. Sede, sia in ordine al Non expedit, sia alla Questione romana: per lui, i voleri del S. Padre erano le colonne di Ercole, oltre le quali non si doveva andare.
Così le sue idee, in sociologia come in politica, erano larghe, ma avevano un limite nella disciplina ferrea imposta ai cattolici, a cui egli fu sempre docile a tutti i costi. Per questo Toniolo fu il primo ad aderire all'Enciclica Graves de communi, che ammettendo nome e sostanza di Democrazia Cristiana inculcava anche quello di Azione popolare cristiana.

Ecco cosa scrisse l'entusiasta FRANCESCO OLGIATI
(La Democrazia Cristiana sembrò a molti un raggio di sole, bello come una speranza, che illuminasse il movimento cattolico. Contro il socialismo, le cui file si ingrossavano sempre più, sorgeva una gioventù gagliarda e fresca, con una bandiera bianca fra le mani e con un ideale grande nel cuore. Chi non avesse vissuto quei giorni, non potrà mai comprenderli. Era un'ondata di vita nuova, ricca di slanci nobili e di entusiasmi santi. La poesia del garofano bianco si disposava nella festa del 15 maggio alla commemorazione della Rerum novarum. L'evviva a Leone XIII, al Papa della democrazia cristiana, s'intrecciava col plauso a Giuseppe Toniolo. La gioventù nostra balzava più ardente sul campo della lotta; da tutte le parti si aprivano Circoli, si fondavano Fasci, si tenevano contradditori, si scrivevano libri, si diffondevano opuscoli e giornali. E, forte come un grido di battaglia, s'alzava l'inno giovanile, ripetendo col poeta lombardo: "Siam fratelli, siam stretti ad un patto;/ Maledetto colui che l'infrange, / Che s'innalza sul fianco che piange/ Che contrista uno spirto immortal"
Il genio di Papa Leone XIII, che nella primavera del 1891 aveva scritto la sua celebre Enciclica, comprese subito ed apprezzò la nuova primavera. E tentò di salvarla dalla tempesta, che doveva portare devastazione e rovine. Conf. MONS. FRANCESCO OLGIATI nella sua "Storia dell'Azione Cattolica in Italia" ).

Alcide De Gasperi e il pensiero di Toniolo.

Nel secondo dopoguerra, Alcide De Gasperi, il Capo illustre della nuova DC, ha bene interpretato e fissato nel suo studio sul Toniolo, nel Vol. II - serie III - dell'Opera Omnia, il pensiero dell'uomo come le condizioni dei tempi in cui fu concepito ed espresso:
« Qual'era la esigenza che si imponeva al Toniolo, se non quella dell'impostare un programma politico che facesse fronte contro i liberali conservatori che difendevano posizioni acquisite, e contro i socialisti che attaccavano nello spirito della dottrina marxista?
Questa infatti e non altra era l'esigenza che si presentava al Toniolo, ma il compito di lui si complicava ancora, perchè doveva soddisfarla senza proclamarla tale, sviluppare un programma che oggi si direbbe senz'altro politico, chiamandolo invece sociale, e coordinarlo, anzi, per qualche parte, subordinato alla questione che nello sfondo dominava tutto il resto, cioè alla questione romana, cioè a dire anche al problema della partecipazione dei cattolici papali alla vita politica dello Stato italiano. La Chiesa aveva riservato a sè ogni discussione e decisione, e perciò il Toniolo, rispettando con scrupolo e lealtà le direttive pontificie, si astiene dall'affrontare la questione romana, gira le difficoltà e le suppone con un atto di fede nell'evoluzione storica che i tempi maturano e che la Chiesa favorisce.
Tale atteggiamento era anche necessario per conservare la compagine delle forze militanti e riunite attorno al papato.
Ma esso portava fatalmente a portare in ombra la distinzione tra la sfera d'azione dello Stato e quella della Chiesa, a non valutare sufficientemente la trasformazione dello Stato moderno a cui si attribuiscono sempre nuovi compiti economici-sociali, e a dilatare la sfera propria della Chiesa, quasi che essa dovesse assumersi, sul terreno politico-sociale, responsabilità dirette.
Lungi da me il pensiero che il Maestro Toniolo in dottrina non vedesse chiaro o commettesse errore, ma mi par vero che come organizzatore, tenendo a spingere i cattolici verso le riforme sociali nell'unità di tutte le forze, fu portato a definire la democrazia in senso troppo lato e vago, trascurando il carattere politico che la storia le aveva ormai assegnato. Anzi, nell'urgenza di opporre allo Stato avvenire socialista un ideale Cristiano, valutò forse esageratamente, come tributo di una democrazia futura, gli elementi costitutivi della democrazia comunale e corporativa mediovale; elementi reali e magnifici, ma aspetti luminosi di un'epoca della quale non si erano messi in sufficiente rilievo le ombre.
Quando lo Hitze, forzando ancora le tinte, aveva fatto una simile evocazione in Germania, Windthors ed Hertling, impegnati in una lotta contro Bismark per la libertà politica, avevano subito espresso delle riserve: Toniolo, collocatosi di fuori della battaglia, probabilmente politica, non sentiva simili scrupoli ».

Purtroppo "la compagine delle forze militanti riunite attorno al papato", fecero anche a De Gasperi perdere la "sua battaglia politica". La DC e la stessa Azione Cattolica, di Gedda e di Pio XII ebbero la meglio (anche se entrambi erano ormai al tramonto e furono all'inizio solo usati dai nuovi "padroni" del simbolo cattolico).
(Gedda trova il Papa "molto triste", che "[...] osserva che l’Azione Cattolica collabora non con la Chiesa ma con la Democrazia Cristiana" , che gli parla di "amare scoperte" , arrivando ad affermare che "l’Azione Cattolica, per la quale sono stati fatti tanti sacrifici, non è più nostra" (Gedda, 18 aprile 1948. Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare, pagg. 123-125).

Questi nuovi "padroni", com'era accaduto nel 1922 quando dissero a Don Sturzo di farsi da parte, così a De Gasperi nel '54, la nuova scuderia di rampanti dentro la DC incaricarono un oscuro Pella (fatto Presidente del Consiglio !!) per liquidarlo. Un anno dopo l’abbandono della guida del governo (Pella non diede nemmeno un ministero al grande statista e "combattente") De Gasperi moriva solitario a Sella Val Sugana. Sicuramente con tanta amarezza addosso; non amarezza per il suo prestigio, quanto per il futuro dell'Italia onesta.

La parola finale di Leone XIII.

Alla storica controversia sul nome e sul contenuto della Democrazia Cristiana, che si trascinava da vari anni, pose fine lo stesso Leone XIII in un discorso al Sacro Collegio dei Cardinali, la vigilia di Natale del 1902. Si trattava di rispondere agli auguri espressi dal Card. Decano, l'E.mo Oreglia di S. Stefano, noto dissenziente in argomento. Con somma delicatezza, il Santo Padre evitò di esprimere coram omnibus il suo pensiero, che al Decano non sarebbe riuscito gradito, e dopo i ringraziamenti rimandò alla lettura del testo che lo stesso giorno veniva pubblicato sull'Osservatore Romano.
Diceva così:

«Le ultime parole sue alludono, Signor Cardinale, all'azione Democratica Cristiana che é al dì d'oggi, come Ella ben comprende, un fatto di non leggera importanza. A codesta azione, tutta consentanea all'indole del tempo e ai bisogni che la suscitarono, Noi demmo sanzione ed impulso, divinandone per altro assai nettamente lo scopo, il modo, i confini, cosicché se per questa parte accadesse a taluno di dare in fatto, certo non gli accadrebbe per mancanza di guida autorevole. Ma parlando in generale di coloro che si son posti a quest'opera, italiani ed esteri, é indubitato che vi si affaticano attorno con buon zelo e frutto notabile, né deve passare inosservato l'utile contributo che pur vi stanno recando i giovani valorosi.
Anche il Clero confortammo ad entrare, con certi riguardi, in questo medesimo campo di azione perché, a dir vero, non c'é assunto di schietta carità grandioso e proficuo al quale sia straniera la vocazione del sacerdozio cattolico.
Or non è forse carità vera ed opportunissima, questa di applicarsi con premura e disinteresse a migliorare le spirituali condizioni e le sorti materiali delle moltitudini? Il materno amor della Chiesa verso gli uomini é universale come la paternità di Dio: ma nondimeno, fedele alle sue origini e memorie di esempi divini, essa ebbe sempre in costume d'accordarsi col senso di predilezione agli umili, a quelli che soffrono, ai reietti dalla fortuna.
Quando sia sinceramente e costantemente informata allo spirito di questa madre universale dei popoli, può ben confidarsi di non fallire al suo scopo la cristiana democrazia; niuno si adombri del vocabolo quando si sa che la cosa é buona. Inteso come lo intende la Chiesa, il concetto democratico non soltanto si accorda a meraviglia coi dettami rivelati e le religiose credenze, ma nacque, anzi fu educato dal cristianesimo ed é la predicazione evangelica che lo diffuse fra le genti. Atene e Roma non lo conobbero se non quando ebbero udita la voce divina che disse agli uomini: Voi siete tutti fratelli, e iI Padre vostro comune sta nei cieli.
Fuori di questa democrazia che si denomina ed è cristiana, con ben altri ideali e per altre vie s'avanza il movimento democratico sedizioso e senza Dio. Giorni amari prepara agli Stati civili, che pur lo covano in seno carezzandolo. Ora l'azione popolare cristiana, esplicandosi sul medesimo soggetto, é una forza anche che s'interpone al successo di quello e vale in molti casi a preoccuparne l'opera. Se altro non conseguisse che di contendere il terreno alla democrazia socialista e circoscriverne i perniciosi influssi, avrà reso con ciò solo, un servizio non piccolo all'ordinato vivere civile e al cristiano incivilimento ».


Se leggiamo bene, sono il riflesso di concetti espressi dallo stesso Toniolo.

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Leone XIII muore il 20 luglio 1903. Il 4 agosto sale sul soglio il patriarca di Venezia Giuseppe Melchiorre Sarto, con nome di Pio X.
Il 10-13 Novembre si svolge a Bologna il XIX congresso cattolico. I democratici cristiani sostengono le posizioni del nuovo direttore dell'Opera dei Congressi Giovanni Grosoli, per la sua scelta di mediare i contrasti interni, ma è fortemente osteggiato dagli elementi cattolici più intransigenti.

Il 18 dicembre dello steso anno, Pio X rende noti nel "motu propro" i diciannove punti che riguardano l'Ordinamento fondamentale dell'azione popolare cristiana.

Il 2 luglio 1904 il comitato generale dell'Opera dei Congressi, approva con 20 voti favorevoli e 16 contrari, una mozione presentata da Grosoli, con cui si chiede a Pio X di porre termine ai dissidi tra i dirigenti cattolici intransigenti e i "democratici cristiani".

Il 16 luglio Pio X risponde alla richiesta tramite una lettera inviata al segretario di stato invitandolo a operare in vista della conciliazione tra la corrente intransigente e quella democratica.
Il Direttore dell'O.d.C. Giovanni Grosoli ne approfitta per inviare a tutte le organizzazioni dell'Opera una circolare in cui si afferma che il progetto dei cattolici "non può essere altro che il "democratico cristiano".

Il 19 luglio l'"Osservatore Romano" pubblica una nota in cui si afferma che la circolare del Grosoli non è conforme alle direttive papali. La nota provoca le dimissioni di Giovanni Grosoli da presidente dell'O.d.C.

28 luglio - L'opera dei Congressi è sciolta. E' una decisione di Pio X comunicata con una lettera a tutti i vescovi italiani, in cui si afferma "per l'impossibilità di conciliare l'indirizzo intransigente e quello democratico, incline quest'ultimo ad avviare una partecipazione attiva alla vita politica italiana".

Con lo scioglimento dell'Opera tutte le organizzazioni regionali, diocesane e locali, sono poste alle dirette dipendenza dei vescovi. (3834 comitati parrocchiali, 588 casse rurali, 668 società operaie, 708 sezioni di giovani).
Termina "l'avventura" dell'Opera dei Congressi.
(Giovanni Grosoli riapparirà nel 1919, ispiratore e fondatore del PPI di Don Sturzo).

Tuttavia in previsione delle elezioni politiche dello stesso anno (6 dicembre 1904), sollecitato dalle numerose richieste provenienti dal mondo cattolico, Pio X allenta un po' il "non expedit"- e dà un tacito consenso alla partecipazione di alcune sedi cattoliche alla vita politica; questi riescono con una lista di candidati, per la prima volta a far eleggere in parlamento due cattolici di tendenza clericomoderata; a Milano il conte Ottavio Cornaggia, a Treviglio (BG) l'avvocato Agostino Cameroni.
Ma l'11 giugno 1905, con l'enciclica "Il fermo proposito" Pio X definisce le "nuove direttive sull'organizzazione e sulla partecipazione dei cattolici alla vita pubblica". Legittima una parziale abolizione del "non expedit", ma con le decisioni in materia caso per caso affidate ai vescovi sulla base di "ragioni gravissime", e ribadisce quindi l'assoluta subordinazione alle gerarchie ecclesiastiche, che esclude nuovamente la possibilità di costituire un partito autonomo, come vorrebbe il movimento "democratico cristiano".

La reazione non si fa attendere; il 20 novembre 1905 la "Lega democratica cristiana" viene costituita a Bologna su iniziativa di Romolu Murri, deciso a essere autonomo dalle gerarchie e deciso a contrastare il movimento cattolico ufficiale appoggiato da Pio X. Pur raccogliendo molte adesioni fra i giovani, per le ostilità che andranno a crearsi, la "Lega" di Murri avrà vita difficile.

Ostilità che si riflettono anche sul giovane prete, Don Sturzo che stava sposando alcune tesi di Murri, rese note (poche settimane dopo) in un discorso (rimasto celebre) fatto a Caltagirone il 24 dicembre dello stesso anno. E' insomma costretto a rinunciare all'idea di un partito politico acofessionale, democratico e autonomo. I tempi erano troppo prematuri. Don Sturzo (morto Pio X e con Benedetto XV sul soglio, più aperto al consenso di un partito) tornerà alla ribalta (il 17 novembre 1918) in un discorso a Milano, esponendo un progetto politico che prevede la costituzione di un partito cattolico, democratico, non confessionale e politicamente autonomo. Sono le basi del Partito Popolare Italiano che don Sturzo fonderà il 18 febbraio 1919 (e fra i fondatori c'è anche Giovanni Grosoli, l'ex direttore dell 'Opera dei Congressi, sciolta nel 1904).

Si è però dal 1904, perso molto tempo. La Grande Guerra, le tensioni sociali del dopoguerra, hanno provocato grandi lacerazioni non solo nei partiti della sinistra, ma anche in quello cattolico; ad approfittarne - nello stesso anno della nascita del PPI - Benito Mussolini, che sta iniziando la sua ascesa politica con i Fasci Italiani di Combattimento; prologo al Fascismo, che da sinistra sterza tutto a destra. Nella Destra estrema. E anche Don Sturzo è costretto a lasciare il PPI, "per non creare fastidi alle gerarchie ecclesiastiche" che hanno visto nell'uomo del fascio, l'"uomo della provvidenza" per risolvere la "Questione Romana" che prenderà corpo l'11 febbraio 1929 con la Conciliazione (ovvero il "Concordato").

 

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