-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

34. I SELUCIDI, GLI ARSACIDI, I MACCABEI ( EBREI )

ANTECEDENTI - A Seleuco III Soter nell'anno 223 a. C. era succeduto sul trono dei Seleucidi il fratello minore Antioco III, ancora ventenne , che aveva retto sino allora il governo delle satrapie superiori; egli regnò per lo spazio di quarant'anni e si acquistò gran fama in Oriente, fama da cui cadde però negli ultimi anni di regno nella lotta contro i Romani.
Già nell'anno 222 insorse contro Antioco il governatore della Media, MOLONE, e fu coadiuvato nella ribellione dal proprio fratello Alessandro, governatore della Persia: Antioco ebbe dal suo generale Epigene il consiglio di marciare immediatamente contro i ribelli, ma il suo ministro, il Cario Ermia, lo persuase a portar prima le armi contro l'Egitto, il quale, già in possesso della Siria meridionale, si era esteso ancora verso nord e con l'occupazione di Seleucia Pieria aveva persino tagliato alla capitale Antiochia le comunicazioni col mare. Antioco pertanto attaccò Tolemeo IV Filopatore, ma non ebbe fortuna contro il generale Teodoto. Allora Antioco si volse ad Oriente, dove Molone aveva assunto la corona regia e muovendo dalla Media aveva soggiogato la Babilonia, la Susiana ed una parte della Mesopotamia.
All'avvicinarsi di Antioco, Molone volle ripiegare nella Media, ma Antioco gli tagliò la ritirata e lo sconfisse; Molone si tolse la vita ed il suo cadavere venne crocifisso. Avuta notizia della morte di Molone, anche suo fratello Alessandro si uccise; la grande insurrezione era domata. I raggiri di Ermia avevano fatto incolpare Epigene di tradimento e lo avevano portato al supplizio; ma dopo l'assassinio avvenuto di Ermia, Antioco governò da solo.
Già in questa sua prima spedizione in Oriente, con cui riunì nuovamente al suo impero le più importanti fra le satrapie superiori, la sua condotta fu caratterizzata da un uso moderato della vittoria.
Se nella sua prima guerra contro l'Egitto Antioco non era riuscito a venire a capo di nulla a causa del generale egiziano Teodoto, in seguito il contegno di Teodoto mutò. A principio della nuova guerra mossa da Antioco contro Tolemeo IV Filopatore, Seleucia Pieria gli fu consegnata in mano per tradimento, Teodoto defezionò ad Antioco e gli consegnò Tiro e Tolemaide. Seleucia Pieria rimase durevolmente in mano di Antioco, ma egli non poté conquistare la Siria meridionale, perché nell'anno 217 fu sconfitto a Rafia nell'estremo mezzogiorno del paese dei Filistei.

Questa la battaglia passata alla storia:
Data: 22 giugno 217 a.C.
Luogo: Rafia (tra l'Egitto e la Palestina)
Contesto: Lotte per il possesso della Celesiria
Eserciti contro: Seleucidi e Tolemei
Forze impegnate
Seleucidi: 68.000 uomini
Tolemei: 75.000 uomini
Protagonisti:
Antioco III il Grande
Tolemeo IV Filopatore
Echecrate
Foxida

IL QUADRO STORICO
Nella secolare lotta tra Seleucidi e Tolemei per il possesso della Siria meridionale e della Palestina la battaglia di Rafia svetta per essere stato uno dei pochi confronti in cui entrambi i Re hanno partecipato alla battaglia alla testa dei propri eserciti.
La Celesiria è, propriamente, la regione delimitata dalle catene montuose del Libano e dell’antilibano, ma presso gli antichi includeva la Fenicia (tra la catena del libano e il mare Mediterraneo) e la Palestina. La politica tradizionale dei faraoni d’Egitto, proseguita dai Tolemei era stata di controllare tutta l'area in questione, perché possedeva dei beni e delle risorse naturali non presenti in Egitto, come il legname, ed era il punto d’arrivo di una delle grandi rotte commerciali che dall’India portavano all’occidente. Tolemeo lagide aveva cercato a più riprese di impadronirsi della Celesiria, allora governata da Antigono Monoftalmo, ma era stato ripetutamente respinto.
Quando nel 303 A.C. aderì insieme a Seleuco, Lisimaco e Cassandro alla grande coalizione contro Antigono, avrebbe dovuto avere come premio la regione fino al fiume Eleutero in cambio del suo fattivo aiuto. Tale aiuto non si concretizzò mai perché Tolemeo, invece di raggiungere l’esercito dei coalizzati, alla notizia falsa della loro sconfitta da parte di Antigono, tornò subito in Egitto. I coalizzati sconfissero Antigono ad Ipso con le loro sole forze e si spartirono i suoi domini senza tenere in conto l’alleato che non aveva partecipato alla battaglia. Secondo i nuovi accordi a Seleuco sarebbe toccata la Celesiria, ma Tolemeo lo prevenne occupandola per primo. Seleuco decise di non rispondere militarmente al colpo di mano del lagide, ma non riconobbe l’occupazione egiziana dei territori considerandola illegale.
Sotto i successori dei due diadochi il contenzioso degenerò più volte in guerra aperta e le città siriane cambiarono più volte padrone, ma al momento della morte di Tolemeo Evergete nel 221 erano in salde mani egiziane. Tolemeo Filopatore che successe al padre Evergete nel 221 era un sovrano di tutt’altra tempra rispetto ai suoi predecessori: debole e dissoluto non era minimamente interessato ad estendere i territori del regno o ad interessarsi di questioni di politica estera. Per sua sfortuna dovette subito affrontare la minaccia costituita dal giovane monarca seleucide Antioco III anche lui da poco salito sul turbolento trono, deciso a riprendere i territori che erano appartenuti o che erano stati rivendicati da Seleuco I il fondatore della dinastia.
Dopo aver trascorso quattro anni, dal 223 al 219, impegnato a debellare le rivolte di governatori infedeli, o riprendere il controllo di satrapie che si erano rese indipendenti, dedicò le sue energie alla Celesiria. Il suo esercito riuscì in tre anni a conquistare tutto il territorio conteso fino al confine egiziano battendo in scontri minori le forze mercenarie lagidi che difendevano il territorio palestinese. La reazione egizia tardava ad arrivare perché l’esercito nel momento in cui era iniziata la guerra, fiaccato dal lungo periodo di pace che l’aveva preceduta, era carente di uomini, armi e addestramento.
Per fortuna del neghittoso Tolemeo IV la corte era composta di valenti funzionari guidati da Sosibio, che si presero la cura di rinforzare l’esercito, addestrando anche milizie di sudditi egiziani, fino ad allora tenuti lontani dal sevizio militare, per evitare che prendessero coscienza insieme con le loro attitudini marziali, anche dei loro diritti. Dopo aver guadagnato tempo con una tregua, l’esercito egizio si trovò pronto ad affrontare quello Seleucide a Rafia, il 22 giugno 217.
LA BATTAGLIA – DISPOSIZIONE DELLE TRUPPE
Il campo di battaglia si trova situato secondo Polibio a 50 stadi da Rafia, l’odierno villaggio di Tell Rifah, a circa metà strada tra el Arish (Rinocolura) e Gaza, in una striscia di terreno duro larga 3 chilometri, delimitata a nord dalle dune costiere del deserto palestinese e a sud dal poggio del Kefar Shan.
Secondo Polibio, l'esercito tolemaico aveva una notevole superiorità numerica (75.000 uomini contro 68.000) e pure una discreta superiorità in truppe pesanti dovuta alla presenza di una doppia falange di Egizi e di Macedoni che da sola assommava a 45.000 uomini. L’ordine di battaglia delle due armate fu dettato parte dalla tradizione militare dei Seleucidi, parte dalla consapevolezza dei relativi punti di forza e di debolezza dei due eserciti.
Secondo la dettagliata descrizione di Polibio:-
“Entrambi schierarono le proprie falangi e le truppe scelte, armate alla maniera macedone, al centro, le une di fronte alle altre. Ciascuna delle due ali di tolemeo, poi, era formata in questo modo. Policrate con la sua cavalleria (3000 uomini), occupava l’ala sinistra; tra questa e la falange c’erano i Cretesi, proprio vicino ai cavalieri; quindi, subito accanto, l’àgema regia, poi i peltasti al comando di Socrate, i quali stavano vicino ai Libici, armati, questi, secondo il sistema macedone.
All’ala destra c’era il tessalo Echecrate con i suoi cavalieri (2000 uomini); vicino, alla sua sinistra, stavano i Galli e i Traci (6000) e , subito dopo veniva Foxida con i suoi mercenari greci (8000), che si congiungevano con i falangiti egiziani. Quanto agli elefanti, 40 stavano collocati sull’ala sinistra, dove lo stesso tolemeo si accingeva a dare battaglia, mentre gli altri 33 erano stati disposti all’ala destra, davanti ai cavalieri mercenari.
La falange alla guida di Andromaco e tolemeo era composta da 25.000 macedoni e 20.000 egiziani comandati da Sosibio.
“Antioco collocò 60 elefanti, agli ordini del suo fratello di latte Filippo, davanti all’ala destra, dove egli stesso si preparava a combattere contro Tolemeo; dietro, poi, piazzò i 2000 cavalieri che erano al comando di Antipatro, mentre gli altri 2000 li dispose vicino a questi, in modo da formare un angolo. Accanto ai cavalieri, su una linea disposta frontalmente, sistemò i Cretesi e subito vicino schierò i mercenari greci; quindi dispose i 5000 armati alla maniera macedone al comando di Bittaco di Macedonia.
All’estremità dell’ala sinistra collocò 2000 cavalieri comandati da Temisone; accanto , i lanciatori di giavellotto lidii e cardaci e subito dopo costoro le truppe leggere che contavano 3000 uomini, agli ordini di Meneremo; poi , i Cissi, i Medi e i Carmani; infine, vicino a questi i contingenti degli Arabi e delle tribù loro confinanti, che arrivavano a congiungersi con la falange. Gli altri elefanti li piazzò davanti all’ala sinistra al comando di Miisco, uno dei paggi reali”.
La falange comprendeva due contingenti: la sua destra era occupata da 10.000 argiraspidi, la forza d’assalto della fanteria, in linea con la tradizionale pratica di mettere le truppe migliori su questo lato; e la sua sinistra da 20000 falangiti, i coloni militari.
La disposizione complessiva dei due eserciti rispecchia la tradizione ellenistica: le fanterie pesanti risultano schierate al centro, la cavalleria alle ali e l’altra fanteria nei fianchi tra la falange e la cavalleria. Il fianco destro era come al solito il più forte, e la cavalleria dell’ala destra, guidata da Antioco in persona era due volte più forte di quella all’ala sinistra, Metà di questa forza era schierata in un blocco unico e in un punto più avanzato rispetto alla linea di battaglia. Antioco in persona era al comando di questi 2000 cavalieri d’avanguardia formati da 1000 compagni e 1000 uomini dell’Agema.
Come risultato della superiorità numerica del nemico in falangiti e fanteria media, Antioco fu costretto a opporre truppe leggere ad alcuni di questi contingenti. La disposizione tolemaica sembra essersi ben adattata all’ordine di battaglia seleucide. La cavalleria all’ala sinistra era più forte di quella sulla destra e Toemeo stesso, circondato dalla sua guardia, occupava la posizione davanti al re seleucide. La fanteria sulla destra era tutta formata da falangiti (ad eccezione dei Cretesi che servivano come guardia agli elefanti), mentre la più debole ala sinistra seleucide era confrontata dai fanti medi Traci e Galati, in aggiunta ai greci mercenari schierati in falange. Nel centro 45.000 falangiti erano concentrati contro i 30.000 falangiti seleucidi, con quelli tolemaici schierati in maggiore profondità. Di solitò la profondità della falange era di 16 linee, ma quella tolemaica deve essersi sviluppata almeno su 24 linee.
La locazione della falange di reclute egiziane merita attenzione: fu posta sulla destra della falange davanti alla opposta falange seleucide che consisteva di uomini che provenivano dagli insediamenti seleucidi, e non opposta al molto più competente contingente di argiraspidi. La collocazione della falange egizia al centro fu concepita per evitare il collasso psicologico di queste truppe di fronte ad un cedimento del fianco sinistro, dal momento che un insuccesso del fianco destro tolemaico sembrava molto più improbabile.
L’ANDAMENTO DELLE OPERAZIONI
La battaglia iniziò con l’attacco degli elefanti seleucidi all’ala destra. Gli inferiori elefanti tolemaici furono ricacciati indietro e andarono a premere contro la loro cavalleria della guardia che era stata attaccata sul fianco dalla cavalleria avversaria, guidata personalmente da Antioco. Conseguentemente il seleucide mise in fuga la cavalleria tolemaica all’ala sinistra e iniziò un ostinato inseguimento. Tolemeo riuscì in qualche modo a svincolarsi dalla sua cavalleria e a congiungersi ai ranghi dei propri falangiti al centro dello schieramento.
Nello stesso tempo i mercenari greci al servizio dei seleucidi ottenevano un ulteriore successo sconfiggendo gli opposti “peltasti” tolemaici.
Ma se nell’ala destra tutto procedeva bene per Antioco nell’ala sinistra la cavalleria tolemaica ebbe ragione di quella seleucide . Anche qui per la verità gli elefanti al servizio di Antioco avevano fatto il loro lavoro prevalendo su quelli di Tolemeo che nemmeno riuscirono ad essere mossi per attaccare, ma il tessalo Echecrate che aveva il comando della cavalleria tolemaica non aspettò l’assalto delle bestie, ma con un movimento laterale portò la sua cavalleria verso l’esterno. Gli elefanti avevano probabilmente sollevato un gran polverone, quindi il comandante della cavalleria seleucide, Temisone, non si era avveduto della mossa di Echecrate che dopo avere effettuato la diversione, gli piombò addosso di fianco mettendo in fuga i 2000 cavalieri seleucidi. Nello stesso tempo Foxida, agendo di concerto con Echecrate piombò sulle truppe leggere orientali e le mise in fuga.
Le due fanterie della falange erano rimaste così col fianco sinistro scoperto. Ma nel caso di quella tolemaica le truppe al comando di Antioco non costituivano una minaccia immediata dal momento che erano impegnati nell’inseguimento della cavalleria fuggitiva, mentre per le truppe seleucidi, la vittoriosa ala destra tolemaica che era probabilmente rimasta sul campo di battaglia costituiva un pericolo immediato per il lato scoperto.
Secondo quanto dice Polibio, quando le falangi cozzarono furono proprio le truppe seleucidi del fianco sinistro, costituite dai coloni militari a cedere per prime, seguite dagli argiraspidi. Probabilmente la superiorità numerica della falange tolemaica, la presenza di Tolemeo IV con i soldati, e pressione delle truppe vittoriose di dell’ala destra egizia, furono i fattori che determinarono il collasso del centro seleucide.
Antioco non aveva degli ufficiali validi che potessero sostituirlo sul campo di battaglia e le sue successive accuse alla vigliaccheria dei suoi uomini non possono nascondere le sue precise responsabilità nel non essere riuscito a controllare lo svolgimento della battaglia. Probabilmente spinse a fondo l’inseguimento delle truppe che gli fuggivano davanti a lui perché credeva che Tolemeo fosse ancora con loro. La cattura del sovrano lagide avrebbe determinato la “debellatio” del nemico e la conseguente conclusione vittoriosa della campagna. Ma la capacità di Tolemeo IV di sfuggire alla cattura e raggiungere le proprie truppe al centro dello schieramento spostò la bilancia dello scontro in favore dell’esercito tolemaico.
Antioco al rientro dell’infruttuoso inseguimento si accorse del disastro in cui era incorso il resto dell’esercito che era fuggito dentro Rafia, raggiunta solo da quei soldati che non si erano dispersi per il deserto o non erano stati catturati dagli avversari. La battaglia gli era costata 10.000 caduti tra i fanti, 300 tra i cavalieri e oltre 4.000 prigionieri, mentre Tolemeo non aveva perso che 1.500 fanti e 700 cavalieri.
LE CONSEGUENZE
Constatata l’impossibilità di riorganizzare le truppe per una nuova battaglia Antioco dovette ritornare precipitosamente nel suo regno abbandonando Rafia, Gaza, e tutte le altre città della Celesiria che furono immediatamente rioccupate da Tolemeo.
La pace chiesta da Antioco fu prontamente accettata dall’Egitto, e visto l’esito della battaglia finale, non fu del tutto sfavorevole al seleucide che delle sue conquiste riuscì a conservare almeno Seleucia in Pieria. Tolemeo preferì un accomodamento pacifico invece di abbattere il suo avversario, una soluzione che, col senno di poi, si può dire che non fu favorevole per il regno lagide. Antioco ebbe il tempo di riorganizzare l’esercito, domare gli ufficiali e le province ribelli del suo regno per poi rivolgersi di nuovo contro il rivale Egiziano quando il trono, morto Tolemeo IV, sarebbe passato ad un bambino circondato da ministri avidi e incompetenti.
Il regno lagide dovette ben presto fronteggiare seri problemi interni dovuti al fatto che i sudditi Egizi, che avevano provato il loro valore combattendo come falangiti, rivendicarono maggiori diritti nei confronti dell’esosa fiscalità tolemaica e scatenarono una ribellione che durò, con brevi periodi di quiescenza, per oltre venti anni, privando la corte tolemaica delle entrate dell’alto Egitto per tutto quel periodo.

Ma Antioco era una natura tenace; egli non si lasciò scoraggiare da un insuccesso e distogliere da ulteriori progetti ed imprese, ed il disegno che concepì fu quello di ricostituire l'impero dei Seleucidi in tutta l'estensione che gli aveva data il suo grande fondatore, Seleuco Nicatore.
Riuscito nel 214 ad impadronirsi, come sappiamo, della persona di Acheo, Antioco ricongiunse alla sua monarchia quella parte dell'Asia Minore che era stata sotto il dominio di Acheo. E del pari alla ricostituzione dell'impero servì la seconda grande spedizione da lui fatta in Oriente, spedizione che gli meritò da parte dei suoi contemporanei il titolo di Grande. Egli cominciò col riordinare le cose d'Armenia, poi rimontò il fiume sino a Seleucia, e nell'anno 209 lo troviamo nella Media, ad Ecbatana. Subito dopo segui la grande spedizione nella Partia.
Ricordiamo qui che negli ultimi anni di regno di Antioco II, Teo, nel 247 a. C., si era ribellato ad Astavene sull'Oco il Parno Tiridate; pochi anni dopo, sotto Seleuco II Callinico, egli invase coi suoi Parni la Partia, conquistò pure l'Ircania e riuscì vittorioso contro Seleuco Callinico. Come lo stesso Antioco si arrogò il titolo di re dei re; nell'anno 210 dopo un lungo regno morì, egli il fondatore dell'impero dei Parti. Gli successe il figlio Arsace.
Antioco non volle conservare al figlio la stessa posizione che aveva avuta Tiridate; mosse contro la Partia con un grande esercito e marciò su Ecatompilo in Ircania.
Nella pace che seguì non menomò il dominio di Arsace, ma questi fu costretto a riconoscere l'alta sovranità dei Seleucidi. Dopo ciò Antioco si spinse ancora più ad oriente, portando le armi contro il regno greco-battrico, contro Eutidemo di Magnesia. Quest'ultimo ottenne nel 206 la pace dichiarando che altrimenti avrebbe chiamato nel paese i nomadi, il che equivaleva a portare un colpo mortale all'elemento greco in questo estremo recesso dell'Oriente; ma fu conclusa una alleanza offensiva e difensiva che collegò il regno battrico con quello dei Seleucidi.
Poi Antioco si recò nel Cabultat e rinnovò col re indiano Subagasena l'amicizia iniziata da Seleuco Nicatore con Giandragupta; il re gli donò 150 elefanti da guerra. L'esistenza ed il prestigio dell'impero dei Seleucidi in Oriente erano così assicurati a lungo. Nel tornare indietro Antioco visitò i Gerrei, un popolo mercantile della costa arabica del Golfo Persico e n'ebbe anche qui ricchi donativi. Dopo questa spedizione durata cinque anni lungo i confini del suo regno egli tornò alla sua residenza seguìto dalla fama che di lui risuonava in tutto l'Oriente.
L'impero del suo antenato Seleuco Nicatore era quasi completamente ricostituito. E l'Egitto offriva la prospettiva di nuovi acquisti.
Antioco e re Filippo di Macedonia approfittarono della morte di Tolemeo IV Filopatore e dell'età minore di suo figlio per coalizzarsi alla spoliazione dell'Egitto; la Macedonia mirò alla conquista dei possedimenti tolemaici nel mare Egeo ed Antioco a quella della Siria meridionale. Egli sconfisse gli Egiziani guidati da Scopa alle sorgenti del Giordano dal lato del monte Paneion; nell'anno 198 aveva compiuto l'assoggettamento della Celesiria ed anche la Palestina e Gerusalemme erano passate dal dominio tolemaico sotto la signoria dei Seleucidi. La pace che seguì attribuì ad Antioco i possedimenti di Tolemeo, salvo l'Egitto, e nel 197 Antioco si pose in moto per trarre a sé anche i possedimenti tolemaici dell'Asia Minore.
Nel 196 poi egli passò pure in Europa, conquistò una parte della Tracia e sull'Ellesponto si impadronì di Lisimachia. Dopo la sconfitta di re Filippo a Cinocefale con i Romani di Flaminino, Antioco si era dato subito da fare e aveva occupato anche quelle città dell'Asia Minore tolemaiche, di cui lo stesso Filippo si era impadronito e che avrebbe dovuto cedere ai Romani in base alla pace con essi conclusa, ma per l'occupazione compiuta della Tracia, Antioco, come restauratore dei dominio dei Seleucidi nei suoi originari confini, invocava qual titolo legittimativo la vittoria di Seleuco Nicatore su Lisimaco.
Ma queste ultime pretese misero Antioco in conflitto con Roma.
Tuttavia da principio né Antioco nè i Romani ebbero desiderio di scatenare una guerra fra loro per queste controversie territoriali, altrimenti non avrebbero negoziato per quattro anni di seguito a datare dal 196. Tuttavia i Romani erano anche disposti a mostrarsi concilianti; essi acconsentivano a lasciare al re le sue conquiste asiatiche, ma reclamavano che rinunziasse all'Europa, alla Tracia.
Antioco fu spinto a non cedere assolutamente e ad andare incontro ad una guerra con Roma da due parti, da Annibale e dagli Etoli.
Dopo la fine della seconda guerra punica (vinta da Scipione), nonostante la dura pace, aveva ugualmente dominato in Cartagine l'influenza di Annibale; ma contro il generale sconfitto a Zama, si levò in seguito un partito di opposizione, cui vennero in appoggio i Romani, i quali non senza motivo diffidavano delle intenzioni di Annibale. Questi pertanto nel 196 fu costretto a fuggire da Cartagine e riparò ad Efeso, proprio presso re Antioco, rimanendo ospite della corte seleucida; qui non cessò un istante di incitare il re alla guerra. E lo stesso fecero gli Etoli, che erano rimasti delusi nelle loro speranze dopo la pace dei Romani con re Filippo; essi non ne avevano ricavato nulla né avevano migliorato la loro condizione, perché in luogo della Macedonia avevano semplicemente trovato un nuovo padrone in Roma.
Antioco si trovava in possesso della Tracia; l'oggetto della sua contesa coi Romani si trovava in suo potere, e quindi egli poteva lasciar correre tranquillamente le cose ed all'occorrenza limitarsi ad una guerra difensiva contro Roma. Iniziare una guerra offensiva contro Roma non gli conveniva, perché non gli sarebbe stato possibile vincerla senza l'aiuto della Macedonia e per guadagnarsi questo aiuto avrebbe dovuto prima d'ogni altro cedere alla Macedonia la Tracia, vale a dire rinunziare per l'appunto a quel territorio sul quale soltanto si aggirava la sua contesa coi Romani.
Antioco non é mai andato oltre l'intenzione di restaurare nei limiti antichi il regno dei Seleucidi, né gli balenò mai in mente di aspirare all'egemonia in Grecia ovvero di abbattere la potenza romana. Ciò a parte il fatto che sarebbe stato impossibile dominare contemporaneamente l'Iran e l'Occidente.
Ma ben diversi erano i desiderii e i disegni del suo ospite Annibale; come é stato giustamente osservato, Annibale nella sua azione politica non era guidato da un interesse per la causa dei Seleucidi, ma semplicemente dall'odio verso Roma; il suo scopo ultimo era quello di abbattere Roma e bramava di servirsi della potenza dei Seleucidi come di uno strumento per raggiungerlo; egli insomma sperava di trascinare Antioco all'esecuzione dei suoi disegni di guerra. Egli mirava a scatenare su Roma una tempesta senza pari che doveva estendersi sino alle colonne d'Ercole, che doveva abbattersi su di essa dalle province spagnole non ancora pacificate e non ancora abituate alla dominazione romana e dalla Macedonia che aveva in animo di spingere a far lega col regno dei Seleucidi; Annibale sperava di guidare egli stesso Antioco col suo esercito in Italia contro Roma, sperava che in tal caso anche la ingrata Cartagine si sarebbe decisa ad una nuova guerra.
La cosa principale intanto era ai suoi occhi l'alleanza con la Macedonia, ma questa non era possibile se Antioco non si persuadeva a cedere la Tracia. L'interesse di Antioco e del regno dei Seleucidi era per Annibale cosa veramente secondaria.
Ma Antioco non ebbe torto se non si lasciò rimorchiare senz'altro da Annibale. Questi lo voleva trascinare in un'impresa sconfinata; per iniziare l'attuazione del suo disegno egli avrebbe dovuto intanto cominciare col sacrificar subito la Tracia, e la riuscita stessa del gran piano non avrebbe potuto far convergere a beneficio del regno dei Seleucidi il frutto dell'intera lotta; ciò era geograficamente impossibile affatto.
È per questo motivo che Antioco non volle concludere l'alleanza con la Macedonia; egli non andò con le sue intenzioni, come Annibale voleva, sino all'umiliazione di Roma.
Egli avrebbe fatto bene a persistere in una attitudine completamente difensiva, e se poi passò in Grecia e vi attaccò i Romani, vi fu trascinato dagli Etoli che lo elessero a stratega della propria lega e lo chiamarono in Grecia a difesa della libertà ellenica.
Antioco sbarcò nel 192 a Demetria che era stata occupata dagli Etoli, si unì con loro, attaccò i Romani in Grecia, conquistò la Tessalia, occupò l'Eubea, svernò in Calcide e nella primavera del 191 portò la guerra nell'Acarnania.
I Romani, che conoscevano Annibale, si aspettavano un attacco in Italia e quindi trattennero qui dall'inizio la flotta; ma Antioco ed Annibale non si videro ed anche i Cartaginesi stettero tranquilli; gli Achei e i Macedoni poi abbracciarono la causa romana al pari dei Rodi e di Eumene II di Pergamo, che nell'anno 197 era succeduto a suo padre Attalo I.
Ma nel 191 sbarcò in Grecia il console M. Acilio Glabrione, sconfisse presso le Termopili Antioco, il quale dopo questa disfatta non fu più in grado di tener testa ai Romani in Grecia, desistette dalla guerra offensiva, abbandonò l'Europa e se ne tornò in Asia ad Efeso. Ma ora apparve nel mare Egeo la flotta romana, si unì con quella di Pergamo e sconfisse presso Chio un ammiraglio di Antioco.
Nel successivo anno (190) la flotta romana, cui si era unita anche la flotta dei Rodi, riportò un'altra vittoria presso Mionneso; a questo punto l'esercito romano attraversò il mare ed approdò in Asia.
I Romani non avevano potuto eleggere console per l'anno 190 il loro più grande capitano, il vincitore di Annibale, P. Cornelio Scipione, per l'ostacolo costituzionale opposto dal fatto che era stato console a breve intervallo, nel 194; avevano quindi eletto alla carica il fratello maggiore Lucio che mosse infatti contro Antioco, ma gli avevano posto accanto in qualità di proconsole Publio, destinato ad essere la vera mente direttiva della guerra.
L'esercito romano aveva preso la via di terra attraverso la Macedonia e la Tracia; Antioco aveva sgombrato l'Europa e non aveva difeso neppure l'Ellesponto; ma ora non parve più sufficiente ai Romani la sua rinunzia all'Europa e reclamarono che cedesse l'Asia Minore di qua dal Tauro.
Nell'autunno del 190 l'esercito romano, energicamente aiutato da Eumene di Pergamo, sconfisse Antioco nella battaglia di Magnesia al Sipilo; questa disfatta costò ad Antioco la sua supremazia nell'Asia Minore.
Nel trattato di pace che seguì egli dovette cedere l'Asia di qua dal Tauro ai Romani che divisero tale territorio tra Eumene di Pergamo, il quale ebbe la parte del leone, ed i Rodii cui toccò la Caria meridionale e la Licia; il regno di Pergamo dopo ciò era divenuto la più grande potenza dell'Asia Minore. Nell'anno 188 Cn. Manlio Vulsone fece una campagna contro i Galati dell'Asia Minore, ed agli Etoli, i quali anche dopo la partenza di Antioco, dopo la battaglia alle Termopili, avevano continuato la lotta contro i Romani, M. Fulvio Nobiliore nel 189 tolse Ambracia; la lega etolica, costretta a chieder pace, dovette alla fine riconoscere l'alta sovranità di Roma.
La fama di re Antioco era spenta e le sue casse erano state vuotate dalla grave indennità di guerra che il trattato di pace con i Romani gli aveva imposto; per rinsanguarle egli si volse nuovamente ad Oriente, ma non doveva più ritornare. Avendo egli saccheggiato il tempio di Belo nell'Elimaide, la popolazione lo uccise nell'anno 187. Questa fu la fine del gran re; in Oriente e per l'Oriente egli fu veramente tale; ma l'Oriente non era più in grado di resistere alla cresciuta potenza dell'Occidente. I Romani imperavano in Grecia e la loro influenza predominava nell'Asia anteriore ed in Egitto.
Successero ad Antioco III i suoi figli, dapprima Seleuco IV Filopatore (187-175 a. C.),. poi Antioco IV Epifane, dal 175 al 164, che usurpò il trono a Demetrio, figlio di Seleuco Filopatore, il quale si trovava a Roma come ostaggio. Quest'ultimo, all'insaputa e senza consenso del senato, con l'attiva cooperazione di Polibio allora internato a Roma, tornò. nell'anno 162 in Siria, fece uccidere suo cugino Antioco V Eupatore che era succeduto al padre Antioco Epifane e cinse la corona col nome di Demetrio I Sotere. Gli fu però contrapposto come pretendente un sedicente figlio di Epifane, Alessandro Balas, contro il quale Demetrio I cadde in guerra nell'anno 150; Alessandro Balas a sua volta venne abbattuto nel 145 dal figlio del primo Demetrio, Demetrio II Nicatore, che nel 139 cadde prigione dei Parti. Contro Demetrio II, odiato per le sue oppressioni, si era levato come usurpatore un uomo di bassa origine, Diodoto; da re egli assunse il nome di Trifone; egli tenne testa a Demetrio II e non fu tolto di mezzo se non dopo la costui prigionia dal fratello di Demetrio, Antioco VII Sidete.
In questa serie di prìncipi la famiglia dei Seleucidi ebbe ancora personalità segnalate, come Antioco Epifane e Demetrio I. Antioco Epifane elevò persino pretese sull'Egitto, ma dovette ritirarsi di fronte ai Romani. Al dissesto finanziario, divenuto cronico dal tempo della pace di Antioco III coi Romani, egli cercò di porre rimedio nell'anno 166 con una spedizione in Oriente; dopo aver spogliato il tempio di Nanaia egli mirava come suo padre a saccheggiare quello di Elimaide, ma gli Elimei gli impedirono l'esecuzione del suo disegno. Egli morì nel 164 in Persia.
Demetrio I va debitore del suo soprannome di Sotere alla liberazione della Babilonia dalla dominazione di Timarco da Mileto, che, reggendo la Media come satrapo, insorse contro Demetrio e nell'anno 161 venne riconosciuto a Roma re della Media dal senato avverso a Demetrio; Timarco fece delle conquiste in Mesopotamia e nella Babilonia, ma nel 160 fu vinto da Demetrio. Se già insurrezioni di questo genere minacciavano il regno dei Seleucidi, il pericolo più serio gli derivò dal risvegliarsi dell'Oriente e dalla reazione che esso iniziò contro il predominio ellenico; ne furono campioni i Parti ed i Giudei.
Sin dalla morte di Antioco III i Parti avevano sotto Friapitio ampliato il loro territorio con conquiste fatte a spese della Media, ma il fondatore della supremazia partica sull'Iran fu Mitradate il Grande, Arsace VI. Prima ancora del 160 a. C. egli estese a spese del regno greco della Battriana il suo dominio sino al Caucaso indiano, guerreggiando coll'usurpatore del regno di Battriana Eucratida il quale aveva spodestato Demetrio, figlio di Eutidemo di Magnesia. E verso occidente Mitradate conquistò la Media, tolse la Babilonia al satrapo di Demetrio II Nicatore con la capitale Seleucia; l'Oriente andò quindi perduto per i Seleucidi. Demetrio II tentò invero di resistere, marciò nel 140 contro i Parti e all'inizio li vinse pure, ma nel 139 rimase sconfitto nella Media e fu preso prigioniero; Mitradate lo internò nell'Ircania. Non molto tempo dopo morì Mitradate il Grande e gli successe il figlio Fraate II ; contro quest'ultimo entrò in campagna il 130 a. C. il fratello del prigioniero Demetrio, Antioco VII Sidete, che aveva prima sottomesso Trifone.
Egli vinse i Parti in tre battaglie e riacquistò la Babilonia; Fraate si mostrò desideroso di concludere la pace, ma le condizioni poste da Antioco VII furono troppo smodate; di modo che Fraate restituì la libertà a Demetrio II per metterlo contro il fratello in patria, e dopo ciò vinse pure Antioco Sidete in battaglia; Antioco si tolse la vita per non cader vivo nelle mani del nemico. La sconfitta e la morte di Antioco Sidete nell'anno 129 fece epoca nella storia dei Seleucidi e dei Parti; nessuno dei Seleucidi d'ora in poi osò più aggredire i Parti.
I Seleucidi avevano ceduto dinanzi alla nuova grande potenza iranica, all'impero partico: fu questo un fiero colpo anche per l'ellenismo in Oriente.
Questa reazione dell'Oriente si manifestò anche dall'altro lato, in Palestina; i cui effetti poi si ripercuoteranno fino ai tempi nostri.
I PRECEDENTI - Dopo la conquista di Alessandro Magno, la Palestina non poté neppur essa sottrarsi all'ellenismo; il greco divenne la lingua universale e della sua conoscenza non si poteva fare a meno; ma finché la Palestina rimase sotto la dominazione egiziana non si hanno tracce di una più profonda ellenizzazione. Le tendenze ellenizzanti vi si fecero però sentire quando sotto Antioco III dopo la battaglia al monte Paneio, la Palestina passò dal dominio egiziano a quello dei Seleucidi.
Al partito conservatore dei Casidim i pii, si contrappose subito dopo quello modernista dei partigiani dell'ellenismo, di cui era capo un certo Jesus che però preferiva chiamarsi alla greca Giasone costui concepì il disegno di spodestare suo fratello, il sommo sacerdote Onias III; egli ottenne il suo scopo col denaro e col mostrarsi caldo fautore delle tendenze ellenizzanti, cosa che sapeva dovesse tornar grata ad Antioco Epifane; Onias venne privato della sua carica ed Antioco Epifane nominò sommo sacerdote Giasone.
Il nuovo sommo sacerdote edificò a Gerusalemme un ginnasio cui affluì la gioventù gerosolimitana; gli esercizi ginnastici a corpo nudo divennero ora la caratteristica dell'educazione moderna; peccato che la circoncisione non poteva a meno di rivelare che questo ellenismo non era proprio tale, per quanto volesse apparire esteriormente. Come si vede, l'ellenizzazione cominciò dapprima a limitarsi alle forme esteriori, ma già nell'introduzione degli esercizi ora detti si aveva un primo intacco alla sostanza dei costumi, poiché appunto nei riguardi della convenienza di esporre il corpo a nudo o di tenerlo celato gelosamente agli occhi le idee degli Orientali e dei Greci divergevano da secoli; e quando poi il sommo sacerdote giudaico mandò un contributo a Tiro per concorrere alla solennizzazione dei giuochi in onore di Ercole, abbiamo un atto che già intaccava la religione.
Il giudaismo cominciava lentamente a dissolversi e ad essere assorbito dall'ellenismo; il processo di trasformazione era in corso, e non era necessario di lasciar andare le cose per la loro china.
Non fu quindi per ragioni attinenti all'ellenizzazione dei Giudei che Giasone fu costretto tre anni dopo a cedere il posto ad un competitore, Menelao; ma Giasone non volle sottomettersi al nuovo sommo sacerdote, si impadronì con un colpo di mano di Gerusalemme e ne cacciò Menelao.
Antioco Epifane, che appunto in quel tempo (170-169) aveva operato una spedizione contro l'Egitto, nel tornare indietro prese l'occasione da questa rivolta per entrare in Gerusalemme, dove saccheggiò il tempio e ne portò via gli arredi aurei ad Antiochia.
Ma all'atto della sua seconda spedizione in Egitto, nell'anno 168, Antioco venne costretto con modi bruschi dal legato romano ad uscir dal paese; il suo tentativo in Egitto era fallito. Allora riprese di mira Gerusalemme e si mise subito all'opera per ellenizzare ad ogni costo i Giudei; egli tentò di ottenere con la violenza quanto si sarebbe compiuto forse da sé gradatamente, e con ciò scatenò una forte reazione; cosicchè il suo intervento - all'opposto di quel che Antioco voleva - paradossalmente salvò il giudaismo, come vedremo più avanti.
Antioco Epifane questa volta non si recò personalmente a Gerusalemme, ma vi mandò uno dei suoi ufficiali, Apollonio, che nell'anno 168 si insediò nella rocca di Gerusalemme con un presidio siriaco che era destinato a rimanervi per più di 26 anni, sino alla liberazione della cittadella compiuta da Simone nella primavera del 141.
L'intenzione era di imporre con la violenza ai Giudei i costumi greci e la religione greca; l'osservanza del sabato e la circoncisione vennero vietate sotto pena di morte, i sacrifici che si celebravano nel tempio furono fatti cessare ed in tutte le città del territorio giudaico i Giudei vennero obbligati a sacrificare agli dei elleni; il 15 kislev dell'anno 145 dell'era dei Seleucidi, cioè nel dicembre 168 a. C., sull'altare del tempio di Gerusalemme fu edificato un altare pagano, passò l'orrore della distruzione e della repressione, e dieci giorni dopo su questa stessa ara venne celebrato un sacrificio a Giove olimpico, cui fu anche dedicato il tempio.
Alla data delle dionisie (166) i Giudei vennero costretti a celebrare la processione sacra in onore di Dionisio, cinti la testa della ghirlanda d'edera. Dalle angoscie di quei giorni calamitosi emersero le visioni di Daniele, l'oltracotanza del re verso il sommo Dio si rivela a Daniele come un presagio che si accosta il tempo della salvazione, ma il re non é ancora abbattuto ed il popolo del sommo Dio non é ancora salvato.
Antioco Epifane credeva di essere riuscito ad imporre la sua volontà ai Giudei quando inizia le imprese nello stesso anno 166 con la sua spedizione in Oriente. Ma poco prima della sua morte (morì come accennato più sopra nel 164 in Persia) lo raggiunse la notizia della vittoriosa insurrezione dei Giudei.
La scintilla della rivolta fu accesa proprio nel 166 nella piccola città di Modein dal sacerdote Mattatia e dai suoi cinque figli, Giovanni, Simone, Giuda, Eleazar e Gionatan. Quando giunse a Modein il delegato regio per organizzarvi i sacrifici pagani, Mattatia uccise il primo Giudeo che osò accostarsi all'altare per sacrificarvi ed uccise anche il messo del re. Egli raccolse intorno a sé un nucleo di valorosi ed i Casidim, i pii, si posero dalla sua parte; percorse con la sua gente il paese, distrusse gli altari pagani, trucidò gli apostati e circoncise i fanciulli non circoncisi.
Morto poco dopo Mattatia (nello stesso 166 o primi mesi del 165), subentrò al suo posto il figlio Giuda, detto il martello, il Maccabeo; nelle sue gesta, come dice il canto, egli fu pari ad un giovane leone. Nel muovere verso Oriente, Antioco Epifane aveva lasciato in Siria come suo vicario Lisia; questi spedì tre generali contro i Giudei, ma il Maccabeo sconfisse l'esercito siriaco ad Emmaus; nell'autunno del 165 gli andò contro lo stesso Lisia con forze superiori, ma Giuda sconfisse anche lui a Beth-zur e lo costrinse a tornarsene ad Antiochia. Dopo questa vittoria Giuda poté rioccupare Gerusalemme, per quanto non gli riuscisse prendere la rocca, che rimase in potere del presidio siriaco. Egli ristaurò il culto di Jeova, l'altare pagano fu allontanato dal tempio e con esso fu ora distrutto anche l'antico altare giudaico per sostituirvene uno nuovo, incontaminato. Il tempio medesimo venne riconsacrato, a tre anni giusti di distanza dalla contaminazione da esso subita col primo sacrificio pagano, il 25 kislev dell'anno 148 dell'era dei Seleucidi, cioè nel dicembre del 165 a. C.
A tutore di suo figlio, del fanciullo Antioco V Eupatore, Epifane aveva nominato non Lisia, ma Filippo; se non che Lisia non volle cedergli il posto e continuò a tenere arbitrariamente il vicariato. Avendo Giuda nell'anno 163 posto l'assedio alla rocca di Gerusalemme, Lisia accorse, e vinse i Giudei, ma non approfittò ulteriormente della sua vittoria e per aver le mani libere contro il suo competitore Filippo concesse ai Giudei la pace ed il libero esercizio del loro culto. L'insurrezione giudaica aveva raggiunto questo risultato con cinque anni di lotta, e d'ora in poi nessuno dei Seleucidi osò più attentare al culto giudaico. I Giudei rimasero sudditi dei Seleucidi, ma godettero ora di libertà religiosa.
Nel 163 il Maccabeo ed i suoi seguaci non lottano più per la libertà di religione e di culto, perché la possiedono tutti, ma per affrancarsi dalla dominazione siriaca, dalla signoria dei Seleucidi e raggiungere l'indipendenza politica; dovevano però passare più di venti anni prima che essi riuscissero nel 141 a. C. a toccare questa ambita meta .
Demetrio I, dopo la morte del sommo sacerdote Menelao, non investì naturalmente della dignità di etnarca e di sommo sacerdote dei Giudei Giuda Maccabeo - che non fu mai sommo sacerdote ma un uomo della vecchia famiglia dei sommi sacerdoti, Jachim - più comunemente conosciuto sotto il nome greco di Alcimo. Lo riconobbero qual sommo sacerdote anche i Casidim, i pii, ma non Giuda e i suoi seguaci, Giuda combatté Alcimo, e Demetrio I gli spedì contro Nicanore, ma nel marzo 161 Giuda lo sconfisse nella grande battaglia di Adasa, dove Nicanore trovò la morte.
Ma Demetrio I non si diede per vinto per questa disfatta, mandò nuovamente un numeroso esercito agli ordini di Bacchide nella Giudea, e nella primavera del 160 Bacchide vinse Giuda; il Maccabeo cadde in questa battaglia.
Poco dopo, nell'anno 159, morì il sommo sacerdote Alcimo, e noi non sappiamo chi sia stato il suo successore; certamente nessuno dei figli di Mattatia. Ma, il più giovane di costoro, Gionatan, il fratello di Giuda Maccabeo, si insediò in Macma e vi organizzò un governo a parte, cominciò a giudicare il popolo e fece sparire gli empii dal seno di Israele. Egli deve essere stato una potenza accanto al sommo sacerdote ufficiale, altrimenti non avrebbe avuto l'importanza che ebbe nelle lotte di successione al trono siriaco che ora si verificarono. Nella sua lotta contro il pretendente Alessandro Balas il re legittimo Demetrio I cercò l'appoggio di Gionatan, gli concesse di mantener truppe proprie, e nell'anno 152 Gionata si trasferì a Gerusalemme; la rocca era sempre tenuta dal presidio siriaco. Demetrio I aveva posto mano all'elevazione di Gionatan, ma Alessandro Balas lo superò e lo corruppe a suo favore; nell'autunno del 152 lo nominò sommo sacerdote e nel 159, dopo la vittoria ottenuta su Demetrio I, anche stratega della Giudea.
Re Demetrio II Nicatore ampliò il suo territorio con tre distretti samaritani e il re Trifone nominò suo fratello Simone, il secondo figlio di Mattatia, stratega della regione compresa fra le scalinate di Tiro, un promontorio fra Tiro e Tolemaide, e il confine dell'Egitto. Così i due fratelli Maccabei erano saliti ai sommi gradi della gerarchia governativa siriaca: ma la duplice autorità acquistata da Gionatan che aveva riunito nelle sue mani il potere civile e la potestà spirituale finì per destare le inquietudini di Trifone; egli lo trasse in agguato a Tolemaide nel 143 e si impadronì della sua persona, facendolo poi uccidere nei pressi di Bacama; dei figli di Mattatia era rimasto ora il solo Simone.
Simone compì l'opera di Gionatan e la liberazione del popolo ebreo dalla dominazione dei Seleucidi; egli prese nuovamente le parti di Demetrio II Nicatore e questi lo nominò sommo sacerdote; nell'anno 142 egli concesse ai Giudei l'esenzione dalle imposte; Israele aveva scosso il giogo dei pagani.
Nel maggio del 141 Simone liberò anche la rocca di Gerusalemme dal presidio siriaco, che vi era rimasto dal 168 a. C., dai tempi di Antioco Epifane, e nel settembre dello stesso anno 141 a. C. una grande assemblea dei sacerdoti, dei capi delle tribù e dei maggiorenti del paese, deliberò che Simone doveva rimanere in perpetuo il sommo sacerdote della Giudea sinché non fosse giunto un profeta degno di fede, che a Simone spettava il comando degli eserciti e la cura del tempio e che a lui sopra ogni altro doveva prestarsi obbedienza; così Simone divenne sommo sacerdote, stratega ed etnarca dei Giudei.
Era per tal modo fondata la dinastia degli Asmonei, così chiamata probabilmente dal nome di un antenato Asmorai. Nelle mani del sommo sacerdote ed etnarca maccabeo era venuta a concentrarsi la somma del potere civile e religioso. Simone aveva già nel 141 assunta la porpora e la fibula aurea; successivamente suo nipote Aristobulo I cinse nell'anno 104 alla sua fronte il diadema di re.
L'insurrezione contro i Seleucidi e le opere dei grandi Maccabei evocarono per i Giudei una nuova era di gloria e di splendore non inferiore all'epoca di Davide e di Salomone, ma la memoria di quel grandioso periodo e dei suoi grandi principi non ci é stata conservata dalla sinagoga, ma solo dalla chiesa che ci ha custodito i libri dei Maccabee; nella tradizione giudaica, nel Talmud, sono spariti come in un naufragio. Verso il 200 a. C. Rabbi Juda ha-Nasi redasse in iscritto la tradizione orale della legge giudaica, la Meschna, compose il nuovo corpus iuris civilis et canonici dei Giudei, e nelle scuole di Palestina e di Babilonia vi crebbero attorno quei commentarii, la Gemara palestina e la babilonese, che, probabilmente nel IV e nel V secolo, vennero a fondersi nella dottrina dei due Talmud. Uno svolgimento storico di carattere gretto ed esclusivista ha provocato la soppressione del ricordo dei fondatori della nuova grandezza giudaica, dei Maccabei.
Senza dubbio questi Maccabei erano venuti su in antitesi all'ellenismo, erano una conseguenza della reazione giudaica contro le influenze ellenistiche; ma quei prìncipi giudaici vivevano nel mondo e non potevano non tenerne conto. Essi conferirono alle classi elevate della società giudaica di quei tempi un certo tono adatto all'ambiente ed una certa liberalità di sentimenti che noi vediamo rappresentata dal partito dei Sadducei; ma in antitesi ai nobili e mondani Sadducei sorse il partito democratico-nazionale dei Farisei, che con forza sostenne anche l'esclusione d'ogni straniero e l'isolamento del popolo ebreo dagli altri popoli; che sia stato un bene o un male, esso raggiunse il suo scopo.
Con la loro vittoria i Farisei determinarono l'indirizzo dell'ulteriore svolgimento della società giudaica; nel Talmud sono essi che dominano e nel giudaismo il Talmud fa legge. Questa legge ha tenuto salda ed unita la religione giudaica e con essa il popolo ebreo, ma l'esclusivismo che essa esige ha pure addensato sul popolo ebreo molte calamità.
Da più di un secolo la società giudaica ha cominciato a fondersi con i popoli, con le nazioni che la ospitano; é un fenomeno che non é affatto generalmente gradito ad alcuni Ebrei, ma dove esso riesce a prevalere e ad attuarsi l'esclusivismo del Talmud in certi casi ha dovuto ripiegare. La scienza del Talmud e la sua utilizzazione critica per la storia delle religioni e per la storia universale é ancora ai suoi primi passi; ma essa ha certamente un avvenire; sopravviverà nella scienza quanto é in via di sparire nella vita. Peraltro l'intimo nesso che corre tra la storia antica e la moderna ed i loro sostanziali contatti ci sono dimostrati anche dal Talmud e dalla società giudaica.
Non é soltanto oggigiorno che si é presentato il problema se essa dovesse fondersi con gli altri popoli; esso fu un problema che - come abbiamo qui visto - sorse già nella storia ellenistica. Secondo ogni verosimiglianza oggi la soluzione sarà diversa che non a tempi di Antioco Epifane e dei Maccabei.

La società giudaica esistente in Palestina nell'età ellenistica e romana si isolò, ma tuttavia essa ha esercitato una influenza universale, da essa non prevista né voluta, nel cristianesimo e nella chiesa.

Ritorniamo ora ai fatti militari di questo periodo
ci aspetta infatti la guerra totale romana in Africa, cioè...

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