-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

109 l - LA FRANCIA IN AMERICA E IN ORIENTE


Quebec e il Canada (detta Nuova Francia) - Un breve sogno francese

Dopo gli Spagnoli e i Portoghesi, e dopo gli Olandesi e gli Inglesi, in ritardo scesero in campo anche i Francesi. Ma nel momento sbagliato !

Nell'indole dei francesi vi é una apparente contraddizione che emerge in modo particolarmente chiaro nella loro politica coloniale. Da un lato il francese sembra una specie di topo domestico che ama le comodità e i lieti piaceri, non si sente a suo perfetto agio se non quando si trova nel suo paese e nutre una leggera repulsione ad apprendere le lingue straniere. Dall'altro lato invece la nazione francese é una nazione irrequieta che ambisce ad essere qualcosa ed a farsi valere oltre i propri confini più che possibile.

Ed appunto perciò la Francia poté essere splendidamente rappresentata nella schiera degli esploratori di nuove terre, formò assai presto il disegno di conquistarsi un vasto dominio coloniale, poté divenire per un certo tempo una pericolosa rivale degli inglesi, desiderosa di innalzarsi a nuova potenza coloniale.
Le cause che sotto Luigi XV provocarono il fallimento della grandiosa opera e misero in pericolo i risultati degli sforzi coloniali compiuti dalla Francia, sono di natura psicologica. Ai francesi fa difetto la calma tenace e la perseveranza, che in questo campo può unicamente dare la vittoria; essi non sono un popolo marinaro, si lasciano troppo influenzare dalle correnti del momento e sono inclini alle sterili avventure cavalleresche.
L'esagerato amor proprio nazionale e l'intolleranza li distolse dall'acclimatarsi all'ambiente straniero ed impedì quella fusione di popoli che costituisce la base del progresso di ogni giovane colonia. I loro metodi di maneggiar gli affari furono spesso compassionevoli e cercarono di arricchire soltanto una determinata piccola camarilla, ed una gretta burocrazia fece quanto di peggio poteva fare con una quantità di ordinanze vessatorie.

L'invidia e gli intrighi ostacolarono le migliori iniziative e abbatterono gli uomini più capaci. Troppo spesso uomini traviati si gettarono sulle colonie, mentre il capitale ricalcitrante solo con le pressioni del governo venne indotto a partecipare alle imprese coloniali. La politica coloniale rimase sempre monopolio di singole persone o di particolari gruppi di interessi; diversamente com'era invece in inghilterra - essa non fu mai popolare in Francia.

Il principale promotore dello sviluppo del traffico francese d'oltremare fu il grande ministro di Luigi XIV, Jean Baptiste Colbert (1619-1683), statista e capo dell'amministrazione coloniale francese. Già il cardinale Richelieu (1585-1642), come vedremo più avanti vi aveva dedicato le sue cure (fondando la Compagnie de l'Orient.) ma in modo inadeguato.

Colbert riprese i suoi progetti impostandoli su più vasta scala. Il suo proposito era di dare il massimo sviluppo alla industria e al commercio francese così da liberarli dal predominio olandese. Dazi protettivi, fabbriche, sussidi dello Stato e colonie proprie sembrarono a lui i mezzi più idonei a tale scopo. Perciò nel 1664 (imitando così gli olandesi e gli inglesi) furono costituite la Compagnia delle Indie Orientali e la Compagnia delle Indie Occidentali, la prima destinata ad agire nell'Oceano Indiano, la seconda nell'Atlantico, e vennero fatti i massimi sforzi per metterle in grado di funzionare bene. Non solo furono concessi a questo scopo contributi dello Stato, ma si cercò di attirare anche azionisti dalla Germania e dai paesi nordici.

Naturalmente l'ingrandimento della Francia tramite le lontane colonie armonizzava bene con l'indole ostentatamente grandiosa di Luigi XIV, e quindi non fa meraviglia che anch'egli abbia preso a cuore tale progetto di Richelieu. Al proposito anzi vogliamo rilevar di passaggio che Leibnitz, altrettanto buon patriota quanto eminente pensatore, cercò di trarre profitto da queste tendenze del Re Sole per distoglierlo dai suoi piani di conquiste contro la Germania. In uno scritto rimasto famoso egli lo consigliò di assoggettare l'Egitto ed a costruire un canale a Suez. Ma Luigi per il momento trovò che le rive del Reno erano più vicine di quelle del Nilo.

Ma anche nei successivi disegni di espansione coloniale Colbert ebbe poca fortuna. Nonostante tutti gli sforzi fatti dall'alto, e benché lo stesso Re avesse contribuito con 4 milioni di franchi alla formazione della Compagnia delle Indie Orientali, i profitti di quest'ultima non si rivelarono per nulla attraenti. Gli azionisti si rifiutarono ripetutamente di versare ulteriori contributi e la direzione della Società ricorse già a quel tempo all'espediente, oggi in voga nelle società per azioni, di compilare dei falsi bilanci e di pagare dei dividendi sul capitale, mentre in realtà il bilancio era in deficit.

Uno degli ultimi atti di Richelieu era stata la fondazione della Compagnie de l'Orient; e come primo compito essenziale egli le assegnò quello di prender possesso del Madagascar. Quest'isola colossale, che per la fauna e per la flora costituisce quasi una parte del mondo a sé, era stata scoperta sin dal 1501, ma fino allora era rimasta del tutta immune dalle influenze europee. Richelieu si propose di farne il punto d'appoggio del traffico francese con le Indie orientali. Infatti i francesi vi sbarcarono nel 1642, ma in una stagione sfavorevole ed in una regione malsana; riuscirono appena a costruire un forte destinato a proteggere le eventuali ulteriori operazioni. Nei venti anni successivi furono poi occupate larghe zone dell'isola, ma la tratta degli schiavi e l'eccessivo zelo di missionari francesi nel voler convertire al cristianesimo gli indigeni suscitarono l'ostilità delle popolazioni locali e resero impossibile di stabilire con loro buoni rapporti.

Morto Richelieu nel 1642, in Francia sopraggiunsero ad aggravare la situazione altre contrarietà, come la deficienza di denaro e la scarsa immigrazione francese nell'isola; tanto che nel 1664 la Compagnia dell'Oriente si trovò costretta a rinunciare alla concessione ottenuta. Fu a questo punto che intervenne Colbert (personaggio chiave alla corte di Luigi XV) con la costituzione della nuova Compagnia delle Indie Orientali. Anzi per il Madagascar in particolare egli promosse la formazione di una apposita società, per la quale occorse raccogliere un capitale di 6 milioni di franchi ed una flotta di 12 a 14 grosse navi. Si cercò con tutti i mezzi di rendere popolare l'impresa e di impiantarla su basi grandiose. Furono scritti e diffusi appositi opuscoli di propaganda, furono tenute conferenze, assemblee, vennero fatte esposizioni di prodotti del Madagascar, si ostentarono (con delle messe in scena ridicole) ricevimenti di delegazioni dei re dell'isola (che non erano altro che capì tibù di una misera polazione di aborigeni selvaggi); in breve fu messo in opera tutto un moderno sistema di réclame, cui partecipò personalmente lo stesso ministro.

Ma il ceto commerciale francese si mantenne molto riservato; anche perchè le due prime navi cariche di prodotti del Madagascar vennero affondate dagli inglesi. Allora il Re mutò progetti e si propose di fare del Madagascar una specie di Stato feudale e di formare con i coloni possessori di grandi aziende una nova aristocrazia dotata di titoli altisonanti.
La sua presenza di persona alle riunioni, fece tacere le obiezioni degli azionisti, ed il marchese di Montdevergue, nominato governatore, si recò con un seguito di funzionari nell'isola, cui fu dato il nome di «isola del Delfino».

Ma le cose andarono male ugualmente; il Re fu costretto da ultimo a prendere l'isola sotto la sua diretta amministrazione; Montdevergue fu imprigionato e morì mentre si istruiva il suo processo. Quale colonia della corona il Madagascar andò ancora peggio. Avvennero continui attriti e conflitti fra il regio ammiraglio che governava l'isola ed i coloni; gli indigeni si sollevarono nel 1672, massacrarono gran parte dei francesi e due anni dopo tornarono alla carica. Ciò pose fine al sogno accarezzato di fare del Madagascar una «Francia orientale ».
Più d'un secolo l'isola restò nell'ombra. Sol nel XVIII secolo, allorché venne il tempo di una quantità di avventurieri, girovaghi e ciarlatani, tornarono in mente i grandiosi progetti di una volta. Specialmente il conte Maudave, un prode ufficiale che aveva molto viaggiato ed odiava cordialmente gli inglesi, pose gli occhi sul Madagascar. Egli seppe trarre dalla sua il ministro Choiseul, sbarcò nell'isola nel 1768, si guadagnò le simpatie degli indigeni e si impadronì di una enorme estensione di terreno. Ma a tal punto egli suscitò la gelosia del governatore dell'Isle de France, il quale poco dopo con varie accuse, nel 1770, ottenne il suo richiamo.
La situazione torno a farsi disperata, quand'ecco il conte ungherese Benjowsky riuscì a guadagnarsi la fiducia di Luigi XV. Egli era un tipo irrequieto; viaggiatore, ufficiale, congiurato, prigioniero, cacciatore di pellicce, precettore, assassino; e malgrado ciò nel 1774 fu mandato con un reparto di truppe al Madagascar. Ma i funzionari d'Isle de France cercarono di diffamare anche a lui ed i soldati francesi si mostrarono indisciplinatissimi.
Benjowsky tuttavia tenne duro, fece parecchie spedizioni nell'interno e colonizzò quanto poté, date le circostanze difficili in cui si trovava. Ma a Parigi intanto gli intrighi a suo danno si infoltivano sempre più; ed egli vide arrivare una commissione d'inchiesta che gli vietò ogni ulteriore iniziativa.

Pur eletto dagli stessi indigeni loro re, egli, offeso e abbandonato da tutti, corse a Parigi, si giustificò dinanzi al Re, intavolò trattative con gli Stati Uniti d'America, mise in moto Dio e il mondo, e nel 1785 fece ritorno al Madagascar, dove però il governatore d'Isle de France lo trattò da ribelle, lo fece catturare e mettere a morte.
Può darsi che in tutto ciò abbia lavorato indubbiamente anche il denaro inglese. Infatti terminata l'epoca napoleonica e la disfatta della Francia, nella restaurazione, Radam I nel 1817 ricevette dagli inglesi il titolo di re del Madagascar.
Non potendo seguire ulteriormente da vicino le vicende dell'isola, aggiungeremo soltanto che nel 1896 essa venne nuovamente dichiarata colonia dello Stato francese, e fu finalmente condotta in porto la fortunosa e secolare impresa. Fino al 1958, quando fu poi proclamata la Repubblica Malgascia e il Paese ottenne l'indipendenza.

Altra meta delle aspirazioni francesi fu la regione costiera dell'Africa occidentale tra il Senegal e il Gambia, il Senegambia, sull'Atlantico. La Francia vantava su di esso qualche pretesa, perché - dissero - già nel XIV secolo vi avevano approdato delle navi normanne, ne avevano tratto oro, avorio e gomma, che avevano poi portato sul mercato di Dieppe. Ma poi erano sopraggiunti gli olandesi e gli inglesi. Il più importante stanziamento francese in queste regioni si ebbe alle foci del Senegal, dove fu eretto il Fort di S. Louis.
Nel 1626 per questa colonia si costituì una società commerciale francese, la cosiddetta Compagnia Normanna, ma nel 1664 essa dovette cedere i suoi diritti alla Compagnia delle Indie Occidentali.
Nel 1672 poi Colbert fondò ancora una speciale Compagnia, che però - a causa di continui dissesti - dovette essere ripetutamente rimessa in sesto e trasformata. Un sensibile miglioramento in Senegal si ebbe poi nel 1697 con l'arrivo a St. Louis di un uomo di talento come il direttore Andre Brue. Egli trovò la colonia in condizioni pietose; ma si liberò dalle pastoie burocratiche e militari ed agì in sostanza con criteri da commerciante e da esploratore.

Risalendo molto in alto il corso del Senegal, si rese conto del valore economico dell'entroterra. A lungo cercò una via d'acqua, che raggiungesse Timbuctu, il punto di convegno di tutte le carovane, ma naturalmente la cercò invano. Al suo ritorno egli riordinò la colonia costiera, poi nel 1698 esplorò il corso superiore del Senegal e nel 1700 risalì il Gambia, mentre uno dei suoi uomini di fiducia, l'accorto monaco agostiniano Apollinaire scopriva nella regione dell'alto Senegal delle miniere d'oro.
Richiamato e poi rimesso con ogni onore al suo posto, Brue nel 1714 ritornò in colonia, fece buoni affari e si allevò un nutrito numero di valenti funzionari in sott'ordine. Uno di questi, Compagnon, diresse nel 1715 e nel 1716 una impresa nella regione di Bambuk e nella provincia aurifera di Guinguifavanna.
Qui il terreno era così ricco d'oro che persino le teste delle pipe dei negri contenevano grani del prezioso metallo ed una notevole collina era fatta tutta di terreno aurifero.

Il proposito di Brue di allacciare e mantenere pacifici rapporti con i negri e con gli arabi poté realizzarsi e diede splendidi risultati, in quanto egli poté organizzare il commercio della gomma, la raccolta dell'oro e fare dei rilievi cartografici. Disgraziatamente un dissidio insorto fra lo Stato e la società impedì lo sfruttamento delle miniere d'oro.
Invece di abituare gli indigeni ad un tenore di vita sobrio e igienico, i francesi introdussero fra quella gente una quantità di bevande alcooliche, e la tratta degli schiavi - in quel periodo molto richiesti- fu esercitata su sempre più vasta scala. Dalla Costa d'oro questa merce umana veniva trasportata alle Antille dove la si utilizzava per le piantagioni.

Sotto i successori di Brue la colonizzazione subì un ristagno. Da ultimo arrivarono gli inglesi, allettati dalla tratta dei negri, e si impadronirono di quelle regioni. Nel 1854-1865 dopo unici anni di guerra con gli inglesi ritorna ai Francesi, l'anno dopo viene fondata Dakar e porta a termine la conquista dell'intero Senegal. Il Senegal-Gambia diventa Repubblica autonoma nel 1958 in seno alla all'Unione francese. Due anni dopo acquista l'indipendenza.


Contemporanee alla colonizzazione del Madagascar furono le imprese dei francesi nell'Oceano indiano e nell'India. Essi presero possesso nel 1649 dell'isola di Borbone (Réunion), che era stata scoperta nel 1505 dai portoghesi e vi stabilirono una colonia che prosperò magnificamente. Il governatore Peivre introdusse nell'isola la coltivazione delle droghe (alimentari) e da allora essa produce la migliore vaniglia del mondo.

Le cose andarono diversamente nell'isola Mauritius (Isle de France) che aveva una importanza internazionale come ottimo punto d'appoggio per il traffico con l'India. All'inizio essa fu portoghese, poi olandese, poi libera da ogni dominio, poi francese, inglese, nuovamente francese, per cadere da ultimo nelle mani degli inglesi. Anche l'isola di Rodriguez ebbe uguale sorte: essa passò di volta in volta dal Portogallo all'Olanda, alla Francia e da ultimo all'Inghilterra.
I due teatri principali della politica coloniale francese furono l'India orientale e l'America del Nord.

Nel 1669 salpò una squadra al comando di de la Haye per conquistare l'India orientale alla compagnia francese. I primi stanziamenti si ebbero nel Surat ed a Masulipatam, vale a dire in località dove già risiedevano altri europei. Un tentativo, fatto nel 1672, per strappare Ceylon agli olandesi fallì. Invece i francesi riuscirono ad occupare sulla costa del Coromandel la città di Saint Thomas (St. Thomè) presso Madras e vennero così a contatto col principe di Golconda, uno dei più potenti sultani dell'India anteriore. I «tesori di Golconda» erano sulle bocche di tutti.
St. Thomas ben presto andò perduta, passando in mano degli olandesi, ma quasi subito dopo i francesi ottennero un notevole successo. Un impiegato della Compagnia, François Martin, nel 1674 si insediò audacemente con 60 uomini a Pondichéry. Per questa prova di talento egli divenne direttore generale della Compagnia, si impossessò di Ciandarnagar, allargò il territorio francese ed allacciò relazioni con la Persia e col Maskat.
Ma (anche qui) la cattiva politica della corte francese e la guerra di successione di Spagna fece perdere alla Compagnia tutti i frutti delle sue fatiche. Tramite Pondichéry i francesi avevano stretto relazioni amichevoli col Siam. Nel 1686 essi mandarono persino truppe ausiliarie a Bangkok, ed esse contribuirono a liberare il paese dall'influenza olandese, cui si sostituì la francese.

Ma poi l'alterigia e la solita smania di convertire gli indigeni guastò tutto. Come il solito nel resto dell'Oriente, dalla Cina al Giappone, dove insieme alle merci sbarcavano i preti (fra l'altro di vari ordine e in conflitto tra loro), dopo breve tempo nascevano conflitti.
Anche qui per colpa loro, gli indigeni si sollevarono contro i francesi e nel 1688 li costrinsero ad abbandonare il paese. Così la Compagnia olandese riuscì a riprendere il suo predominio nel Siam.
Dunque per un certo tempo le cose non andarono bene per i francesi nell'Estremo Oriente. Sol quando John Law si servì delle imprese d'oltre mare per i suoi fantastici progetti essi riacquistarono un po' di prestigio.
Ma il recuperato splendore non durò a lungo e la nuova Compagnia delle Indie fu sull'orlo dello sfacelo; poi il governo francese la salvò e dal 1742 ne diresse le sorti Dupleix quale governatore.

A quel tempo erano avvenuti grandi mutamenti nell'India meridionale. Il Decan si era reso indipendente dal Gran Mogol ed aveva costituito ad Haidarabab un governo autonomo, la cui autorità era peraltro compromessa dall'imperversare di una quantità di grossi e piccoli sovrani dipendenti: condizione di cose questa squisitamente favorevole alle ingerenze straniere.
Il primo che ebbe una chiara intuizione di questi contrasti ed agì in conseguenza fu appunto Dupleix. Egli concepì l'audace disegno di erigere un dominio francese sulle rovine del frantumato impero mongolo. Riuscì a farsi partigiano del nabab di Arcot, sulle coste del cui territorio si trovavano Madras e Pondichérry, e nel tempo stesso cacciò via gli inglesi, togliendo loro Madras e mantenendola finché la pace di Aquisgrana non lo costrinse a restituirla. Malgrado ciò Dupleix, imperterrito, prosegui l'attuazione del suo piano: si intromise nelle contese che agitavano il Decan, pose sui troni di Haidarabab e di Arcot persone a lui accette e fini per diventare il padrone di fatto del mezzogiorno dell'India.

Nel 1751 egli era all'apogeo della sua potenza, e sperava di sottomettere alla Francia non solo l'India anteriore ma anche l'India posteriore. Ma a quel punto gli inglesi andarono alla riscossa e trovarono nella persona di Clive un campione di forza superiore al francese. Dupleix era più uomo diplomatico che soldato ed in Francia si era pure stanchi delle continue complicazioni indiane. Perciò i francesi non solo non diedero un appoggio insufficiente ma lasciarono al suo destino il proprio campione, mentre la Compagnia inglese fece notevoli sacrifici, mandando ottime truppe ed in particolare esperti soldati svedesi.

In queste condizioni la sorte del governatore francese e del dominio francese poteva dirsi decisa. Gli inglesi rimasero vittoriosi a Trichinopoli e Dupleix nel 1754 venne richiamato. Questi anche se aveva saputo mettere in buona luce le sue gesta e quindi era stato per un certo tempo sopravvalutato dai suoi connazionali, tutto sommato egli aveva fatto molto, se si tiene conto degli scarsi e insicuri mezzi di cui disponeva e della circostanza che il capo delle sue forze militari, invidioso dei suoi successi, corrotto dagli inglesi, gli seguitò a minare il terreno sotto i piedi.

Dupleix aveva indicato la via per la quale gli inglesi poi procedettero e riuscirono a farsi eredi della sua opera. Con l'ingratitudine che loro é propria nei momenti sfortunati i francesi ripudiarono il loro lungimirante concittadino, cosicché quest'uomo, ai cui piedi giacquero tutti i tesori dell'India, morì nel 1764 nell'estrema miseria.

Già prima Pondichèry era stato conquistato dagli inglesi; in seguito alla pace di Parigi del 1763 esso fu restituito ai francesi che lo conservano ancora, ridotto allo stato di colonia senza valore. Per il mal governo della Compagnia francese e per la miopia dello Stato francese la Francia perdette un dominio così prezioso come l'India.

Trasportiamoci ora sul campo d'azione della Compagnia delle Indie Occidentali, che già abbiamo imparato a conoscere e vista operare nel Senegambia.

Nessuna località del mondo esercitò sugli animi intraprendenti un'attrattiva pari a quella che esercitarono le Antille. Il clima temperato, la ricchezza del suolo e il carattere semplice ed ingenuo degli indigeni invitavano quasi formalmente a colonizzare. In Francia fu sostanzialmente la popolazione normanna che si mostrò sensibile a questo invito. Dai tempi di Richelieu dei nobili normanni intrapresero la fondazione di colonie francesi nelle Indie occidentali. Un capitano di Dieppe approdò nel 1625 nell'isola di S. Cristoforo e vi si installò.

Richelieu prese tanto a cuore l'impresa che vi partecipò egli stesso con suoi capitali, fornì ai coloni forze militari di protezione contro gli inglesi e li incoraggiò con privilegi doganali. A Rouen poi si costituì una società di capitalisti e mise a piantagioni le isole di Martinica e Guadalupa.
Qui si formò una casta di grandi proprietari di piantagioni, strettamente legata da vincoli di solidarietà e orgogliosa della propria origine normanna, che non accettò come colono se non chi fosse francese e cattolico.
Gli indigeni vennero trattati con disprezzo e con crudeltà e furono sfruttati spietatamente. Nel tempo stesso si procedette ad ulteriori occupazioni: nel 1643 furono occupate S. Lucia e Caienna nella Guiana, che allora veniva considerata come una pertinenza delle Antille; nel 1648 S. Martino ed altre isole, più tardi Granada e St. Croix.

Nel frattempo gli inglesi cominciarono a diventar forti in queste acque e con veri e propri atti di pirateria, arrecarono enormi danni ai francesi. Per ravvivare il traffico il governo dovette decidersi a pagare dei premi d'esportazione. L'amministrazione coloniale provvide male ai rifornimenti di merci europee, tanto che per questo motivo si ebbero persino delle insurrezioni dei coloni.

Dalle unioni tra bianchi e schiave vennero fuori numerosi meticci, che naturalmente ereditarono le cattive qualità di entrambe le due stirpi; contro questa popolazione di mezzo sangue infierì in modo ancor più insopportabile la superbia della casta dei creoli.

Nelle foreste vergini della magnifica isola di Haiti, che gli spagnoli avevano si può dire abbandonata, via via si stanziò un singolare gruppo di gente: tutti individui che ad ogni costo volevano condurre vita libera e senza regola; tipi spesso selvatici, incolti, anche se onesti (come vedremo più avanti, onesti perfino nelle loro rapine).
In questa compagnia erano rappresentati tutti i popoli, ma i più erano marinai francesi della Normandia. Si erano perfino inventati una lucrosa onesta attività. Infatti la loro principale occupazione era quella di dare la caccia alla numerosa selvaggina dell'isola, tagliarne a strisce le carni e seccarle-affumicarle al fuoco di legna. Questo processo era detto «boucaner» e perciò costoro furono in seguito chiamati «boucaniers». La carne così preparata in parte la consumavano essi stessi, in parte la barattavano con altri prodotti ai piantatori dell'isola, ma la maggior parte la vendevano alle numerose navi che vi approdavano per rifornirsi di cibo, soprattutto a lunga conservazione.

In mezzo a questa comunità semi-selvaggia un certo Pierre la Grand riuscì per la sua audacia a conquistarsi una posizione autorevole; egli era un marinaio fuggitivo di Dieppe. Ben presto volle intraprendere grandi imprese ed audacemente si impadronì con la tempestività nell'abbordarla e con la forza di una grossa nave mercantile spagnola. Il risultato fu che mise le mani su un grosso bottino e quindi ben presto cambiò mestiere. Si nascondeva in alcune provvidenziali insenature, poi al passaggio di una nave, in un baleno (al volo- fly) l'abbordava e il gioco era fatto.
I boucaniers, saputo questo, decisero di abbandonare pure
loro il miserabile mestiere e di fare d'ora in poi unicamente i pirati. D'ora in poi nella storia essi sono per lo più noti sotto il nome di filibustieri (dall'inglese fly- boat, cioè nave presa al volo); il nome che essi davano a sé stessi era quello di «Fratelli della Costa». E nelle imprese erano veramenti "fratelli"

Essi formavano un consorzio organizzato ed avevano una specie di statuto che osservavano lealmente. Si eleggevano i loro capitani e discutevano e decidevano tutte le imprese piratesche da compiere in assemblee generali. La preda veniva suddivisa secondo regole stabilite, e ciascuno doveva giurare di non sottrarre nulla. Chi contravveniva allo statuto era espulso dalla società.

Questa ultima si ingrossò di molti nuovi aderenti quando nel 1629 gli spagnoli cacciarono i francesi da S. Cristoforo. Una parte di costoro si recò ad Haiti, principalmente sulla costa settentrionale dell'isola, altri si stabilirono nella vicina isola di Tortuga, la cui costa rocciosa offriva comodi nascondigli e divenne ben presto il quartier generale dei filibustieri.
Essi compivano le loro imprese con audacia leggendaria; su leggeri navigli spuntavano all'improvviso fuori dai loro nascondigli subito accostavano fin sotto le pesanti navi da guerra spagnole e con scariche di fuoco attraverso le cannoniere mettevano fuori combattimento le artiglierie ed i relativi addetti.

Oltre alla pirateria essi esercitavano il contrabbando. A poco a poco l'intera sponda orientale del Centro America tremò dinanzi a loro. Ed essi ne approfittarono per sviluppare ancora più in grande le loro imprese non solo in mare ma anche in terra, passando uniti in bande numerose da luogo a luogo, assaltarono di sorpresa e saccheggiarono le città costiere. Le guarnigioni spagnole si difesero valorosamente, ma non furono in grado di respingere gli attacchi dei filibustieri.
L'impresa di questo genere che fece maggior rumore fu l'assalto della città di Panama nel 1670. I filibustieri estesero le loro scorrerie fin nelle parti meridionali dell'Atlantico. Il loro più famoso condottiero fu un certo Morgan; la sua intrepida audacia e intelligenza s'impose talmente agli occhi degli inglesi, che lo fecero vice-governatore della Giamaica.
Ed in questa carica Morgan in un modo straordinario non deluse le aspettative. Se vi era un isola sicura questa era la Giamaica.
Fin dall'inizio i filibustieri si astennero da crudeltà contro le persone del resto non necessarie; loro si accontentarono sempre di appropriarsi di cose e ricchezze, e se presero in seguito qualche ostaggio lo lasciavano poi andar libero se qualcuno pagava a loro un riscatto, oppure lo tenevano un paio d'anni a servitù nei vari lavori sull'isola.

In seguito invece il loro modo d'agire divenne più brutale ed essi versarono molto sangue innocente. Raramente le prede che facevano rappresentavano per loro un beneficio duraturo, perché non appena compiuta una rapina, si abbandonavano ad orgie disordinate, specialmente all'ubriachezza. Le navi da guerra mandate alla loro caccia non conclusero gran che. Tuttavia verso la fine del XVII secolo la "splendida" (*) leggenda dei filibustieri declinò e si estinse per consunzione.

Infatti all'interno stesso del singolare consorzio piratesco, scoppiarono dissidi, l'internazionalismo che ne aveva all'inizio cementato la concordia si dileguò e gli appartenenti alle varie nazionalità cominciarono a litigare fra di loro; d'altro canto i governi europei tagliarono ai filibustieri le sorgenti di lucro con una più ragionevole politica doganale; il che li costrinse ad abbandonare il mestiere.

(*) Le gesta e le vicende dei boucaniers e dei filibustieri furono descritte da uno di loro, un dotato marinaio olandese chiamato Esquemeling. L'amore alla libertà e la veemenza della passione, che ardono in questo libro, gli hanno procurato una fama mondiale. Pubblicato nel 1698 in olandese, fu l'epopea romantica della vita dei pirati, tradotto in quasi tutte le lingue europee, ed ogni traduttore si sforzò di mettere in particolare risalto alla parte avuta in quelle gesta dai propri connazionali. Il libro divenne poi il modello di tutti i successivi romanzi d'avventure dei pirati, e le sue tante imitazioni con aggiunta mille altre fantasie hanno rallegrato a quasi tutti noi la nostra fanciullezza.

L'unico risultato permanente dell'opera dei filibustieri fu la completa distruzione del dominio spagnolo nelle Antille; dopo di loro le isole vennero occupate da altri popoli europei. La già menzionata isola di Tortuga, dopo varie vicende, cadde nel 1640 in mano di ugonotti francesi che vi impiantarono una colonia.

VENIAMO ORA AL CANADA'


Il principale campo dell'attività coloniale francese fu il Canadà. La scoperta del fiume S. Lorenzo in quella penisola d'Acadia avvenne in occasione dei tentativi fatti per trovare a nord un passaggio dall'Atlantico al Pacifico. All'inizio del XVII secolo si trovava a capo delle colonie qui stanziate il valente governatore Samuele Chaplain (1603-1635). Egli esplorò il gran fiume fino alla regione del Niagara e alle pianure dei Mohicani.
L'agricoltura si sviluppò lentamente, ma assai rapidamente progredì il commercio delle pellicce, perché quei paesi erano enormemente ricchi di castori. Proprio allora cominciò in Francia una specie di entusiasmo coloniale, che dal 1615 fu incoraggiato e stimolato dallo scrittore Montchrétien.

Pie dame dell'aristocrazia, come Madame de Guercheville, dispensarono denaro e impegnarono la propria influenza a corte non solo per la conquista di nuove terre, ma anche per la salvezza di nuove anime, vale a dire per acquistare ai Gesuiti un dominio nel settentrione del Nuovo Mondo.
Ma ben presto gli inglesi attraversarono e contrastarono le aspirazioni francesi e nel 1614 attaccarono in piena pace Port Royal. La contesa fra i due popoli europei si propagò agli indigeni, ai quali i francesi erano più benvisti degli inglesi, perché i primi si stanziavano in mezzo a loro, mentre gli inglesi dove arrivavano li cacciavano dai villaggi e li relegavano lontani da loro.

La grande stirpe indiana degli Uroni, pacifica e bene intenzionata, tenne dalla parte dei francesi, mentre gli inglesi se la intesero con gli Irochesi, razza crudele e selvaggia, che essi con l'acquavite e con miseri donativi aizzarono contro i loro nemici, per poi assistere ridendo quando i Pelli-Rosse li scotennavano, oppure li legavano al palo del supplizio o li bruciavano.

Come altrove, così nel Canadà, Richelieu (sempre lui anche qui) promosse la colonizzazione con aiuti dello Stato. Una società del Canadà, costituitasi nel 1628 e fornita di grandi privilegi, cominciò a svolgere una movimentata e proficua attività, grazie al monopolio delle pelli di castoro che possedeva.
Ma nonostante tutto questo le cose non procedevano come era desiderabile. Il contadino francese, attaccato alla sua terra, molto difficilmente decideva di emigrare, benché la spesa del viaggio per mare fosse stata da ultimo ridotta a pochissimi franchi. Un tipo di avventura del genere proprio non lo attirava.
Ne derivò che nel 1642 la Nuova Francia contava appena 200 abitanti, mentre gli stati della Nuova Inghilterra annoveravano già 24.000 abitanti.
Dopo quasi vent'anni, nel 1660 le colonie francesi erano arrivate a 3418 persone, ad un numero cioè piuttosto molto scarso. Inoltre «Il Francese che andava in America», dice Supan, «trovava lo stesso ambiente opprimente che dominava in patria, la stessa autorità pubblica vessatrice, gli stessi privilegi della nobiltà e del clero, la stessa concentrazione della proprietà fondiaria nelle mani di queste due classi sociali, la stessa costrizione di coscienza».

A tutto ciò si aggiungeva un perpetuo attrito fra l'autorità civile ed il clero. Le attrattive perciò non erano affatto seducenti. Gli individui che passavano il mare erano per la massima parte gente senza voglia di lavorare ovvero esistenze naufragate, che per disperazione si attaccavano a qualunque cosa. Si formò uno strano piccolo popolo che si aggirava nelle impenetrabili foreste; i così detti coureurs de bois: cacciatori al laccio, cacciatori di pellicce, facchini, merciai, giocatori, avventurieri, delinquenti, amici della natura ed esploratori; una società senza leggi; oggi nella più estrema miseria, in lotta con le intemperie, con le bestie feroci e con i crudeli Indiani, domani giubilante dinanzi alla ricca preda conquistata.
Tutti costoro conducevano una vita miserabile e piena di pericoli, eppure rimanevano gelosamente attaccati alla vita.

Nal frattempo gli Inglesi avevano conquistato gran parte del paese insieme con il più grosso villaggio, capoluogo Quebec; ma in seguito re Carlo I d'Inghilterra restituì tutto. Fu da questo momento che la colonia si sviluppò tranquillamente con una rilevante compartecipazione dei Gesuiti. Questi primi missionari furono i primi europei che videro i grandi laghi e le cascate del Niagara. Essi penetrarono molto all'interno verso ovest, mentre alcuni mercanti francesi verso il 1670 fondavano Detroit.
La Nuova Francia ebbe il più famoso dei suoi governatori nella persona del conte Fontenac, il quale mantenne molto lodevolmente la colonia dal 1672 al 1682 e dal 1689 al 1698. Durante il suo governo due padri gesuiti raggiunsero nel 1673 il Mississipì e lo percorsero in un battello fino alle sue foci nel golfo del Messico.


Dopo di loro fecero seguito La Salle e Hennepin, i quali proclamarono possedimento francese tutta la regione del «padre delle acque» e per indicarla coniarono il nome di Luisiana (in onore di Re Luigi). Attualmente è una regione molto più ristretta (125.000 kmq), ma ancora al tempo di Napoleone confinava addirittura con il Canadà con 1.500.000 kmq di territorio ed era grande quanto gli allora 13 Stati Uniti messi insieme, e che l'Imperatore francese cedette a questi per la modica cifra di 15 milioni di dollari (gli Usa quasi non volevano acquistarla - infatti Jefferson agì senza il consenso del Congresso).

Cavelier de La Salle aveva la natura di vero esploratore: avido di fama, avveduto, pratico e intraprendente; col suo fiuto intuì l'importanza delle regioni interne americane, e nel 1669 aveva già scoperto il territorio dell'Ohio, lui a scoprire anche le cascate del Niagara.
Divenuto ricco col commercio delle pellicce, dopo essersi più volte accapigliato con i successori francesi di Fontenac, cadde nel 1687 battendosi contro gli Indiani.

L'opera compiuta da La Salle era stata di notevole importanza, dal momento che in seguito ad essa la Francia circondava con l'ampio arco dei suoi possedimenti gli Stati della Nuova Inghilterra e li tagliava fuori dall'interno del continente; persino l'isola di Terranova finì per passare dalle mani degli Inglesi
in quelle dei Francesi. Per il momento dunque sembrava che l'avvenire dovesse appartenere alla Francia; essa d'accordo con la Spagna, sua confinante a sud, cercò di sbarrare il passo agli Inglesi con una catena di fortini eretti lungo il Mississipì, catena di cui può considerarsi come il punto estremo la città di Nuova Orléans, l'odierna regina del commercio del cotone, che fu fondata nel 1718 e ha conservato una notevole discendenza di popolazione francese.
Anche in un altro senso i Francesi svolsero attività; disboscarono enormi foreste, dissodarono terreni e costruirono fortini contro gli Indiani. Detroit divenne il centro principale del commercio delle pellicce; una società, costituitasi appositamente per questo traffico, stabilì colonie nella regione dei grandi laghi ed allungò i suoi tentacoli sino ai Monti Rocciosi.
Ma i Francesi non seppero sfruttare sufficientemente le ricchezze del paese e progredirono molto lentamente.

Nel 1721 abitavano il Canadà appena 25.000 bianchi e la Luisiana nel 1708 non ne annoverava che 279. Perduta ogni speranza, il governo francese affittò l'immenso territorio insieme con il Texas ad un commerciante. Ancora una volta si ebbe un breve risveglio per opera di Law.
Questi fondò una Compagnia d'Occidente, i corsi delle cui azioni furono vertiginosamente fatti salire da 300 a 20.000 franchi. Ma ben presto tutto l'edificio crollò; a fare man bassa del valore aggiunto al momento giusto un gruppetto di speculatori che avevano creato questa gran bolla di sapone alle spalle dei tanti ingenui creduloni. (come oggi insomma !!)

Fu tale la scarsezza di emigrazione e quindi la mancanza di braccia che si dovette fare della Luisiana una colonia penitenziaria. La Compagnia d'Occidente si sciolse nel 1721, l'altra Compagnia delle Indie Occidentali fece la stessa fine, subì spaventosi crolli delle sue azioni, e tutta la Francia ne risentì il contraccolpo economico. Erano in molti ad aver messo i loro modesti e unici risparmi in quella che poi scoprirono - con sgomento - essere carta straccia.

Le circostanze più varie avevano contribuito al disastro. I Francesi si trovarono in uno stato permanente di guerra con gli Inglesi e con una parte degli Indiani. Il governo francese mostrò una funesta irresolutezza, una incredibile incapacità e la peggior trascuratezza, o meglio dire ingiustizia, verso i coloni e verso i suoi stessi risparmiatori, mentre gli Inglesi sì pure loro procedettero all'inizio con sconfinata brutalità, e, come in precedenza, aizzarono gli Irochesi contro gli avversari, ma poi svilupparono e praticarono sempre più le qualità superiori della loro indole imprenditoriale e seguirono lo spirito delle loro istituzioni liberali.

In simili condizioni era fatale che essi, lentamente, ma in modo sicuro, dovessero prevalere. Da un lato lo spirito di libertà, le integrità morali (perfino superiori alla loro patria - vedi i puritani) e tanta indipendenza e individualismo; dall'altro monopoli, cinici speculatori, burocrazia e tanti preti - di ogni tipo- sempre fra i piedi.


Il governatore Duquesne ebbe motivo di scrivere a Parigi: «Qui vi é un tal numero di mascalzoni, che è impossibile salvarsi dalle loro unghie». Per colpa, in sostanza, delle ruberie dei funzionari scoppiò una insopportabile carestia: una botte di vino costava 800 franchi e di farina non se ne trovava proprio anche se era stipata in grandi quantità nei magazzini degli speculatori.

Conseguenza di tutto questo malgoverno fu che, nonostante i sacrifici di molti e il valoroso comportamento di altrettanti coloni, la Nuova Francia andò perduta un pezzo dopo l'altro. Sopraggiunse poi quel baratro della guerra dei sette anni (1756-1763) che per effetto di mille cause si svolse anche in America, ed essa decise definitivamente le sorti delle colonie francesi.

In questa titanica lotta emersero tuttavia alcune notevoli personalità; da parte dei Francesi il prode marchese Montcalm, da parti degli Inglesi i generali Amherst e Wolfe, e nello sfondo un ancora giovanissimo George Washington (1732-1799).

Il ministero inglese già nel 1755 - cioè prima dello scoppio della infausta guerra voluta dai francesi - aveva progettato di attaccare i Francesi nelle sue colonie d'America da varie parti e contemporaneamente e di annientarli in un colpo. Ma il disegno fallì, per l'apertura dei fronti in Europa con gli Inglesi e i Pussiani schierati contro la bellicosa e arrogante Francia.
Si combatté comunque oltreoceano con impeto, ma senza un risultato decisivo. Nel 1756 Montcalm prese d'assalto Oswego e nel 1757 costrinse alla resa Fort William. Qui Henry con i suoi PelliRosse massacrarono tutta la guarnigione inglese.

Nel 1758 caddero, è ben vero, parecchi forti francesi, ma nei pressi del lago George gli Inglesi perdettero 2000 uomini. Pitt volle finirla, e nel 1759 (quando ormai in Europa la Francia dopo Rossbach ('57) era già in grosse difficoltà) fece invadere il Canadà da tre lati e con forze di molto superiori a quelle poche francesi prive di rinforzi perchè nel dramma a Parigi si erano perfino dimenticati di loro.
Il generale inglese Wolfe risalì con 8000 uomini il S. Lorenzo e si accampò sotto Quebec. Il suo primo assalto fallì. Ma poi astutamente a sorpresa l'inglese sbarcò sul lato occidentale della città, costrinse Montcalm ad accettare battaglia e lo sconfisse in modo decisivo, annientandolo.


Tuttavia sia Wolfe (nell'immagine sopra) come il suo avversario Montcalm lasciarono la vita sul campo. Il 18 settembre 1759 sulla cittadella apparve la bandiera bianca. In seguito parecchi altri fortini caddero e l'8 settembre 1760 si arrese anche Montréal, l'ultima fortezza francese. Il marchese di Vaudreuil consegnò il Canadà «con tutte le sue dipendenze» alla corona inglese.
Consegnava un paese immerso in una terribile e drammatica sofferenza per la guerra che aveva dovuto sostenere in modo del tutto impari.

La pace con l'umiliante trattato di Parigi del 10 febbraio 1763 suggellò il risultato delle battaglie: il Canadà e le isole delle sue coste andarono all'Inghilterra, la parti meridionali dei possedimenti francesi passò alla Spagna, con grande avversioni della popolazioni che insorse. Quando il governatore Bigot si presentò a Versailles dinanzi al re, questi lo apostrofò in malo modo.
Alcuni funzionari vennero gettati nella Bastiglia e le loro ricchezze rubate vennero confiscate. Ma a cosa servì tutto questo?
I 110 milioni e più che la Francia aveva speso negli ultimi undici anni per il Canadà rimasero perduti, perduto era lo stesso paese, e anche l' «ancien régime» aveva ormai gli anni contati.

La politica coloniale francese aveva fatto naufragio.
E Voltaire, il nemico mortale dell'«ancien régime», celebrò la vittoria dell'Inghilterra, paradossalmente sulla propria patria, come il trionfo della libertà e dei nuovi diritti dell'uomo sul morente dispostismo.
Ma già a Rossbach, Voltaire tifava per gli inglesi e per Federico II; era profondamente indignato e irritato che Luigi XV si fosse imbarcato in quella sciagurata guerra, alleandosi addirittura con gli odiati austriaci, e solo perchè a volerla quella guerra era stata con le sue trame la sua favorita Pompadour.

Il naufragio della Francia fu la fortuna dell'Inghilterra.
Quindi ora lasciamo la Francia e torniamo indietro
per narrare fin dal suo inizio l'ascesa dell'Inghilterra.

L'ASCESA DELL'INGHILTERRA A POTENZA MONDIALE > >

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