-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

109 m - L'INGHILTERRA POTENZA MONDIALE

 

La «legge biogenetica», proclamata in seguito da Haeckel, secondo la quale lo svolgimento storico della specie si trova riassunto nel carattere degli individui che la compongono, è abbastanza ben confermata dallo sviluppo storico della colonizzazione inglese. L'Inghilterra ha sperimentato l'una dopo l'altra quasi tutte le forme di colonizzazione, ha potuto, grazie all'energia della sua stirpe, studiarne tutti i particolari e quindi ha accumulato in materia coloniale una esperienza maggiore di qualsiasi altro popolo.
Essa ha comunque dovuto - durante il corso di 300 anni - pagare questi studi e questa esperienza a costo di grandi sacrifici, ma in compenso è divenuta per merito loro una potenza mondiale.

L'Inghilterra si è creata una scuola di validi funzionari coloniali, che le permettono di governare bene e a buon mercato con poca gente vasti territori densi di popolazione; essa ha avuto l'arte di trattare abilmente i popoli seminciviliti e di saper trarre cospicui vantaggi dalle colonie.
Per raggiungere il suo scopo essa si servì di uomini di ogni genere: avventurieri, mercanti, conquistatori, agricoltori, funzionari, scienziati. E di ogni mezzo, dalle prime armi alle mitragliatrici, dai primi velieri alle cannoniere.

Il carattere del popolo inglese non è stato sempre lo stesso: l'inclinazione ai viaggi, il desiderio di conoscere istituzioni e costumi stranieri, il gusto di sfidare i pericoli, si sviluppò piuttosto lentamente, a poco a poco. Fino ai tempi della regina Elisabetta gli Inglesi non furono un popolo marinaro nel senso odierno del termine.
Solo da questa epoca "elisabettiana" si destò nel popolo inglese l'aspirazione al dominio dei mari, e chi la stimolò fu anzitutto l'inimicizia degli Spagnoli; questi folevano strafare senza averne le capacità.

Prima di allora il mare che circondava l'isola fu apprezzato solo perchè era un baluardo contro gli assalti esterni, e lo si rileva dal famoso passo di Shakespeare (Riccardo II) che dice: «Questa gemma incastonata nel mare argenteo, che le presta il servizio di una muraglia, di un fossato che difende la casa dall'invidia di paesi meno favoriti »....
E come lui, così pensava ogni inglese. Soprattutto quando l'Inghilterra ebbe colonie in tutte le latitudini e longitudini del mondo, che come estensione territoriale raggiunsero più di cento volte la sua stessa isola.

La consapevolezza di dover combattere una lotta per la morte o la vita con la Spagna, col protettore dell'ultramontanismo, col marito della cattolica Maria, signore dei mari, dell'India e del Nuovo Mondo, spinse più che ogni altra considerazione, sul mare gli Inglesi, i quali sinora (stiamo sempre parlando dell'epoca di Elisabetta) erano abituati soltanto a vedere ancorarsi nel Tamigi le flotte mercantili di Colonia e delle altre città anseatiche.
Lo scopo del movimento che ora si iniziò fu quello di provvedere con navi inglesi all'importazione delle cose di prima necessità e di fare di Londra il mercato centrale dello scambio delle mercanzie di tutto il mondo, e tale divenne in seguito, soprattutto quando decollò il colonialismo, poi l'era industriale e in parallelo le sue inesauribili banche.

Tuttavia, se si vuole fare un apprezzamento esatto dei tempi di Elisabetta, non bisogna farsi una idea esagerata della «libertà» inglese dell'epoca. Sotto l'aspetto politico il governo di Elisabetta fu uno sfrontato governo di favoriti, ed essa fu in continua lotta col Parlamento, le cui pretese di partecipazione alla conduzione democratica dello Stato essa considerò come attentati ai suoi diritti sovrani. Tuttavia fu un diritto che esercitò per il bene presente e futuro della "sua" Inghilterra.

Sotto l'aspetto religioso poi il giovane protestantesimo non fece per ora che sostituire una tirannia ad un'altra. Senza essere un genio, Elisabetta tuttavia seppe trovare gli uomini adatti ai vari compiti e seppe farli servire ai propri fini.

Esagerate o minimizzate, le biografie che riguardano la grande regina, servono tutte per dare risalto alla sua personalità. Il suo lungo regno (45 anni) vide sorgere e l'affermarsi non solo della potenza economica inglese, ma anche di una nuova vita dello spirito.
L'invocazione "Dio salva la Regina" veniva ripetuta con piena convinzione dai sudditi di ogni classe sociale e la sincerità della loro devozione non richiedeva ulteriori prove. Poche volte nella storia una regina, aveva saputo conquistare l'affetto e la stima di un popolo, solo in virtù delle sue qualità personali e senza far leva su nessuna forma di fanatismo.

La donna che ha portato con devozione e astuzia la propria patria alle porte del XVII secolo di cui ne è stata tra l’altro una delle protagoniste, ricordiamo che essa fu anche la prima regina protestante d’Inghilterra. La chiave del successo fu anche questo!! L'individualismo nell'uomo nell'Europa cattolica non era neppure concepibile. E se lo era, e qualche bagliore qui e là c'era, esso veniva subito stroncato dai pulpiti o dal soglio pontificio. Ogni conquista dell'uomo (nella scienza, nella medicina, nelle esplorazioni dell'universo) era, quella conquista, il prodotto del diavolo.
Se si voleva migliorare bisognava affidarsi solo alla Santa Provvidenza e non alla propria volontà. Anche se questa era pur sempre un dono di Dio, e Lui forse non avrebbe avuto nulla da ridire. Non così il suo prete. Che terrorizzava chi osava! Che aveva sempre terrorizzato! con le pene dell'inferno... chi osava!.

 

Non è possibile stabilire con precisione il momento del primo apparire degli Inglesi nel gran traffico mondiale. Pare che sin dal 1499 essi abbiano messo piede sulla costa settentrionale del Sud-America. Quale prima impresa transmarina di una certa importanza ed esclusivamente inglese si deve caratterizzare il tentativo di Sir Humphrey Gilbert, il quale, nel 1583 attuò un principio di colonizzazione della costa di Terranova, che tuttavia rimase sterile di risultati.
Forse questo traffico prese incentivo dal fortunatissimo viaggio di circumnavigazione compiuto da Francis Drake dal 1577 al 1580, ma con tutti altri intenti.

In questo campo delle scoperte ed esplorazioni, come d'ordinario, gli Inglesi non sono stati originali; la loro forza ha per lo più consistito nello sfruttare e perfezionare le idee e le esperienze di altri con avvedutezza ed abilità.
Drake non fu che l'imitatore di Magellano, - ma fu più fortunato di lui, perché tornò in patria sano e salvo e sovraccarico di tesori.
Nativo del Devonshire, di bassa origine, parente del famigerato mercante di schiavi Hawkins, egli fece inizialmente come pirata una guerra privata contro i velieri Spagnoli o nelle loro colonie, per quanto col velato consenso e con l'altrettanto non visibile aiuto del suo governo.

La regina gli diede anzi del denaro, allorché egli promise di rendere gli Inglesi padroni dell'Oceano Pacifico. Messosi in viaggio, Drake nel 1578 scoprì la costa nord-occidentale dell'America, la sponda dell'attuale Stato di Oregon, saccheggiò le rive del Brasile e del Perù, rapinò quanto poté nelle Molucche ed a Giava. Dove arrivava metteva a ferro e fuoco la malcapitata città. Ad alcune non fece nemmeno più questo, ma a una condizione, pagare un forte riscatto per essere lasciata in piedi. Così impiegava meno tempo! Poi riempito il forziere di tesori, proseguiva, verso un'altra costa, verso un'altro porto da saccheggiare. Tornò alla fine del viaggio con una preda del valore di più che 800.000 sterline. Ma forse era molto molto di più

La flotta che era partita da Plymouth era composta da cinque vascelli. La nave sulla quale viaggiava Drake, sarà l'unica a superare quel viaggio pieno di drammi, ma così proficuo da far dimenticare la perdita di uomini e imbarcazioni. Drake, al suo ritorno in patria, fu considerato un grande eroe nazionale. Elisabetta rimase incantata dal bottino che la " Golden Hind " le aveva portato. C'era da impazzire di gioia di fronte agli scrigni colmi di pietre preziose, d'oro, d'argento, di perle dal valore incalcolabile.
Erano proventi di furto, di rapine fatte su tutti i mari, ma la dignità non se ne adontò. La regina ringraziò il pirata con il titolo di Sir Francis Drake. Nessuno ha mai saputo a quante ammontasse quel bottino, che divise con Drake.

Elisabetta fu così dominata dallo spettacolo di questa pirateria in grande stile che si recò a Plymouth sulla nave di Drake a dargli di persona il titolo. Come ammiraglio della regina egli poi, nel 1585, saccheggiò le Indie occidentali e la Florida. Il suo viaggio diede occasione al ministero di Elisabetta di formulare e sostenere la nuova teoria di diritto internazionale, che soltanto la colonizzazione effettiva di un territorio di oltre mare potesse considerarsi come presa di possesso del medesimo.
Era piuttosto singolare, ma questo fu il nuovo diritto. Bastava scendere da una nave, sottomettere o eliminare i nativi, piantarci o seminarci qualcosa e il possesso del luogo era più che assicurato.


Sir Francis Drake e Walter Raleigh

Un avventuriero di tipo più elevato fu Walter Raleigh, cognato di Humphrey Gilbert, dotato di un corredo di studi accademici, si fece guidare nelle sue gesta anche da principi scientifici. Nel 1585 egli sbarcò sulla costa orientale dell'America ed in onore di Elisabetta, che tanto volentieri ostentava la sua pretesa verginità, chiamò la regione da lui scoperta «Virginia». Raleigh impiegò cospicue somme in questo primo tentativo di colonizzazione, ma i suoi coloni furono uccisi tutti dagli Indiani. In seguito egli si aggirò lungo la costa settentrionale d'America, esercitò pure lui la pirateria, saccheggiò i territori spagnoli e si lasciò sedurre dalla leggenda del preteso Eldorado, il paese dell'oro. Al suo ritorno in patria pubblicò una descrizione della regione dell'Orenoco, che si legge come una favola del paradiso.

Fu così fantasioso nelle sue bugie da credere lui stesso all'esistenza di Manoa, la città delle meraviglie e dell'Eldorado. Dopo la morte di Elisabetta, cadde in disgrazia; si immischiò in una delle congiure politiche allora così frequenti, e finì nella Torre di Londra. Qui rimase tredici anni, scrisse opuscoli contro gli Spagnoli e la prima parte di una Storia universale. Per riacquistare la libertà fece dire all'ingordo e poco intelligente re Giacomo I, che egli conosceva nell'America meridionale il luogo dove si trovava una colossale miniera d'oro e che egli avrebbe voluto conquistarla per il suo re. Costui accettò la proposta e nel 1617 lo fece partire. Raleigh naturalmente non trovò la miniera e tanto meno il famoso Eldorado; in compenso saccheggiò le città spagnole della costa sud-americana, benché l'Inghilterra fosse in piena pace con la Spagna. Povero e malato egli ritornò in Inghilterra, dove il re nel 1618 lo fece giustiziare.
Nel frattempo fin dal 1607 (mentre Raleigh si dava alla pirateria dopo l'eccidio), il più pratico e onesto (anche se un po' dittatore) John Smith in Virginia aveva fondato la prima colonia Jamestown non facendosi odiare dagli indiani ma trattandoli umanamente e nell'insediarsi così John Smith descrisse il luogo:" Mai cielo e terra si fusero in più perfetta armonia per creare un luogo di dimora per l'uomo".

Sarà il suo nome che passerà alla leggenda come il primo uomo a mettere piede stabile sul suolo nordamericano e acreare la prima comunità
La coltivazione del tabacco stimolò lo sviluppo della colonia. Dodici anni dopo, però, la popolazione non della sola Jamestown, ma di tutta la Virginia, era ancora di soli duemila abitanti: fu così che venne deciso - e questa è storia e non leggenda - di far arrivare dall'Inghilterra una nave con a bordo novanta ragazze, destinate a diventare le mogli di quei coloni che si fossero potuti permettere le spese del viaggio delle future consorti.
Il 30 luglio 1619, nella chiesa di Jamestown, nasceva il primo governo rappresentativo della storia d'America: la prima assemblea decise la propria composizione, e cioè un governatore, sei consiglieri e due cittadini eletti da ogni piantagione. Quello stesso anno, ad agosto, giunsero i primi schiavi di colore, portati da una nave olandese: la Virginia cominciava a sviluppare il proprio sistema di monocultura e schiavismo, che due secoli dopo l'avrebbe portata a combattere contro il Nord industrializzato nella Guerra Civile (1861-1866).

 

Quanto a Raleigh lui fu una schietta incarnazione della sua epoca, audace e indomito, il cui spirito Cristoforo Marlowe, il rivale di Shakespeare, esprime con le parole messe in bocca a Mortimer mentre sale al patibolo: «Addio, principessa! Non piangere per la sorte di Mortimer; sprezzando il mondo egli se ne diparte per scoprire ignoti paesi».

Raleigh fu l'ultimo navigante che sia andato a caccia dell'Eldorado. Dopo di lui il sogno di scoprire in qualche punto di questo mondo un paese della cuccagna si dileguò per sempre. Si comprese che era invece necessario duro lavoro ed instancabile operosità per tirar fuori i tesori dalle terre recentemente scoperte. I primi che intuirono pienamente questa realtà furono i calmi e pratici Inglesi; questa convinzione fu il principale frutto che essi trassero dai loro viaggi di esplorazione e gli valsero per conquistarsi da ultimo l'assoluta superiorità su tutti gli altri popoli colonizzatori.

Manifestamente gli stessi ultimi cercatori dell'Eldorado, non esclusi Drake e Raleigh, ebbero un forte presentimento della verità sopra detta, perché non si accontentarono più di rapinare, ma si preoccuparono di introdurre e promuovere la coltivazione in Europa di prodotti agricoli americani.
Il tabacco e le patate forse erano noti in Europa già prima di loro, ma più che altro come singolarità botaniche. La passione del fumo fu importata in Inghilterra soltanto dai marinai di Drake e si diffuse poi nell'Europa centrale. All'inizio venne considerata un peccato ed ebbe un fiero nemico nel bigotto re Giacomo; ma poi il governo inglese imparò ad apprezzare l'utilità fiscale di questo vizio. E anche i Paesi cattolici si adeguarono, creando monopoli e imperi industriali.

Per la coltivazione delle patate, che presto divennero un genere indispensabile di consumo popolare. Il tubero, che si ritenne allora affine ai tartufi, si introdusse in tutte le cucine, benché i suoi primi amatori credessero che la sua parte commestibile fosse l'involucro del seme (il germoglio che semmai in certi casi è perfino tossico).
Verso quest'epoca il mercante inglese aveva già cominciato a partecipare al traffico d'oltre mare. Il suo sguardo si appuntò subito verso il paese dove c'era più da guadagnare: l'India. Due viaggiatori mediante alcune pubblicazioni avevano richiamato l'attenzione del mondo commerciale londinese su quelle regioni, e nel 1591 infatti vi si recò la prima squadra di navi inglesi.

Ma i rapporti con le Indie assunsero serio sviluppo soltanto verso la fine del 1599, allorché un certo numero di mercanti inglesi costituirono una società commerciale per le Indie Orientali con un capitale iniziale di 30.000 sterline. Scopo di essa era il commercio con tutte le Indie, ma principalmente con l'arcipelago indiano.

La compagnia inglese fu la prima del suo genere. Essa, che aveva a capo diciassette direttori, eletti fra i suoi membri, dimostra quanto fosse già allora insito negli inglesi lo spirito d'associazione in materia mercantile, quanto cioè fossero persuasi che le forze individuali potessero poco o nulla mentre le forze associate... tutto. (e avevano ragione, in seguito dalle ceneri della Compagnia si presero l'intera India)

Certo questa compagnia inglese fu per il momento superata dalla compagnia olandese delle Indie Orientali fondata nel 1602, la quale si appoggiava allo Stato cui spettava anche la nomina del governatore generale dei paesi conquistati nelle Indie Orientali. La Compagnia inglese era l'esponente di un gruppo di interessi, mentre quella olandese rappresentava in certo modo l'intera nazione, era da essa sostenuta, e quindi possedeva una forza incomparabilmente superiore.
Ben presto la nuova società inglese allestì molte navi, con le quali esportò ferro, stagno, piombo, panni, vetri, coltelli, ecc. La spedizione ebbe esito fortunato e fruttò un guadagno del 95 %. Seguirono altre spedizioni, finché il guadagno medio salì al 171 %. Più volte il capitale sociale venne aumentato; nel 1618 la compagnia annoverava già 954 azionisti e disponeva di 36 proprie navi. Tuttavia, con l'allargamento degli affari e col crescere dei rischi inerenti, il guadagno diminuì, tanto che per un certo tempo le azioni caddero sotto la pari.

Nel 1620 si esportò per un valore di quasi 265.000 sterline e si importò per oltre 1.255.000 sterline. Sorsero compagnie concorrenti, ma per intervento del governo esse si fusero con la compagnia principale. Lo Stato inglese subito comprese l'importanza dell'impresa e la necessità di dedicarvi la massima attenzione, e perciò nel 1625 istituì il dicastero delle Colonie a Londra. L'Inghilterra divenne intanto repubblica ed ebbe come suo lord protettore Oliviero Cromwell, il creatore della moderna Inghilterra, la cui potenza mondiale si basa sul dominio dei mari.

A Cromwell non sfuggì il fatto già prima accertato dall'esperienza che il commercio d'oltremare esige un corrispondente sviluppo della marina da guerra destinata a proteggerlo, ed a questa esigenza egli provvide magistralmente. La legge di navigazione (« navigation acte ») del 1651 divenne, giusta l'espressione dei contemporanei, la magna charta della marina inglese e costituì il primo tentativo di disciplina del commercio mondiale.

Per dire in poche parole il suo contenuto, essa stabilì che ai porti inglesi i prodotti delle regioni d'oltre mare non potevano essere portati che da navi inglesi e i prodotti europei, oltre che da navi inglesi, soltanto, da navi dei paesi di produzione. Naturalmente la legge era diretta contro gli Olandesi la cui principale attività non era certo la produzione ma a quel tempo consisteva nel fungere da intermediari del traffico delle mercanzie coloniali ed europee. L'Inghilterra li aveva appoggiati nella lotta contro gli Spagnoli, ma quando si trattò degli interessi economici, l'amicizia cessò.

Fieri antagonisti già nell'Asia orientale, le due potenze marinare vennero ora in conflitto anche in Europa. Nel 1652 scoppiò tra loro la guerra, la quale, dopo varie alternative, fu decisa a favore degli Inglesi. L'Olanda nel 1654 dovette riconoscere l'atto di navigazione, consacrando così la futura definitiva dominazione sui mari della sua rivale, il cui costituirsi non era ormai che questione di tempo.
Nel frattempo la società delle Indie Orientali, per le sue tendenze monopolistiche e per lo spadroneggiare di alcune camarille, si era resa invisa ai grossi azionisti. Perciò Cromwell aveva perfino pensato di revocarle il privilegio concessole e dichiarare libero il commercio con le Indie, ma poi desistette dal proposito; si studiò però di agevolare ad ogni cittadino inglese l'acquisto di azioni della società.

Circostanze varie peggiorarono la situazione finanziaria della compagnia. In Scozia sorse una società concorrente, anzi nel 1698 se ne formò persino un'altra nella stessa Inghilterra; la pericolosa concorrenza di quest'ultima tuttavia fu eliminata nel 1702 con la fusione nella compagnia maggiore. Finalmente re Guglielmo III sostituì al sistema dei privilegi monopolistici il sistema della libertà del commercio. Fra i prodotti che nel XVII secolo si importarono in Inghilterra dall'Oriente assunse importanza generale il The. Narra la favola che nel 1664, allorché esso fu somministrato per la prima volta a corte, lo si fece a modo di verdura, come gli spinaci. Ma presto si imparò a conoscerne meglio l'uso e se ne fece gran consumo, perché già nel 1667 ne vennero commissionate molte decine di quintali.

Effettivamente i primi passi della Compagnia inglese delle Indie Orientali furono molto laboriosi e solo lentamente essa riuscì a farsi strada in concorrenza con i Portoghesi. Prudentemente essa si accontentò all'inizio di stabilire in Oriente semplici stazioni commerciali. Nel 1612 strinse il primo suo trattato col Gran Mogol, cui prestò aiuto in un conflitto con i Portoghesi.
Nel 1615 poi sconfisse presso Surat la flotta portoghese e scosse talmente il prestigio dell'avversario che riuscì a insediarsi a Surat, nel bel mezzo del dominio portoghese, ponendo così la prima pietra all'edificio dell'impero indiano del XIX secolo.
I Nabab naturalmente si misero dalla parte del più forte. Sette anni dopo cadde la bandiera portoghese sul dominio, un tempo issata da Albuquerque sulle mura di Ormus; ed anche dalle isole Bahrain nel goffo Persico, ricche di perle, il Portogallo dovette ritrarsi.

Protestanti combatterono a fianco dei maomettani contro i cattolici portoghesi. Avvedutamente gli Inglesi diressero principalmente i loro sforzi verso la costa orientale dell'India Anteriore fino allora trascurata. Qui essi fondarono stabilimenti commerciali che superarono quelli olandesi e danesi. Questi stabilimenti si svilupparono diventando colonie. Presto però si rivelò l'impossibilità di tenere semplici aziende mercantili senza la base di un territorio proprio e senza l'ausilio di forze militari. Perciò vennero eretti dei forti a protezione delle fattorie, il che condusse a guerre ed a conquiste territoriali.

La prima vera e propria fortificazione inglese su suolo indiano fu il forte S. Giorgio eretto nel 1639 presso Madras. In complesso gli Inglesi presero il sopravvento nell'India Anteriore, benché i loro successi non siano stati così completi come quelli ottenuti dagli Olandesi nell'Arcipelago della Sonda.
Da queste isole essi si videro a poco a poco e sempre più respinti dai rivali, prima dalle Molucche, poi da Giava; di modo che alla fine del XVII secolo non possedevano più che un solo forte a Sumatra. Anche l'intesa con la Persia non si rivelò rimunerativa, perché i funzionari persiani seppero far così bene il proprio vantaggio da non lasciar nulla o quasi nulla agli Inglesi.

Le principali colonie inglesi nell'India Orientale erano Bombay, Madras e Calcutta. La prima, un miserabile villaggio portoghese con un forte su una piccola isola, fu portata in dote a Carlo II. Nel 1668 egli la concesse alla Compagnia delle Indie Orientali dietro un canone annuo di 10 sterline. La Compagnia vi trasportò i suoi uffici, facendone il centro del suo traffico sulla costa occidentale dell'India; di modo che essa salì rapidamente alla ribalta. Nel 1672 essa già rendeva 12.000 sterline all'anno; e fu istituita sul luogo una zecca con 1500 uomini di guardia.
La
cittadina subì qualche danno, ma transitorio, a causa delle guerre con gli indigeni. A Madras gli Inglesi si erano stanziati dal 1639 e già nel 1653 elevarono la fattoria qui organizzata al rango di presidenza. Verso il 1700 la città contava più di 300.000 abitanti, e non scese neppure per il fatto che fu transitoriamente presa e tenuta dai francesi.

Calcutta venne comprata nel 1696 dal Gran Mogol; la Compagnia vi eresse il forte William, d'onde estese la propria influenza nella regione del basso Gange. Ciascuna delle tre città assunse una caratteristica propria: Bombay divenne il centro del traffico mercantile, Calcutta , il centro politico, Madras il centro degli studi scientifici, ma in seguito la cittadella del neo buddismo.

In Inghilterra il mercante diresse i suoi sforzi ad accrescere il benessere nazionale; gli stessi Lords parteciparono con fervore al lucroso commercio con l'Oriente. Carlo II allargò la portata dell'atto di navigazione e concesse alla Compagnia sui territori indiani una somma di diritti tale che costituiva una quasi completa sovranità. Dopo ciò essa non ebbe da pensare ad altro che a conquistare i paesi che intendeva sfruttare, e trovò infatti i «merchant princes», i regi mercanti che attuarono il suo programma, in una mano la penna e nell'altra la sciabola. Da allora la Compagnia si trasformò in una potenza politica, conquistatrice.

Il primo rappresentante di questo indirizzo politico fu Josias Child, presidente della compagnia nel penultimo decennio del XVII secolo, distinto scrittore di cose economiche, diplomatico acuto, ardito soldato. Per ridurre in soggezione i principi indigeni, egli mosse guerra al Gran Mogol, ma dovette battere in ritirata di fronte alla superiorità di forze dell'avversario. L'impresa era prematura, ma essa ebbe il merito di porre i termini d'un programma che i successori di Child attuarono. In primo luogo lord Clive.

Clive è stato uno dei più additati talenti militari che abbiano avuto gli Inglesi: un generale nato, coraggioso, tenace, calmo, dotato di occhio acuto e della capacità di accattivarsi l'attaccamento e la fedeltà a tutta prova dei soldati, traendone il massimo rendimento. Un buono a nulla nella sua giovinezza, dovette dichiararsi fortunato che a 18 anni la Compagnia gli concesse un posto di scritturale a Madras con un basso stipendio. Anche qui però le cose andarono all'inizio male per lui, irrequieto e impetuoso com'era, tanto che aveva deciso di suicidarsi. Se non che i piani di conquista del francese Dupleix gli porsero l'occasione di dedicarsi alla milizia. Rapidamente egli raggiunse il grado di capitano, conquistò Arcot con un audace colpo di mano e vi si sostenne vittoriosamente per due mesi malgrado fosse assediato da un intero esercito e tormentato dalla fame.

Furono queste gesta decisive che rivelò al precedente "buono a nulla" la stoffa dell'eroe. Clive dopo Arcot passò all'offensiva e guidò quasi ovunque gli Inglesi alla vittoria; di modo che i trattati di pace ch'egli concluse furono per l'Inghilterra tutti vantaggiosi. Ritornò a questo punto in patria, dove ricevette splendide accoglienze; ma in breve esaurì i fondi che possedeva e dovette riprendere servizio nella Compagnia. Egli giunse al momento opportuno. Il Nabab del Bengala aveva concepito la speranza di poter scacciare gli intrusi e nel 1756 aveva riconquistato Calcutta. Clive, alla testa di 900 inglesi e di 1500 Sepoy indigeni, con una audace marcia attraverso la jungla, si gettò sul nemico venti volte superiore di forze, riprese Calcutta, marciò sulla capitale dell'avversario e lo costrinse a piegarsi a condizioni svantaggiose.

Mentre sinora aveva operato da semplice soldato, Clive adesso cominciò a conportarsi da uomo politico, cui la guerra serve come mezzo ad un fine. E da uomo politico non si conservò moralmente puro come era stato da soldato. Mettendosi dal punto di vista del freddo calcolo utilitario, si propose di togliere di mezzo i concorrenti europei, di combattere gli asiatici servendosi dei loro stessi connazionali e dominarli tutti; a tale scopo ogni mezzo gli parve lecito e l'onore, la lealtà, la fede data furono da lui considerate cose indifferenti.
Nel 1757 lo vediamo a Plassey con soli 3200 uomini, di cui 1100 Inglesi, avendo di fronte 50.000 indiani del Nabab del Bengala. Imperterrito egli li attaccò e nel pomeriggio aveva già disperso l'intera armata nemica. Questa vittoria mise nelle mani degli Inglesi la ricca regione del Bengala. Più di 200 navi recarono a Calcutta la parte del bottino spettante al governo. Clive fu nominato governatore di tutti i possedimenti inglesi del Bengala.

A tal punto il Gran Mogol cercò di arginare i così rapidi progressi della potenza inglese, ma all'avvicinarsi di Clive le sue truppe si diedero alla fuga. Per placare il suo avversario vittorioso gli cedette il tributo annuo che la compagnia gli doveva per le concessioni territoriali ottenute: di modo che Clive venne a trovarsi nella posizione di signore feudale dei propri padroni.
Anche i Francesi che si erano messi di traverso vennero sbaragliati mentre gli Olandesi definitivamente tolti di mezzo. Dopo ciò l'Inghilterra non aveva più alcun rivale europeo in India.

All'apogeo della sua gloria e munito di un cospicuo patrimonio, Clive ritornò ancora in Inghilterra, a soli 35 anni; qui ricevette la dignità di Pari. Egli allora comprò in gran quantità le azioni della Compagnia per prenderne in mano la direzione; ma non riuscì al suo scopo.
Effettivamente il compito della Compagnia era divenuto in India superiore alle sue forze. Una società, come questa, di mercanti si rivelò inadatta a reggere un vero dominio coloniale; la sua organizzazione non era all'altezza della sua potenza. Da ciò il malgoverno che, dilagando mise in pericolo tutto l'edificio eretto da Clive.
Si aggiunse il risvegliarsi e propagarsi di una vera fame di lucro e di denaro che si ripercosse dannosamente sulla madre-patria. Tutti si fecero avanti per ottener posti in India con la speranza di diventar ricchi presto e senza fatica, e l'India-House si vide assediata da questa folla di cacciatori di preda. Le alte lagnanze dei Nabab rimasero inascoltate. Scoppiò una insurrezione disperata, e il Bengala dovette nuovamente essere conquistato a prezzo di sanguinose battaglie. Ma la fiaccola della guerra si accese più in là.

I principali sovrani dell'Indostan e primo fra tutti il Gran Mogol, si allearono contro l'oppressore; scoppiò la prima rivolta dei Sepoy. Invano; gli Inglesi vinsero ancora una volta e il Gran Mogol dovette recarsi nel loro campo in veste di supplicante.
L'unico uomo che possedeva l'energia e l'autorità necessaria per ricostruire l'edificio distrutto era Clive. Munito di estesi poteri egli si recò per la terza volta in India, estirpò inflessibilmente gli abusi, spezzò ogni resistenza, rimise l'ordine nell'amministrazione civile e ravvivò il senso del decoro nei funzionari e il sentimento dell'onore nell'esercito indisciplinato.

Quest'ultimo fu da lui diviso in tre brigate, ma sempre miste di inglesi e di indigeni. Egli regolò pure i rapporti della Compagnia con i principi locali, ottenendo che alla Compagnia fossero conferiti diritti viceregali, cosicché quei principi rimasero dei semplici sovrani figurativi con altissimi appannaggi; una specie di sistemazione transitoria, di passaggio alla piena sovranità straniera. Da questo momento il territorio soggetto alla giurisdizione della Compagnia crebbe con rapidità vertiginosa. In 18 mesi Clive gettò le basi dell'impero anglo-indiano; poi nel 1767 lasciò di nuovo, e questa volta definitivamente, il teatro delle sue gesta.
Se non che il seme da lui gettato germogliò male. Inoltre l'odio, l'invidia, la mala fama che circondava tutti coloro che avevano fatto fortuna in India, la stampa, il pettegolezzo e la calunnia congiurarono contro di lui. Scoppiò una carestia nell'India, che i funzionari e la Compagnia sfruttarono a loro vantaggio. L'opinione pubblica si sollevò contro l'ex-governatore, cui fu attribuita la colpa di tutto. Egli fu citato in giudizio dinanzi al Parlamento. Clive si sentì vinto, accasciato; lo colse di nuovo la tristezza della sua gioventù, e non ancora cinquantenne finì suicida nel novembre 1774, rimpianto da pochi, disprezzato da molti.

I posteri però hanno fatto di lui un giudizio più giusto: Clive aveva dei grandi difetti, ma aveva grandi virtù e capacità. Egli fu un genio militare, un grande conquistatore, un esperto conoscitore della maniera di trattare i soldati, e con questo suo talento acquistò alla sua patria la più preziosa delle Colonie e trasformò i suoi connazionali in India da semplici piccoli mercanti in padroni.



Se lord Clive gettò le basi territoriali dell'impero inglese nell'India, pochi anni più tardi arrivò al governo della colonia un uomo, Warren Hastings (nell'immagine qui a fianco), che si può caratterizzare come il creatore dell'amministrazione coloniale inglese. Nato nel 1732, cominciò la sua carriera da scrivano a Calcutta, poi divenne agente diplomatico, membro del consiglio, e da ultimo suo presidente. In questa sua qualità pose fine, a tutto favore degli Inglesi, al doppio governo che si aveva nel Bengala e concentrò in mano inglese tutta l'amministrazione e l'esazione delle imposte.

Ogni qualvolta la Compagnia si trovò a corto di denaro, Hastings le procurò in breve tempo milioni di sterline, per ottenere i quali peraltro violò senza scrupoli patti e convenzioni e rovinò fiorenti popolazioni.
Ad onta di tutti i suoi successi la Compagnia cominciò a declinare precipitosamente. Le guerre, la cattiva amministrazione ed una tremenda carestia divorarono i suoi profitti. Nel 1772 essa si trovò sull'orlo della bancarotta e dovette chiedere aiuto allo Stato. L'ebbe ma a prezzo di gravi menomazioni della sua autonomia: infatti nel 1773 il Parlamento inglese emanò una legge, che riordinò le cose dell'India in modo da rafforzare i diritti dello Stato ed avocare al governo il potere politico.

Secondo questa legge la presidenza del Bengala, con a capo un governatore generale, era chiamata ad esercitare la sorveglianza sugli altri territori A primo titolare della carica di governatore generale venne nominato proprio Hastings.
Tuttavia a lui ed alla Compagnia l'ingerenza del governo riuscì incomoda, e ben presto regnò la discordia tra il governatore ed i consiglieri. Questi ultimi riconobbero fondate le lagnanze circa gli abusi del primo, avvennero scenate e scandali ed Hastings da ultimo fu condannato a risarcire i danni.
Ma intervenne il tribunale supremo il quale fece impiccare uno dei suoi principali avversari, il gran bramino, e ciò restituì ad Hastings la sua autorità alquanto menomata.

Dall'Inghilterra arrivò l'avviso del licenziamento di Hastings, ma egli si rifiutò di obbedire ed oppose tale ferrea resistenza che il provvedimento contro di lui fu sospeso. In realtà si aveva bisogno di un uomo della sua tempra, perché dappertutto erano sorte complicazioni. La Francia si era fatta amica dei Maharatti, e questi avevano vinto gli Inglesi, costringendo il governo di Bombay ad una transazione svantaggiosa. Hastings rifiutò di accettarla, attraversò l'India col suo esercito bengalese e sconfisse il nemico. Ma ecco spuntare all'orizzonte altri pericoli.

Il tribunale supremo cominciò ad arrogarsi una specie di supremazia sul governo e la impiegò per far pesare su tutto e su tutti una formidabile oppressione, destando vivo fermento. Ne derivarono attriti e conflitti di ogni sorta, cui Hastings peraltro pose fine stendendo a terra il suo più pericoloso avversario con un colpo di pistola.
Era urgente ristabilire la concordia in seno al governo, perché dall'altopiano era calato nelle pianure Hyder Alì, sultano di Maisur, che con 100 cannoni e 90.000 uomini, in parte agli ordini di ufficiali francesi, aveva sbaragliato gli Inglesi ed occupato in tre settimane il loro territorio salvo alcune piazze forti. Hastings radunò tutte le forze che poté e le lanciò contro il sultano, il quale però attraverso le alterne vicende di lunghe guerre, riuscì a tener testa senza cedere il campo sino alla sua morte.
Solo nel 1784 si poté concludere la pace col figlio di Hyder, a condizioni niente affatto vantaggiose. Hyder Ali é stato il più pericoloso nemico che gli Inglesi abbiano avuto nell'India.

All'esito poco soddisfacente avevano contribuito le difficoltà finanziarie. Hastings era stato costretto a procurar denaro, e poi ancora denaro senza fine. E lo trovò facendo il masnadiero in grande stile. Il saccheggio di Benares provocò lo scoppio di una drammatica insurrezione, che venne tuttavia domata, ma offuscò irrimediabilmente lo splendore della città, sede a quel tempo della scienza braminica.
In seguito Hastings stese i suoi artigli sulle principesse di Oudh, le così dette Begum; costoro furono vessate tanto e tanto martirizzate finché si riuscì ad estorcere loro un milione di sterline. Fu tale l'esplosione di sdegno per questo fatto nella stessa Inghilterra, che la corona reclamò il richiamo di Hastings. Ma Hastings imperturbabile rimase al suo posto, gli indiani dovettero adattarsi a pagare enormi contributi annui, nessuno osò più fargli resistenza, e su tutto regnò l'assoluto arbitrio di questo dominatore violento.

Tutto ciò ebbe per effetto di inasprire ancora di più la contesa che già ardeva in Inghilterra tra la Compagnia e la Corona per la questione dell'alta sorveglianza dello Stato, o per meglio dire, della sovranità in India. Nel 1784 Pitt riformò l'ordinamento coloniale, istituendo un ministero per l'India e riducendo di molto i poteri e le prerogative della Presidenza del Bengala. Dopo questa riforma questa carica non era più compatibile con un uomo del temperamento di Hastings. Dopo 16 anni di governo egli depose solennemente il suo ufficio ed abbandonò Calcutta, che per suo merito era divenuta una grande e importante città. La sua mano che aveva -così gravemente colpito i principi locali, aveva sotto vari aspetti mitigato la sorte delle classi umili, ed egli aveva saputo cattivarsi europei ed indigeni. Inoltre egli migliorò il servizio burocratico, il servizio delle imposte, istituì tribunali ed una specie di polizia, aumentò l'efficienza dell'esercito e fece progredire il commercio, che guadagnò in estensione.

D'altro canto però é pur vero che Hastings fece dell'India la mucca da mungere per i suoi inglesi, specialmente quelli della nobiltà, e per farlo istituì una quantità di nuove cariche dotate di enormi emolumenti. Il bilancio del governo del Bengala salì in nove anni al quadruplo, i debiti della Compagnia verso lo Stato aumentarono a 27 milioni di sterline. Si aggiunga che la tendenza di Hastings all'arbitrio ed alle estorsioni si propagò ai suoi adepti ed ai funzionari, di modo che un tesoriere in pochi anni riuscì a rovinare una intera regione di quasi un milione di abitanti. Non mancava dunque di luci la gestione di Hastings, ma aveva anche ombre profonde.

Al suo arrivo in Europa Hastings venne accolto con plauso entusiastico; ma quando mostrò di aspirare alla dignità di Pari d'Inghilterra, si levò una tempesta che sradicò la superba quercia. I suoi avversari posero tutta la loro eloquenza a servizio degli Indiani incolpando Hastings di averli ridotti in schiavitù. Hastings dovette comparire dinanzi ai Comuni in veste di accusato. Anche la Camera alta elevò contro di lui accusa per delitti e mala condotta. Ne derivò un processo che si trascinò dal 1788 al 1795 per finire da ultimo con una assoluzione.
Dopo la sentenza l'uomo, che un tempo era stato onnipotente, piegò il ginocchio rispettosamente. Egli era un uomo rovinato al punto da non poter più provvedere quasi alle spese giornaliere. Ma la Compagnia delle Indie Orientali prese poi a cuore la sua sorte e lo sovvenzionò fino alla sua morte avvenuta nel 1818 in età di 86 anni.

Il tratto fondamentale del carattere di Hastings fu quella sfrontatezza schiettamente britannica per cui l'inglese crede che il mondo sia stato creato soltanto per lui, si sente sempre in diritto di fare il suo utile e non ammette che per gli altri vi abbiano ad essere diritti, onore, fortune. Assistito da una sconfinata fiducia in sé stesso, da una audacia impudente e da una faccia di bronzo, duro, inflessibile, ingordo, avveduto, cervello chiaro e mente fredda, egli fu pacato nell'esaminare e decidere, energico nell'operare. Oratore di forza non comune, talento amministrativo eccezionale, spregiatore degli uomini e senza scrupoli, egli suscitò insieme fiducia, terrore e pavido attaccamento.
La sfortuna di Hastings fu la contesa tra lo Stato e la Compagnia e la sua condizione di campione della parte soccombente. Egli si sentì sempre rappresentante della Compagnia e rimase perciò sempre quel che era stato fin dall'inizio: un commesso di negozio, per quanto d'alto rango.
Per la Compagnia egli fu l'uomo che ci voleva, per lo Stato fu l'uomo che spianò la via alla sua sostituzione nel governo della colonia, per l'India fu un delinquente.

Con l'East India Bill del 1784 - voluta da Pitt - la Compagnia venne gradatamente ricondotta alle sue originarie funzioni meramente commerciali, e lo Stato poté prendere in sua mano le redini del governo in India. Questo mutamento fu principalmente opera dei governatori generali Lord Cornwallis (1786-1792) e marchese Wellesley (1798-1805), fratello di Lord Wellington.

Verso il 1820 si calcolò che il numero degli abitanti dei diretti possedimenti inglesi saliva a 83 milioni, e quello degli stati vassalli a 40 milioni. Il mondo non aveva ancora mai visto un dominio coloniale di tale vastità. Esso era stato creato da una società commerciale, ma il Parlamento inglese avocò a sé un diritto di alta vigilanza e sindacato su questa società, e preparò così la futura trasformazione dell'India in colonia dello Stato.
Nel suo grande discorso contro Hastings, «il più bello che mai fosse stato pronunziato ai Comuni», Sheridan pose in particolare rilievo, che "...missione del Parlamento era anche quella di servire da istanza d'appello agli indigeni delle colonie contro le oppressioni dei funzionari, e che soltanto una simile vigilanza avrebbe potuto ingenerare quel grado di fiducia nella dominazione inglese, che era necessario per le buone, durevoli e feconde relazioni tra le colonie e la madre-patria e per il progresso delle stesse colonie".

Il colossale movimento d'espansione inglese del XVIII secolo non si accontentò di questo grande successo, ma cercò di spingersi ancora molto oltre l'India Anteriore. Nel 1762 una squadra inglese comparve dinanzi a Manilla con lo scopo di portar via le Filippine agli Spagnoli. Con l'aiuto dei lavoratori partigiani per l'Inghilterra si impadronì della città. Ma il canonico Anda provocò una insurrezione dei Tagali, che sloggiò nuovamente gli intrusi.
In Birmania gli Inglesi rivaleggiarono con i francesi. Questi ultimi parteggiarono in favore del potente stato del Pegù che soggiogò l'intero Awah. Ma poco dopo entrò in scena Alompra, il « Napoleone dell'India Posteriore », il quale con l'aiuto inglese restituì l'indipendenza all'Awah.
Il Siam verso la fine del XVII secolo bandì l'ostracismo contro gli stranieri di qualsiasi nazionalità come avevano fatto il Giappone e la Cina; ed il suo esempio fu seguito dalla Cambogia, dalla Cocincina, dall'Annara e dal Tonchino.

Gli Inglesi, mentre in India passarono di successo in successo, rimasero invece in Africa ancora indietro ai loro rivali. Sulla Costa d'Oro gli olandesi nel 1617 avevano fondato la prima colonia permanente a Gorée, e nell'anno successivo gli Inglesi eressero il forte James alle foci del Gambia; di qui risalirono il fiume per raggiungere il Senegal e i paesi auriferi di Bambuk e Bura. Per il momento però l'Olanda conservò il primato e cercò di monopolizzare con tutti i mezzi il commercio, specialmente l'esportazione degli schiavi. In concorrenza ad essa i mercanti inglesi nel 1662 costituirono una apposita società; dopo di che i loro avversari dovettero prepararsi a dividere l'influenza sul paese, soprattutto a datare dal 1672 allorché sorse una compagnia anglo-africana, che costruì un'intera serie di forti, ma più per avere dei punti d'appoggio e di protezione del traffico che per procedere a conquiste territoriali.

In modo analogo andarono le cose sulla Costa degli Schiavi. Nel centro del traffico degli schiavi, a Whydah, esisteva una colonia portoghese, una inglese ed una francese. Sulla costa dell'avorio gli Inglesi acquistarono nel 1644. un forte, più possedevano una fattoria allo sbocco del fiume Sierra Leone. Le conseguenze pur lontane della guerra dei sette anni - cola la Francia ridotta male - portarono il Senegal nelle mani degli Inglesi; se non che nel frattempo il valore mercantile di questo territorio era diminuito di molto.
Dal 1633 la piccola isola di Sant'Elena serviva da stazione di fermata per le navi che ritornavano dalle Indie; essa mutò varie volte padrone,
finché, nel 1651 passò definitivamente agli Inglesi.

Importanza ancor maggiore assunse come luogo favorevole di fermata il Capo di Buona Speranza. Perciò esso fu utilizzato allo scopo prima dai Portoghesi, dal 1605 anche dagli Inglesi, e dal 1616 dagli Olandesi. Riconoscendone il rilevante valore, due capitani inglesi nel 1620 issarono nella baia la bandiera brittannica; ma nessuno in patria li aiutò, e così gli Olandesi poterono impadronirsi della regione.
A mano a mano poi che gli Inglesi estesero la loro dominazione in India, l'Africa aumentò di valore per loro. Tuttavia essi non acquistarono definitivamente la regione del Capo se non nel 1806.

Come tutti gli altri europei, anche gli Inglesi furono attratti dalle Antille. Queste all'inizio del XVII secolo erano considerate possesso essenzialmente spagnolo, e soltanto dopo che i filibustieri ebbero profondamente scosso questa dominazione, gli Inglesi ed i Francesi cominciarono a domiciliarsi su quelle isole. Il primo a farlo fu Tommaso Warner, che nel 1623 si stabilì nell'isola di S. Cristoforo. Lo imitò poi un nobile franco-normanno che vi si insediò anche lui. Ambedue ottennero aiuti dalla madre-patria, e sorsero una società francese ed una società inglese, cui venne accordato privilegio sull'intera collana delle Antille.
In un primo tempo francesi e inglesi rimasero insieme a S. Cristoforo spartendosi pacificamente l'isola; ma. poi vennero assaliti di sorpresa e scacciati dagli Spagnoli. Se non che una parte degli Inglesi fuggiti ritornò in seguito nell'isola, ricevette rinforzi dalla patria e così non solo tenne l'isola stessa, ma ampliò le sue occupazioni alle isole di Barbuda, Nevis, Antigua e Mon serrata.

Un secondo centro di irradiazione coloniale inglese fu Barbados, che i mercanti di schiavi spagnoli avevano spopolata e che nel 1625 venne occupata dagli Inglesi. L'isola, in grazia di una ordinata amministrazione e dell'incremento datovi alle piantagioni di canna da zucchero, si sviluppò così rapidamente, che nel 1643 già contava 18.600 bianchi.
Muovendo da Barbados gli Inglesi poi occuparono le isole di Tortuga sulla costa settentrionale del Venezuela e di Providenza. Terzo centro coloniale inglese fu l'isola di Tobago, colonizzata anch'essa da Tommaso Warner a datare dal 1626. Re Giacomo I donò poi l'isola al duca Federico di Curlandia, che ne fece una signoria propria sotto il protettorato inglese ed esercitò uno esteso traffico mercantile, specialmente quello degli schiavi, ragion per cui fece anche costruire un proprio forte sulla Costa dell'Avorio.

Mutamenti importanti nello stato di possesso nelle Indie Occidentali si ebbero con l'anno 1655. In quest'anno Cromwell inviò una flotta nelle Grandi Antille per cacciarne gli Spagnoli. Haiti non si riuscì a conquistarla, ma la magnifica Giamaica cadde nelle mani degli Inglesi e rimase da allora colonia inglese, acquistando grande importanza per lo sviluppo dato alle piantagioni e come centro del contrabbando inglese.
Ulteriori acquisti inglesi furono poi Anguilla (1650) e il gruppo più settentrionale delle isole Vergini (1672); invece fallirono i tentativi fatti per insediarsi nelle Bahama. I più cospicui possedimenti inglesi nelle Antille furono e rimasero le isole di Giamaica e di Barbados, cui nel 1797 si aggiunse quella di Trinità.

Per la massima parte dalla Giamaica degli avventurieri si recarono sulla costa Mosquito e posero le prime fondamenta di quell'Honduras britannico o Belize, che comunque non fu riconosciuto che molto più tardi ufficialmente come colonia inglese. Qui si svolse un attivissimo e progressivo commercio col legno di mogano. Gli spagnoli, sembrando loro quella costa spopolata di scarso valore, si adattarono al fatto compiuto, invece essi reagirono impiegando le loro estreme risorse allorché verso la fine del XVII secolo degli Scozzesi, contro la volontà degli Inglesi, cercarono di fondare una colonia sull'istmo nel golfo di Daria erigendovi il forte Nova Edimburgo. La colonia, che all'inizio prosperava bene, rimase tuttavia alla fine annientata dalle febbri proprie di quel clima e dagli attacchi ininterrotti degli Spagnoli.

Svariate vicende subì la Guiana (America Meridionale). Walter Raleigh che l'aveva visitata, la descrisse come uno splendido Eldorado. Perciò vi accorsero Olandesi ed Inglesi e vi posero delle stazioni. Ma una colonizzazione permanente della regione non cominciò che nel 1625, vale a dire contemporaneamente a quella delle Indie Orientali. Gli Olandesi per primi fondarono Essequibo e Berbice ed elevarono pretese al possesso di tutta la regione. Ma poi arrivarono gli Inglesi e si insediarono a Paramaribo; vennero i Francesi e si installarono a Sinnamarre, a Caienna ed in altre località.

Sotto l'equatore, staccate dal continente e isolate nel Pacifico, si trovavano le isole Galapagos ritenute pertinenti all'America Meridionale. Dampier le aveva fatte conoscere; esse non vennero occupate propriamente da nessuno, ma servirono come posti di rifornimento delle navi inglesi mercantili e da guerra. Lo stesso si può dire dell'isola di Juan Fernandez, nella quale il marinaio scozzese A. Selkirk si fece volontariamente sbarcare nel 1704 per condurvi da solo vita da pioniere e vi rimase sino al 1709. Delle sue romanzesche informazioni si valse lo scrittore inglese Daniele Defoe per il suo famoso racconto: Robinson Crusoe. Probabilmente il nome di Robinson deriva da un Robin che precedette Selkirk nella stessa idea.

Il campo più fecondo dove si esercitò lo spirito di iniziativa e di laboriosità britannico fu l'America del Nord. Qui l'immigrante e pioniere si trasformò subito in dissodatore e coltivatore di terre, in contadino, in antitesi allo spagnolo sfruttatore ed all'avventuriero francese.
Se ci rappresentiamo la condizione del Nord-America verso la fine del XVI secolo, troviamo che tutta la parte meridionale dalla Florida alla California era dominio spagnolo. Uno stabilimento ugonotto, sorto nel 1564 nel nord della Florida, venne distrutto dal governatore spagnolo. Più a nord, presso le lagune dell'Albemarle Sound, Raleigh nel 1585 aveva tentato la fondazione della colonia della Virginia, ma vi aveva rimesso il suo patrimonio senza concludere nulla.

Le cose però cambiarono col XVII secolo: allora cominciò la colonizzazione permanente, del Canadà nel 1604, del territorio degli odierni Stati Uniti nel 1607, di Terranova nel 1610.
Circostanze varie contribuirono a determinare gli Inglesi alla colonizzazione della America Settentrionale. Sino ad ora il viaggio per raggiungerla era stato molto lungo, perché le navi vi arrivavano tenendosi nella corrente dei venti alisei e quindi passando per le Canarie e per le Indie Occidentali. Ma nel 1602 il capitano Gosnold riuscì ad attraversare l'Atlantico in linea retta nello spazio, per quei tempi breve, di sei settimane. Egli cioè seguì la rotta che le navi seguono anche oggi ed approdò al capo Cod, all'incirca dove ora sorge la gigantesca stazione telegrafica senza fili.
Il felice viaggio e il prezioso carico di sassafrasso e di legno di cedro che egli recò, attrassero l'attenzione verso l'America, e questa fu ancor più stimolata allorché, nel 1605 Waymouth con analoga traversata raggiunse la costa del Maine.

Dai tempi di Elisabetta in poi si erano verificati in Inghilterra profondi mutamenti di carattere economico: la sostituzione dell'allevamento del bestiame, specialmente delle pecore, alla coltivazione agricola, la svalutazione dei metalli preziosi, la diminuzione dei prezzi delle derrate e l'aumento invece dei prezzi delle carni e della lana, la sparizione dell'assistenza ai poveri da parte dei conventi; e tutto ciò aveva reso disponibili innumerevoli braccia che cercavano occupazione. Inoltre molti erano malcontenti della situazione politica; ancora di più lo erano quelli che si trovavano poco soddisfatti dell'andamento delle cose in materia religiosa; i mercanti di Bristol avevano bisogno di nuove zone di pesca per poter fare a meno di recarsi in Islanda.

In tali condizioni d'un tratto giunse dall'altra parte dell'Atlantico un invito potente: un terreno vergine, sconfinate regioni di caccia, coste ricche di pesce ed un clima salubre; tutti i requisiti per una nuova patria. Filantropi e scrittori incitarono il popolo inglese ad emigrare; si dice persino che il naufragio di una nave presso le Bermude avvenuto nel 1609, abbia ispirato a Shakespeare il suo dramma «La Tempesta». Non dunque lo spirito d'avventura, ma il bisogno e spesso l'amara necessità, spinsero gli Inglesi verso le nuove terre piene di promesse. Sorsero due società perazioni: la Compagnia londinese e la Compagnia di Plymouth, cui nel 1606 fu accordato privilegio sulle coste americane dal 34° al 45° grado di latitudine con una striscia di territorio larga 100 miglia inglesi, che ben presto venne ampliata dall'uno all'altro Oceano.

Ad una terza Compagnia si concesse privilegio su Terranova. La sfera assegnata alla Compagnia londinese comprendeva il Sud, cioè la Virginia, quella della Compagnia di Plymouth il Nord; questa suddivisione territoriale fu fatta in base a criteri climatici ed economici e pose l'elemento costitutivo alla futura antitesi tra nord e sud.
Nel sud prevalse la coltivazione del tabacco mediante l'opera degli schiavi, nel nord la coltivazione del terreno di propria mano e mano a mano la nascita di eserciti di operai quando iniziarono le imprese manifatturiere e industriali.

Fin dall'inizio l'America fu considerata il paese della libertà. In una produzione rappresentata a Londra nel 1605, l'«Eastward Ho» essa vien descritta con questo carattere: «Colà tu puoi vivere senza polizia e senza padroni delle terre, senza avvocati e senza giornalisti. Là puoi diventare consigliere municipale senza diventare un furfante, e puoi diventare funzionario senza ridurti a schiavo. Là noi non avremo, come qui, più leggi che coscienza».

Il desiderio di avere le libertà amministrative e politiche animò fin dall'inizio gli emigranti; essi nei loro contratti pattuirono autonomia amministrativa e rappresentanza politica in appositi parlamenti. Allo stesso modo nacque fin dall'inizio il noto internazionalismo americano; la stessa Nova Amsterdam olandese poco dopo la sua fondazione accoglieva gente di 18 Stati differenti.

La prima colonia permanente fu costituita dalla Compagnia londinese nel 1607 a Jamestown, alle foci del fiume che porta anch'esso il nome di Giacomo I. La Compagnia prosperò rapidamente; nel 1619 esportò foglie di tabacco per un valore di 3000 sterline; nel 1621 immigrarono nella colonia 1400 nuovi coloni, tra cui 60 donne. Dalla società ciascun colono ricevette nel 1615 cinquanta acri di terreno in proprietà, e chi prendeva delle azioni ne aveva anche di più.
Nel 1618 si adunò il primo Parlamento, che nel 1621 votò una costituzione, la quale servi di modello a tutti gli altri ordinamenti coloniali inglesi. Nel 1624 la Virginia divenne colonia della Corona.

Più lentamente si sviluppò il nord. La Compagnia di Plymouth all'inizio si dedicò, piuttosto alla pesca lungo le coste che alla colonizzazione. Sol dal 1620 le cose cambiarono soprattutto in grazia dell'immigrazione di puritani ostinati, che non avevano voluto più restare in patria e piegar il ginocchio «dinanzi a Baal». Sorsero le colonie di New-Plymouth, New-Hampsire, Maine, Massachusets, Connecticut e Rhode Island, le quali nel 1643 si federarono sotto il titolo di «Colonie unite della Nuova Inghilterra».

Intorno alla casa di un predicatore dissidente sorse un villaggio che fu chiamato Boston. I puritani vivevano completamente appartati e fra loro, secondo i propri rigidi ideali religiosi; ma non bisogna credere che godessero di grande libertà. Tutt'altro anzi; il cavalletto, la fustigazione ed altre pene simili erano all'ordine del giorno; la bestemmia, la menzogna, il gioco delle carte erano duramente puniti; inoltre venne sempre più un uso di osservare il sabato ed uno spirito di intolleranza, tutto esteriore ed in parte ipocrita.

Nelle abitudini domestiche e sociali regnò una benefica semplicità, e in seno alla famiglia dominarono schietti costumi patriarcali. Che tuttavia, nonostante tutto ciò, non si rinunziasse a certe attrattive della vita lo dimostra l'esempio del rispettabile Franklin, che ebbe due figli naturali e scrisse un libro intorno all'arte di scegliersi una amante. Cominciò a formarsi la stirpe dei «Yankees».

Diversa impronta ebbe la colonia di Maryland, che il cattolico lord Baltimore fondò nel 1623; essa fu da lui organizzata secondo i principi feudali della vecchia Inghilterra, ma con spirito di tolleranza religiosa. Nella parte occidentale dei terreni alluvionali dell'Hudson apparve la setta religiosa dei Quaccheri, ed uno di costoro, Guglielmo Penn, riuscì nel 1681 ad acquistare un tratto di terra sul quale nel 1682 venne posta la prima pietra della città di Philadelphia; questa divenne rapidamente un centro popoloso e la sua regione assunse il nome di Pennsylvania.

Tra queste colonie inglesi si incuneava, separandole, la colonia olandese. Ma nel 1664 comparve in piena pace dinanzi a Nuova-Amsterdam una flotta inglese e costrinse la città impreparata ad arrendersi. Con ciò gli Inglesi si erano impadroniti del miglior posto della costa; perciò vi si installarono definitivamente come a casa loro e denominarono la città conquistata «New-York».

Verso la fine del secolo lungo la costa orientale nord-americana, da Charleston a sud fino a Portland a nord, si estendeva una quasi ininterrotta catena di colonie britanniche, per quanto ancora molto ineguale struttura politica. Era riservato al secolo successivo di indurre anche sotto l'aspetto politico l'uniformità e di far progredire verso ovest i confini del dominio inglese; ma da ultimo l'insurrezione delle colonie contro la madre-patria portò, alla separazione ed alla fondazione degli Stati Uniti. (dedicheremo a questi più avanti ampi capitoli).

Una macchia vergognosa della colonizzazione inglese nel Nord-America fu il trattamento usato agli Indiani. Gli Inglesi li aizzarono prima a combattere contro tutti i loro rivali, poi li uccisero, sterminarono con i più riprovevoli mezzi, come la pessima acquavite, e - si narra - persino con la diffusione di germi infettivi, con indumenti avvelenati, ecc.
È a quel tempo che dev'essere' nato fra i pii missionari l'abominevole motto: «Il migliore indiano é quello morto».

L'insurrezione delle Colonie americane influì profondamente sull'avvenire dell'Inghilterra. Il distacco di quelle colonie rappresentò per la Gran Bretagna, una gravissima perdita, tuttavia in compenso aveva la colossale India, e così deviò la sua attività dall'America all'Asia; il centro di gravità dell'impero coloniale inglese si spostò dall'emisfero occidentale all'emisfero orientale.

Col distacco delle colonie americane coincide anche la colonizzazione dell'Australia. Questa, regione era stata scoperta nella prima metà del XVII secolo dagli Olandesi nelle parti settentrionali e meridionali, ma era stata da loro trascurata. La parte più importante del paese, la costa orientale inumidita dai monsoni, fu fatta conoscere per la prima volta da Cook.
Questi nel 1769. solcò il Pacifico per condurre due scienziati all'isola di Tahiti. Durante il viaggio di ritorna scoprì l'attuale stretto di Cook, stabilendo (ciò che era sfuggito a Tasman) che la Nuova Zelanda era spezzata in due parti, poi scoperse ancora la grande barriera corallina australiana (costa orientale) e rientrò per lo stretto di Torres.

Nel 1772 Cook iniziò un secondo viaggio con, due tedeschi a bordo, j. R. e G. Foster, le cui relazioni ebbero una profonda influenza sugli studi naturalistici dell'epoca. Egli rimase tre anni in navigazione e scoprì la Nuova Caledonia, le isole Cook, e il gruppo meridionale delle Figi. Il suo terzo viaggio, cominciato nel 1776, tornò' a profitto specialmente degli Stati occidentali del Nord-America, cui appartengono le isole Sandwich. Svernando in queste isole, nel 1779, Cook, venne in conflitto con i Canachi e rimase ucciso, allo stesso modo che era accaduto a Magellano.

Cook è stato l'ultimo grande esploratore dei mari. Dopo di lui non resta da ricordare che lo sfortunato La Peyrouse, la cui nave verso il 1788, urtando in un banco di corallo, affondò con tutto l'equipaggio.

Finché poterono gli Inglesi avevano collocato gran parte dei loro condannati ai lavori forzati in America, affidandoli in locazione d'opera a coloni americani. Nel 1775 e 1776 tentarono di mandarli in Africa, ma il sistema non diede buon risultati.
Da ultimo un compagno di viaggio di Cook consigliò di servirsi dell'Australia. Il capitano Philipp sbarcò nel 1788 con un gruppo di forzati a Port Jackson, uno dei migliori ancoraggi della terra, e fondò la città di Sidney in una regione favorevole e di clima temperato.

All'inizio il tentativo di colonizzazione sembrò dovesse fallire, ma la perseveranza di Philipp riuscì alla fine a superare tutte le difficoltà. Le terre adiacenti a Sidney vennero dissodate e messe a coltura, poi la colonizzazione si estese lungo le coste e penetrò nell'interno. Nel 1797 Bass scoprì lo stretto che porta il suo nome e stabilì così che la Tasmania era un'isola. A datare dal 1793 cominciò l'immigrazione di coloni volontari, fu scoperto un giacimento di carbon fossile e fu introdotto in Australia l'allevamento delle pecore. Quest'ultimo fatto fu di grandissima importanza, perché gli allevatori di pecore rappresentano per l'Australia i pionieri, come i cacciatori di pellicce per le vergini foreste dell'Ovest in America e per le foreste e le steppe della Siberia.

Tuttavia il progresso, fu assai lento. Nel 1806 non si arrivava ancora in Australia a 10.000 coloni bianchi. L'originaria carattere penitenziario della colonia e la grande siccità ostacolarono lo sviluppo della colonizzazione. Solo coll'avvento del governatorato di Macquarie (1810-1821) le cose migliorarono, e l'Australia riuscì gradatamente a trasformarsi in una quinta parte del mondo civile.

Consideriamo ora brevemente l'opera di colonizzazione inglese nel suo complesso. La sua efficacia fu dovuta all'energia del popolo inglese che da modesti inizi, crescendo, si volse principalmente alla navigazione e alla conquista di nuove terre. In ciò gli Inglesi rivelarono, fin dall'inizio un non comune senso pratico, un tatto innato, congiunto alla operosità ed alla perseveranza. Il continuo occuparsi delle stesse cose li dotò di una sempre crescente abilità tecnica nel trattarle. Giovò pure la versatilità propria della stirpe sassone; a queste qualità di razza essi andarono debitori della capacità di adattarsi alle diverse situazioni, di condursi diversamente a seconda delle circostanze concrete.
Mentre nell'Africa Occidentale essi non mantennero che fattorie staccate in certi punti, occuparono invece in India vasti territori, ed in America lavoravano la terra col sudore della propria fronte. In India la compagnia inglese non procedette diversamente da quella olandese. Avendo qui davanti a sé un paese di sviluppata cultura e densamente popolato, gli Inglesi non ebbero in mira né l'emigrazione né la colonizzazione, ma si proposero soltanto di sfruttarlo, prima col commercio, poi con la politica; il mercante così si trasformò in padrone.

Diversamente in America. Qui la colonizzazione non fu un contributo del traffico mercantile, ma di cause d'ordine interno; si desiderarono terre per avviarvi l'emigrazione, si volle creare di là dal mare una nuova Inghilterra. E lo si fece con la fondazione di colonie di grandi proprietari terrieri a struttura aristocratica, con colonie di società, della Corona, di privati, a struttura sì democratica ma sempre all'interno di questa potente aristocrazia terriera. Infatti in seguito a ribellarsi alla madre patria non furono i miseri coloni, ma i padroni di questi coloni.
Non dobbiamo confondere i "coloni", che molti identificano come poveri contadini lavoranti la terra che sudavano 14 ore al giorno. I "Coloni" in America erano i proprietari delle Colonie. E quando finalmente furono indipendenti, le ostilità nacquero tra questi padroni, cui era facile trascinarsi dietro i coloni che lavoravano per loro.
Ogni colonia cominciò a guardare ai propri interessi; e combatteva non solo contro gli indiani per impossessarsi dei loro territori (cosa piuttosto facile) ma iniziò numerosi conflitti contro altre colonie. Questo prima della guerra d'indipendenza; ma anche dopo non mancarono guerre fratricide fra potenti per farsi fuori l'un l'altro.

Nel 1700 i lavoranti "coloni" erano circa 400.000, nel 1750 erano già 1.400.000, distribuiti nelle varie colonie della corona, in quelle private (Virginia e Pennsylvania) o in quelle che avevano una relativa autonomia garantita da una "carta" reale (come le colonie della Nuova Inghilterra).
Ai vertici dei movimenti indipendentistici c'erano i potenti privati con grossi interessi in gioco. Quindi capaci di coagulare con i propri coloni (lavoranti) tutta la rabbia in crescendo.

Dopo la Guerra d'Indipendenza sul suolo americano, cioè nelle 13 ex colonie, non ci fu molta armonia. Erano sì indipendenti, ma iniziarono le lotte intestine, fra stati e stati, ognuno cercando di fagocitare l'altro, con tutti i mezzi.
I maligni hanno scritto che i grossi proprietari (alcuni anche di un intero stato) fecero questa guerra di indipendenza, per potersi poi scannare in pace fra di loro.
Di attriti continui, di ostilità sempre in aumento ce ne saranno infatti molti, e sfoceranno in seguito nella Guerra civile di Secessione; una guerra molto più sanguinaria di quella d'Indipendenza, fra Coloni del Nord e Coloni del Sud (fra cugini insomma !!)
Questo perchè alcuni Stati forti volevano imporre i propri "dazi protettivi" soprattutto quelli del Nord verso quelli del Sud, che però quest'ultimi si rifiutarono di pagare considerando ingiuste le tasse imposte al Sud per pagare l'espansione manifatturiera del Nord (Tariffa dell' abonimio- i prodotti importati al Nord dal Sud vennero aumentati del 50% del valore dei beni stessi).  Ci fu un compromesso nel 1833 con il presidente Jackson, che mise fine alla crisi che minacciava già una secessione con un ricorso alle armi. Ma il presidente predisse: "Il prossimo pretesto sarà la questione dei negri, o della schiavitù".
Fu profetico! I cugini si accapigliarono un'altra volta in una guerra civile. E questa volta con in mano le armi automatiche e i cannoni.
Gli indiani già prima ci avevano capito poco, dopo non ci capirono proprio più nulla. Ma era la "civilta" ! Che iniziava nell' "incivile" continente !


(ma tutto questo lo racconteremo nei successivi capitoli)


Il governo inglese all'inizio non si era mai ingerito nell'esecuzione materiale di tutta quest'opera di colonizzazione ed anche la sua influenza fu piuttosto blanda; i coloni avevano portato con sè le loro libertà civili, il proprio individualismo, l'intraprendenza e, svincolati da quasi ogni tutela statale, svolsero benissimo il loro compito, salvo la grave colpa dello sterminio degli indigeni che avevano solo la grave colpa di essere nati in quel Nuovo Mondo.
L'Inghilterra in seguito commetterà moltissimi errori che furono dannosi in materia di commercio, navigazione e colonizzazione; ma i suoi criteri e metodi fondamentali furono anche se spregiudicati sani, dimostrandosi superiore a tutte le nazioni sue rivali.

Proseguiamo il cammino delle esplorazione
questa volta rivolgendosi ai Paesi Nordici

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