-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

121. LA RIFORMA IN ALTRI PAESI OCCIDENTALI - ENRICO VIII - CALVINO


I tre protagonisti: CARLO V - ENRICO VIII - CALVINO

La vera e propria piena rottura, irrimediabile, fra i cattolici e i luterani era avvenuta quando i principi e le città luterane avevano formato una lega religiosa e politica nel luogo dove si incontrarono e dove il "conciliabolo" si aprì e si concluse, a Smalcalda il 22-23 dicembre 1530. Era questa una lega varata per tenere testa alle minacce pronunciate da Carlo V.
L'imperatore dopo l'incoronazione a Bologna, fatta dall'ex nemico Papa Gregorio VII, pensava di aver allontanato ogni contrasto con il papa in Italia, in Germania con i cattolici e i luterani, e di aver raggiunto il colmo della potenza; aveva così concepito il sogno di trasformare con questa potenza il suo impero in una grande signoria, per cui tutta l'Europa avrebbe dovuto essere soggetta, organizzata in un solo e vasto Stato: lo Stato imperiale, e dominare su tutto e su tutti, solo lui il grande monarca universale con l'aiuto della retta fede. Da uomo accorto, Carlo considerò fondamentale il tentativo di unificazione politico-religioso del suo impero, sentendosi ormai signore politico e morale dell'intero mondo cristiano. 

Ma la costituzione della lega smalcaldica rompeva l'unità della Confederazione germanica, e dava alla nuova setta religiosa un potenziale impero politico. Di questo ne approfittò subito Francesco I di Francia, che aspirava a prendere la rivincita dalle umiliazioni dei trattati imposti da Carlo V; onde, contro i patti di Cambrai, si unì alla lega. E contemporaneamente - il re così tanto cristiano - strinse alleanza col grande imperatore degli Ottomani, Solimano II, che aveva di recente conquistato Rodi, invaso l'Ungheria e messo sotto assedio Vienna , fu sollecitato da Francesco I, ad invadere, con rinnovate forze, la Germania.

All'imminente, gravissimo pericolo, Carlo V, riprese ancora una volta a ricomporre l'unità dei suoi Stati, e sospese da ogni effetto gli editti religiosi contro i Luterani, pubblicando quindi la pacificazione di Norimberga, per cui tutte le questioni religiose venivano rinviate ad un futuro concilio generale, ed anche la Camera imperiale veniva ricomposta con principi cattolici e luterani. Queste concessioni, che erano un riconoscimento della potenza guadagnata dal luteranesimo, senza rinuncia alle alleanze ultimamente contratte, valsero a soddisfare i Luterani, che accorsero ad ingrossare le fila dell'esercito imperiale, intento a respingere i Turchi (1532); e tali concessioni si rinnovarono, in condizioni simili, due anni più tardi, quando, nel 1534, Carlo V condusse la guerra contro il pirata Arudi Barbarossa, che si era impadronito di Tunisi e di Algeri, e infestava il Mediterraneo.
Anche allora Carlo V bandì la seconda pace di Norimberga (1534), ed ebbe larghi aiuti dai principi e dalle città protestanti.

Nel 1532, pochi giorni dopo la pace di Norimberga, per cui l'imperatore Carlo V doveva ancora protrarre il suo sogno di dominazione universale, moriva l'Elettore di Sassonia, Giovanni, che era stato protettore di Lutero, e a cui quest'ultimo era legato da profonda gratitudine e da viva amicizia. Dall'Elettore Giovanni, Lutero aveva avuto da ultimo la donazione del convento, in cui aveva ormai posto fissa dimora. A Giovanni succedeva il figlio Gian Federico pure a Lutero legato da profonda amicizia.

Ma ormai volgevano gli anni di decadenza per l'attività dell'innovatore. La malattia generale, che già si era determinata, gli dava disturbi frequenti e perturbazioni. Lo spirito robusto, che, durante tutta la vita, era stato dominato da un desiderio irrefrenabile di azione, che gli aveva consentito di essere combattente dalla fibra d'acciaio, oratore indomitamente violento, ora incominciava ad essere fiaccato. Più volte, come si disse, fin da giovane, era stato preso da allucinazioni visive e auditive.
Fin dal 1505, egli narrò, era stata una voce imperiosa che gli aveva imposto di ritirarsi in convento, e da allora le allucinazioni auditive erano diventate più frequenti.

Nel suo viaggio a Roma (1511), dopo aver dormito a finestre aperte in una notte fredda, era stato preso da cefalea, da vertigine, perdita dell'udito da un orecchio, e aveva sentito distintamente, come pronunciata da una forza invisibile, la massima di S. Paolo: «Il giusto vivrà per la fede», la massima che aveva trascinato per il mondo, in perpetuo movimento senza pace, il grande apostolo cristiano.
E ancora in Roma, mentre saliva la Scala Santa, gli era sembrato di udire «una voce quasi di tuono» che gli ripeteva: «Il giusto vivrà per la fede». Era stato preso, fin da allora, da profonda agitazione; quella voce gli era continuamente nel cervello, ed era diventata un tormento implacabile.
Erano questi i segni precoci della malattia, che doveva poi colpirlo. I disturbi della circolazione si erano fatti più gravi; i periodi di malattia erano più frequenti.

E invece proprio allora gli era richiesta, dopo i trionfi di Augusta e di Norimberga, l'attività più infaticabile. Da ogni parte e da ogni ceto di persone a lui si faceva capo, si invocava il suo intervento nelle maggiori difficoltà della vita. Il vizio fondamentale delle dottrine da lui predicate, e cioè la facilità con cui era possibile ad ogni dialettico o ad ogni novatore di creare nuove dottrine e di formare nuovi seguaci, distruggendo, in moto sempiterno, la tela della dottrina e della fede, si rivelava fin d'allora in tutta la sua gravità. Lutero doveva, con l'autorità del suo nome e della sua parola, correre ai ripari, frenare gli esaltati, rincuorare i timidi, mantenere la dottrina in una disciplina possibile.

Ora è un parroco in discordia con la sua comunità che si lagna del suo predicatore, un esaltato che vuole sfoderare una nuova dottrina; un nobile che usurpa una proprietà della parrocchia; una città che vuole secolarizzare i suoi chiostri; un signore che formula nuove regole per la disciplina ecclesiastica. Tutti si rivolgevano per aiuto e per consiglio a Martin Lutero; tutta la disciplina difficile della nuova fede era fondata sull'attività, sull'autorità, sull'intervento personale di Martin Lutero.

Per mettere pace a tante discordie, Martin si rivolgeva al suo principe Enrico V, con frequenti richiami; tanto che quest' ultimo dovette un giorno avvertirlo che egli non aveva tempo di occuparsi di simili grane. Intanto la sua casa era divenuta un ospizio, di pensionanti, di visitatori, di postulanti, al punto che, nei giorni di domenica, egli praticava uno speciale servizio divino con prediche, che da qualche assiduo furono poi raccolte e formarono il testo anche oggi noto col titolo di Hauspostille.

Questa attività, richiesta ad un organismo già logoro, doveva rapidamente vincere la robusta fibra di Enrico V. Pare che, per sostenersi, negli ultimi anni della sua vita, egli si abbandonasse a frequenti libazioni. Certo, nel 1540, in un periodo di lontananza dalla sua dimora, egli scriveva a sua moglie: «Qui tutto va molto bene: io mangio come un boemo e bevo come un tedesco», ed aggiunge: «Non voglio che alcuno gareggi con me nel trincare ».
La fibra doveva, per necessità, infiacchirsi, e i disturbi fisici dovevano farsi più gravi.

Ma intanto gli avvenimenti aiutavano lo sviluppo delle sue dottrine. L'imperatore aveva spodestato il duca Ulrico di Wurtemberg, e aveva infeudato lo Stato al proprio fratello Ferdinando; obbligando il figliolo del principe spodestato a vivere al suo seguito. Ma il giovane principe era riuscito a fuggire, aveva ricuperato il dominio di suo padre, con l'aiuto del Langravio Filippo d'Assia; e tutto questo aveva avuto per conseguenza il passaggio di tutto quello Stato al luteranesimo (1534).

Fin dal 1533, era stato dato in Bologna, dall'imperatore Carlo V e dal pontefice Clemente VII, allora uniti in lega, l'annuncio della convocazione di un concilio, cui più volte si era accennato, per mettere pace alla controversia religiosa e per dare unità alla società cristiana. Ma, poco dopo, si era visto che il papa aveva combinato il matrimonio della sua nipote Caterina de' Medici col secondogenito del re di Francia, e questo avvenimento aveva subito infastidito e fatto rompere la buona intesa fra l'imperatore ed il papa.

In conseguenza, vi era stata una nuova conferma della pace di Norimberga, e gli alleati della lega smalcaldica avevano avuto un nuovo trionfo e guadagnato un nuovo prestigio.
Frattanto le voci insistenti della possibilità di un concilio avevano indotto anche i seguaci di Lutero a prendere in considerazione la possibilità di questo evento e l'opportunità di parteciparvi. Lutero, questa volta, si era dimostrato favorevole all'intervento, a condizione che i propri adepti vi partecipassero con un programma preciso, da cui non si dovesse assolutamente divergere. Quindi, per incarico dell'Elettore di Sassonia, aveva redatto gli articoli di fede da presentarsi al concilio, e che avrebbero dovuto essere preventivamente discussi dai collegati in Smalcalda.

Questa professione di fede reca evidenti i segni dello spirito di Lutero. Essa incomincia con una invocazione dell'aiuto di Cristo, protestando che nulla vi era da sperare dal papa e dai papisti. Fissa quindi i principi fondamentali della fede cristiana, secondo la sua concezione, ma in certi punti non troppo divergenti dalla fede cattolica, e delinea il principio della sua dottrina, lontana da ogni altra, per cui, " senza nostro merito, senza le opere, ma soltanto grazie alla fede nella redenzione di Cristo, possiamo trovare una giustificazione ed una salvezza terrena e ultra terrena". - "Da questo articolo, aggiunge, non si può assolutamente prescindere, ne andasse anche di mezzo cielo e terra. Questo è il fondamento d'ogni nostra dottrina contro il papa, il diavolo e il mondo».

In seguito, la professione di fede attacca la messa, la massima tra le idolatrie papiste, da cui vede promossa tutta la teoria dei santi, delle reliquie, dei pellegrinaggi, del purgatorio e d'ogni altra invenzione papale. Quanto al papa, esso non è capo della cristianità jure divino. Esso non è altro che il vescovo di Roma. Ridotto a queste proporzioni, è una istituzione antiquata; montato su false sublimità, il papa non è che l'anticristo, di cui parla Paolo nell'epistola ai Tessalonicesi.

Vengono finalmente gli articoli sul peccato, sulla legge, sul pentimento, sul Vangelo, sui sacramenti, sulla confessione, sull'ordinazione dei sacerdoti, sulla chiesa, sulle buone opere, sui voti monastici.
Conclude dichiarando che questi, e questi soli, sono gli articoli della vera fede; onde nulla può esserne cambiato. "E se qualcuno crede di poterlo fare, agisca pure come la coscienza gli detta ma, con questo, egli si allontana dalla vera fede".

Per l'approvazione di questi articoli di fede, i collegati si erano riuniti ancora in Smalcalda. Vi si era recato anche Lutero; e fu in questa occasione che fu preso più gravemente dai suoi disturbi fisici, complicati, da come pare, da calcoli vescicali. Lutero ebbe timore anzi di dover morire, onde fu trasportato a Gotha, dove si sarebbe trovato più prossimo ai suoi cari e dove avrebbe potuto essere più diligentemente curato da medici esperti. Dopo varie vicende, ottenne la guarigione.

I collegati, intanto, che a Smalcalda avevano vista precisata e confermata la loro dottrina, trassero argomento di fiducia in se stessi, e non esitarono a dichiarare che non sarebbero intervenuti al concilio, poiché si diceva che questo sarebbe stato convocato per distruggere l'eresia luterana.

La dottrina di Lutero seguitava a fare nuovi progressi, ed essa poteva guardare con una certa tranquillità all'avvenire.
Intanto la Riforma, che aveva già invaso sei cantoni svizzeri, si estendeva in Svezia e in Danimarca, prendeva nuove fortune nella Svizzera, invadeva l'Inghilterra e la Francia, e trovava qualche ripercussione anche in Italia.

La Svezia era da due secoli sotto il dominio della Danimarca, quando queste novità religiose dettero il pretesto ai nobili di agitarsi contro il re danese, che era cattolico. L'agitazione fu guidata da un nobile svedese, valoroso guerriero e abile politico, Gustavo Wasa, il quale, vantando anche antichi diritti al trono, divenne il campione dell'indipendenza e della nuova religione.
Il popolo lo acclamò sovrano (1523); le milizie danesi furono cacciate, e si formò così un nuovo regno in Europa, il quale iniziò il suo cammino glorioso.

Questi fatti portavano ripercussioni anche nella Danimarca, ove le idee riformiste cominciarono a insinuarsi con discreto successo

Quanto all'Inghilterra, dove la Riforma ebbe facile fortuna e vicende secolari, per effetto principalmente della volontà dispotica di un sovrano impetuoso e crudele, bisogna tuttavia riconoscere che tale trasformazione religiosa trovava un terreno favorevole.
Proprio alla fine del medio evo, con l'attività dedicata alla vita marinara e ai traffici, si era venuto formando, accanto alla vecchia nobiltà feudale, una borghesia e una nobiltà nuove, che miravano a rapidi sviluppi. Sennonché ogni loro sforzo era reso difficile da una condizione di cose, che ostacolava lo slancio economico e industriale dell'Inghilterra: i sette decimi della proprietà fondiaria inglese erano costituiti dalla manomorta ecclesiastica.

L'esempio delle appropriazioni su larga scala, compiute con la legittimazione delle nuove dottrine in Germania e nella Svezia, doveva rappresentare una grande spinta ad agire anche per l'Inghilterra, e giustifica, più che il capriccio del Sovrano, la grande trasformazione inglese di questi anni, che del resto era stata preparata già da un secolo prima dalle dottrine di Wycliff.

L'occasione fu data da una questione di divorzio. Enrico VIII, che, in origine, aveva calorosamente combattuto le dottrine di Lutero e aveva scritto nel 1521 un libro in difesa dei sacramenti, per cui ebbe gli elogi del pontefice, aveva chiesto a Clemente VII il divorzio da Caterina d'Aragona, per soddisfare con nuove nozze la passione di cui s'era acceso per Anna Bolena, dama d'onore della regina, prendendo a pretesto il vincolo d'affinità con la sua legittima moglie, per cui a dir vero aveva già ottenuto regolare dispensa.

ANNA BOLENA (Anna Boleyn) era una donna molto giovane, quasi una ragazzina; quando Enrico la incontrò per la prima volta nel 1522, aveva 15 anni; prosperosa, civettuola, graziosa, ma anche arrivista e calcolatrice, ma molto ignorante; sembra che non sapesse né leggere né scrivere. Le sue lettere (andate tutte perdute) erano probabilmente scritte sotto dettatura da qualcuno che dirigeva la sua politica erotica, perchè Anna nulla sapeva d'ortografia. (M M. Rossi, Storia dell'Inghilterra, Ed Sansoni, Firenze 1953, III vol. pag. 366).
Questa passioncella fece giungere Enrico VIII fino alla decisione di divorziare dalla moglie. Un atto che provocherà, oltre che le conseguenze politiche, uno scisma religioso. Una via d'uscita che conferirà agli avvenimenti quello spiacevole sentore di una connessione di alcova e di romanticherie, un misto di altare e letto, di corna fatte a una stagionata moglie (43enne) che seguitava a non dargli figli maschi, ma partoriva solo figlie morte e l'unica che era sopravissuta era anche questa una femmina: Maria Tudor, che creò in seguito problemi più di dieci maschi. Enrico per tutta la vita fin da quando aveva 13 anni tenterà sempre di rifilare questa sua figlia a qualche regnante. Piuttosto brutta, Maria Tudor riuscirà a sposarsi solo dopo la morte del padre quasi a 40 anni con Filippo II di Spagna nel 1554, ma solo perché era diventata regina d'Inghilterra. "Maria la cattolica" per i cattolici, "Maria la sanguinaria" per i protestanti ). 

Il pontefice Clemente VII, che si era stretto in alleanza col re d'Inghilterra e coll'imperatore Carlo V, avanzò qualche difficoltà a concedere il divorzio, ma non oppose un rifiuto categorico, e rimise la questione al cardinale Volsey, cancelliere dello Scacchiere del Regno, che, sulla base dei canoni, diede giudizio contrario alle speranze del re.

Ma a questo punto sorse il "gran pasticcio" che porta Enrico a interrogarsi (non sappiamo con quanta vera devozione o calcolo politico) prima di tutto su due aspetti della questione religiosa; 1°) se il rappresentante della legge divina a cui si era fiduciosamente rivolto delegava i vescovi inglesi a decidere questo significava che il suo potere aveva dei limiti; 2) se il vescovo di Rochester contestava implicitamente l'autorità del pontefice questa autorità papale sulle leggi divine veniva messa in discussione. 

Ora se in Germania la separazione (questa era l'obiettivo) politica ed economica da Roma è stata innescata sul moto dottrinale di Lutero (che trovò il terreno fertile per mettere in moto la protesta della piccola nobiltà feudale contro i Principi della Chiesa e il centralismo imperiale), in Inghilterra avviene l'incontrario, perchè il movente è essenzialmente politico, e anche se parte dai gusti e dagli ottusi scrupoli nuziali, Enrico VIII intende fare in Europa l'assolutista quanto Carlo V, e non avendo altri appigli sta inalberando un pretestuoso radicalismo religioso contestando anche lui -come Lutero- il papa. Tutta un'altra storia insomma. Ma alla fine con lo stesso risultato. Lo scisma con Roma!

Quando Clemente VII, confermando il giudizio del cardinale Volsey, rifiutò il divorzio (1530), Enrico VIII ricorse ai voti delle Università inglesi e straniere favorevoli alla Riforma, cercò il consiglio di alcuni favoriti pronti a servirlo, perseguitò e colpì tutti i difensori del culto cattolico, alcuni dei quali, come il vescovo cardinale di Rochester e il grande pensatore e scrittore Tommaso Moore furono vittime del rigore regio; e nel 1533, approfittando delle correnti riformiste allora prevalenti, non tardò a proclamarsi «Capo della Chiesa inglese e vicario di Cristo nel proprio regno», e il clero, incline al re o da lui intimorito, lo riconobbe «capo, protettore e regolatore della Chiesa inglese».

Nell'anno seguente, un atto di supremazia, emanato nelle forme delle leggi dello Stato, stabiliva il distacco. della Chiesa anglicana dalla Chiesa romana e la costituzione di questa Chiesa sotto la sovranità regia: «Il Re é il solo e supremo capo della Chiesa in Inghilterra; egli ha il potere di esaminare, reprimere, riformare e correggere errori, eresie, abusi, offese, irregolarità che debbano o possano essere riformati dall'autorità o dalla giurisdizione spirituale» (1534).

La serie delle vicende coniugali di Enrico VIII, il quale, dopo la condanna a morte di Anna Bolena (1536), passò ancora per altre quattro volte a nuove nozze e a nuovi divorzi, mostrò chiaramente il concetto del re nella materia religiosa, ormai pienamente assoggettata al potere civile. Così, anche per la confisca delle proprietà ecclesiastiche, si portava a termine quella trasformazione dell'Inghilterra da paese agrario-feudale a paese mercantile-borghese, che doveva creare la grande nazione commerciale e industriale dei tempi moderni.

Del resto, nella dottrina, la nuova Chiesa Anglicana si professava fedele alle regole del culto cattolico, e affermava il celibato ecclesiastico, i voti monastici, la confessione auricolare o individuale, il sacrificio della messa, la comunione, sotto la sola specie del pane, la transustanziazione.
L'abolizione di alcune immagini, oltre che dei pellegrinaggi, delle offerte e del culto delle reliquie, non mutava la sostanza delle credenze religiose. Si spiega perciò come Enrico VIII abbia rivolto ugualmente le sue persecuzioni contro i cattolici, sottomessi al papa, e contro i luterani, che avevano sperato di vedere il re sulla via della riforma; poiché il re ormai era più che appagato di aver potuto confiscare i beni ecclesiastici e di essersi fatto capo della Chiesa inglese.
Tuttavia il germe della lotta era posto, e anche l'Inghilterra, come gli altri paesi, specialmente dopo la morte di Enrico VIII (1547), fu travolta da profondi dissidi religiosi (ne parleremo in altri capitoli).

Intanto le nuove dottrine conquistavano grande fortuna a Ginevra, donde poi prendevano le mosse per un più largo consenso. Un contrasto politico nella città tra i difensori della libertà cittadina e i duchi di Savoia, che vi dominavano per virtù dei poteri ad essi delegati dal conte-vescovo, fece nascere l'avversione aperta al cattolicesimo e l'adesione alla protesta.
I difensori della libertà cittadina, che, per il giuramento da essi prestato, si dicevano confederati (eidgenossen, donde poi ugonotti), avevano stretto alleanza con i cantoni svizzeri di Friburgo e Berna e avevano accolto con entusiasmo le dottrine zwingliane, predicate con grande ardore da Guglielmo Fare, dando ad esse il riconoscimento pubblico da parte della città, che ormai era di fatto indipendente (1526).

Dieci anni dopo, quando questa indipendenza pareva ormai garantita, giungeva a Ginevra un giovane francese, Giovanni Calvino, che predicava una dottrina religiosa ardita ed austera, affine a quella di Lutero e di Zwingli. Questa dottrina divenne la religione dello Stato ginevrino, e si allargò rapidamente nei cantoni svizzeri e nella Francia.
Giovanni Calvino era nato in Francia, a Noyon, nel 1509, e aveva studiato ad Orléans e a Bourges, dove l'umanesimo aveva incominciato a scuotere le sue convinzioni cattoliche, deviandolo dalla carriera ecclesiastica, a cui era stato avviato dal padre.

Nel 1533 egli era studente a Parigi, ma fu costretto, per aver fatto un discorso protestante, a fuggire. Riparò a Basilea, centro umanistico e protestante, e là, nel 1535, egli pubblicava quella Istituzione cristiana, che fin d'allora fu largamente divulgata e che maggior divulgazione trovò dopo che l'ebbe ampliata, tradotta in francese e dedicata a Francesco I di Francia.

Entrato a Ginevra, tenuta dall'ardore di Farel, Calvino sviluppò intera la sua dottrina e vide la possibilità della sua pratica applicazione. Il Consiglio della città, incitato da Farel, affidava a Calvino il compito di dare nuovi ordinamenti religiosi e politici; e Calvino, seguendo l'ispirazione luterana e zwingliana, ma aggiungendovi nuove dottrine e nuove forme, organizzò la sua chiesa, che tutto regolava, la vita privata e pubblica, e tutto disciplinava, nella visione delle leggi austere e solenni della vita.

Le insofferenze dei cittadini (allora quasi tutta cristiana) lo obbligarono, nel 1538, all'esilio; ma fu un breve episodio. Nel 1541, Calvino era richiamato, e, nelle sue Ordinanze ecclesiastiche, dava assetto definitivo al suo ideale religioso e civile.

Già nel 1536, a Basilea, Calvino aveva pubblicato l’Institutio Christiana, dove erano già espressi i fondamenti della concezione calvinista. Ma in questa sua ultima opera, la più importante, appunto le “ordinanze”, afferma che una giusta riforma deve riformare prima di tutto i ministri di culto, e per questo propone una nuova gerarchia ecclesiastica formata da:
Pastori Addetti all’insegnamento dei sacramenti e del vangelo
Dottori Specializzati nelle dottrine cristiane
Anziani Addetti al controllo della condotta morale dei fedeli
Diaconi Addetti all’assistenza e alla cura dei bisognosi.

Più tardi Calcino realizza il modello di riforma da lui teorizzato caratterizzato da una forte compenetrazione fra religione, politica, istituzioni locali. "Lo stato è una struttura fondamentale e ogni cittadino deve vivere per la gloria di dio, per la realizzazione della società".
Per Calvino le opere sono indispensabili come segno dell’elezione divina, della predestinazione. Tutta l’attività dell’uomo è così impregnata di spirito religioso, che contribuisce a svolgere nel migliore dei modi possibili le azioni del fedele nel mondo: dalla sua professione ai suoi affari, alla produzione, al commercio, tutta l’attività umana deve essere vissuta dal calvinista come realizzazione della vocazione. Per l’uomo medievale le opere buone sono un premio di assicurazione per l’eternità, per l’uomo calvinista sono solo un mezzo per corrispondere all’elezione e ai disegni divini. Città, lavoro, professione: questo trinomio è esaltato nella concezione calvinista.
Quanto alla Predestinazione:
Ogni uomo nasce predestinato alla gloria eterna o alla dannazione. E' la dottrina della doppia predestinazione che assegna il primato alla grazia, alla quale l’eletto non può sottrarsi e per la quale è portato ad agire nell’osservanza dei divini sacramenti, a seguire la propria vocazione ad adempiere ai propri compiti e a raggiungere un successo pratico.

E' forse questo lo "spirito del capitalismo"?
“Lo storico sociologo Max Weber, nel suo celebre saggio “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”, pur sostenendo che il capitalismo era già presente nel medioevo, ha messo in relazione lo spirito del capitalismo moderno, razionale e con una forte base etica, con la dottrina calvinista della vocazione, soprattutto nei suoi sviluppi del XVII e XVIII secolO, attraverso il lavoro professionale indefesso, continuo, sistematico, compiuto a gloria di Dio e non per godere delle ricchezze acquisite ”…
“L’uomo non deve servire Dio come il monaco, mediante un’ascesi che lo allontana dal mondo verso l’ozio senza amore, ma dio vuol essere glorificato nel mondo, sempre però mediante l’ascesi. Perciò l’uomo deve lavorare per gli altri, perché la volontà di Dio sia fatta in questo mondo con la produzione di opere efficaci; egli non deve lavorare per godere il guadagno e avere successo, ma anzi senza goderne… L’instancabile progettare e produrre da parte dell’imprenditore e del lavoratore non mirano quindi al guadagno e al godimento, ma alla ricerca di un indizio che determini l’assegnazione allo stato di grazia. Se l’imprenditore incominciasse a godere il suo guadagno invece di impiegarlo ad allargare ancora il suo successo e a glorificare pertanto dio nel mondo, egli avrebbe un indizio del contrario.”

Fissati i dogmi secondo i principi zwingliani, a cui aggiunse questa dottrina ancora più rigida della predestinazione, che sembra togliere all'uomo ogni libertà ed ogni responsabilità, Calvino affidava la direzione dei credenti alla Venerabile Compagnia dei Pastori, per curare la parte puramente chiesastica, e al Concistoro, costituito di Pastori e di anziani laici, per curare la disciplina e stabilire quelle pene che vengono applicate dal braccio secolare.

Questa rigida dottrina ecclesiastica si poneva nello spirito dell’estremismo ecclesiastico medioevale e sosteneva il primato e l’indipendenza dell’autorità spirituale, unitamente però all'uso del potere secolare per imporre il suo giudizio sull’ortodossia e la disciplina morale. In pratica ciò corrispondeva ad attribuire alla Chiesa entrambe le "spade", cioè quella del potere spirituale e quella del potere temporale, affidando anche la direzione dell’autorità secolare al clero. Pertanto, il calvinismo diede al clero grande potere e influenza politica e sociale, pur scavalcando tutti gli altri movimenti protestanti nella sua opposizione al cerimonialismo.

Una dura tirannide si abbatté sulla già libera e giocosa Ginevra: vi furono molte rivolte, duramente represse nel sangue. In una città, che contava circa 15 mila abitanti, vi furono 68 esecuzioni capitali, 76 inviati in esilio, migliaia di arresti. L'intolleranza cieca di Calvino si rivelò pienamente nella condanna di Michele Gruet e nel trattamento inflitto a Michele Serveto.

Calvino voleva lo Stato subordinato alla Chiesa; e alla Chiesa, centro della vera religione, assegnava tutti i poteri.
Ginevra divenne così un focolare della Riforma, e da essa mossero gli zelanti missionari, che predicarono la nuova religione, guadagnando largo seguito e strappando alla Chiesa cattolica molta parte delle sue antiche regioni, dove il cattolicesimo fino allora sembrava appoggiarsi su fortissime basi.

Infatti il calvinismo guadagnò rapidamente terreno nei confronti del luteranesimo che finì col ripiegarsi su se stesso, divenendo un fenomeno circoscritto agli Stati tedeschi e scandinavi dove si era affermato grazie ai sovrani locali. Inoltre, sottrasse notevole spazio alle numerose sette anabattiste che, su posizioni anarchicheggianti, affermavano una totale libertà profetica antigerarchica.
Col diffondersi del calvinismo, la direzione del movimento protestante passò nelle mani di uomini che intendevano propagarlo dal basso, anziché dall’alto, ricorrendo all’appoggio dei sovrani locali, come aveva fatto il luteranesimo, riponendo la loro fiducia, anziché nei principi, nella saldezza delle organizzazioni ecclesiastiche. Si trattava inoltre di uomini intenzionati a ricorrere, se necessario, alle armi per affermare i propri principi. 
La struttura organizzativa era semplicissima, poiché ciascuna chiesa aveva un’organizzazione sua propria, che seguì le linee di minor resistenza, penetrando soprattutto in quelle aree in cui i governi risultavano più deboli e maggiore era il frazionamento politico e amministrativo. 

Esso poi ottenne i suoi maggiori successi nei Paesi Bassi, divenendo il portavoce della riscossa nazionale contro la dominazione spagnola; in Scozia, unendosi al movimento nazionale antifrancese; in Francia dove particolarmente rilevante era stata l'influenza diretta da Calvino, francese di nascita e di mentalità, e dove l’avanzata del calvinismo fu spettacolare e rivoluzionaria, inserendosi nella lotta tra la corona, che rappresentava il potere centralizzato e le varie fazioni aristocratiche, facendo inoltre leva sul malcontento popolare.
La sua forza d’urto sollevò gravi preoccupazioni tra i principi tedeschi che avevano adottato il luteranesimo e non meno preoccupazioni sollevò l'Inghilterra che intraprese una durissima lotta contro i Puritani.

In Germania, la controversia tra luterani e calvinisti assunse toni di estrema asprezza, ma non portò alle conseguenze sanguinose che ebbe invece nei Paesi Bassi, in Scozia, in Boemia e in Francia dove le atrocità culminarono nel massacro della notte di San Bartolomeo il 24 Agosto 1572. 
Il calvinismo si diffuse inoltre in Renania, Ungheria, Lituania. Polonia. e mise poi profonde radici in America (Massachussetts) in seguito all’emigrazione dei Puritani.

e in italia ?

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