-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

5. DALLE 2 GAMBE ALLE 2 MANI

L'ANDATURA A DUE GAMBE non avvenne per caso ma fu un atto voluto; provando e riprovando un pongide fece la sua prima sensazionale "scoperta": che poteva rimanere eretto. Quando ebbe questa idea di erigersi su due gambe e camminare, liberando le mani dal compito di locomozione, questo essere, nel fare il primo tentennante passo, diede inizio alla lunga avventura di quello che d'ora in avanti chiameremo ominide. Quando, nonostante gli insicuri tentativi, espresse una cosciente "caparbietà" di voler rimanere eretto, e pur con degli inconvenienti fisiologici che ancora oggi sono causa di disturbi, questa "volontà" segnò l'inizio di molte altre scoperte, e quindi del progresso dell'uomo.
La Terra offriva allora un aspetto non molto differente da come si presenta oggi. In luogo della vita intelligente e attiva che circonda sulla sua superficie; in luogo di queste città popolate, dei nostri villaggi e delle nostre abitazioni; di questi campi coltivati, dei vigneti e dei giardini; delle strade e delle ferrovie, dei navigli, delle officine nostre e dei laboratori; in luogo di questi palazzi, dei monumenti, dei templi; in luogo di questa incessante attività umana che trae profitto attualmente di tutte quante le forze della natura, penetra le profondità terrestri, interroga gli enigmi del cielo, studia gli avvenimenti dell'Universo, e sembra concentrare in se stessa l'intera storia del creato......  non vi erano che foreste selvagge ed impenetrabili, fiumi che scorrevano silenziosamente in mezzo a rive solitarie, montagne senza anima viva che le ammirasse, valli senza traccia di capanne, e sere senza incanti, e notte stellate senza alcuno che le contemplasse. Non scienza, né letteratura; non arti, né industria, né politica, né storia; non parola, né intelligenza, né pensiero.
Ma ecco LUI ! non è ancora un uomo, ma non è neppure un antropomorfo, è già qualcosa di diverso. Abbiamo detto "volontà", perchè il processo evolutivo (ammettendo che ve ne sia uno) non aveva ancora fisiologicamente modificato le ossa della sua postura; ancora oggi la colonna vertebrale dell'uomo non è "ingegneristicamente" una costruzione perfetta, cioè atta a camminare eretta su due gambe, presenta -lo abbiamo appena accennato- degli inconvenienti fisiologici, perchè la struttura è poco resistente per sorreggere il peso di tutto il busto con la testa. Infatti, questo ominide nel voler insistere la sua deambulazione eretta, in un tempo relativamente breve, con una colonna vertebrale nata per stare in orizzontale, la sua postura ha dato origine a schiacciamenti delle vertebre, a dislocazione o degenerazione dei dischi intervetebrali, alle cosiddette infiammazioni, alle sciatiche, alle ernie, ai dolori nella regione sacrale, alle scoliosi, alle discopatie, e perfino a una fragilità nelle ginocchia. Nonostante siano passati circa 5-6 milioni di anni da questo primo tentativo, quasi metà del genere umano ancora oggi nello stare eretto soffre di mal di schiena. Questo perchè per darci un portamento, per equilibrare il peso abbiamo curvato nella parte inferiore della schiena la colonna vertebrale, che ha assunto una forma a S. Nessun altro organismo presenta questa flessione all'indietro, non esistono altri animali quadrupedi che stanno eretti con questo accorgimento volutamente espresso dalla volontà. Mentre tutti gli altri animali che sono veramente bipedi (es. struzzi, polli ecc.) hanno un baricentro "ingegneristicamente" quasi perfetto.
Anche se non sappiamo ancora da quale scimmia noi discendiamo, non possiamo chiudere gli occhi quando accertiamo che il nostro corpo è costruito come quello degli animali superiori. Se l'uomo fosse stato l'oggetto diretto di una creazione speciale, estranea a quella delle altre specie viventi, questa rassomiglianza organica non avrebbe alcuna ragione di essere.
E se dallo scheletro ci spingiamo più oltre e consideriamo il complesso dell'organismo corporeo; e se andando ancora più in là, osserviamo l'organizzazione intellettuale, la vita e i costumi di alcuni tipi di scimmie, la rassomiglianza con l'umanità si fa sempre maggiore. "Giammai, questa putrida affinità" dicevano ancora i nostri bisnonni; infatti, ancora a metà '800 questa rassomiglianza con sdegno la si negava; però !!!... la si confermava per alcune razze di uomini allora ritenute inferiori.
Non volevano né potevano ammettere che anche quelli era stati "creati da Dio a sua immagine e somiglianza"; lui era convinto che solo la sua faccia era la vera somiglianza di Dio e non quelle "facce da scimmia".
Infatti, autorevoli pubblicazioni scientifiche stabilivano che vi era un legame fisico e intellettuale fra le razze inferiori del pianeta (ottentoti, boscimani, negri, pellirossa, ecc.) e le scimmie antropoidi. Che quelli erano e sarebbero rimasti sempre animali! "Molti dotti dicon che son al primo stato dell'uomo antico e naturale: La prima opinione è un errore, la seconda è sentimentalismo, non regge al raziocinio: sono figli di un putrido tronco... E' sentenza ormai degli universali fisiologi e degli uomini di scienza che quegli uomini hanno per natura nessun intelletto. Padre Gregorie (un missionario Ndr.) sperava prodigi in una sviscerata sensibilità, ma ahimè, l'esperienza non corrisponde al suo desiderio, quella sua speranza è pura follia. Con quegli più nulla s'ha da fare, solo mettergli le catene al collo e alle caviglie!" (Marmocchi "Geografia Universale, Storia dell'Umanità", pag. 312, 3° volume ). Era il 1853 !!. Ma William Sherman segretario della "Guerra agli indiani" nel 1868 era ancora più radicale: "Non fa molta differenza se butteremo fuori i pellirossa mediante l'imbroglio o uccidendoli". Chissà cosa direbbero oggi Marmocchi e Sherman nel vedere questi "figli del putrido tronco" in molti posti di comando americani perfino strategici, uscire dalle accademie e dalle università, essere insigniti di premi Nobel, o insegnare oggi nelle cattedre perfino ai bianchi!

All'inizio abbiamo indicato 5 milioni di anni, ma secondo le ultime scoperte (del Paleontologo francese Yves Coppens - Inchiesta sulle origini dell'Umanità, anno 2000 ) la divisione tra scimmie e ominidi, i nostri primi antenati diretti, si è verificata circa 7,5 milioni di anni fa, in Africa , quando si produce l'immensa spaccatura della Rift Valley, la faglia geologica che corre lungo l'Etiopia, il Kenia e la Tanzania, dove viveva un piccolo antenato comune di ominidi e grandi scimmie, il Kenyapiteco (10 milioni di anni fa, discendente dei primi primati superiori, il Preconsolo, 22 milioni di anni fa; a sua volta discendente dall' Egittopiteco, 35-40 milioni di anni fa), che popolava le rigogliose foreste dell'Africa equatoriale. Jean-Jaques Jager, dell'università di Montpellier (sulla rivista scientifica Nature, 1991), riferisce la scoperta in Namibia di un antenato comune dell'uomo e delle grandi scimmie, in una scimmietta del peso di meno di un chilo, vissuta 50 milioni di anni fa, evolutasi quando i dinosauri si estinsero.

Torniamo ai 7,5 milioni di anni fa. Mentre le scimmie rimaste nel versante occidentale continuano a vivere nella foresta, i nostri antenati isolati a Est devono invece adattarsi alla savana; adeguarsi a un ambiente diverso, arido e con pochi alberi. Sono queste le prime famiglie di ominidi; e ad una di queste famiglie appartiene la famosa "Lucy", la prima donna dell'umanità, di cui oggi abbiamo come reperti 52 frammenti di ossa; ritrovati in Etiopia, che ci confermano da uno studio osseo una stazione eretta del corpo (la famosa S ). A Est della Rift Valley vissero dunque solo pre-umani. A Ovest, i pre-scimpanzè e pre-gorilla.
La posizione eretta dei primi, la locomozione bipede, lo sviluppo del cervello, la fabbricazione dei primi manufatti sono il risultato di un adattamento a un ambiente più arido. Nella savana, i nostri antenati dovettero alzarsi per esigenza sulle zampe posteriori per scampare ai pericoli, per scorgere una preda, per trovare cibo per i loro piccoli. Con il corpo eretto improvvisamente è cambiata la concezione del mondo del nostro antenato; il suo campo visivo non è più quello di una scimmia a quattro zampe; ora abbraccia l'orizzonte, l'infinito, e forse la coscienza dell'umanità emerse quando l'uomo con lo sguardo rivolto al cielo iniziò a guardare il firmamento. "Siamo diventati intelligenti solo quando ci siamo alzati in piedi" - diceva Andrè Leri-Gourhan del College de France - "Dobbiamo rassegnarci. La nostra storia è cominciata coi piedi". (
Pietro Del Re -
Inchiesta sulle origini dell'Umanità)
"Dunque l'evoluzione tecnologica prende il sopravvento. E non è più la biologia che domina il destino dell'uomo. Ma il prodotto del suo cervello: la cultura. Già allo stadio Homo habilis (3 milioni a.C.), è l'esperienza acquisita che diventa prioritaria. Da questo momento, dalle varie sollecitazioni dell'ambiente l'uomo riceve solo delle risposte culturali, non più biologiche. L'evoluzione, la selezione naturale, l'adattamento del corpo a uno squilibrio qualsiasi, sono fenomeni che non intervengono più, perchè non sono più necessari alla sopravvivenza della specie. Che continua nella sua evoluzione culturale, prima con l'Homo sapiens di Neandertal (90.000 a.C.), poi con il definitivo l'Homo sapiens sapiens di Cro Magnon (40.000 a.C.). Ma sono solo microevoluzioni "culturali" dovute al suo cervello più organizzato, e questa nuova organizzazione dà origine alla neocorteccia, la parte più recente del nostro cervello. Più organizzato perchè esso è stato sollecitato a diventare tale; e se prendiamo gli ultimi studi della neuroscienza, il nostro cervello diventa ordinato e si creano delle particolari aree, solo dopo molte specifiche (culturali) informazioni introdotte.


Immagini del cervello di una persona che si applica a compiti diversi, rilevate alla Pet del centro dell'Università di Los Angeles. Si noti però in fondo la maggiore attività del metabolismo nel LAVORO, dove occorre, vedere, sentire, pensare, ricordare, agire.
LE INFORMAZIONI - Solo con le informazioni nascono le ramificazioni neurali, con i gangli, gli assoni (uniscono due neuroni), i dendriti, le sinapsi, con gli impulsi (afferenti) della periferia al sistema centrale, che fanno prima le associazioni, poi le comparazioni di quanto immagazzinato, poi forniscono le risposte con altri impulsi (efferenti) in base alle esperienze negative o positive già fatte; dopodichè sollecitate entrano in azione "le risposte", con i sistemi nervosi sensoriali, dell'agire o non agire, del difendersi o aggredire, dello scappare o affrontare il pericolo (e ancora oggi: di parlare o starsene zitti) se si ha l'impressione che la risposta è istintiva e non sufficientemente razionale, cioè già vagliata con diverse ipotesi, che sono poi il frutto di tutte quelle informazioni che abbiamo in precedenza inserite - e siamo certi di averle inserite dentro il nostro cervello, ecco perchè alcune volte abbiamo dubbi. In un tuffo da un aereo in volo, l'istinto di conservazione ci trattiene, ci crea dubbi e timori, anche quando abbiamo un paracadute; ma se superiamo questa fase (ma alcuni proprio non ci riescono - e lo so per esperienza per aver fatto l'istruttore di paracadutismo) nei successivi lanci - dopo aver convinto la parte più antica del nostro cervello con quella più recente dove è depositata la nuova informazione che dice che nella caduta ho un paracadute che si apre, e quindi non c'è nulla da temere - l'istinto primordiale (neuroni con le antiche informazioni conservate nel nucleo dell'amigdala, sito in profondità negli emisferi cerebrali) viene inibito dall'informazione più recente che nella sua nuova logica razionale ha vagliato e spazzato via tutti gli antichi i dubbi. Ma se non faccio crescere il dendrite della nuova informazione - ripetendomi più volte che ho un paracadute (analisi razionale) - ha il sopravvento la risposta del cervello antico (mirante alla conservazione) che dice... "no, non devi buttarti!". Fa cioè il suo dovere, innesca la difesa, ci trattiene da una decisione improvvisa per noi pericolosa; ma se insistentemente noi gli segnaliamo l'analisi razionale, lui spegne la reazione di paura e ci lascia agire.
C'entra poco la quantità di materia grigia, la superiorità del nostro cervello è dovuta alla ricchezza di connessioni interneuronali sviluppate e mantenute con l'apprendimento, l'esperienza, l'istruzione, la cultura, piuttosto che all'estensione di talune aree corticali o al numero delle cellule della corteccia cerebrale.
Ripetere più volte l'informazione significa far crescere le "strade" che devono percorrere i dendriti e gli assoni, è più queste strade sono battute, maggiore è la velocità di connessione con altri neuroni o intere zone di neuroni che contengono le informazioni che sono necessarie ad una risposta dopo aver fatto una domanda.
Es. a scuola impariamo una poesia dopo che l'abbiamo ripetuta tante volte, creando così una buona "strada" associativa verso quei neuroni che hanno ricevuto più volte le ripetute informazioni. Ma se per anni non ripetiamo quella poesia, non la ricordiamo più. Questo perche le connessioni se non usate tendono a regredire a regredire, fino a scomparire del tutto. E' come una città che isolandosi da altre città, le strade cadono in disuso, ci crescono le erbacce, scompaiono del tutto, con la conseguenza che gli abitanti -isolandosi- non avendo più informazioni dal di fuori, entrano in declino e si impoveriscono. Anche quando un volenteroso vorrebbe uscire, rompere l'isolamento, non lo può più fare perchè non esistono più strade ma solo più una impenetrabile foresta. Così i cervelli ! (di alcuni). L'atrofia precede di poco la morte dei neuroni, dei dendriti, di alcune o di tutte le aree cerebrali. Se poi c'è un trauma, una ischemia, il processo del "suicidio" delle cellule neuroniche è ancora più accelerato.
In polemica con Cartesio, Locke negò che esistono idee innate e che "l'intelletto prima del processo cognitivo è completamente privo di ogni nozione, è tabula rasa, una pagina bianca su cui non è scritto nulla". Cartesio se poteva dire "io penso quindi io sono" è perchè aveva introdotto delle informazioni apprese da altri, di aver interagito. Se nasceva e viveva in una foresta da solo, senza contatti umani, non avrebbe mai potuto nè pensare nè esprimere un concetto. Locke senza avere la PET anticipa la Neuroscienza di duecento anni. La PET è la Tomografia ad Emissione Protoni, che nella corteccia cerebrale, soprattutto nella neocorteccia individua i neuroni che hanno o non hanno una informazione bioelettricamente depositata negli stessi, evidenzia la formazione o non formazioni di dendriti e sinapsi che le stesse informazioni se ricevute hanno creato fra un neurone e l'altro per fare associazioni, dare una risposta a una domanda, o autoassociandole farsi una domanda, porsi un dubbio o esercitare la propria creatività mettendo tanti associazioni di informazioni insieme in un modo diverso da come le abbiamo immagazzinate. E i tanti "magazzini" sono la nostra "conoscenza".

LA CONOSCENZA - "Ogni nostra conoscenza -affermava Locke- ha origine dall'esperienza esterna (dai sensi); dall'esperienza derivano le idee semplici che l'intelletto poi elabora e sintetizza costruendo con esse le idee complesse. La riflessione non è un'attività spirituale: non è altro che senso interno".
Locke anticipa intuitivamente il meccanismo neuronico. Lui allora non poteva certo immaginare che tutti i nostri sensi in effetti non sono altro che impulsi biolettrici scaturiti dalla polarizzazione-depolarizzazione di una sinapsi, che converte ioni in quanti, e li trasmette tramite gli assoni alle singole aeree del cervello, che decodificano l'impulso, da biochimico a elettrico (a livello di sinapsi, l'azione chimica cede il posto all'impulso elettrico), da analogico a digitale, e depositano nel neurone la sequenza di impulsi in quanti; questa sequenza prende il nome di engramma (che assomiglia molto alle etichette codice barre di una scatola di pelati comprata al supermercato, che ci dice - tramite 7 impulsi elettrici - che cos'è, dove è stata prodotta, chi l'ha confenzionata, la quantità, la qualità, il costo, la scadenza ecc.).
Cartesio poteva sì dire "io penso e dunque io sono" ma si dimentica che lui può pensare solo perché ha interagito con un suo simile, cioè ha ricevuto tramite un linguaggio (mimico o verbale) delle informazioni, che gli permettono di pensare. Senza informazioni non potrebbe nè pensare e tanto meno pensare di essere. Cartesio è insomma -nelle sue esperienze, nelle sue conoscenza, nei suoi pensieri - sempre debitore di qualcuno che a sua volta ha esperienze e conoscenze.
E' da bambini che inizia questa lenta trasformazione da creature che appena sanno, a creature che sanno di sapere, il che è l'essenza dell'autocoscienza. Ma non lo hanno appreso da soli, hanno bisogno di interagire con altri: all'inizio col padre e la madre, poi con gli amici di scuola, infine con l'ambiente in cui vivono. E se l'ambiente è culturalmente ricco ci si avvantaggia rispetto a coloro che vivono in un ambiente povero di esperienze e di conoscenze. Solo così si può imparare un linguaggio (verbale o mimico), con questo ricevere informazioni, e con le acquisite informazioni pensare, cioè scoprire e rappresentarci il mondo che ci circonda.
"Perfino il libero arbitrio è un fatto di esperienza. E' qualcosa che ciascuno di noi prova. Nessuno avrebbe immaginato che il libero arbitrio esistesse se non ne avesse fatto esperienza, con il che io intendo la capacità di effettuare delle azioni in base alle informazioni-esperienze introdotte, o almeno il tentare di effettuarle"
(John Eccles, Nobel 1963, La conoscenza del cervello, Piccin editore, Padova).
Non dimentichiamo che un cieco e sordo dalla nascita (i due principali sensi-veicoli dell'informazione verso il cervello tramite i meccanismi centrali della trasmissione sinaptica), nulla sa, nè del pensiero, nè sa che esiste, perchè nulla a lui possiamo comunicare, non riceve nessuna informazione dal mondo che lo circonda. Non sa cos'è la luce, i suoni, il linguaggio, l' infinito o il definito. Nulla! E senza percepire nulla, nulla può pensare e nulla può elaborare (e che è così basta visitare un istituto dei cosiddetti handicappati totali - alcuni sono vere e proprie "piante vegetali", con il cervello "piatto", con dentro (lo mette in evidenza la PET) proprio nulla, i neuroni ci sono ma non hanno ramificazioni, nemmeno un "stradina", nessun dendrite).
La storia della scienza è una dimostrazione di come il cervello sappia elaborare l’ immaginario percettivo generando logiche interpretative con cui vengono affrontate le problematiche osservate o udite per dimensionare un pronostico anticipativo degli eventi e pertanto esplorare il futuro.
Oggi le "neuroscienze cognitive" hanno iniziato a comprendere le basi neurologiche per mezzo delle quali il cervello acquisisce una percezione significativa del mondo generando una percezione sensoriale che altro non è che lo scenario delle nostre interazioni possibili con l’ ambiente in cui viviamo.


LA CREATIVITA' - Tutti i sensi potenzialmente a posto, poi l'ambiente, l'istruzione e una grande assimilazione di informazioni mettono in luce e utilizzano in modo corretto (alcuni bene, altri male) quello che abbiamo immagazzinato. Alcuni lo fanno disordinatamente, altri nel disordine tuttavia sono ancora capaci di fare poi ordine, ed altri ancora nell'associarle le informazioni in un certo modo creano qualcosa di completamente diverso da un suo simile pur avendo ricevuto le stesse informazioni. Il sapiente dà una risposta a una domanda quasi meccanica (nozionistica); Il sapiente-intelligente invece a una domanda dà una risposta con molte altre idee collaterali associate; mentre il sapiente-intelligente-creativo (il genio, l'inventore, lo scopritore) dà invece una risposta senza che nessuno abbia fatto una domanda, esprime quello che lui ha creato all'interno, che è il frutto di varie associazioni (ovviamente se le ha immagazzinate). La creatività di Beethoven è impostata tutta sulle 7 note che tutti noi conosciamo, soltanto che lui nel creare i suoi capolavori le sette note le ha disposte in un modo diverso. La creatività di un tale che ha inventato la radio, può essere ripresa da quel prigioniero che in un campo di concentramento costruì una piccola radio con un po di filo, una scatola di sardine e la grafite di una matita; ma gli fu possibile solo perchè aveva precedentemente appreso qualche nozione di come costruire una radio. Il primo è un creativo, mentre il secondo ha solo utilizzato - anche se brillantemente - solo alcune fondamentali nozioni apprese. In certi gruppi umani, antichi e moderni, e così anche in intere nazioni, è accaduta la stessa cosa: alcune hanno avuto dei creativi, altre li hanno solo utilizzati, e altre ancora hanno fatto nulla. Spesso non per destino ma per la scellerata scelta politica del loro governante.
Considerando comunque la genialità come un aspetto fondamentale della creatività, è possibile ammettere che in alcune persone dotate di particolari doti di genialità, si evidenzi una peculiare attività di connessioni sub-corticali che generano peculiari livelli di integrazione delle aree cerebrali superiori, favorendo combinazioni “innovative ” di concetti già acquisiti, capaci però di modificare il punto di vista tradizionale delle più antiquate acquisizioni mentali, permettendo in tal modo di intravedere e prevedere nuove soluzioni. Purtroppo la genialità non sempre viene condivisa; da che è mondo essa al contrario rischia spesso di essere considerata dai contemporanei una inutile stranezza (es. Beethoven a suo tempo); addirittura stupidità (es. la vaccinazione immunitaria); irrazionalità (es. tentare di far volare in cielo un oggetto da 100 tonnelate); o pura follia (es. la possibilità di parlare con vostra zia in Australia con una piccola scatoletta in mano (il cellulare!).
IL "COMPUTER" CERVELLO - Quello che oggi appare stupefacente, scoperto dai neuroscienziati, è che i neuroni nel sistema nervoso centrale degli esseri umani e di altri animali superiori, obbediscono alle stesse leggi che in questo momento stanno facendo funzionare il computer che avete davanti, che usano nei circuiti del proprio microprocessore l'on-off. Così come i bottoni sinaptici della nostra rete neurale nel ricevimento degli stimoli (delle informazioni dei cinque sensi) sono "inseriti" o "disinseriti" (on-off), per effetto della differenza del potenziale elettrochimico ionico delle rispettive membrane.
L'SNC, il sistema nervoso centrale è quasi identico a un nostro computer, è uguale perfino alle telecomunicazioni di oggi in forma analogica-digitale. Cordoni micellari, fasci di cavi detti fibrille (proprio come sta succedendo ora sul nostro doppino telefonico) hanno una identica tecnologia di trasmissione; utilizzano nei cavi per costruire e inviare le informazioni, quantità di energie di comode dimensioni, le compattano e sono distribuiti "a pacchetti" (uno spinge l'altro che gli è davanti, come gli elettroni in un cavo) ad alta velocità sulla rete neurale trasformando il flusso elettrico da digitale in analogico e riconvertendolo poi da analogico in digitale. In sostanza é quanto avviene nel nostro Modem. Perfino alcune trasmissioni della codifica e decodifica dei segnali della nostra vista (immagini) al nostro SNC, funzionano come l'ISDN, la linea dedicata, la commutata, la futura optoelettronica, o le porte logiche del ns. PC.
L'informazione globale, le interconnessioni, la optoelettronica, tutta la struttura, le ramificazioni, i nodi, i messaggi afferenti e efferenti su tutto il pianeta e la loro funzione (creare, infine trasmettere informazioni ai suoi abitanti - leggi "internet") "è" la perfetta riproduzione in macro del nostro apparato neurale, come struttura, come tecnica e come filosofia; perfino nei minimi particolari. Persino il potenziale elettrico della trasmissione del messaggio è quasi uguale (- 0,30 mVolt +0,70 mVolt - con questo potenziale infatti operano le sinapsi - quando determinano l'apertura o chiusura delle stesse membrane). Alcune frequenze di un telefonino cellulare sono identiche a quelle dei campi magnetici che coordinano, equilibrano e poi inviano gli impulsi al sistema nervoso centrale (infatti i campi magnetici possono causare disturbi al SNC, proprio perchè riescono a interferire con questo).
Nella interconnessione delle attuali telecomunicazioni vi é perfino un'analogia con la stessa struttura fisica della interconnessione delle reti neurali. I cavi "assoni-(come i cavi coassiali o il semplice doppino)" sono schermati e rivestiti di mielina (un polimero proteico-lipidico che forma una "guaina" intorno in funzione protettiva estremamente necessaria per inibire la dispersione di campi bio-elettrici negli assoni, cioe’ nelle fibre nervose che propagano le informazioni al cervello) per non andare in corto e impedire interferenze da campi magnetici esterni. Nodi e internodi che amplificano il segnale sono presenti negli stessi assoni della nostra rete neurale e si chiamano in termini neuroscientifici, proprio nodi e internodi, come, e tale e quali le antenne ripetitrici (celle), o i server dei provider (che interconnettono i nodi della rete).
Pacchetti di quanti (ioni) sono presenti nelle porte sinaptiche che operano e creano gli impulsi (come "i clock" del ns. computer). Nelle porte delle membrane l'impulso sinaptico si verifica con un aperto-chiuso, un vero e proprio on-off creato da un potenziale elettrico biochimico provocato dai neuromediatori, e sono proprio simili alle porte logiche di un computer-rete. E cosa curiosa, la trasmissione, dal e verso il mondo esterno, avviene in entrambi -cervello e computer- da analogica in digitale e riconversione da digitale in analogica.
Perfino la nuova tecnica optoelettronica è presente nei nostri occhi in quella che chiamiamo vista; qui le frequenze delle onde fotoniche fanno accendere i "pixel" in una area corticale (una specie di schermo monitor) specializzata: la v1,v2 per i contorni la v3,v4,v5 per i colori. Insomma funziona esattamente come la griglia di un monitor RGB che riceve i diversi impulsi dal nostro scanner digitale. Il tipo, il sistema e la frequenza nella codifica/decodifica e la trasmissione come nella multiplazione ottica è simile - e all'oscilloscopio il tracciato è quasi indistinguibile se trattasi di impulsi neurali o impulsi di una porta logica elettronica di un computer collegato alla rete.
Perfino un tecnico allenato all'oscilloscopio, non è in grado di distinguere la traccia del suono di una parola umana, da quella creata da un sintetizzatore vocale che di umano non ha nulla, solo bit, creati da una sequenza di impulsi elettrici prima convertiti e poi usciti da un altoparlante.
L'intera percezione dei nostri sensi, infatti, non é altro che un impulso elettrico creato dal mutamento della concentrazione di ioni di idrogeno sulla superficie delle cellule cerebrali; é continuo cambiamento di equilibrio fra sodio e potassio attraverso le membrane neuroniche. Ogni membrana di una cellula costituisce un generatore elettrico in miniatura.
E come velocità il potenziale d'azione viaggia sull' "autostrada" assone a una velocita inferiore a una Ferrari, cioè fra i 150 e i 280 km ora (e sono queste differenti velocità che determinano i nostri tempi di reazione).
Insomma un meccanismo perfetto costruito in circa 350 milioni di anni. "Il primo neurone comparve sul capo di un calamaro con un solo ganglio (un dendrite) che gli avvolge tutto il mantello con delle sinapsi che agiscono come dei sensori" (
Hodgkine Huxley, Nobel 1963). Ad ogni contatto con oggetti la sinapsi invia un messaggio bioelettrico al nucleo del neurone, che risponde "conosco già questo", oppure con alcune molecole codifica il nuovo in "questo non lo conosco", in modo da essere pronto a riconoscerlo in un altra occasione di pericolo, oppure premiante. Ogni messaggio-esperienza é un codice e ogni codice é un'esperienza acquisita. Il calamaro che ha più informazioni e ha immagazzinato più esperienze, sfugge alla cattura e sopravvive. Insomma il più informato è meno vulnerabile.
Nietzsche osservando gli uomini si espresse anche lui in questo chiarissimo modo "La selezione spazza via sempre il più debole, e negli umani il più debole é lui! l'uomo ignorante!".
Questi ioni di cui abbiamo appena parlato, generano un flusso di corrente negli assoni in pacchetti di quanti, che vanno poi a depositarsi nei neuroni lasciandovi (immagazzinandovi) una traccia; è la "traccia mnestica" (presunta registrazione fisica - "in bit", "in quanti di energia") dei nostri ricordi o esperienze; una traccia che nessuno fino a oggi ha mai visto, ma che i neuroscienziati che la cercano, gli hanno già dato un nome "ENGRAMMA". ( !!! )
John von Neumann, lo scienziato teorico dell'informazione ha stimato che i ricordi memorizzati durante una vita umana media dovrebbero ammontare a 2,8-10/20 (280 miliardi di miliardi) di bit (engrammi); fra quelli che ricordiamo e quelli che abbiamo immagazzinato ma che non abbiamo più richiamato alla nostra mente. Ma ci sono! Questo già lo sappiamo con la PET (Tomografia a Emissione di Positroni) eccitando alcuni neuroni. Alcuni sono ancora vuoti, altri hanno pacchetti di quanti depositati, cioè informazioni, visive, tattili, sonore, olfattive, gustative (i ricordi di esperienze fatte).

Ma non è la quantità di neuroni che sono presenti che formano un buon cervello. Solo da pochi decenni (Eccles, Nobel '68) conosciamo queste ramificazioni e la loro funzione. Il metro delle precedenti osservazioni dei paleoantropologi dell '800, era quello della capacità cranica. A maggior volume si pensava corrispondesse un grado superiore d'intelligenza. Era una cantonata. Oggi con la neuroscienza sappiamo che non é così. Einstein aveva solo 1400 cc. di materia grigia; il grande Dante 1420. Entrambe sotto la media di un uomo degli ultimi 30.000 anni. Perfino di molto inferiori al cervello dell'uomo di Neandertal vissuto 90.000 anni fa.
Questo perchè loro vivendo in un ambiente culturale ricco, le informazioni depositate nei neuroni hanno fatto"germogliare" rami dendritici e sinapsi verso altri neuroni. Ogni neurone può - se vengono immesse informazioni - far "germogliare" 10.000 rami dendritici esplorativi verso i circa 100 miliardi di neuroni di cui siamo dotati fin dalla nascita; ripetiamo ognuno di essi ha la stessa potenziale capacità di sviluppare altri 10.000 "germogli", creando così una intricata "rete" di "strade" e "stradine" (cioè dieci milioni di miliardi di "connessioni" - è insomma un "internet" un po' più grande, ma molto simile. E nel cercare un ricordo, dobbiamo agire come facciamo con Google, dobbiamo impostare bene la nostra "ricerca" in modo tale da non creare una grande confusione di risposte. Se su Google cerchiamo solo "Michelangelo" si accavallano risposte con gli hotel che si chiamano Michelangelo, ma se mettiamo "Michelangelo pittore" le risposte sono mirate al grande artista perchè la ricerca avviene in una particolare area dove sono memorizzati i pittori. Idem nel nostro cervello: la domanda se mirata, la risposta viene cercata e subito trovata in quella particolare area dove noi (con metodo) abbiamo depositato i pittori e assieme ad essi (nelle "stradine" vicine a quest'area, e su altri neuroni) sono associate particolari loro opere. Ecco perchè spesso ricordando l'opera ci viene in mente anche il pittore, o all'incontrario, il Giudizio Universale ci richiama Michelangelo, associandolo al Giudizio. Ovviamente se noi abbiamo messo insieme le due informazioni. E questo è il metodo.

Risulta così superfluo che un soggetto abbia a disposizione alla nascita 100 miliardi di neuroni se poi non ha costruito con le informazioni la "rete" che gli serve per fare associazioni, elaborazioni e quindi dare delle risposte. Inutile costruire una città se non si fanno poi strade verso altre città e paesi. Così i computer, a cosa servirebbero 10.000.000 di computer se poi non li colleghiamo a una rete e se questa non ha rimandi ad altre informazioni dove in qualche luogo queste sono depositate. Nel caso del nostro cervello il buon Dio ci ha dato sì tutti i neuroni alla nascita, ma le strade ci ha detto "costruitevele voi".
In sostanza l'engramma dovrebbe comportarsi in questo modo; ad ogni ricezione di pacchetti di quanti, lascia una traccia dentro le nostre "scatolette" (neuroni). Si comporta come il classico "codice a barre" che il commesso di un supermercato applica su una scatola di pelati e poi li mette nelle "aree" dei vari "magazzini"; il suo generatore di impulsi elettronici, in pacchetti di quanti, scrive una traccia ("elettro-mnestica" stampata su un'etichetta la cui copia è magnetizzata su una memoria), ed ogni qualvolta senza la presenza del magazziniere se la commessa al banco deve leggere prezzo, caratteristiche o altro, usa all'inverso un lettore che legge la "traccia di quanti" "memorizzata" dal magazziniere. Ogni aerea di una memoria é inserita in molte altre connessioni, e ciascuna connessione è implicata in vari altri "magazzini" memorie - la nostra rete neurale è fatta proprio così, comprese le "aree", i "magazzini", le "memorie", le "connessioni".
Il proto-cervello del nostro antenato inizia avere un'area del suo cervello sempre più sviluppata. Il mondo più vario, le continue esperienze, le molte informazioni gli creano la necessità di avere "magazzini" più ampi, e chi ne ha di più ha quindi più informazioni e quindi sopravvive meglio. Più tardi farà ancora di meglio, non adibisce una sola aerea, ma allestisce diverse aree, ognuna specializzata in qualcosa, onde non dover cercare nell'intero "magazzino" con una grande perdita di tempo. Ma per farlo come fa un buon magazziniere, deve creare delle aree specifiche. Usa cioè un metodo.

I neuroni hanno molte informazioni immagazzinate dalle esperienze, e ognuno è collegato ad altri neuroni che hanno a loro volta altre informazioni immagazzinate. Le informazioni intergiscono svilluppando altri collegamenti dendritici, cosicchè gli scambi diventano sempre più numerosi, dando la possibilità di elaborare una massa enorme di informazioni già immagazzinate; ogni neurone riceve domande, fa confronti con ciò che già possiede, chiede (con i rami dendritici esplorando con le sinapsi) aiuto ai neuroni vicini della stessa area, se non trova si spinge in altre aree, fatto questo, elabora delle risposte. Avviene questo perchè oggi sappiamo che sono le stesse informazioni a far crescere i milioni di dendriti, e molti dendriti sviluppano sinapsi che si connettono ad altri dendriti, pronti a scambiarsi le reciproche informazioni e fare numerose associazioni, elaborazioni e fornire una o diverse risposte.
E' questo il primo efficiente cervello a stimolazione elettrica biochimica (essenzialmente sodio/potassio) oggi facilmente rilevabile con la Pet e la Tep. Il cervello del nostro ominide è ormai una vera e propria centrale chimica e bioelettrica che fabbrica neurotrasmettitori, endorfine, adrenaline. ecc. insieme o singolarmente, creando messaggi elettrici affarenti e efferenti. Messaggi premianti o punitivi.

Le interruzioni o eccitazioni provocate dagli impulsi elettrici dalle sinapsi fra neuroni, viaggiano su assoni con un potenziale elettrico - abbiamo già detto- fra i -30 e +70 mvolt (simile a un on-off di un processore di computer); le più vecchie cellule cerebrali o quelle in cui mettiamo ora una informazione, viaggiano sia nell'andata che nel ritorno sempre con gli stessi potenziali elettrici. Questi impulsi sono provocati dai neurotrasmettitori, sia quando un evento invia informazioni al neurone, sia quando quelli piú arcaici (frutto di lunghe esperienze) emergono e le contrastano inviando un proprio messaggio inibitore. Quelle acquisite dopo la nascita vengono sì immagazzinate nella neo-corteccia (la piu' recente) ma sono sempre collegate con alcuni rami dendritici arcaici situate nell'ippocampo, che hanno per milioni di anni fatto il loro dovere per la conservazione della specie (come la fame, il pericolo, la riproduzione ecc.). A contribuire alla nascita di queste reazioni chimiche sono alcune sostanze note come mediatori contenute sottoforma di molecole presenti in alcune particolari sostanze usate nell'alimentazione (una serie di amminoacidi - circa 50 quelle fino ad oggi conosciute). Sostanze alcune volte incompatibili tra loro, che venendo a contatto emettono una scarica elettrica; cioè inviano un particolare impulso che in sequenza va a depositarsi in uno o piu' neuroni. Ogni impulso è una sequenza di pacchetti di quanti, e ogni pacchetto scrive un engramma.
Il "Microprocessore" è ormai formato, lo "schema logico" non cambierà più; solo i "rami" dendritici, gli assoni, i gangli, le sinapsi potranno svilupparsi. Quando il "computer" cervello è ormai costruito; aumenterà solo la capacità della "Ram" e come usare i "sistemi operativi", cioè il "software" - che è in sostanza come fare a ricevere (acculturarsi) e come mettere in ordine le informazioni.
Lo schema è simile in entrambi nel cervello e nel computer: sensori, impulso elettrico, trasmissione dell'impulso, entrata nel deposito, elaborazione con i confronti delle precedenti informazioni, scelta di una strategia, infine l'attuazione di una risposta fisica o verbale. Proseguendo su questa strada il nostro antenato organizza ogni giorno la casualità degli eventi del mondo che lo circonda in strutture bene organizzate e in zone e aree ben precise. Chi lo fa a casaccio introducendo le nuove informazioni disordinatamente, senza ripartirle in aree ben precise, al momento di richiamarle fa fatica; quindi una maggiore intelligenza non è data dalla maggiore quantità di materia grigia, ma come questa viene organizzata fin dal primo momento, cioè quando andiamo a formare le aree, i nostri "magazzini".
Un neurone nel cervello di un neonato. A mano a mano che la corteccia cerebrale estende le sue cellule embrionali, sempre più numerose si estendono le ramificazioni dei neuroni;, le reazioni sensoriali si sviluppano e si instaurano tutte quelle attività che selezionano e stabilizzano le sinapsi. E' l'epigenesi.
L'uomo alla nascita ha nel cervello circa 100 miliardi di neuroni (si formano nelle prime sedici settimane dopo la fecondazione, dopo smettono di dividersi perchè hanno raggiunto il loro numero massimo anche se il cervello pesa solo 200-300 grammi), ma sono tutti vuoti, infatti mancano le esperienza, le informazioni, il deposito di queste, e mancano innanzitutto le connessioni tra loro. Queste connessioni i neuroni iniziano a costruirle dal primo istante (vedi l'immagine sopra).
Ma anche quando queste informazioni vengono depositate a milioni e milioni, se non sono utilizzate frequentemente, nonostante anche una buona sistemazione, la connessione regredisce, si accorcia, perde il contatto con gli altri neuroni, scompare del tutto, e diventa difficile nel momento che sollecitiamo la memoria di fare delle associazioni con altre informazioni depositate in altri neuroni. Il magazzino é pieno ma manca la strada nei due sensi di marcia per "veicolare" l'informazione (sia per l'azione come per la retroazione - il cosiddetto feed-back).
Un bambino se nasce in Cina e impara nei suoi primi due-tre anni il cinese, se si trasferisce in un altra nazione non parla più la sua lingua ma quella del paese dove lui cresce; della sua lingua originale -se non si esercita a parlarla con altri cinesi- non saprà (apparentemente) più nulla, anche se ha tutti i vocaboli (ascoltati nei due anni precedenti) depositati nei suoi neuroni in una precisa area (di Broca), in tanti "engrammi"

I dendriti, le sinapsi, gli assoni (se non utilizzati) lo abbiamo già detto, vanno in atrofia, si comportano come alcune strade periferiche, che dopo averle costruite, se non utilizzate, diventano impraticabili proprio quando necessita percorrerle. Alle volte piccoli dendriti (stradine) portano a grandi strade (assoni), a banali ricordi che possono ricondurci però a fatti importanti, o perchè affini, o perchè collegati, o perchè vicini a quella zona; nulla va perso, ma tutto viene depositato. Infatti quando quella risposta giusta che cercavamo ci arriva in ritardo, diciamo "e pensare che questo lo sapevo". E diciamo una cosa giusta, possiamo pensare fin che vogliamo, ma se non abbiamo tenuto libere le "stradine" la causa è nostra, non del nostro cervello, dove nulla è andato perso; solo che non sono mai state o sono state poco utilizzate le sue "stradine". E cosa curiosa, quando abbiamo attivato il circuito, anche quando non abbiamo più bisogno, il cervello ci da sì una risposta, ma in ritardo, perchè ha dovuto "camminare" con fatica in stradine quasi impraticabili.
Con la ripetizione e l'esercizio mentale non solo contrastiamo il logoramento, non solo rinforziamo le antiche associazioni, ma ne creiamo sempre delle nuove anche se siamo vecchi. E' robusta una memoria ancorata ad estese associazioni, che non solo sfida il tempo, ma sfida quelle cancellazioni suscettibili alla debilitazione improvvisa (come può essere una lesione, un ictus) oppure a quella debilitazione lenta dovuta alla inesorabile e progressiva senilità.
Come le mille stradine che sono ai lati delle grandi autostrade, sembra servono a poco, poi ognuno di noi per entrare in autostrada ne utilizza una, così fanno tutti gli altri, quindi occorrono, sono necessarie: senza le piccole stradine di accesso le belle e grandi autostrade sarebbero del tutto inutili. Senza dendriti e sinapsi anche il cervello è inutile. E i dendriti e le sinapsi non ce li fornisce la natura, siamo noi a costruirli, con il sapere, la conoscenza, le esperienze.
Per concludere la stazione eretta è stata una "scoperta", un'esperienza positiva che si è poi voluta ripetere, ed è diventato poi (per i vantaggi) un "atto di volontà", e la insegniamo che è tale ai nostri piccoli fin dalla nascita. Infatti, se un neonato cresce isolato in una foresta (ed è accaduto) senza ricevere nessun insegnamento, nè ha la possibilità di imitare un suo simile, continua a camminare su quattro zampe. Se non riceve informazioni, diventa sì adulto, ma il suo comportamento si riduce a pochi atti istintivi, rimane selvatico, nè è in grado, nè lo sarà mai per tutta la vita di esprimersi con un liguaggio, e quindi non ha neppure le capacità di pensare. Non potrà mai dire "Cogito ergo sum" perchè non ha mai costruito un pensiero con la razionalità, non è dotato della facoltà intellettiva, nè ha coscienza e sensazione della propria esistenza.

Alla nostra nascita abbiamo a disposizione circa 100 miliardi di neuroni (vuoti di informazioni), la cui rigenerazione é quasi inesistente nel corso della vita di un uomo (anche se recenti scoperte sulle "cellule staminali" nel cervello hanno eliminato il vecchio dogma della Neurologia per cui si riteneva che le cellule neuronali del cervello fossero incapaci di riprodursi. Oggi sappiamo invece che in un ambiente ampiamente stimolato, anche nell’ adulto la rigenerazione è sempre possibile a partire da "cellule staminali" cosi dette "Toto-potenti", che in qualità di precursori indifferenziati possono però differenziarsi in diverse forme cellulari. Però è anche vero che esistono nel cervello processi di stabilizzazione che rallentano e diminuiscono il numero di neuroni nel cervello e rallentano la crescita di nuove cellule neuronali), a partire dai 25 anni costantemente muoiono (per tanti motivi, senilità, radicali liberi, ecc.) all'anno l'1% del totale) sia quelli densi di informazioni accumulate, sia quelli vuoti a disposizione ma non utilizzati ( che in un uomo pur di media cultura sono di circa l'80/90% del totale). Spetta solo a noi movimentare le informazioni acquisite, trasferendole nei miliardi di neuroni che non abbiamo mai utilizzati. Si dovrebbero fare spesso queste movimentazione per richiamare le informazioni - fin che c'è ancora qualche traccia di "sentiero" - e depositarle nei neuroni ancora sani. (infatti, come abbiamo detto sopra, se ripetiamo ogni tanto quella stessa poesia non la dimentichiamo più per tutti gli anni della nostra vita). E' ormai accertato che i dendriti si diramano verso altri neuroni anche quando si è vecchi, perfino a 100 anni. Non è la vecchiaia che fa diventare stupidi, ma sono gli stupidi che non hanno messo in conto, già a partire da 30 anni, questa lenta e progressiva distruzione di neuroni che trasforma il nostro cervello in un colabrodo (sono poi i cosiddetti "vuoti di memoria"); a circa 45-50 anni di neuroni ne mancano all'appello una buona metà.
La rieducazione dei cerebrolesi consiste proprio in questo: far rinascere le connessioni in neuroni ancora sani e vuoti; ma se quelli precedenti sono andati distrutti senza aver movimentato le informazioni che contenevano, la rieducazione diventa difficile, bisogna partire da zero, come alla nascita; cioè insegnare al cerebroleso nuovamente a parlare, a camminare, a pensare, ecc. ecc.
La natura ha creato un meccanismo perfetto. In parole povere, prima che un neurone muore, vicino a questo ci sono altri mille neuroni vuoti e inutilizzati pronti con i loro piccoli bracci a sostituirsi ad essi e quindi accogliere il "bagaglio" di informazioni se queste informazioni però le seguitiamo a movimentare, cioè a trasferire.
(se in una alluvione, prima che si allaghino i piani bassi portiamo ai piani alti tutto quello che possiamo salvare dalla distruzione, non perdiamo nulla. Mentre se restiamo passivi perdiamo tutto ciò che avevamo accumulato, soldi, mobili, vestiti, album dei ricordi ecc.; dobbiamo ricominciare tutto da capo - ed è quello che deve fare un cerobroleso, sempre che abbia accanto chi gli fa "nuovamente" da "mamma"; una "paziente mamma", non mettendogli accanto solo una badante filippina o marocchina che al massimo lo aiuta solo a fare qualche banale operazione).

Torniamo al discorso della "stazione eretta" sopra accennato: le due (possiamo dire, anomale) curvature (fra i dischi lombari e quelli cervicali) garantiscono una elasticità maggiore, necessaria per sostenere il peso del corpo e della testa, mentre nelle scimmie la colonna vertebrale è quasi diritta; e sia quando camminano a quattrozampe, sia quando stanno erette la colonna resta sempre a forma di arco.
La volontà nel nostro ominide fu più forte dell'architettura ossea, e anche se causò qualche problema, lo sviluppo della stazione eretta - con tutti i vantaggi in grado di compensare gli inconvenienti detti sopra - procedette nelle savane africane su "due gambe" a spron battuto
, e non solo metaforicamente. Una fase indispensabile quella dell'equilibrio nella deambulazione a due gambe, perchè liberando gli arti anteriori dalla locomozione essa favorì il secondo stadio dell'evoluzione del nostro antenato: un'organizzazione migliore degli arti superiori che via via si accentrarono nella specializzazione delle mani come principali organi del lavoro. E' da questo momento che il nostro proto-ominide inizia a diventare Homo habilis. A "scoprire" il mondo innanzitutto, toccando, guardando, ascoltando, provando e riprovando come fa un inventore oggi.
Le articolazioni delle zampe anteriori non più impiegate per arrampicarsi sui rami, o appoggiate a terra per camminare, si raddrizzarono, e le falangi si accorciarono in un assetto tale da poter svolgere un lavoro manuale. Determinante fu il pollice più corto e la sua flessione all'interno della mano, un movimento estremamente necessario alla presa.
John E. Pfeiffer (nello scritto The emergence of Man La nascita dell'uomo), dimostrò che "lo sviluppo delle articolazioni precedette lo sviluppo del pensiero". Più precisamente, nel graduale adattamento questi ominidi prima di conseguire un aumento dell'encefalo, specializzarono le articolazioni superiori ed in particolare le mani. Lo sviluppo della neocortecia fu quindi una conseguenza dell'eleborazione di nuove attività indi all'accumulo di nuove esperienze. "il miglioramento della presa precede il miglioramento del pensiero" (Pfeiffer, 1971). Come ribadisce anche Bardiga, la struttura del cervello degli ominidi, è dunque "in stretto rapporto con l'esercizio della tecnica [lavoro]", cioè con il grado tecnologico raggiunto dalle specie. In particolare, la porzione del cervello che si è sviluppata sotto gli stimoli dell'attività umana è la regione fronto-temporo-parietale media che, già con i primi ominidi, ha subìto il continuo aumento della superficie della corteccia cerebrale (Bordiga, 1973).
Quando questo "primo passo" verso il futuro fu compiuto e da quale specie di ominide, è impossibile stabilirlo con certezza. Tra il 1997 e il 2001 sono stati scoperti un certo numero di frammenti datati tra i 5,2 e i 5,8 milioni di anni e sembrano fare parte di una nuova specie, L’Ardiphithecus ramidus kababba. Le notizie emerse su questa nuova (presunta!) specie sono troppo rare e confuse per fare delle valutazioni attendibili, ma se questi resti appartenessero veramente ad un antenato primordiale dell’uomo, potremmo spostare indietro l’orologio della storia fino a 6 milioni di anni.
GLI UTENSILI - Dalle prime esperienze con le mani l'Homo habilis cui abbiamo accennato sopra ha avuto fino a questa data un tempo per specializzarsi di circa 3-4 milioni di anni (corrispondono a circa 120-160.000 generazioni). Dei precedenti "lavori", dei primi "attrezzi", non abbiamo reperti, perchè essendo questi fatti in legno o in osso, quindi deperibili, non sono giunti fino a noi; non così quelli realizzati con le pietre, che hanno all'incirca questa data e proseguono in una varietà infinita per altre 40.000 generazioni.
O dagli scimpanzè, o dai primi ominidi austrolopitechi (che significa scimmia australe), o dai primi homo habilis, questi rudimentali utensili (detti choppers) erano quindi da molto tempo già usati.

Alcuni, i primi, erano piuttosto semplici e grezzi, impiegati per difesa o per attacchi agli animali ma anche come offesa ai propri simili per impossessarsi di un territorio; altri successivi, sono meglio lavorati, più scheggiati, adatti a semplificare certe operazioni quotidiane soprattutto nella caccia, per tagliare pezzi di carne, per le rudimentali lance idonee a colpire gli animali da lontano, o per farne asce e mazze dopo averle legate all'estremità di un robusto ramo. Per quest'ultima idea-operazione, non sempre si poteva trovare la pietra adatta all'uso, ma utilizando solo quella che era disponibile; il primo "scalpellino" della storia cercò di sagomarla percuotendola con un'altra pietra, scheggiandola fino al punto di adattarla all'estremità dell'impugnatura lignea. Ha insomma il nostro ominide realizzato il primo "oggetto" durevole fatto con le proprie mani, il primo prodotto artigianale della storia, anche se, prendiamone atto, era già una vera e propria arma aggressiva che nei vari contrasti, dispute, liti, usò senza scrupoli contro un suo simile.
I primi strumenti acheuleani, risalgono a 1,6 milioni di anni orsono. Si tratta di utensili ancora scheggiati su una faccia ma hanno già una perfezione e una simmetria che evidenzia non solo abilità ma anche della creatività. E sono oggetti-strumenti che variano in funzione dello scopo. E a quest'epoca le pietre scheggiate e usate come utensili sono decisamente migliori....
...la tecnica neolitica si perfeziona, la presenza di questi manufatti tra i reperti di scavo di questo periodo, indica una tecnologia sempre più avanzata nella scheggiatura di ciottoli, che non sono più solo unifacciali, ma bifacciali. La cosiddetta "amigdala".
In essi: "si riconosce la ricerca deliberata, vale a dire consapevole, di strumenti con una forma predeterminata, che in precedenza esistevano soltanto nella mente dell'autore" (Arsuaga, 2001). Belli come sculture moderne, dimostrano di essere anche funzionali agli scopi per cui vennero costruiti. La cosiddetta età della pietra levigata rappresentò la prima grande rivoluzione tecnologica, la prima tappa verso l'affermazione dell'homo sapiens.
Ed e' un crescendo nella tecnica non solo della scheggiatura ma anche nella levigatura; un'operazione questa che fatta con lo sfregamento, che fornisce alla pietra scheggiata una estremità affilata o delle aguzze punte alla lancia e alle frecce; vengono realizzati perforatori, raschiatoi per lavorare le pelli, asce forate, mazze, accette. L'abilità nello scheggiarle, l'esperienza acquisita nel tempo che fa migliorare sempre di più lo strumento, dopo aver scoperto le operazioni più valide il nostro ominide le ha immagazzinate nel cervello che si sta sempre di più ingrandendo, e cerca di ripeterle queste azioni migliorandole e tramandando poi il "come si fa" ai suoi discendenti.

Questo periodo "della pietra" inizia e finisce in tempi diversi a secondo della zona geografica perché legato a un miglioramento tecnologico strettamente locale ma anche all'approvvigionamento di particolari ciottoli, come la selce (presente in Francia e in Inghilterra), o la ossidiana (un ciottolo vetroso fragile ma duro, di origine vulcanica che si trova solo nell'isola di Lipari, Pantelleria, Sardegna, nell'isola Egea di Melos, in Anatolia, Armenia, nei Carpazi). Ed è curioso che si sono ritrovati alcuni di questi semplici utensili anche in zone prive della materia prima; questo significa che fra tribù anche lontane già erano in atto degli "scambi commerciali".
Inoltre, tutto il percorso di questa abilità manuale sta conducendo sul vero e proprio sentiero dell'ARTE.
Ne parliamo nel nostro prossimo capitolo.

6. DAI CIOTTOLI SCHEGGIATI ALL'ARTE >

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