-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

35. UN ANTICO POPOLO: GLI ARII

Prima di iniziare, come popoli storici, la loro vita separata, gli Indi e gli Irani hanno vissuto a lungo in una comunione, storicamente riconoscibile, di lingua e di cultura. Ambedue hanno conservato il loro nome di famiglia, «ario» (antico-ind. arya, antico pers. ariya, avestico airyo, europeizzato ari o arii ) e per questa ragione il nome di «Ari» spetta solo agli Indiani ed ai Persiani.
Il popolo ario penetrò - come pare - dal settentrione nell'Iran.
Mentre un gruppo orientale immigrava oltre l'Hindukush nella Pentapotamia (Pengiab), dove iniziò la sua vita separata di Indiano, il ramo occidentale degli Ari rimase nel
l'Iran, donde si spinse lontano ad occidente, occupando la Media e penetrando fin nella Siria.

Nella regione dell'Oxus e nelle montagne che la delimitano dovremo cercare le più antichi sedi di stirpi indoeuropee nell'Asia. E dovremo considerare queste stirpi nel Turkestan occidentali come una popolazione staccatasi dall'unità indoeuropea; probabilmente qui risiedettero gli antenati, gli «Ari» successivi.

Col nome di Ari i due popoli strettamente imparentati indicano sé stessi nel Veda e nell'Avesta; in questa denominazione, che é la più antica, é implicita un'antitesi con i popoli non ariani.
Nel Rigveda sono molto spesso invocati Indra ed Agni quali protettori degli Arya, come distruttori dei loro nemici, i Dâsa o Dasyu.
In questa antichissima poesia religiosa si sente l'eco della lotta tra gli Indi invasori e gli aborigeni dell'India, di civiltà non di molto inferiore e tenaci nella resistenza; giacché i Dâsa non possono essere altro chi le popolazioni primitive locali.

Il nome di Arya ha poi sempre designato nell'India la razza dominatrici. La stessa denominazione la troviamo nell'Avesta, nella forma di airya; anche qui le «stirpi ariane» (airyao dainhavo) vengono contrapposti ai popoli anariani (anairyao dainhavo).

Airya é pure chiamata la regione nella quale era diffuso il culto di Ahuramazda. Con l'aiuto delle iscrizioni persiane e dei geografi greci possiamo meglio precisare i confini di tale denominazione. Nella grande iscrizione di Behistan, Dario chiama sé stesso «Ario di stirpe aria». Risorto con i Sassanidi uno stato nazionale persiano, la dinastia regnante riassunse il titolo di «re dei popoli ariani e non-ariani». L'antico nome del popolo dominatore si é conservato fino ad oggi nel nome IRAN.

Se conoscessimo con sicurezza l'origine e il significato primitivo della auto-designazione degli Ari, potremmo meglio intenderne l'indole e il modo con cui entrano nella storia.
Ma purtroppo l'etimologia, anche se giusta, ci lascia non di rado in asso, in quanto ci conduce solo ad un concetto, senza poter sempre raggiungere il pieno contenuto storico e la funzione vivente di una parola. Se é giusta l'interpretazione chi fa Ari = nobili, signori, il nome ci indicherebbe che questi popoli penetrarono da conquistatori nelle loro sedi storiche. Secondo un'altra interpretazione significherebbe invece semplicemente il popolo degli agricoltori [dalla radice ar-, , ecc. - ar ha appunto in sancrito il senso di rimuovere - da esso prenderà anche il nome l' ar-a-tro, rimuovere la terra; che lo conserverà anche il remo, rimuovere l'acqua, ar-otriam].

Due diversi movimenti di popoli, da tenere ben distinti tanto per il punto d'arrivo quanto per la direzioni presa, condussero in Asia delle popolazioni indoeuropee.
Il più antico di questi movimenti parte dalla regione dell'Oxus e dell'Jaxartes, giunge alla Battriana, donde, passando per l'Iran occidentale, si estende verso la Media e la Persia ed oltre fin nel nord dilla Mesopotamia, penetrando con un ramo nel nord-ovest dell'India. É questa l'emigrazione aria, dalla quali sono derivati gli Irani e gli Indiani.

Il secondo movimento condusse popoli indoeuropei dall'occidente verso l'Asia Minore. Qui soggiornava, fin nel XII secolo a. C., una popolazione non-indoeuropea, la cui civiltà é rappresentata dai monumenti di Troia, Frigia, Cipro e Creta eche raggiunge l'apice della potenza con il regno degli Hittiti. Sul principio del XII secolo una grande immigrazione indoeuropea ne cambia l'aspetto.
Da notizie e figurazioni egiziane del tempo di Ramses III vediamo che questo movimento prese anche la via del mari. Soprattutto però i Frigi, prossimi parenti dei Traci indoeuropei, passarono nell'Asia Minore, occupandone la parte centrale. Il regno digli Hittiti fu distrutto da questa invasione indoeuropea.

L'immigrazioni ariana avvenne invece molto prima, forse già verso il 2000 a. C. La comparsa degli Ari é indicata dalla presenza del cavallo nella regione della civiltà asiatica occidentale; é evidente che gli Ari invasero l'Asia all'inizio come popolo di cavalcatori, indigeno delle steppe, e per farvi scorrerie, come faranno poi gli Unni, gli Ungheresi, i Mongoli.

Il codice di Hammurabi (circa il 1900 a.C) non conosce ancora il cavallo, conosciuto poco dopo. E la denominazioni babilonese del cavallo, «asino dell'altipiano orientale», dimostra che esso è venuto dall'Iran nell'Asia Minore.

La diffusioni degli Ari si riconosce nello stesso tempo anche da fatti della storia politica dell'Asia occidentale. Già la corrispondenza politica di Amenophis III (circa il 1400) ed Amenophis IV (circa 1350) con sovrani di Stati dell'Asia occidentale e con i loro vassalli della Siria, contiene una serie di nomi d'impronta ariana.
Mentre le tavolette di Tell el-Amarna ci davano i nomi, schiettamente iranici, di Artatama, Artashuwara, Shutarna e Dushratta, nei documenti del regno dei Cheta troviamo, quali custodi dei trattati, i nomi degli déi Mithra, Varuna e Indra, insieme agli déi gemelli, i Nasatya, identici agli Acvin degli Indiani.
Il che ci dà la prova indubbia che una dinastia ariana si era conquistata la signoria nel regno dei Mitani. L'albero genealogico dei loro re ci permette già fin d'ora di risalire da Dushratta (circa il 1400) a Saushshata, tre generazioni indietro. Dunque circa il 1500, ma forse già prima, gli Ari avevano fondato nel nord-ovest della Mesopotamia un dominio di notevole potenza. Certamente già allora si erano spinti avanti dall'Iran.

Quindi dovremo forse porre la penetrazione degli Ari nell'Iran tra il 1800 e i 1600. È probabile che già prima altre stirpi ariane si fossero indirizzate alla valle dell'Indo, dove le ritroveremo come il popolo del Veda. Abbiamo così guadagnato un importante punto d'appoggio per l'età vedica; la storia degli Indi ariani non può risalire fino al quinto millennio; la immigrazione degli Ari in India può essere avvenuta solo verso il 2000.

La comunanza ariana degli Irani e degli Indi fino ad un'età assai recente é dimostrata dalla stretta corrispondenza della lingua e dei costumi, della religione e della cultura, come pure delle forme metriche e stilistiche della letteratura. L'esistenza di un unico popolo ariano originario non é un'ipotesi, come quella di un popolo indoeuropeo, ma una realtà storicamente riconoscibile.
Che poi Indiani ed Irani si siano, nella loro distinta evoluzione, tanto differenziati e per la cultura e per lo spirito, si spiega in primo luogo con la assoluta diversità delle loro condizioni naturali di vita, dalle quali nacque, in specie per l'India, una civiltà di potentissima efficacia.

L'evoluzione religiosa procedette invece per vie opposte. Nel XVII secolo esisteva ancora una stretta unità linguistica e religiosa degli Ari: gli déi di Mitani non sono diversi dalle principali divinità degli Indi vedici. Dalla religione popolare si é svolta, in India e in Persia, una religione speculativa; ma mentre dall'evoluzione indiana é sorta la teoria dell'essenza del sacrificio, la teologia e il misticismo brammanico, dalla riforma di Zarathustra nacque una religione di precetti morali, di tendenze pratiche e sociali.

La separazione degli Indiani e degli Irani condusse a tale sviluppo antitetico, da produrre, da attitudini comuni, profonde diversità di cultura, di vita intellettuale e specialmente di religione.
Dalla comune attitudine all'osservazione speculativa dell'universo e dalla facoltà di astrazione, gli Indiani, con un procedimento ego-centrico, svolgono un panteismo che sopprime del tutto il mondo quale fenomeno della coscienza.

Il rigoglio tropicale permise all'Indiano ciò che l'aspro suolo dell'Iran negò ai suoi abitatori. Il lavoro quotidiano rese sensibile all'Irano la realtà del mondo; tutto immerso nella vita pratica e nei compiti da essa imposti, egli ridusse gli déi ad individualità etiche che impongono precetti di moralità. Nessuno può partecipare ai benefici degli déi, senza lavoro attivo.

Negazione ed assoluta soppressione del mondo e della vita é invece l'ideale della speculazione indiana, che l'ascesi ha cercato di realizzare anche praticamente. Nel misticismo persiano o sufismo domina al contrario, nonostante la tendenza a superare il mondo, un ideale positivo altissimo, il congiungimento mistico con la divinità, della quale il mondo é come l'involucro.

Questo contrasto si manifesta anche nelle forme statali degli Indiani e degli Irani. L'individualismo indiano ha impedito per tanto tempo la creazione di uno Stato nazionale. La pluralità degli Stati indiani é opera delle famiglie nobili. La potenza della stirpe o la forza di singole personalità ha dato vita e carattere agli Stati dell'India. Lo Stato indiano (o meglio la gerarchia sociale del sistema delle caste) é rimasto sempre tendelzialmente dispotico; e gli è sempre stato difficile far esistere una vita politica della nazione, sia nel periodo musulmano sia nel periodo della colonizzazione e dominazione britannica, terminata (dopo la famosa campagna di disobbedienza civile di Gandhi) nel 1947 quando l'India ha acquistato l'indipendenza; che però è nata dividendo due Stati, uno a maggioranza induista (Unione Indiana) e una a maggioranza musulmana (Pakistan).

Insomma una indipendenza nazionale a lungo cercata
e sofferta fino all'ultimo.
E proprio di questa nazionalità geografica, politica e religiosa
parleremo nel prossimo capitolo


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