-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

67. LO STATO BUROCRATICO - (645-1185)


Una dettagliatissima cartella delle tasse sulle famiglie (vedi poi spiegazione nel successivo capitolo)

 

La prima trasformazione dello Stato gentilizio in Stato burocratico
(645-701)

Erano trascorsi quattro decenni dal tentativo infruttuoso del principe Shotoku di rafforzare la rilassata società gentilizia del popolo giapponese per mezzo di un editto, riducendola ad uno Stato con governo accentrato sotto un imperatore, che disponesse di un effettivo e pieno potere sovrano.
L'ultimo mezzo secolo con la crescente influenza della civiltà continentale, che penetrava intensamente sempre di più nella popolazione, non aveva mancato di esercitare un'azione dissolvente sulla solidità di quella associazione patriarcale di famiglie.

D'altra parte alla più ragguardevole tra queste, affezionata specialmente appunto ai nuovi progressi della cultura cinese e alla dottrina straniera dello splendido culto buddistico, alla famiglia dei Soga, che per mezzo dell'O-omi stava a capo della nobiltà degli Omi, era riuscito in questo periodo a conseguire una potenza politica, che non solo sorpassava e minacciava tutte le altre famiglie ad essa unita, ma poteva significare un serio pericolo per la stessa dinastia, più volte imparentata con essa. I capi di quella, fossero imperatrici o imperatori, non erano ormai molto più che docili strumenti nella mano degli O-omi.
Per conservare durevolmente una potenza politica, che provocava tante gelosie, sarebbe però occorsa in misura notevole una moderazione speciale e una chiaroveggenza da patrioti e da statisti. Invece nulla di simile si vedeva all'orizzonte, solo l'ultimo rappresentante di quella casa, il giovane e vivace Iruka. Questi si dimostrò ancora piú ambizioso e violento, ma meno accorto di suo padre, l' O-omi Yemisci, che pieno di fiducia gli aveva dato in mano le redini del governo.
Nel figlio del benemerito principe Shotoku, le cui pretese alla dignità imperiale erano state rese vane dall'influenza dell' O-omi, Iruka vide un pericolo minaccioso per la potenza della sua casata.
Certamente anche a causa della virtù buddistica che il principe praticava appassionatamente, seguendo l'esempio paterno, il rampollo di Shotoku era tenuto in grande considerazione e non si poteva rinfacciargli alcun errore.

Questo non impedì che Iruka finisse col non arretrarsi nemmeno davanti all'uso di una brutale violenza centro di lui. Il principe riush tuttavia riuscì a mettersi in salvo coi suoi nelle montagne dopo che la sua casa era stata assediata dalle truppe d'Iruka e data alle fiamme.
Quando i nemici finirono col rintracciarlo, per evitare una guerra civile, che forse avrebbe portato a lui la vittoria, ma certamente la desolazione al suo paese, preferì con un gesto drammatico separarsi volontariamente con tutti i suoi congiunti da questa vita terrena, quale vittima nobile di una rinuncia patriottica e buddistica al mondo (anno 643).

Era stata quasi dimenticata o perfino perdonata l'uccisione impunita di un imperatore, commessa mezzo secolo prima (592) da un O-omi dei Soga a danno del suo nipote Segiun - forse perchè quello era stato un atto politico di pura difesa; - invece questo nuovo scellerato misfatto dei Soga, compiuto su tutta la discendenza del gran principe Shotoku; non erano stati barbaramente assassinati ma solo istigati al suicidio collettivo, ma era evidente che nel darsi la norte questo era stato un vero e proprio eroico sacrificio, e doveva presto essere punito col sangue.

Fu infatti questo misfatto che diede l'ultima immediata spinta ad una congiura, il cui fine era la distruzione violenta della famiglia dell' O omi, divenuta così pericolosa per tutti gli altri grandi dell'impero.

Fin dall'inizio i congiurati avevano molta speranza di vittoria, in quanto (per tacere delle considerazioni morali di una giusta punizione) nei loro capi vi era oltre che una grande autorità ed influenza, derivante dalla stirpe, una grande intelligenza e perspicacia.

Accanto al giovane principe ereditario Naka no Ohine - nel cui luogo alla morte del padre, l'imperatore Giomei, aveva ottenuto la dignità imperiale la madre Koghioku, un semplice strumento dell'O-omi - si trovava un uomo come KAMATARI (o Kamako), capo supremo dei Nakatomi, importante e illustre famiglia sacerdotale dello Scinto, il quale insieme a un personaggio appartenente ad un ramo laterale dei Sega stava a capo della congiura.

È ora inutile il tardo sdegno del vecchio O-omi Yemisci per questo drammatico misfatto del suo sconsiderato figlio; invano egli è seriamente inquieto per la potenza dei Soga, faticosamente edificata da lui e dai suoi padri.
Nel corso di un solenne ricevimento dell'ambasciata coreana presso l'imperatrice, durante la lettura del messaggio di benvenuto, ad un dato segnale, i congiurati assalgono proditoriamente Iruka, spinto un'istante prima con un'astuzia a deporre la spada. Colpito, grondante sangue da alcune ferite, Iruka rotola verso il vicino seggio dell'imperatrice, afferma solennemente la propria innocenza e chiede la ragione di tanto odio. La principessa spaventata si volge al principe Naka no Ohine, il quale dichiara alla madre che Iruka vuole rovesciare lo Stato e distruggere la dinastia imperiale.

L'imperatrice si ritira inorridita, mentre Iruka è finito dai congiurati. Nella lotta che ora incomincia tra il partito dei principi e l'O-omi Yemisci, le truppe di quest'ultimo, prevedendo la sua sicura rovina, lo abbandonano. La sua casa fortificata, con dentro tutti i suoi tesori, è assediata. ma egli appicca il fuoco e vi trova la morte. L'imperatrice abdica a favore di un suo fratello più giovane, chiamato Kotoku; a successore viene di nuovo eletto suo figlio già capo della congiura; l'ufficio così importante di O-omi cessa di esistere (645).

Col tramonto drammatico della famiglia dell'O-omi, spogliata così improvvisamente del potere e della stessa vita, non solo fu per sempre abolita la sua carica, ma l'edificio già scosso dello Stato gentilizio si sfasciò interamente. I congiurati avevano già abbastanza riconosciuto con amarezza che in avvenire si dovrebbe evitare che una qualsiasi delle grandi famiglie s'innalzasse molto al disopra delle altre, se non si voleva venire sempre di nuovo a simili episodi sanguinosi.
Né i due capi della congiura, che ora dominavano il nuovo imperatore e che, con studi in comune si erano occupati a fondo della civiltà cinese, potevano scorgere altrove il modello per un miglioramento se non nell'antichissimo Impero di Mezzo, formatosi e sviluppatosi sul vicino continente in modo del tutto diverso da quello giapponese; il cinese allora nella ancor giovane dinastia dei Tang aveva portato alla massima floridezza l'impero con il famoso «Stato burocratico», modello dell'arte politica, che tutti i popoli vicini ammiravano con riverenza e si sforzavano d'emulare.

Per mezzo di una serie di editti imperiali si compie ora una grande rivoluzione, che sconvolge profondamente le condizioni della vita di tutte le classi e specialmente di quelle dominanti. Questa rivoluzione venuta dall'alto, questa crisi di grande importanza nella storia dell'impero insulare e certo non meno rilevante del rinascimento nazionale, avvenuto dodici secoli piú tardi sotto l'imperatore Mutsuhito, è indicata come la «Riforma Taikua». Essa porta questo nome appropriato di «Taikua», cioè «la grande trasformazione», da quello del primo «Nengo» introdotto allora, seguendo l'esempio della Cina, quale designazione di un anno di durata indeterminata, la cui istituzione ancora oggi passa nell'Asia orientale per un segno esteriore della sovranità politica.

Se le ordinanze, talora discretamente ampie, a noi tramandate nel Nihonghi, composto solo poche generazioni più tardi, derivano dagli anni 645-649, corrispondenti al Nengo Taikua, le innovazioni e la loro attuazione naturalmente non finiscono minimamente con essi, ma si estendono ancora almeno a tutto il successivo mezzo secolo, che quindi in senso pìù ampio si suol chiamare anche il periodo Taikua.

A prescindere dalla situazione del principe ereditario, che di fatto se non in teoria aveva la funzione di reggente, furono creati all'inizio tre supremi uffici di governo; l'«Udaigin», il «Sadaigin» e il «Naigin».
Questi titoli, nell'ordine corrispondente al loro grado, si possono tradurre con cancelliere a destra, a sinistra e dell'interno. Il nome dell'ultimo ufficio, che per il primo rivestì Kamatari, l'accorto consigliere dei congiurati, alla sua morte (669) fu mutato in quello di Daigiodaigin, che forse equivale a gran cancelliere.

Gli uffici di Daigiodaigin, di Sadaigin e di Udaigin, che si sogliono comprendere sotto il nome di «Sanko», cioè i tre cancellieri, hanno continuato ad esistere, anche se ridotti a puri titoli onorifici fino al rinnovamento del Giappone sotto Mutsuhito.
Essi erano i dignitari supremi e i consiglieri che stavano più vicini al sovrano; la loro influenza abbracciava la direzione del governo in genere e in tutti i singoli campi, senza che ciascuno di loro sovrintendesse a un ramo determinato degli affari dello Stato.
Alquanto più tardi dei tre cancellieri fu istituito un gruppo pure questo di tre consiglieri di grado immediatamente inferiore ad essi, i «Nagon», distinti in Dainagon, Cinnagon e Scionagon (grande, medio e piccolo consigliere).
Le loro attribuzioni consistevano nell'assistere i tre cancellieri, insieme ai quali formavano il Daigiokuan o il Consiglio di Stato, i cui posti non erano sempre del tutto occupati.

Per il disbrigo dell'azione governativa propriamente detta furono poi istituite otto autorità chiamate gli Sciò, il cui significato si avvicina al concetto di ministro di un dicastero. Soltanto in parte corrispondono al modello della dinastia cinese dei Tang. Come però anche nella Cina, le attribuzioni dei singoli sciò non sono appunto delimitate fra loro nettamente e con metodo, ed anche le migliori fonti nella loro interpretazione presentano parecchie differenze e contraddizioni sorprendenti.
La ripartizione fra gli otto "sciò" dei doveri essenziali di governo può essere in breve caratterizzata circa come segue: 1° Nakatsukasa: amministrazione centrale e sorveglianza sugli altri sciò ; 2.° Scioikibu sciò: affari interni e istruzione; 3.° Gibu-sciò: riti e culto; 4° Mimbu sciò: demografia, distribuzione delle terre; 5.° Hyobu sciò: esercito; 6.° Ghiobu-sciò: giustizia; 7.° Okura sciò: finanze, e inoltre mestieri, commercio e traffico; 8.° Kunai sciò: casa imperiale.

Ogni sciò aveva una sezione generale, costituita dal ministro (Kio), da un primo (Tayu) e da un secondo vice-ministro (Scioyu), come da tre a otto segretari, oltre gl'impiegati subalterni. I cento « Kuan », a cui si affidavano incombenze contemporaneamente come agli otto sciò, non rappresentano naturalmente un numero determinato, ma soltanto la molteplicità delle suddivisioni esistenti nei singoli sciò in vario numero e con diversa organizzazione.

Inoltre vi era ancora un'autorità autonoma di ordine spirituale, il « Ginghikuan », l'ufficio religioso, al quale erano sottoposti tutti gli affari del culto dello Scinto, al contrario della dottrina straniera, cioè del buddismo, subordinato al Gibu sciò. Si è soliti porre questo kuan a fianco dell'altro, cioè del « Daigiokuan » o Consiglio di Stato, ed anzi si pretende che fosse anche superiore di grado a questo ultimo. Questa opinione, sorta soltanto più tardi col ridestarsi delle aspirazioni nazionali-scintoistiche, corrisponde però poco ai fatti reali. Poiché i membri del « Daigiokuan » erano quelli che realmente dirigevano gli affari dell'impero e che rivestivano le dignità supreme; non così invece quelli dei Ginghikuan.
Questo del resto non era stato istituito con la riforma Taikua, ma esisteva ancora prima. Appunto per queste autorità, vincolate nel modo più stretto al culto della dinastia imperiale e delle sue divinità avite, non potevano naturalmente dare alcun modello le nuove istituzioni politiche della Cina, la quale aveva già subìto cambiamenti così numerosi di dinastia.

Nell'istituire o rinnovare l'amministrazione provinciale, la quale fino allora esisteva al massimo solo in modesti interventi, il pensiero che guidò la riforma fu di sostituire in tutti i territori dell'impero ai Kuni no Miyakko e ai capi degli Ugi, assai dispotici e difficili a sorvegliare, una burocrazia diretta dal governo centrale, discretamente limitata e dipendente nelle sue attribuzioni, che fosse subordinata allo Scikibu.

In sostanza all'inizio si dovette naturalmente affidare ai personaggi, che fino allora stavano a capo dei gruppi gentilizi, la direzione dei nuovi corpi di funzionari, sia pure con un nuovo titolo, perché non vi erano altre persone adatte a ricoprire certi incarichi. Così si spiega che innovazioni così profonde incontrarono appena una seria resistenza.
A capo delle province (« Kuni » o « Koku ») stavano dei governatori, più tardi chiamati usualmente « Kokusciu » ; il funzionario secondo di grado si chiamava « Suke » (= vice). Lo seguiva una serie di impiegati amministrativi (Maisurigoto bito » o « Hanguan »), come di « Fumibito », gli uomini del pennello o esperti nella scrittura, una specie di sottosegretari.
Una simile gerarchia di funzionari era pure nei « Kori » o circondari, in cui era divisa una provincia.

Una distinzione importante per l'ammninistrazione e per le finanze fu fatta sull'esempio della Cina fra il « Kinai » o le « province interne » (Yamasciro, Yamato, Kauaci, lzumi e Settsu), tra il territorio situato intorno alla capitale e tutte le altre sue parti comprese sotto il nome di « province esterne ». Fu inoltre adottata la ripartizione in gruppi principali chiamati « Do» (in cinese « Tao »), già introdotta nel 627 nella Cina; i Do comprendevano serie di province limitrofe e differivano per il numero e l'estensione di queste, ma non costituivano come esse delle vere unità amministrative. Oltre il Vinai si distinsero sette Do (otto più tardi con Yezo, vedi cartina all'inizio del cap. 64).

Certamente in nessun campo dell'amministrazione il passaggio dallo Stato gentilizio a quello burocratico doveva provocare sconvolgimenti maggiori che nel riordinamento delle entrate dello Stato e delle contribuzioni da imporre necessariamente alla popolazione. Sta poi in intimo rapporto con questo la ripartizione ufficiale delle terre fertili, con i prodotti delle quali si doveva in sostanza provvedere alle spese per l'amministrazione pubblica.

Se nello Stato gentilizio le terre con i servi, che le coltivavano, erano state una proprietà ereditaria dei singoli ugi, gli editti della riforma Taikua, almeno in teoria, stabilivano un diritto generale di proprietà spettante all'imperatore.
Le singole disposizioni, a dire il vero, si potevano difficilmente porre ad effetto tutte e subito. Però, siccome il governo domestico del sovrano e lo Stato coincidevano, si sarebbe in fondo trattato addirittura della statalizzazione di tutti i mezzi di produzione, che in sostanza consistevano soltanto nella proprietà fondiaria e nella capacità di lavoro.

Fu di grande importanza per facilitare la soluzione del difficile problema che fino dall'inizio il nuovo governo centrale disponesse dei possedimenti fondiari e della gente, che dipendeva dalla casa imperiale; quei possedimenti poi negli ultimi secoli dello Stato gentilizio erano stati notevolmente e con molta chiaroveggenza accresciuti in seguito all'aumento dei «Miyake» e dei «Be» ("casta bassa" che abbiamo descritto in altre pagine), come anche per l'estendersi delle marche di confine a settentrione e ad oriente; così erano probabilmente più che sufficienti agli scopi della distribuzione generale delle terre.

Un editto del 649 ordinò espressamente che si facesse un censimento della popolazione («koseki» o liste familiari), un censimento per le imposte e un sistema di divisione e di nuove concessioni di lotti di terre (sistema «Handen»). Poiché il Nihonghi riferisce che nell'anno 652 era già compiuta la distribuzione dei campi di riso, in questo medesimo anno fu per la prima volta condotta a termine la disposizione legislativa nota sotto il nome di sistema «Hayden».

La divisione delle terre avvenne non come presso di noi secondo un'unità di superficie quadrata, ma come in Cina secondo un rettangolo che sì prende come unità di superficie: questo «Vida» o «Tan» giapponese corrispondeva allora a circa 810 mq. Il Nihonghi però sfortunatamente non dice quanti di questi «tan» ricevesse ogni uomo.
Più tardi ad ogni maschio sopra i cinque anni toccò una porzione di 2 tan, chiamata «kubun-den» ossia «tanto a testa» e ad ogni femmina 1 tan e mezzo. Le nuove distribuzioni, che erano all'inizio alquanto irregolari, si fecero più tardi ogni sei anni molto più precise. Appare degno di nota che il «kubun den» non era accordato al «ko» o alla casa, la quale per il resto stava a base di tutta la nuova costituzione dello Stato, come minima unità familiare, ma alle singole persone rappresentate dal capo della casa.
È questa una disposizione concordante col modello cinese e con la distribuzione dell'imposta, nella quale l'individuo forma eccezionalmente il soggetto giuridico invece della famiglia.

Accanto al sistema «Handen», della distribuzione uniforme delle terre, e in contrasto con esso stanno altre forme di proprietà fondiaria, costituenti dei privilegi. Tali sono il «Koden» o terra concessa per merito, che era accordata dall'imperatore o per sempre o per tre (o meno) generazioni, quale ricompensa per meriti speciali, lo «Scikibun-deu» (o Sciokubun-den accordato al funzionario per la durata del suo servizio e l'« Men » concesso ai principi e ai funzionari in base alla loro dignità e commisurata al loro grado.

In modo corrispondente al grado raggiunto allora dall'economia, ancora puramente naturale, il carico delle imposte era limitato soltanto ai prodotti grezzi, a quelli dei mestieri e poi alla capacità di lavoro, ossia alle prestazioni di servizi («l'o» = corvées). Il primo gruppo sì divide in due parti, cioè in «So», ossia prodotto delle risaie, che era il prodotto di gran lunga più importante di tutta l'economia pubblica in genere, l'imposta di riso da fornirsi in natura, e poi in «Cio», vale a dire gabelle su prodotti naturali o artigianali di vario genere. L'imposta sul riso poteva al più formare il 3 o il 3 e mezzo per cento della rendita.

Per l'imposta «Ciò», risultante da varie gabelle, dovevano considerarsi come oggetti imponibili : 1° il fondo coltivato a riso, ricevuto nella distribuzione delle terre; 2° le minime unità economiche, famiglie o case, «ko»; 3° le singole persone.
Per il fondo coltivato a riso, secondo gli altri prodotti di quel territorio, si dovevano pagare quantità determinate di seta greggia o tessuta ed altre cose meno importanti. Sul «ko» gravava un'intera serie di «ciò» differenti, come stoffe e alcuni articoli secondari variamente indicati, comprendenti probabilmente il sale ed altre sostanze alimentari, inoltre cavalli, come pure per ogni 100 «ko» il mantenimento di una «uneme» e della sua servitù; erano queste le donne che avevano un impiego nel governo della casa imperiale.
Il terzo gruppo dei «ciò», che doveva essere provveduto da ogni individuo, consisteva in armi e in altri attrezzi militari.

Per quanto riguarda finalmente le prestazioni di servizi o «yò», nel 646 fu stabilito che ogni 50 «ko» dovessero fornire un uomo col suo mantenimento, carico da cui i «ko» potevano essere svincolati con una quantità determinata di stoffa e di riso.
Fu anche introdotto una specie di servizio militare comune a tutti, quale esisteva in Cina sotto la dinastia Tang. Secondo un editto del 689 un quarto della popolazione maschile idonea doveva prestar servizio nell'esercito; ma probabilmente la leva non fu fatta con regolarità, ma soltanto secondo le necessità di avere o non avere truppe disponibili.

Sarebbe stata cosa sorprendente se tutte queste profonde innovazioni così nella vita pubblica come in quella privata si fossero compiute senza resistenze. In realtà la quiete pubblica fu turbata più volte da un certo numero di sollevazioni, represse tuttavia per lo più facilmente.
La successione al trono, che riposava per lo più sulla nomina di un principe ereditario, mentre viveva ancora l'imperatore regnante, nella riforma Taikua era rimasta, come in Cina, senza norme fisse.
Se quindi in queste sollevazioni, a capo delle quali stavano dei principi imperiali, si trattava innanzi tutto di una contesa tra questi per conseguire la dignità imperiale, è però ovvio che i sollevati, per avere il partito necessario per i loro piani destabilizzanti, potevano contare soltanto sugli avversari malcontenti di qualche innovazione governativa; perciò nelle frequenti agitazioni per il potere supremo trovava un'espressione anche il malcontento di singole classi per le riforme avvenute. E come sappiamo le innovazioni colpiscono sempre una piccola minoranza, e queste si agitano.

Una volta la contesa per la dignità imperiale prese la forma di una vera e seria guerra di successione, nella quale, secondo le cifre certo esagerate date dal Nihonghi, stettero di fronte da ambo i lati varie decine di migliaia di combattenti (anno 673, vittoria di Temmu sopra Kobun).

Se noi ci domandiamo quali siano stati gli uomini dirigenti e le energie motrici di quella grande epoca di transizione, vediamo che l'imperatore Kotoku, il primo dopo la riforma Taikua (645-655), rappresenta ad ogni modo soltanto una modesta parte secondaria e piuttosto passiva che si attiva al fianco del principe ereditario; questi era animato da uno spirito intraprendente e senza riguardi in tutti quegli editti, che con le loro innovazioni profonde e con i loro progressi fanno appunto dei dieci anni del suo regno una delle più importanti pietre miliari di tutta la storia giapponese.

Contro ogni aspettativa il principe ereditario alla morte di Kotoku non assume ancora personalmente la dignità imperiale, ma ne investe la madre, la precedente imperatrice Saimei (prima chiamata Koghioku), che dalla sua rinunzia nell'anno 645 era rimasta politicamente del tutto nell'ombra; essa però è soltanto uno strumento del principe ereditario suo figlio, che regna di fatto.

Soltanto alla sua morte (661) il governo finalmente passa al principe già attempato, che tuttavia fino a quel momento ne era stato il vero capo e la cui eminente personalità continua a vivere nella storia giapponese sotto il nome imperiale postumo di «Tengi».
Dopo che ebbe regnato soli dieci anni sotto il proprio nome, la morte lo attende dopo una carriera vittoriosa e politicamente feconda, per quanto breve. Aveva soltanto 46 anni, eppure quali profondi mutamenti ha comportato questo breve spazio di tempo per il suo impero, che già aspira a maggiore prosperità !

Il suo nome è legato indissolubilmente per sempre a quei progressi, che si indicano nella riforma Taikua e furono la base del rapido passaggio del Giappone da una specie di semicultura prevalentemente militare ad un grado discretamente elevato di civiltà.
Come gravi macchie del carattere di quel grande politico pratico si presentano, a dire il vero, le oscure macchinazioni per togliere di mezzo possibili rivali, inoltre reprimeva senza scrupoli le varie sollevazioni.

Due anni soltanto Tengi era sopravvissuto al suo gran cancelliere Kamatari, morto appena cinquantenne, che al suo fianco era stato il personaggio più benemerito nell'intero movimento Taikua. Per l'attraente tesi di mettere in luce il modo e la misura della sua azione personale nei vari campi di tutte le innovazioni introdotte, mancano disgraziatamente nelle fonti le necessarie basi di fatto.
In nessun luogo purtroppo si offre in forma palpabile quale parte egli rappresentasse personalmente nella proposta e nell'attuazione delle nuove istituzioni, chiamate in vita durante non meno di un quarto di secolo, nè quanto esattamente durò il suo cancellierato.
Rimane del tutto oscuro se nei reciproci rapporti si debba ricercare se dall'uno o dall'altro lato ci fu un'influenza prevalente, tra il principe riformatore, poco scrupoloso (ma del resto quando cominciò l'era Taikua lui era un giovane di venti anni) e il capo dei Nakatomi, appena più anziano di dieci anni, ma certo già più ricco di saggezza e di esperienza.

Molte ed altissime dimostrazioni di onore furono conferite al cancelliere dal suo sovrano. Di durevole importanza, sebbene propriamente soltanto formale, fu la concessione del nome di famiglia «Fugi uara», cioè campo delle glicinie, dal luogo di dimora del cancelliere. Infatti nella storia del Giappone egli continua a vivere, per poi tacere della sua opera di statista, come il fondatore di quella potente famiglia dei Fugi-uara, continuamente imparentata con la casa imperiale, di cui presto sarà tutrice, e destinata nei suoi vari rami a dare nel corso dei prossimi secoli all'impero una serie quasi illimitata di benemeriti statisti, di storici, come di altri dotti e di artisti; oltre a dare agli imperatori fino all'epoca moderna le proprio consorti.

Nella storia del secolo VII, così importante per il successivo sviluppo del Giappone, presso Tengi spicca luminosamente la figura di suo fratello e successore Temmu (683-686), segnalato per chiaroveggenza e per saggezza.
Il suo buon governo continua e consolida i progressi avviati e attuati da Tengi, che egli poté estendere a campi sempre più vasti con numerosi editti, appunto come ai tempi della Taikua.

Sulla stessa via, ormai assicurata per il futuro, procede il governo della vedova, che a lui succedette, dell'imperatrice Gito (687697, morta 703). Quando essa abdicò in favore di suo nipote Mommu, la successione al trono avvenne questa volta senza che la pace pubblica fosse turbata, sebbene le redini del potere imperiale scivolassero nelle mani inesperte di un ragazzo quattordicenne.

Non solo non fu turbata,
ma diede inizio a un periodo di grande prosperità materiale e culturale

LA PROSPERITA' DELLO STATO BUROCRATICO - NARA (701-794) > >

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