-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

49. LA CINA E I TEMPI PRIMITIVI

 

Nel capitolo precedente ( < VEDI ) abbiamo già accennato ai primi insediamenti e alle lontane origini dei cinesi in base ai reperti archeologici.

Ma prima di inoltrarci nelle lontane origini e nella storia antica, diamo ancora uno sguardo alla Cina o meglio al «Chung-kuo » (Stato del centro) che è il nome con il quale i Cinesi chiamano il loro paese.
Esso risale alla piú remota antichità, quando «Chung-kuo » indicava sia i domini del sovrano, circondati da stati vassalli, che tutto l'impero, contornato dai barbari, ma nonostante l'aumento delle conoscenze geografiche dei Cinesi è rimasto fino ad oggi a designare la "Cina". Questo secondo termine deriva invece dal nome di una dinastia cinese del terzo secolo a. C. (dinastia Ch'in); adoperato per la prima volta da mercanti indiani o malesi, passò poi nelle lingue occidentali, portatovi dai navigatori portoghesi del secolo XVI.
I confini attuali dello Stato cinese non corrispondono né alla diffusione di una determinata nazionalità né a frontiere delimitate dalla natura. Esso è abitato infatti da diverse "razze": la Han o cinese, che è la piú numerosa; la tibetana, la mongola, la mancese, e altre, e geograficamente viene diviso in due parti: la Cina propriamente detta, abitata in prevalenza dagli Han, e le regioni periferiche, dove gli Han sono (o erano) in minoranza.


"La Cina propriamente detta presenta dei confini naturali ben definiti: ad Ovest e a Sud-Ovest i monti del massiccio tibetano; a Sud la pianura del Fiume Rosso; ad Est il Mar Giallo e a Nord il deserto del Gobi e la pianura manciuriana. Tre grandi fiumi: lo Huang-ho (Fiume Giallo), lo Yang-tzu-chiang ed il Hsi-chiang («Ho» e «Chiang» significano in cinese « fiume ») la dividono in senso orizzontale in tre parti: settentrionale, centrale e meridionale.
Caratteristica comune dei tre grandi fiumi é la direzione del loro corso, che va da Occidente verso Oriente. In principio il corso é precipitoso, rotto da rapide nelle gole dei monti, ma successivamente, quando il fiume giunge in pianura, diventa lento e tranquillo. Lo Huang-ho si apre la strada attraverso gli strati del loess, depositi di origine eolica che caratterizzano il paesaggio della Cina del Nord, e trasporta immense quantità di materiale sedimentario che tendono ad alzarne il letto, provocando disastrose inondazioni. Da secoli l'uomo lotta per regolarne il corso. La pianura settentrionale, percorsa dallo Huang-ho, é stata la culla della civiltà cinese. Lo Yang-tzu-chiang, che é invece uno dei maggiori fiumi navigabili del mondo, traversa nel suo corso medio la pianura dello Szechwan, che costituisce una unità geografica a sé stante, isolata dal resto della Cina propriamente detta da una cerchia di alte montagne. Per arrivare al mare il fiume deve aprirsi la strada tra i monti, dove scava profondissime gole, ma una volta superata questa barriera esso diventa navigabile ed il suo corso, fino al mare, non é soggetto a piene cosí disastrose come lo Huang-ho.
Le pianure attraversate dallo Huang-ho e dallo Yangtzu-chiang sono separate tra loro da spartiacque relativamente bassi e verso il mare si confondono l'una con l'altra. Invece tra il corso dello Yang-tzu-chiang e quello del Hsichiang si elevano sistemi montuosi non troppo alti ma estremamente intricati. Il clima varia notevolmente dal Nord al Sud. La grande pianura attraversata dallo Huang-ho ha clima arido, freddo d'inverno e con scarse precipitazioni d'estate. Poco alberata, ha costituito nel corso dei secoli un magnifico campo d'azione per la cavalleria dei nomadi invasori. La pianura centrale ha un clima umido, freddo d'inverno e caldo d'estate. Le colline sono ricoperte dalla boscaglia mentre i fondovalle sono coltivati a risaie. I suoi acquitrini hanno rappresentato una barriera di fronte alla quale si è sempre infranto l'impeto degli invasori nomadi, provenienti dal Nord. Le regioni meridionali, infine, sono calde ed umide d'estate, assolate d'inverno. Sui monti si trovano ancora delle foreste. Anche il contorno delle coste differisce dal Nord al Sud. A nord della foce dello Yang-tzu-chiang la costa e piatta e poco articolata mentre a Sud gli intricati sistemi montagnosi spingono le loro propaggini fino al mare. La costa e frastagliata, ricca di isole e di insenature, ma la mancanza di grandi fiumi navigabili fa si che le province costiere restino isolate dall'interno.
Le differenze che esistono tra le tre parti in cui si divide la Cina propriamente detta si ritrovano nella notevole varietà di caratteri della popolazione cinese. I Cinesi del Nord sono alti, robusti, di carattere posato e grave. Quelli delle province centrali, soprattutto della pianura traversata dallo Yang-tzu-chiang nel suo corso inferiore, sono svelti, furbi, facilmente eccitabili. Quelli del Sud sono piccoli e magri, di carattere piuttosto chiuso.
Non tutta la Cina propriamente detta è abitata dagli Han. In alcune valli dell'interno si trovano degli aborigeni respinti in quelle inaccessibili regioni dalla espansione della stirpe Han. Lungo la costa del Kwangtung si incontra una popolazione di pescatori, gli Hakka, che parlano un dialetto diverso da quello dei Cinesi di Canton.
Nelle altre regioni periferiche, come il Tibet, la Mongolia interna, il Sinkiang e la Manciuria, gli Han erano in minoranza rispetto alle popolazioni indigene, ma l'intensa emigrazione cinese durante questo secolo ha alterato la composizione etnica della Manciuria, che ha cessato di essere una regione semideserta, abitata da tribù mancesi seminomadi.
Anche nel Sinkiang e nella Mongolia interna gli Han sono in aumento.
Con una popolazione che i suoi attuali governanti fanno ascendere ad oltre seicento milioni di abitanti ed una superficie di circa dieci milioni di chilometri quadrati, la Cina é senza dubbio il più popolato ed uno dei più vasti imperi del mondo. La Cina propriamente detta e la Manciuria sono abitate da una popolazione relativamente omogenea, con un'unica lingua scritta ed una unità culturale rimasta inalterata nel corso dei secoli, anche durante gli evi bui della storia cinese. Questa unità culturale costituisce la grande forza della Cina.

LA LINGUA
Alcune espressioni che ricorrono in quest'opera con una certa frequenza: lingua parlata, lingua scritta, stile classico, mandarino, «kuo-yü » (lingua nazionale) possono risultare poco comprensibili per il lettore non specialista e per questa ragione ritengo opportuno chiarirne il significato, senza avere la pretesa di dare una trattazione delle caratteristiche della lingua cinese.
Solitamente si usa distinguere la lingua cinese in «parlata» e «scritta». La lingua «parlata» si divide in un complesso di dialetti che possono cosi raggrupparsi: 1) dialetti delle province costiere a sud della foce dello Yang-tzuchiang: dialetti di Shanghai, di Ning-po, di Amoy, di Fuchou, di Canton, molto diversi l'uno dall'altro; 2) dialetti parlati nelle province a nord dello Yang-tzu-chiang e a sud di esso, ma nell'interno, i quali a loro volta si suddividono in vari sottogruppi, con centri rispettivamente a Pechino, a Nanchino e a Ch'eng-tu.
Le differenze tra i dialetti del primo gruppo e quelli del secondo gruppo sono notevolissime: un cinese di Canton, che parli il suo dialetto, non sarà compreso da un cinese di Pechino, che conosca soltanto il dialetto della sua città. Non è raro quindi vedere oggi cinesi "parlarsi" scrivendo.

I dialetti del secondo gruppo, per la maggiore diffusione e per il fatto che il centro politico della Cina é stata, in questi ultimi secoli, la città di Pechino, si sono identificati con la lingua parlata negli uffici pubblici dai funzionari dell'impero, i cosiddetti «mandarini», donde il nome di «lingua mandarina » (kuan-hua). Dopo la rivoluzione del 1911, il «mandarino» fu elevato alla dignità di «idioma nazionale» (kuo-yü) e, scomparsa la classe dei funzionari dai quali aveva derivato il nome, fu chiamato « lingua comune» (p'u-t'ung-hua), perché parlato dalla maggioranza dei Cinesi".

A differenza della «lingua parlata», che ha subito dei notevoli cambiamenti nel corso dei secoli e che varia da regione a regione, la «lingua scritta» è uniforme per tutto il territorio della Cina propriamente detta e si è mantenuta pressoché immutata da circa duemila anni. Essa è basata su un sistema di scrittura non alfabetico ma ideografico: ad ogni ideogramma o carattere corrisponde una determinata parola, ma mentre il significato è suggerito dal segno grafico, la pronuncia ne è quasi del tutto indipendente. Ne deriva quindi che lo stesso carattere può essere letto in modo diverso a seconda dei dialetti pur restando invariata la sua forma scritta. Il sistema di scrittura cinese ha quindi rappresentato un importantissimo fattore di unità culturale ed anche politica, perché popolazioni divise da enormi distanze e parlanti dialetti diversi hanno potuto e possono tuttora leggere gli stessi giornali e le stesse opere letterarie.

Il numero dei caratteri della scrittura cinese è assai elevato e si calcola che complessivamente essi siano circa quarantamila ma nell'uso corrente è più che sufficiente la conoscenza di otto o nove mila di essi. Alcuni caratteri sono pittografici: veri e propri disegni che cercano di rappresentare l'immagine; mentre altri sono composti di due elementi: una parte che suggerisce il significato ed un'altra che dovrebbe suggerire il suono. Cosí il carattere «T'ung» (pupilla), si scrive per mezzo del segno formato dall'elemento «Mu», che significa «occhio», e dall'elemento «T'ung», che significa «ragazzo». Il primo elemento si chiama «radice» o «radicale»; il secondo «fonetica».

Il termine «lingua scritta» ha però un altro significato: quello di «stile letterario», di «stile classico», formatosi anch'esso molti secoli fa e rimasto immutato, tranne scarse variazioni stilistiche, nonostante le trasformazioni della «lingua parlata», dovute alla sua evoluzione naturale. Questa immutabilità dello «stile letterario» é dovuta non solo alle caratteristiche della scrittura cinese, di cui s'è fatto poc'anzi cenno, ma anche alla struttura sociale della Cina antica. Soltanto un ristretto numero di privilegiati, i «letterati», riusciva ad acquistare, dopo lungo studio, la padronanza di quello stile. Poiché le cariche pubbliche erano concesse a chi dimostrava, in sede d'esame, di conoscere profondamente tale «stile letterario», era interesse di tutta la classe dei «letterati-funzionari» di mantenere immutabile, artificioso ed inaccessibile quello stile, per riservare tali cariche ai propri figli. La grande massa del popolo era analfabeta ma anche coloro i quali sapevano leggere e scrivere ma non avevano seguito in gioventù il lungo «curriculum» degli studi, prescritto per diventare un buon letterato, restavano esclusi dalle cariche pubbliche. Essi potevano tutt'al più scrivere come parlavano ed il loro stile, semplice e piano, era adatto per scrivere opere a carattere popolare, considerate dai letterati con disprezzo, come letteratura di second'ordine, indegna di essere letta". (estratto da toria della Letteratura Cinese, Ed. Nuova Accademia).


Qui entriamo ora nella tradizione che traccia il contorno grossolano dell'immagine, che la Cina ci trasmette della società primitiva; a farlo per primo e l'inestimabile libro rituale Li-ki, e i concetti in esso espressi sono come vedremo patrimonio comune anche della filosofia (non confuciana) fino dal IV secolo a. C.,

« Nella remotissima antichità la gente conosceva soltanto la propria madre, non il proprio padre. I gradi di parentela e la divisione in famiglie fondate sull'eredità era sconosciuta come lo era la dignità di principe o di signore; si dimorava insieme con gli animali, anzi gli uomini formavano una famiglia con l'intero creato. Non vi erano case; d'inverno si viveva in caverne scavate, d'estate su gli alberi in nidi, appositamente intessuti. Era ancora sconosciuto il potere del fuoco; si mangiavano i frutti di piante e d'alberi e le carni di uccelli e di quadrupedi; era sconosciuto anche l'uso del lino e della seta; penne e pelli servivano da vestito».

Così è la fedele vetustaa tradizione nazionale, una fonte così ricca per la conoscenza dei tempi primitivi, ed appunto essa ha contribuito a un tale mosaico con l'importantissimo periodo, col quale esso s'inizia. Non c'é bisogno di essere uno scettico ostinato per pensare che questa pittura drastica di una banda di selvaggi seminudi sia il risultato di una ricerca e un'astrazione di quello, che si era osservato nella vita di razze vicine e semi selvagge. Difatti questa fonte a cui ci siamo riferiti, paragona il modo di vita dei più antichi antenati direttamente quasi con quello degli animali. E appunto sarebbe il caso di credere che la filosofia taoistica avesse fatto questa pittura utopistica quasi a tesi, poiché essa trova ogni salvezza soltanto nel ritorno alle primitive semplicissime condizioni, cioè a un certo rimpianto dello stato di natura.

Ma tutto questo è confutato dal semplice fatto che queste asserzioni generali riferite non sono considerate astrazioni ma sono confermate punto per punto o da leggende antichissime, redatte già dei secoli prima che quella tradizione fosse messa per iscritto, o da usanze effettive, attestate già negli antichi libri rituali e in parte praticate e finalmente poi anche dalla scrittura, di modo che in questo punto si accordano i più preziosi fra i sussidi, dei quali disponiamo.

 

Fino dagli albori dell'umanità nella Cina, emergono già i contorni di figure poderose di principi e di eroi, che potrebbero sollevare pretese ad essere riconosciute storicamente. Non alludiamo qui a sovrani del cielo e della terra, né ad imperatori umani con nove teste, a draghi con dieci ali o al «Caos dominatore», comunque si vogliano chiamare i pallidi fantasmi, coi quali i Cinesi, identificando l'impero e il mondo, hanno fatto risalire la propria storia fino alla creazione; sono questi quasi sempre il parto della speculazione o di dotte sottigliezze storiche e in ogni caso costruzioni artificiose, sorte forse in certi casi sotto influssi stranieri e probabilmente dopo il III o il IV secolo a. C.

Alludiamo invece a quelle figure d'imperatori non formate del tutto di carne e d'ossa, ma pure di materia genuina, quali si succedono l'una all'altra dall' "abitatore di nidi" (You-ciao) e dal Prometeo Sui-jen (l'«uomo dalla trivella per accendere il fuoco»), passando per Fu-hi e sua sorella Nu-kua, per Scen nung, Huang-ti, ecc., fino agli imperatori tipici del Confucianismo Yao e Sciun.

A questi un riconoscimento nella storia fu certo accordato senza riserve dalla credenza popolare e dagli storici indigeni, anche con tendenze critiche, almeno in quanto sono considerati come forme leggendarie credibili, delle quali si può determinare la data, contrariamente ai loro predecessori, giudicati come puramente mitici. Noi però non potremo del tutto aderire nemmeno a questa opinione per quanto moderata.

Appartiene forse al dominio della vera leggenda il racconto di Nü-kua dal corpo di serpente (una donna certo, sebbene se ne sia voluto fare un uomo), la quale rattoppa il firmamento con pietre di vario colore e pone i quattro angoli della terra sulle zampe mozzate di una tartaruga marina gigantesca, dopoché l'urto del Titano adirato Kung kung contro il pilastro screpolandosi del cielo ha scosso i fondamenti dell'universo e condotto il cielo e la terra così fuori di perpendicolo, che d'allora in poi gli astri vanno verso ponendo e i fiumi della Cina verso oriente ?

Oppure quello di Huang ti, che fa discendere dal cielo la dea Pah, il demone della siccità, contro Cìh-yu, il primo ribelle, che porta corna sopra una fronte di ferro e conduce alla battaglia il dio del vento e della pioggia con la tempesta e l'inondazione?

Queste e molte altre gesta simili, ancora ad essi attribuite, non sono leggenda, ma invece mito genuino - poiché a torto si è voluto negare ai Cinesi una mitologia -; e questi presunti imperatori, come conferma anche la loro forma singolare insieme al loro nome li, non sono altro che dei, anche se il tranquillo euemerismo confuciano li ha forniti di abiti terrestri da sovrani ed ha mutato in «ministri» ribelli i loro demoniaci avversari.
Ma, a dire il vero, non tutto si svolge in un mondo superiore e il mito é molte volte frammisto e amalgamato con l'effettiva leggenda e quasi potremmo dire con la storia. Poiché dalla considerazione storica di tutto questo panteon sembra risultare che vi abbia concorso non soltanto il nucleo nazionale cinese, ma fino dai tempi più remoti gli altri popoli primitivi, gradatamente assorbiti in eesso coi loro dèi ed eroi, i quali o furono identificati con quelli già esistenti o posti di seguito ad essi, quantunque fossero forse ugualmente antichi - procedimento sincretistico che spesso ad una disposizione orizzontale ne ha sostituita una verticale.

Così almeno, meglio che in altri modi, si spiegano, per quanto si sappia, le contraddizioni di vario genere, altrimenti inconciliabili, le dissonanze, le incertezze del sistema e soprattutto il fatto che una medesima opera iniziatrice di un'epoca nuova o la lotta con un medesimo avversario si attribuisce talora a vari personaggi- imperatori od eroi - lontani fra loro nel tempo (simili contraddizioni li troviamo anche nei fatti e nei personaggi della nostra Bibbia).

Non mi sembra poi un caso che il primo di tutta la serie (incluso più tardi in questa soltanto sotto i Sung), ossia Pan-ku, il creatore del mondo, porti quasi esattamente il medesimo nome non cinese di Pan-hu lo stipite delle tribú Miao tze del sud-ovest sottomesse appunto al tempo dei Sung. È pur sempre singolare che i corifei del periodo ideale precedente, Fu-hi e Nú-kua, con una notevole corrispondenza di leggende ricompaiano quale prima coppia umana nella cosmogonia dei Volo, che non sembra presa a prestito da altri popoli. Se poi è giusta questa ipotesi, nei piú antichi imperatori deve essere personificato anche il piú antico sviluppo politico, - come quello della cultura in qualcuno di essi; inoltre, e questo è ciò che più importa, la loro localizzazione per opera della tradizione può determinare presso a poco perfino la situazione dei singoli territori, che poi saldandosi gradatamente insieme, in quel modo che si rispecchia in questo panteon di dèi e di eroi dei tempi primitivi, hanno dato origine alla prima maggiore formazione politica.

Ma appunto in queste determinazioni locali l'indagine urta veramente ad ogni passo in cause di errore, di cui specialmente per la fusione delle leggende è cosparso tutto il territorio. Così, per citare un esempio solo, la lotta contro Cìh-yu, nella quale evidentemente (come in altri casi simili) oltre alla lotta degli elementi in qualche violento fenomeno naturale, viene ad eternarsi anche una lotta umana, fu trasferita (per quanto improbabilmente) nel Cih li settentrionale, mentre d'altra parte anche lo Sciansi ne tenne vivo il ricordo con caratteristiche danze in maschera, che poi nel periodo degli Han - sic eunt fata ! - furono accolte tra le loro pantomine teatrali; finalmente ancora nel V secolo d. C. si mostrava e si venerava nello Sciantung la tomba dell'eroe di quella lotta.
Da questo deriverebbe un sufficiente campo per localizzare l'espansione verso nord est ! Dobbiamo perciò accontentarci per ora del risultato già ricavato da queste tradizioni dallo Szema Tsìen nello Sci-king: che cioè la culla dello sviluppo politico della Cina e del suo incivilimento. La sua vera patria e il vero cuore, dal quale si è estesa lentamente nei paesi vicini con le sue braccia di polipo, si ha da ricercare ad oriente del gomito dell'Huang-ho e dello Sciansi meridionale.

Su questo infatti, per tacere di altro già accennato in parte precedentemente, richiama la nostra attenzione un fenomeno notevolissimo; il tesoro linguistico cioè dei monumenti letterari più antichi, come attesta il primo vocabolario d'idiotismi cinesi (il Fang-yen del secolo I d. C.), ricorre per lo più ai dialetti della Cina media orientale e quindi probabilmente si fonda sopra essi; inoltre una buona parte di quel tesoro è rappresentato per mezzo della più antica forma di scrittura - d'immagini e di simboli - mentre i suoi sinonimi ed altre parole di un periodo più recente (di quello dei Ciou) appartengono ai dialetti occidentali e sono scritti anche con elementi fonetici - in quel genere più recente di scrittura, che forse è stato provocato o in ogni modo favorito appunto dall'essere state accolte nuove parole, prese a prestito da altri linguaggi.

Veramente da questa folla di ombre, che vanno dissipandosi, si sollevano qua e là nomi ormai spenti, volti e forme, che hanno lineamenti più determinati, come per es. gli Hun-yüh respinti da Huang ti, che sono già da lungo tempo identificati con gli Unni; tuttavia essi per lo più si accordano così poco col loro ambiente che ci possiamo ben domandare se non si tratti piuttosto di una trasposizione nel passato (non rara) di avvenimenti posteriori.
In compenso si potrebbe d'altra parte chiamare reminiscenza storica genuina una leggenda, su cui si stende la patina di una remotissima antichità: la leggenda di un «commercio illimitato fra cielo e terra», che si produsse durante la decadenza dell'impero sotto Sciao hao, successore di Huang ti, in seguito alla sollevazione dei «nove Li», che fu repressa soltanto da Ciuan-hu, suo figlio.

Non é questa infatti una storiella gentile dei giorni del paradiso terrestre, quando gli dèi scendevano fra i figli degli uomini, ma secondo un'antica opinione indigena, che pare ben giustificata, il ricordo grave ed amaro di una rivoluzione politico religiosa verso la fine dei tempi primitivi, della violenta invasione di un culto magico, straniero ed eretico, che rese libera ad ognuno la pratica e il servizio degli spiriti, e se è giusta l'asserzione dei Cinesi, che fa di quei Vi dei «barbari meridionali», si tratterebbe qui di un movimento antichissimo da sud a nord e ci troveremmo in presenza dei primi inizi riconoscibili della lotta fra il Settentrione e il Mezzogiorno, la quale non a caso trovò la sua espressione più intensa in un contrasto religioso.

Questo, a quanto pare, è poi confermato in ogni suo punto da una seconda tradizione, vetustissima e genuina, la quale si presenta così strettamente unita con l'altra, da sembrare che narri soltanto la continuazione o la ripetizione dei medesimi avvenimenti, non lasciando alcun dubbio sopra l'essenza, il significato e l'origine di questi. Essa non solamente parla di nuovo di un libero commercio fra cielo e terra, della discesa di spiriti, che finisce con l'essere diventata come nella precedente dai medesimi funzionari, ma espressamente fa procedere questo di pari passo con un dominio violento, che si serve delle stesse leggi e degli stessi castighi della Cina antica, ma - a quanto si pretende - in modo molto più crudele, e che conferisce gli incarichi non ai nobili, bensì a gente plebea ; coloro poi, che esercitano questi uffici, sono i ben noti Miao, gli antichi nemici ereditari della Cina, che per la prima volta entrano in scena, al tempo del governo di Yaou e di Sciun, con i quali lo Sciu king comincia i suoi annali.
Questi perciò aprono opportunamente il vero periodo leggendario; e subito all'inizio della storia leggendaria della Cina sta una grave lotta fra nord e sud, durata evidentemente per dei secoli, una lotta per l'egemonia. E che si tratti di questo e che il dominio dei Miao tze si sia esteso sull'intero paese o almeno sopra una parte considerevole di esso, non lo possono negare nemmeno le tirate dello Sciu-king, come il Legge ha già riconosciuto.
In realtà le accuse in esso rivolte contro i Miao, sono quasi tutte quelle medesime, che il fondatore di una dinastia nuova è solito di scagliare contro l'ultimo rampollo della vecchia: applicazione crudele ed arbitraria della legge, oppressione e uccisione d'innocenti e così via ; è poi molto caratteristica, se é autentica, la notizia data dallo Sci-king, che i Miao avevano mutato l'inizio dell'anno e l'intero computo del tempo, poiché questa é un'abitudine tipica di una dinastia nuova (o di una rivoluzione - vedi la Francese - o di una dittatura - vedi in Italia gli anni del Ventennio mussoliniano)

Insieme a tutto il resto questo ci mostra che quegli invasori non possono essere stati affatto un popolo barbaro o insomma non peggiore degli stessi Cinesi, poiché sembra che la cultura sia stata da ambo i lati di uguale specie e di uguale misura. Questa è poi una delle ragioni principali, per cui si è propensi ad ammettere presso il centro settentrionale cinese di civiltà anche un centro antichissimo meridionale, presso a poco sullo Yang-tze inferiore.
Né soltanto contro nemici umani il nuovo impero ebbe a difendere ad un tempo se
stesso e la propria esistenza, ma anche contro la furia cieca degli elementi. Una seconda e più grandiosa pietra terminale s'innalza dopo l'altra, l'irruzione e poi la difesa di una inondazione gigantesca, le cui acque stendendosi senza limite, secondo la relazione enfatica dello Sciu king, «abbracciavano le montagne, seppellivano le colline e minacciose s'innalzavano al cielo». Un diluvio universale! Ha però poco di comune con quello biblico e con gli altri suoi simili; è un avvenimento naturale, puramente cinese, che rappresenta un'immane inondazione in tutti i bacini fluviali, specialmente nella rete dell'Uuang-ho, che col Richthofen possiamo certo attribuire tanto più facilmente ad un terremoto assai violento, e a quanto pare non era estraneo di nuovo Kung kung, l'antico "scuotitore della terra".

Anche questa inondazione, secondo la tradizione, costò una lotta di secoli, che, con gli inutili tentativi di arginamento, specialmente fatti da Kun, riempie tutta l'epoca di Yao ed è condotta a termine soltanto verso la fine del governo di Sciun col lavoro titanico di 13 anni del grande Yú; e un simile intervallo di tempo può essere certo ammesso. Ma d'altra parte sarebbe forse il caso di ricercare, se anche in questo caso non ci si offre in parte una disposizione verticale in luogo di quella orizzontale; cioè se per avventura l'opera simile e presso a poco contemporanea di diversi eroi nazionali non sia stata descritta riferendola a tempi successivi e con questo non siano state fuse in un racconto unico le leggende in origine indipendenti di varie inondazioni.
(gli archeologi nell'arco di 10.000 anni, misurando i sedimenti di fango lasciati da ognuna, ne registrano non meno di 7 di proporzioni catastrofiche, e alcune anche di molto superiori a quello biblico - che è uno dei tanti)

Difatti che di queste leggende ve ne fossero, mi pare che risulti per es. da quella assai antica di Tai tai, che avrebbe regolato il corso del Fen e del Tao e resa abitabile la grande pianura, sebbene quest'ultima opera sia indicata altrove come dovuta a Yú; appunto questa leggenda deriva da un territorio, che non era ancora cinese, perché il Fen ho non è contato tra i fiumi domati da Yü. Tuttavia qualche opera idraulica può essere stata rappresentata come intesa a frenare i fiumi, oppure riguardava solamente il prosciugamento di vallate paludose.
Ma, comunque sia la cosa, fin dal tempo antichissimo tutta la gloria si accumulò sopra il solo Yü, «senza il quale noi saremmo pesci», come dice lo Tso-ciuan con uno scherzoso gioco di parole; per questo fu anche chiamato il Noè della Cina. Si dovrebbe però più giustamente chiamare l'Ercole cinese, perché soltanto alle fatiche di questo si potrebbe paragonare tutto quello che fu attribuito a Yú in fatto di fiumi canalizzati, di grandi montagne aperte al transito, di vie tracciate e di ordinamento generale del paese.

In modo notevole la stessa leggenda cinese delle inondazioni, come è narrata dallo Scian-bui king intorno al III e al IV secolo a. C., si avvicina molto a questo paragone, trasformando i nove fiumi in un drago, in un'idra a nove teste, sopra il cui corpo gigantesco, che col suo sangue appesta tutto il paese, il vincitore innalza un tempio. Se qui siamo forse in presenza di un influsso straniero, è difficile a decidere; in ogni caso è però una forma più recente, come lascia già riconoscere anche un vago paragone con la redazione più sobria, benché inverosimile, data con un solo accenno nello Sci-king e anche altrove (ad es, Yü-kung).


Una pagina dello Sci-King. Del periodo Sung o più tardi in quello Yuan.
Lo Sci-king - nel contesto - distribuisce colori e luci. Nelle sue 300 canzoni, alle quali hanno contribuito tutte le classi sociali ed ambo i sessi, non solo ci dà un'immagine vivente della cultura materiale dal secolo XII fino al VII a. C., ma ci permette soprattutto di gettare uno sguardo profondo nel carattere e nel cuore degli uomini di quel tempo. (Ne riparleremo ancora più avanti - con qualche passo

 

Abbiamo dato già un cenno su questo libro interessante, con esposta una opinione intorno ad esso, ma un esame più accurato giustificherà la sua importanza. La sua prima parte, che è anche la maggiore, è una descrizione delle «nove province» e quindi della Cina di quel tempo, come si ammette ordinariamente. Essa enumera prima di tutto i loro confini, ma in modo che quelli esterni o sono del tutto approssimativi ed evanescenti o, come nell'antico Occidente, in genere geograficamente impossibili a ricostruire; seguono poi notizie di ogni sorta sopra regolamenti relativi a monti e a fiumi, esatti dati statistici sulle qualità del suolo, sulle vendite e sulle imposte, come sui prodotti di questi singoli distretti, compresi sotto il nome di «tributi», e finalmente una descrizione della strada, sulla quale questi erano trasportati alla sede del governo, nello Sciansi meridionale; per le province esteriori vi si trovano incluse o qua e là disseminate notizie sui popoli barbarici e sulle loro contribuzioni.
In epoca posteriore tutte queste notizie sono state anche raffigurate con maestria in lunghissimi resoconti con testo e immagini. Si inizia dalle caverne, la vita nei boschi, la prima agricoltura, i primi commerci per poi finire ai grandi porti con all'attracco le grandissime navi da trasporto.
Uno di questi che ancora oggi si trovano in Cina e che l'autore di Cronologia possiede in originale è lungo 6 metri alto 40 cm.
Ne diamo qui solo alcune sequenze non potendo mettere ovviamente gli interi 6 metri. Ne abbiamo scelte 3 significative che rappresentano il brulicare della gente nelle loro attività quotidiane all'epoca dei commerci; e una che ci sembra anche questa significativa, con uno dei tanti ponti sulle vie d'acqua.

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La seconda parte dello Sci-king, oltre ad una suddivisione schematica, la quale (come fu già detto) si presenta come un'utopia politica, contiene una estesa orografia e idrografia di tutto il territorio già descritto. Questo nell'insieme si può abbozzare con due linee, delle quali quella settentrionale circa dalla metà del corso dell'Uei (nello Sciansi), passando per Tâi yüan fu, va a Tien-tsin e quella meridionale dallo stesso punto di partenza, lungo l'Han e attorno i laghi Tung ting e Poh-yang, va ad Han-ciou e al mare; soltanto a sud-est e a nord ovest si stendono innanzi due strette lingue, una fino a Céng-tu e l'altra fino a Vau-ciou fu e forse anche più oltre.
Ma di questo ritaglio della Cina odierna era esattamente ed effettivamente conosciuta soltanto la parte centrale: il piano di Si-ngan fu, lo Sciansi meridionale e il Cihli fino poco sopra il Tai scian (nello Sciantung) e l'Honan ; in questa parte la descrizione si estende ai particolari, il resto è riportato in modo piuttosto sommario; quasi niente è detto della conformazione interna; si fa menzione soltanto dei più rilevanti fra i tratti montuosi di fiumi e degli ultimi ordinariamente si descrive più esattamente solo il corso inferiore. È quindi chiaro che questa era in grande parte una «terra incognita», di cui si conosceva soltanto un certo numero di oasi incivilite, comunicanti con la parte centrale per mezzo di quei fiumi e delle vie seguite per recarvi i tributi, le quali di regola erano i fiumi stessi.
L'insieme ci fa l'impressione di una serie di tratti dissodati in mezzo a una foresta primordiale; qua e là una radura coltivata col suo complesso di capanne, unito da uno stretto sentiero ad un lontano e grande centro di civiltà; attorno poi ad esse e fra l'una e l'altra una solitudine piena di ululati di fiere.

Si tratta solamente di sapere se quegli abitati fossero dipendenti politicamente dal centro e questo è molto improbabile e difatti cosa ovvia che quei fili sottili, che univano al centro le oasi incivilite, come i sigilli pendenti da un'antica pergamena, potevano difficilmente essere abbastanza forti per rendere possibile un governo unitario; inoltre ad una tale ipotesi si oppone specialmente il fatto che tutti questi territori, inclusi in apparenza nello Stato, oltre un millennio più tardi erano indipendenti o quasi, anche i maggiori tra essi, non escluso il paese dei San Miao sullo Yangtze.
Poiché, come c'informa lo Sciu-king con parole altisonanti, questi San Miao dopo trent'anni di guerre furono soggiogati da Yü e (prima ancora a quanto pare) da Sciun, che deportò i loro principi nell'estremo nord ovest, in quello che fu più tardi il paese dei Tanguti; eppure, sebbene si dica che furono distrutti al punto da non avere più discendenti sulla terra, al tempo di Ciùn-tsiu li troviamo ancora nelle loro antiche sedi, dove formano uno Stato potente e al più dipendente dalla Cina soltanto di nome - e qui i
lontani loro nipoti vivono ancora oggi indomati.
Anzi nello stesso altro testo, lo Yü-kung, accenna forse ad essi e perfino alla loro indipendenza, dato il suo modo di ricordarli, purché si conceda che i suoi enigmatici « tre regni » sul lago Tung-tìng indichino i « tre » (san) Miao.
Questa e varie altre considerazioni, che disgraziatamente non possono essere qui esaminate, c'inducono ad ammettere chi l'impero cinese vero e proprio fosse in quel tempo limitato ad una parte centrale e che quelle appendici non fossero parti effettive del suo territorio, ma unite ad esso per ragioni d'interesse e principalmente di commercio.

Che poi anche questo sia indicato quale paese sottoposto a tributi non guasta ; anche nel tempo degli Han, anzi molto più tardi, il nome di tributo è adoperato in questo senso. Anche i prodotti dei paesi barbari confinanti e di quelli più lontani, circostanti ad essi, giungevano sul mercato cinese in parte direttamente e in parte per intermediari. In quest'ultimo modo commerciavano con la Cina appunto i paesi più remoti: il bacino del Tarim, che probabilmente vi mandava la sua giada, e l'estremo Mezzogiorno chi certo v'importava il cinabro. Così l'orizzonte cinese in casi favorevoli si accresceva grazie soltanto a un'idea indistinta di popoli molto remoti; il mondo effettivamente conosciuto era certamente limitato a quello descritto nel testo Yü-kung.

Quest'opera di un valore inestimabile ci dà non solo un'immagine viva del commercio e della colonizzazione del paese, ma soprattutto anche dei suoi bisogni, della sua produzione, della sue condizioni economiche e di quelle dei paesi vicini circa verso il 2000 a. C.
Poiché il rapporto tra la qualità del suolo e la sua rendita c'insegna com'era allora distribuita e forse come si spostava la sua popolazione; si possono così riconoscere con la massima sicurezza due centri fittamente popolati e coltivati da lungo tempo sull'Huang-ho e sullo Yang-tzi, dove nei peggiori terreni si riusciva ad ottenere i raccolti più ricchi, mentre il rapporto inverso, come fu già osservato, ci mostra la pianura dello Scensi come popolata di recente e perciò ci indica un moto di colonizzazione da ovest ad est.
Invece a tutto il resto, oltre che dalle tabelle delle rendite, siamo iniziati dai prospetti delle somministrazioni fatte alla sede del governo, che ora qui raccoglieremo secondo il loro carattere, e della partecipazione numerica delle così dette province.

Per quanto riguarda in primo luogo i prodotti alimentari, la decima sui cereali dovrebbe aprire la serie, se essa fosse in realtà l'imposta generale, come pare che la indichi lo Yü-kung. Ma poiché le sue osservazioni a questo proposito fanno sentire la mancanza di quella specializzazione che appunto qui sarebbe richiesta, date le differenze di clima e di suolo, e si potrebbero considerarle nei paesi esterni non tanto come dati sui loro obblighi e sulle loro contribuzioni, quanto come notizie schematiche sopra condizioni di fatto, come sono state date similmente anche più tardi in casi simili. Ne risulterebbe quindi soltanto che l'agricoltura si esercitava dovunque con maggiore o minor risultato. Di degli altri prodotti alimentari sono registrati il sale, che si estraeva nello Sciantung orientale e forse in paesi barbari, gli animali marini e i pesci forniti dai barbari Huai e talora i frutti meridionali d'ogni sorta provenienti dalle foci dello Yang tze o dalle isole che stanno loro davanti (?), la concorrenza era tanto più vivace nel vestiario e nelle stoffe.

Qui naturalmente dobbiamo considerare innanzi tutto la seta; difatti se questa non era prodotta nell'intero paese, ma in cinque dei suoi distretti, anche i barbari vi avevano una parte considerevole: così producevano seta greggia i Vai nello Sciantung orientale, famoso ancora oggi per questo, e stoffe di seta bianche, colorate e variegate anche i barbari dell'Huai e dello Yang-tze. Gli ultimi poi fabbricavano mussolina (grass cloth), che del resto si tesseva ancora soltanto nello Sciantung; questo con l'Honan occidentale produceva canapa e vesti di canapa, mentre le pelli di animali provenivano dai barbari del Lian-tung
e dello Sziciùan, che dava anche feltro; pelli di rinoceronte (per giustacuori di cuoio) venivano, dallo Tsùe e dal Cehkiang e finalmente penne e pelli dagli stessi paesi - quali materie prime da lavorare - e penne (di fagiano) soltanto da Kiangsu.

Fra i materiali per utensili sono notevoli in modo speciale le pietre, le quali eran fatte venire da non meno di sette province, nelle specie più varie e per gli scopi più diversi: come le pietre da macina, punte di frecce, pietre per la costruzione di una specie di armonica, pietre per levigare e finalmente una quantità enorme di pietre rare o nobili. Compaiono in questo prospetto anche i metalli (poiché i Cinesi cominciano con Yü la loro età del bronzo) e appunto l'oro, l'argento e il rame dello Tsù e del Cehkiang, come il piombo dello Sciantung orientale e dei monti dello Szeciùan, poi fino al ferro ed anche l'acciaio.

I primi due paesi, insieme all'Honan e allo Sciantung settentrionale, contribuivano anche con legnami da costruzione e per altri usi (lo Tsù in modo speciale legni per archi) ; ad essi il Cehkiang aggiungeva i suoi bambù, il Kian su i legni per strumenti musicali e come quelli fornivano la lacca, così davano pure il cinabro, con i quali fin d'allora come per tutto il tempo dei Ciou si amava dipingere i mobili e le colonne; finalmente essi provvedevano anche altri mezzi di ornamento con l'importazione del loro avorio, mentre i « tre regni » dello Tsù, come i barbari dell'Huai, mandavano anche perle.

Se con lo sguardo si abbraccia tutto questo insieme non si può nascondere l'impressione di trovarsi alla presenza di uno Stato ben organizzato, che basta a se stesso e che da una remota antichità, - poiché evidentemente ha ancora un piede nell'età della pietra -, non solo dimostra un certo benessere, ma perfino un certo raffinatezza. Difatti alla sua parte centrale affluiscono solo merci di lusso, ed è tale anche la seta, della quale certo, allora non si tagliavano abiti per il popolo; unica importazione necessaria si può considerare quella del legname, poiché non si limita ai legni preziosi del Mezzo giorno (anche oggi tanto ricercati) e sembra imposta dalla povertà di foreste della «terra gialla».

Questa perequazione artificiale delle differenze naturali si può del resto bene osservare appunto in questa lista; essa è continuata per l'intera epoca antica, almeno per l'avorio e le pelli di rinoceronte, come per il cinabro dello Tsù, al quale questo centro della pittura cinese e in altri tempi patria della tatuaggio aggiungeva anche l'azzurro oltremarino. Sono forse degne di nota le tracce della tessitura, dell'industria e del commercio presso le tribù barbare, perché mostrano che queste non si trovavano più sui più bassi gradini della loro evoluzione; e in realtà i Vai dello Sciantung erano passati già ad unire la coltura dei campi con lo sfruttamento dei pascoli.

Nulla sappiamo di più intorno al resto dell'organizzazione politica dello Stato; solo tanto l'utopia, contenuta nella seconda parte dello Yü kung, lo mostra come uno Stato feudale, nel cui centro sta il demanio imperiale, che s'immagina di figura quadrata, circondato concentricamente dai principati vassalli che hanno la stessa forma, incastonati anche nei maggiori rettangoli rappresentanti i paesi barbari; sistema che nel suo schematismo esagera la situazione di fatto dello Stato sovrano, circondato e chiuso da ogni parte, e può esser considerato tuttavia come una testimonianza della remota antichità del sistema dello tsing, già ricordato da noi, non essendo in realtà che la sua estensione all'impero o meglio - come qui si accenna espressamente - «agli estremi confini del nord e del sud», vale a dire al mondo intero.

E' poi abbastanza importante, considerato insieme a quei dati amministrativi; difatti esso risponde propriamente ad una domanda, che potrebbe imporsi in alcuni luoghi dello Yu-kung stesso e specialmente in altre redazioni della leggenda del diluvio, per es. in quella del Mensio (Mencio); la domanda cioè se non si tratti qui di un primo ordinamento quasi creatore che succede a uno stato di confusione caotica, del principio insomma e della vera fondazione dell'impero cinese.
Questo però non è possibile; una costruzione politica così progredita deve avere un lungo passato; e quello che ha destato in noi un dubbio simile deve essere attribuito all'intervento e alla fusione di antichi miti sulla creazione. E in realtà si pone da se stesso in contrasto con tradizioni più antiche, che fanno già di Yao e di Sciun predecessori di Yü, i rappresentanti di un ordinamento politico e sociale già sviluppato.

Veramente nel testo dello Sciu-king non pare purtroppo che la redazione di quelle tradizioni sia così autentica, come si potrebbe desiderare; -- poiché questo «canone dei documenti», secondo l'eccellente interpretazione del Grube, ci dà abbastanza spesso poesia storica invece di storia, specialmente in queste parti più antiche. Tuttavia vi si è conservato più d'un tratto indelebile, che appartiene senza dubbio ad un tempo primitivo, - per es. il doppio matrimonio di Sciun e la sua successione nel diritto delle sue due mogli ed altri ancora, che si dovettero già citare; inoltre nelle rare notizie intorno alla compagine dello Stato fra svariate aggiunte posteriori si possono riconoscere ancora le vestigia di uno stadio più antico di sviluppo.

Così il calendario di Stato di Yao, col quale incomincia lo Sciu king, mostra un carattere molto primitivo, che forse ricorda ancora qualche cosa di quella vetusta astronomia, la quale lo distingue essenzialmente dalla serie interessante dei suoi successori, dal « piccolo calendario degli Hia », fino allo Yüeh-ling del Li ki. Così nel culto religioso di Stato, che aveva già obiettivi più recenti: il cielo (e la terra), i monti e i fiumi, gli antenati e tutti gli spiriti, come nel governo con i suoi ministri della giustizia, dell'agricoltura ed altri ancora conosciuti in seguito, si trovano tuttavia molti ordinamenti e incarichi, che d'allora in poi sono scomparsi: tali sono quegli enigmatici «sei venerati» e soprattutto il cancelliere imperiale Sze-yoh (preposto ai quattro monti sacri) e il maestro della musica, quel drago Kui da una sola zampa, che simile ad Orfeo, con la sua armonica di pietra, costringeva a ballare gli animali (o uomini in maschera di animali?) e che è per lo meno una figura originale.

Ci da l'impressione essere una cosa antichissima anche la successione al trono, la quale, come fu già accennato, avveniva in seguito ad elezione o del consiglio dei principi o di quello dei ministri o del popolo e non era più devoluta al figlio di Yü; poteva del resto essere stata collegata col sistema feudale, assegnato espressamente a questo periodo antichissimo con la sua concessione d'insegne degli uffici facili a controllarsi.
È inoltre arcaico il piccolo numero degli incarici ai funzionari, che sarebbero stati raddoppiati solo al tempo degli Hsia; e di ciò abbiamo una reminiscenza del tutto credibile nella divisione fatta da Sciun
del suo regno in dodici province, poiché i posteri di lui con l'idea ben radicata delle nove province, create da Yü, difficilmente avrebbero potuto immaginare da se' una condizione precedente diversa.

Dobbiamo perciò ammettere che questo Stato di Yù non rappresentava un ordinamento nuovo, ma soltanto un riordinamento, determinato in parte dai mutamenti territoriali, che deve aver prodotto necessariamente una simile inondazione, e in parte semplicemente dal cambiamento della dinastia, che nella Cina ha spesso per conseguenza un profondo mutamento di sistema, una trasformazione in «grande stile».

Ed è infatti una nuova dinastia, che sale al trono con Yü, la casa degli Hsia - una stirpe principesca dell'Honan, come pare, e inoltre, se la leggenda merita credito, imparentata da Yü coi principi di Tù scian sul medio Huai e forse sostenutasi col loro appoggio. Ma c'è di più; essa è la prima dinastia, che possiamo chiamar così con qualche ragione. Poiché se fino a quel tempo un'intera casa sovrana, un'epoca intera si era impersonata in una sola figura, l'oscurità in seguito s'illumina, tanto che si può riconoscere una serie non interrotta di sovrani, la quale dopo un'ultima favilla dell'antico impero elettivo alla morte di Yü, prosegue in una regolare successione ereditaria.

Ma a dire il vero, è tutto qui. Sono soltanto nomi, ombre senza sostanza, forse in parte solo genealogie fittizie, che qui ci scorrono innanzi in un lungo e silenzioso corteo, solamente di quando in quando udiamo l'eco potente di qualche avvenimento. E questo di solito è anche rilevante. Così la lotta di Kì coi principi di Hu nello Scensi, in cui si trattava anche della corona, può indicarci una prima reazione contro l'espansione verso quel paese, un primo movimento da ovest ad est, come cinquanta anni dopo una pressione contraria dallo Sciantung respinge la casa legittima a mezzogiorno dell'Huang ho e finisce col privarla del trono per quattro decenni.

Ma più importanti di queste notizie, per quanto ci facciano chiaramente riconoscere l'eterna legge dell'evoluzione cinese, cioè il costante rinnovamento del popolo per mezzo di un sangue affine, più importanti sono le notizie ulteriori, che cioè Puh-ciuh (intorno al 2180) a causa del malgoverno degli Hsia emigrato fra i selvaggi del Kansuh a Kìng-yang e che il suo discendente Liu (1796) abbia fatto ritorno nello Scensi; che nel 1946 un principe di Sciang (nell'Honan orientale) sia penetrato con le sue conquiste fino al confine occidentale del dominio diretto imperiale.
Anche queste notizie hanno lo stesso significato delle precedenti ; accennano a una prima preparazione di un movimento di popoli da ovest ad est e di uno da est ad ovest; esse sono le procellarie, che preannunziano le due poderose tempeste, che un giorno dovranno rumoreggiare sulla Cina; Puh ciuh e Vi sono difatti fra gli antenati dei Ciou e un tardo nipote dei principi di Sciang è quel Li, che infranse la fradicia casa degli Hsia e sotto il nome di Céng Tang ha fondato la dinastia Schang ....

con l'avvento della quale giungiamo all'inizio
dell'epoca antica della Cina.

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