-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

46. I MONGOLI - IL GRANDE IMPERO DI GENGIS KHAN

CONTESTO STORICO
(sulla Storia della Cina, fin dall'antichità vedi i capitoli dedicati).

All’inizio del XIII sec. il mondo cinese era diviso in tre grandi imperi. A sud, dal Guangdong al fiume Huai regnava la dinastia dei Song (Sung), che si considerava a ragione l’erede della tradizione imperiale cinese, ma che con l’andare dei secoli aveva perso i territori a nord del fiume Huai a favore di invasori nomadi di linguaggio altaico-tunguso, gli Jurchen, provenienti dalla regione montagnosa e coperta di boschi della Manciuria Orientale. Essi dal 1114 avevano rovesciato l’impero dei Kitani che li aveva fino ad allora tenuti tributari.

La loro dinastia regnante prese il nome di “Jin” (Kin), che significa oro, e governava su un territorio in cui la parte più ricca, popolosa e culturalmente influente era abitata da Cinesi. Inevitabile quindi l’assimilazione nel cerimoniale di corte, nell’amministrazione e nel governo di molti elementi cinesi che avevano portato la dinastia ad una sinizzazione quasi completa
A ovest dell’impero Jin si era formato, a partire dal 1038, un’altra solida entità politica, il regno Xi Xia nel quale una dinastia e una classe dirigente di lingua tibetana governavano una popolazione eterogenea che comprendeva Tanguti, Uiguri (patria dei Turchi), Tibetani e Cinesi.
A nord della frontiera dell’impero Jin, controllati dalla Grande Muraglia e da una fitta rete di alleanze e rapporti tributari con i singoli capi, si estendevano i domini delle popolazioni nomadi uralo-altaiche, dai confini incerti.
Nel loro insieme queste popolazioni nomade sono chiamati tutti Mongoli.

Queste varie tribù dei Mongoli, Merkiti, Tartari, Oirati, Naimani avevano in comune il solo fatto di combattersi incessantemente tra loro, in mancanza una guida politica in grado di unificarli. Pur bramando le ricchezze degli imperi sedentari i nomadi erano facilmente tenuti a bada a causa della loro divisione tribale.

Il concetto di « razza mongolica » è tuttora assai incerto riguardo all'estensione e suddivisione dei popoli mongoli. Limitandolo ad un gruppo strettamento affine sia dal lato antropologico che linguistico, questo si può a sua volta dividere in due grandi gruppi, l'ugro-finnico e il turco-mongolo.
Appartengono al primo i Magiari, Finni, Lapponi, Estoni e Livoni in Europa e gli Ostiachi e Samoiedi in Asia. Il secondo si suddivide in tre rami Turchi, Mongoli e Tungusi.
Ad onta della forza elementare con cui i Mongoli irrompono ad un tratto nella storia, la loro potenza fu preparata da formazioni statali di altri popoli mongolici. Grande influenza, di cultura e di politica, vi esercitò la prossimità del confine cinese. Varie piccole tribù vennero così a costituire Stati che talvolta ebbero parte cospicua nella storia della stessa Cina.

Fra questi popoli divenuti storicamente importanti, appare primo quello dei Khitan, appartenenti forse ai Tungusi. Piccolo popolo barbaro, stabilito nel V secolo nella Manciuria lungo il corso del Liang; essendo così vicino ebbe dalla Cina la civiltà.
Il periodo tra la caduta della dinastia Tang (907) e l'assunzione al trono dei Sung (970) segnò per la Cina una decadenza politica. Un principe khitano, Apaokhi (nato nell'871, morto nel 926), salito al trono nel 901, seppe approfittare abilmente della situazione, assoggettando in pochi anni (- 907) il territorio tra la costa orientale e il Lop nor. Con manifesta imitazione degli ordinamenti cinesi, egli introdusse l'uso della scrittura e compilò un codice.
I Khitan erano in possesso della Cina settentrionale della quale si consideravano imperatori; e si dissero della dinastia Liang, dal nome del fiume. Il regno dei Liang, che ebbe durata non comune nella storia dell'Asia centrale (dal 907 al 1125), formava una grande potenza, comprendente tutta la regione delle steppe. Costituiva inoltre l'anello di congiunzione tra la Cina e l'Occidente, sicché il nome di questo popolo (Khitai, Khatay, Cathaya) servì ad indicare la Cina, come facciamo oggi indicando il territorio russo.

Ai Khitan si sostituirono (1123) gli Yue-c'i, prima loro sudditi; un capo di questa tribù abbatté la dinastia dei Liang e fondò quella dei Kiri. Appunto la caduta dei Khitan portò alla costituzione di un nuovo grande Stato, che da modesti principi aumento rapidamente a notevole potenza. Un discendente dei Liang, Yelüi-Tashi, mosse con una piccola schiera di cavalieri verso le steppe di occidente (1124); numerose tribù lo seguirono, sì che giunse, con una marcia vittoriosa lungo il Tarim, fino all'Yaxartes. Le sue conquiste si estesero fino al Chwaresm e ai confini della Persia.
Il regno dei Kara-Khitai, sorto in tal modo, comprendeva già sin dal 1125 la regione tra il margine orientale del Thien-shan e l'Oxus. I suoi sovrani ebbero il titolo di Gur khan. La signoria dei Kara khitai ha un curioso riflesso europeo nella leggenda, finora non spiegata con certezza, del re-sacerdote nestoriano Giovanni, che avrebbe regnato nella parte più interna dell'Asia.

Il dominio dei Kara Khitai durò sino al 1210 e passò prima ai Naiman, dinastia cristiana. A oriente regnavano i Kin, padroni, oltre all'ex-regno dei Khitan, delle province della Cina settentrionale Shan-si, C'i-li, Shan-tung, Ho-nan (1127-1235). Accanto ai Naiman ed ai Kin, la dinastia cinese dei Sung, ristretta alle regioni meridionali, costituiva la terza delle potenze d'oriente.

Al pari di tutti i popoli nomadi, i Mongoli non erano allora per nulla formati in unità, ma si dividevano in numerose tribù. Badando solo al loro grado di civiltà, le notizie cinesi li distinguono in tre gruppi: «Tatari» bianchi, neri e selvaggi. I «Tatari bianchi» si erano stabiliti lungo il confine settentrionale della Cina, venendo così a contatto con la cultura di essa. I «Tatari neri», padroni della massima parte della Mongolia orientale, subivano l'influenza degli Uiguri, il popolo di civiltà turca nell'Asia centrale.

Quali forze spirituali dominavano allora nell'Asia centrale su tutte le altre, il cristianesimo nestoriano ed il buddismo: anche l'Islam si andava diffondendo. I missionari nestoriani avevano, già nel XII secolo, guadagnato al cristianesimo le tribù mongoliche dei Keraiti e dei Naiman. Il terzo gruppo, dei «Tatari selvaggi» o «popoli dei boschi», conduceva vita nomade e incivile nelle immense foreste al nord-est della Mongolia. Dominava tra essi lo sciamanismo, nella forma più pura.
La forma popolare della religione di tutti i popoli turco-mongoli, lo sciamanismo, è ora ristretta in brevi confini: solo le tribù turche dell'Altai e dei monti Sajani professano lo sciamanismo, modificato però da influssi buddistici e cristiani. Anche i Samoiedi e gli Ostiachi, e in Europa i Lapponi, sono sciamanisti. Le credenze e i costumi popolari sono oggi conservate soprattutto fra gli Jakuti. Insieme ad esse importano, ad intendere quella religione, le funzioni dello «scia mano», evocatore degli spiriti o stregone.
Nei tentativi di una mitologia schematicamente ordinata sembra invece di scorgere l'influenza di concezioni cinesi e indiane. L'influenza indiana é già attestata dalla parola «shaman» indicante il sacerdote-stregone e presa dal nome del monaco buddista, in pali samana [ sanscr. çramanah ].

Lo sciamano é essenzialmente l' antichissimo sacerdote mago ; qui la sua arte consiste specialmente nell'evocare gli spiriti dei trapassati mediante il tamburo magico. In tal modo egli si mette in rapporto con gli dei, che descrive ne' suoi stati di estasi. Lo sciamano compie nello stesso tempo l'ufficio di oracolo e di sacrificatore. Accanto a questo culto primitivo della natura e degli spiriti sta l'adorazione di potenti divinità: all'inizio il cielo e la terra, venerate anche in Cina come deità supreme. Ii mondo celeste é suddiviso in numerose sfere, sulle quali si innalza il «cielo supremo», la sede. del reggitore del mondo, Tengry Chan.
Gli spiriti degli antenati soggiornano nel terzo cielo. Nel mondo sotterraneo, diviso in nove cerchi, regnano forze maligne, a capo delle quali sta Erlik-Chan, il nemico degli uomini.

GENGIS KHAN (C'inghiz chan)

 

Il fondatore del gran regno mongolo è una di quelle figure che s'innalzano al disopra dell'umanità, con terribilità demoniaca. La storia personale di Gengis Khan fino al momento in cui si mise a capo delle tribù mongoliche da lui riunite, è per molti lati oscura.
TEMUGIN (o Temujin), questo il suo nome originario, nacque verso il 1155 (secondo fonti persiane, nel 1162, 1167 o 1176 secondo altre) sulle rive dell'Onon, dove i Tatari neri e i Tatari selvaggi venivano a incontrarsi. È probabile che egli appartenesse a questi ultimi, cioè che fosse allevato in un ambiente di barbarie. Alcume tribù mongole si erano più volte rese moleste al governo cinese a causa delle loro incursioni in Cina. Tra queste agitazioni, Temug'in, acquistò autorità e potenza come capo.

In precedenza scontri vittoriosi si erano già guadagnati alcuni giovani mongoli di famiglia nobile. Con queste giovani Temug'in partecipò distinguendosi ad una battaglia dei Keraiti contro i Tatari Buirnor e Naiman che molestavano la Cina.
Fin dagli inizi della sua carriera Temug'in deve aver avuto mire grandi e ambiziose; voleva creare una sua signoria e perché apparisse legittima asseriva di essere lui discendente dall'antica stirpe mongolica, giunta a potenza nel XII secolo. In realtà - vedendolo abile e con doti non comuni - furono i suoi seguaci dell'aristocrazia che lo vollero loro capo e tale sempre rimase. Il contrasto tra il movimento aristocratico e democratico determinò poi lo svolgersi delle forze politiche. Cioè si creò dei rivali.

A capo del popolo e come avversario di Temug'in si mise nel 1201 il suo antico amico C'amucha. Sebbene questi si fosse assicurato l' appoggio del chan dei Keraiti, Temug'in al primo scontro riportò su di lui la vittoria, conquistandosi in tal modo la Mongolia orientale. C'amucha cercò allora di spingere i Naiman, stabiliti nell'occidente, a muover guerra a Temug'in. La lunga e ostinata resistenza opposta dai Mongoli stessi al progredire di Temug'in, derivava in gran parte dal fondamento democratico della loro vita di tribù. La lotta contro i Naiman durò parecchi anni e terminò con la loro sconfitta. Soffocati i moti democratici ed abbattuti i Naiman, l'unione dei Mongoli era ormai raggiunta; soprattutto dopo che i generali di Temug'in ebbero assoggettato anche i Tatari dei boschi e le tribù minori, la formazione del regno.

Pare anche che Temug'in assumesse allora il titolo, col quale è noto nella storia universale: Gengis Khan (Gengiscan o Gengis Khan); e lo assunse per guadagnarsi il favore del sacerdozio sciamano. Il nome Gengis-Khan deriva infatti dalle concezioni dello sciamanismo popolare, come quello di uno spirito invocato dagli sciamani stessi.

Nel maggio del 1206 tutti i clan delle tribù nomadi si radunarono alle sorgenti dell’Onon. Essi alzarono uno stendardo bianco a nove code e proclamarono Temujin Khan supremo, Gengis Khan.
Immediatamente Gengis Khan organizzò l’esercito, prima organizzato per tribù, in un’efficiente unità di combattimento, in cui le dimensioni delle unità erano regolate sul sistema decimale. In se stesso il sistema decimale era ben conosciuto tra i nomadi, ma non era mai stato applicato ad un livello super-tribale. L’unità di maggiori dimensioni in cui erano organizzate le tribù era stata prima di allora il Mingan, di 1000 uomini, un reggimento sicuramente adatto a condurre incursioni o attacchi a tribù rivali, ma non sufficientemente forte per condurre autonomamente campagne di largo respiro contro gli imperi.

Gengis creò così il Touman, un’unità di ben 10.000 guerrieri, capace di sfidare anche eserciti considerevoli, ma che richiedeva un livello di comando e controllo ed una disciplina fino ad allora sconosciute. Per comandare queste divisioni Gengis creò la carica di Orlok (aquila) e scelse per questi incarichi degli uomini, presi indifferentemente da tutte le tribù. Alcuni di essi sarebbero diventati famosi quasi come lui quanto a perizia militare: Muqali, Jebe e Subotai.
Ai livelli più bassi l’organizzazione fu sostanzialmente lasciata intatta.
L’unità di combattimento più bassa era l’Arban, composto da 10 uomini; 10 Arban formavano un djaghoun di 100 uomini. 10 djaghoun formavano un Mingan e 10 Mingan un Touman. L’avanzamento da posizioni anche basse ai più alti livelli era possibile, qualora il soldato avesse mostrato coraggio e doti di comando.

Il sistema creato da Gengis permetteva un monitoraggio accurato delle capacità di ogni singolo soldato. I migliori, su cui era posto uno sguardo speciale fin dalla giovane età potevano entrare nel Keshig, ovvero la guardia imperiale, all’inizio composta dai servitori personali del Khan e dai vecchi compagni, e man mano allargata fino ad arrivare prima a 1000, poi a 10.000 uomini. Anche la sua funzione, venne modificata. Da vera e propria guardia del corpo del Khan, divenne una specie di scuola per ufficiali. Ciascun membro della guardia poteva guidare anche unità tattiche di grandi dimensioni come il Mingan, in caso di necessità. I loro armamenti erano i migliori, il loro valore indiscutibile, la loro disciplina assolutamente rigorosa.

Questo gruppo selezionato poteva risolvere anche gli scontri più difficili con le sue cariche impetuose e in caso di vittoria godeva di larga parte del bottino e delle donne. Gengis Khan era idolatrato per via della sua giustizia nel riconoscere i meriti e le colpe di ciascuno e per il suo sistema rigidamente meritocratico. Certo, ai propri parenti erano garantiti posti di privilegio, ma dovevano poi saperli meritare, pena la degradazione nei ranghi.

Per ragioni logistiche, un’armata mongola raramente superava i tre toumen, data la difficoltà di rifornire un esercito composto totalmente da cavalieri. Ogni soldato si portava dietro cinque cavalli che montava alternativamente, cercando se possibile di non logorarli troppo. I cavalli mongoli erano eccezionalmente robusti, ma venivano anche curati come figli e non cavalcati per nessuna ragione finché non avessero compiuto tre anni, e anche dopo impiegati in modo graduale.
Più resistenti degli altri cavalli potevano permettere all’esercito una mobilità sconosciuta a tutti i loro avversari che rimanevano disorientati da tale rapidità.
I Mongoli erano soprattutto arcieri a cavallo, ma non mancavano unità di cavalleria più pesante e adatta al combattimento corpo a corpo. Non c’erano fanti mongoli; come fanteria veniva impiegata quella delle popolazioni sedentarie mano a mano che venivano conquistate.
In genere erano mandate al macello in assalti suicidi contro posizioni fortificate, oppure, per compiti di presidio e sorveglianza delle salmerie.

La forza d’assalto dei Mongoli veri e propri si componeva al tempo della Kurultai del 1206 di circa 105.000 uomini. Essi erano tutti gli uomini validi delle tribù unificate da Gengis Khan, quindi non solo i Mongoli, ma i Naimani, Keraiti, Oirati, Merkiti etc.
L’abbigliamento dei soldati mongoli non differiva da quello di altri nomadi: una tunica blu o marrone detta kalat, fatta di cotone o, in inverno, di pelliccia e degli stivali in pelle con fodera in feltro.

La cavalleria pesante era dotata di cotte di maglia oppure corazze a scaglie di metallo, mentre la cavalleria leggera ne aveva una in cuoio o semplicemente un’imbottitura nella kalat. Durante la guerra contro gli Xi Xia si diffuse presso i Mongoli la sottoveste in seta, che penetrando insieme al proiettile (freccia o altro ) nella ferita, ne rallentava la penetrazione e ne agevolava grandemente l’estrazione. Il cappello di feltro e pelle era dotato di due lembi laterali per proteggere le orecchie dal freddo intenso. In battaglia era sostituito da un elmo di pelle e più tardi di ferro. La cavalleria pesante era dotata di un piccolo scudo, dovendo difendersi nel corpo a corpo.
L’arma d’urto era una lancia di 12 piedi, dotata di un arpione all’estremità per poter disarcionare l’avversario, mentre l’arma preferita per il combattimento a distanza era l’arco corto. Fatto di legno o di corno era dotato di striscie di cuoio e di legno alle estremità ed era piegato in senso contrario alla sua curvatura naturale, generando pertanto una tensione fortissima. Piegare un arco simile non era quindi un affare semplice, ma, una volta fatto il risultato era garantito, poiché poteva scagliare la freccia ad una distanza di quasi 300 metri. Ogni cavaliere era tenuto ad averne due o tre e a tenere in ordine il proprio equipaggiamento, pena la morte.

Durante questa grande assemblea del maggio 1206, furono quindi non solo poste le basi del futuro stato mongolo, riorganizzato l'esercito, imposta una legislazione fiscale, istituito una rete postale di stato, ma fu creata anche un'organizzazione burocratica, composta prevalentemente di (Uiguri) un popolo di cultura superiore, abitante il Sinkiang settentrionale, arresosi senza resistenza al conquistatore mongolo.
Temujin impose ai suoi parenti, agli ufficiali dell'esercito, ai dignitari di corte d'imparare a leggere e scrivere nel linguaggio degli Uiguri, che divenne la lingua ufficiale del nascente impero.
Creata la struttura dello stato, il sovrano mongolo diede inizio alla grande stagione delle conquiste.


Con la vittoria sui Keraiti (1203) e sui Naiman (1206), Temug'in era divenuto padrone della Mongolia. A ciò si riattaccano due ordinamenti importanti che abbiamo già detto sopra: l'organizzazione dell'esercito e dell'amministrazione civile. Per prima cosa Temug'in si assegnò una guardia del corpo di 1000 uomini, che in tempo di guerra costituiva l'avanguardia; più tardi (1206) questa truppa fu portata a 10.000. Tra questa guardia Gengis Khan sceglieva, con grande esperienza e conoscenza degli uomini, i suoi generali, sempre persone fidate ed a lui personalmente note. Le masse non erano che uno strumento nelle loro mani. Gli editti di Gengis Khan non fanno mai menzione dei suoi rapporti col popolo, ma si rivolgono solo a quelli che gli stanno più vicino, alla nobiltà guerriera, ai suoi parenti, ai successori futuri.
Tutta l'aristocrazia dei combattenti godeva di vari privilegi: era esente da imposte ed ammessa ad ogni momento alla presenza del chan, senza speciale permesso.

Già nel 1206 fu introdotta la scrittura nella trattazione degli affari, diretta dall'uiguro Tashatun quale «guardasigilli». Il diritto mongolico venne compendiato in un codice (Yassa). Gli Uiguri furono i primi maestri e funzionari dei Mongoli.

I progetti di Gengis Khan aumentarono col crescere de' suoi successi. Fin dal 1211 le sue conquiste oltrepassarono i confini della Mongolia. Fu conquistata una parte del Semirjec'ie e, soprattutto, intrapresa la guerra contro la Cina, finita nel 1215 con l'espugnazione di Pechino; l'imperatore della dinastia Sung fu fatto prigioniero. Nel 1216 Gengis Khan tornò in Mongolia, dopo avere orrendamente devastato la Cina. Questa conquista portò ad una relazione, feconda di gravi conseguenze, tra il sovrano mongolo e Muhammad lo shah del Chwaresm. Questi, vinto che ebbe Gurkhan, progettava di conquistare la Cina, delle cui ricchezze i Musulmani avevano sempre sentito avidità. Venuto a sapere che un condottiero mongolo lo aveva prevenuto, desiderò di essere meglio informato circa gli avvenimenti e la potenza del conquistatore, mandando un'ambasceria da Gengis Khan, che le fece buona accoglienza. Gengis Khan dichiarò di considerare lo shah come sovrano dell'Occidente e sé stesso dell'Oriente: di desiderare durasse tra loro pace e amicizia ; di lasciar liberamente passare i mercanti da un paese all'altro. Gengis Khan non pensava allora certamente a conquistare l'Asia occidentale, non ancora compresa ne' suoi disegni. Ricambiò pertanto il messaggio di Muhammad, inviando, insieme ad una carovana di mercanti, una grande ambasceria, che fu ricevuta dallo shah nel 1218 e che propose un trattato di pace e di commercio. L'ambasceria tornò col trattato di pace sanzionato da Muhammad.

La carovana, partita nello stesso tempo dalla Mongolia, giunse a Otrar, città di confine del Chwaresm, quando gli ambasciatori erano già ripartiti. Per istigazione del governatore, che pretendeva che quei mercanti fossero spie, e non all'insaputa - anzi forse per ordine di Muhammad - tutti i 450 uomini, componenti la carovana, furono scannati. Gengis Khan mandò un ambasciatore, accompagnato da due Tatari, per chiedere gli fosse consegnato il governatore. Ma Muhammad fece assassinare l'ambasciatore e rimandò gli altri due con la barba tagliata, per dispregio. La guerra tra il Chwaresm e Gengis Khan era ormai inevitabile; e fu uno dei più grandiosi drammi della storia universale. Altri motivi non se ne possono addurre; é vero che i califfi erano avversi al Chwaresm e che Nasir aveva chiesto aiuto in oriente ai Guridi ed a Kuc'luk; ma mancano le prove che egli abbia spinto i Mongoli ad attaccare il Chwaresm; né Gengis Khan era uomo da subire tali influenze.

Il sovrano mongolo non era allora bene informato circa la forza e i possedimenti dei paesi civili d'occidente. Egli teneva in gran conto la potenza dello shah del Chwaresm. L'esercito di Muhammad era assai più numeroso del mongolo, ma difettava di unità di comando e di disciplina. I Mongoli comparvero dinanzi a Otrar probabilmente nel settembre del 1219. Qui Gengis Khan divise le sue forze lasciandone una parte all'assedio di Otrar e muovendo col grosso delle truppe contro Buehara. Presa Otrar (marzo del 120o), anche quelle milizie si unirono a lui. I Mongoli passarono il Syr-darja senza contrasti. Il 10 febbraio 1220 Gengis Khan prese Buchara; durante il saccheggio la città, dalle vie strette, andò quasi tutta in fiamme.
Gengis Khan si mostrò moderato, limitandosi ad esigere la restituzione del denaro tolto alla carovana ad Otrar, e la consegna degli approvvigionamenti di Muhammad. Samarcanda era tenuta da una guarnizione forte di circa 50.000 uomini; furono distrutti in una sortita. Al quinto giorno di assedio la popolazione civile capitolò e i Turchi offrirono i loro servizi ai Mongoli.

Nel frattempo un esercito mongolo guidato da G'uz'i aveva disceso il Syr-darja impadronendosi, dopo la conquista di varie città fortificate, del nord-ovest del Chwaresm Alla fine del 1220 questa piccola parte dell'esercito mongolo era accampata sul basso Syrdarja. La divisione, che aveva risalito il fiume, espugnò Benaket e Choz'ent.

La difesa di Choz'ent per parte del geniale Timur-melik forma un episodio di speciale interesse. Egli aveva munito di fortificazioni un'isola nel Syrdarja. Allorché i Mongoli si misero a costruire nel fiume delle dighe da assalto, egli discese il fiume su barche protette contro i dardi e il fuoco mediante pareti inumidite di feltro e di fango. Col suo genio inventivo riuscì a spezzare tutti gli attacchi e ostacoli che i Mongoli gli opponevano. Solo dopo che fu sbarcato, i cavalieri mongoli poterono inseguirlo.
Timur-melik solo scampò; tutte le sue truppe caddero. Egli si recò allora dall'eroico G'elal ed din, figlio di Muhammad.

G'elaled-din e Timur-melik sono le vere figure eroiche nella lotta contro i Mongoli. In esse si esplica il contrasto storico di due civiltà: nel mondo musulmano spiccano le forze individuali e l'eroismo personale, mentre presso i Mongoli é la massa che agisce, sì che di rado scorgiamo le azioni di spiccate personalità. La disciplina più severa domina le masse. Il singolo individuo non cerca di distinguersi, pago di attenersi solo agli ordini dei superiori; anche i capi supremi non sono che docili strumenti della volontà di Gengis Khan. All'incontro gli eroi del mondo musulmano non sapevano organizzare le masse e il loro eroismo personale non bastava per salvare la situazione.

Attraverso Raj e kaswin Muhammad fuggì da Nishapur verso l'Irak, inseguito dalle intimazioni dei Mongoli. Un esercito mongolo si scontrò presso Hamadan col seguito di Muhammad. Si venne quivi all'unica battaglia fra le due forze: i Mongoli distrussero le truppe di Muhammad. Questi si salvò in un'isola del Mar Caspio, dove morì nel dicembre del 1220. Intanto Gengis Khan aveva riordinato, da Samarcanda, l'amministrazione di Mawerannahra e nominato a Buchara un governatore mongolo.
Il destino dei Chwaresm era ormai deciso, per quanto G'elal-ed-din, il figlio di Muhammad, resistesse eroicamente con spedizioni avventurose ed infliggesse qualche sconfitta ai Mongoli.
Si era volto al Chorasan, dove si trovava solo uno scarso numero di truppe mongole. Presso Herat si congiunse ai 10.000 uomini di Amin al-Mulk e sconfisse i Mongoli che assediavano Kandahar. G'elal-ed-din seppe evitare di farsi rinchiudere nelle fortezze e stabilì il quartier generale a Ghazna.

Nel frattempo Gengis Khan aveva preso Balch, che non resistette e fu trattata con mitezza. I suoi figli sottomettevano ill Chorasan e il Chwaresm.
Intanto G'elaled-din aveva raccolto un esercito di varie nazionalità, col quale si avanzò contro i Mongoli. In una battaglia, durata due giorni, presso Parwan - probabilmente sul confine tra Ghazna e Bamian - inflisse ai Mongoli una grave sconfitta.

Ma i Musulmani non seppero approfittare della vittoria: i capi vennero a contesa per il bottino, i contrasti fra le truppe di nazionalità diversa scoppiarono violenti, sì che l'esercito di G'elal-ed-din si sciolse per la massima parte ; solo Timur- melik con i suoi Turchi gli rimase fedele.
Gengis Khan mosse allora con tutte le sue truppe contro G'elal ed din, che non poteva più arrischiarsi in aperta battaglia. Senza nemmeno tentare di difendere i valichi del Hindukush, egli si ritirò sull'Indo. I Mongoli presero Ghazna, i cui abitanti furono tutti uccisi, compresi gli operai.
Intanto G'elal ed-din aveva raggiunto l'Indo; e mentre faceva costruire delle barche per attraversarlo, le prime truppe dei Mongoli raggiunsero la sua retroguardia. Nel combattimento che ne seguì i Musulmani furono sconfitti; il grosso dell'esercito mongolo raggiunse l'Indo prima che la costruzione delle barche fosse finita.

Qui si venne alla battaglia decisiva (24 novembre 1221), per un pezzo incerta, finché intervenne l'attacco della guardia mongola. G'elal-ed din scampò con soli 4000 uomini, attraversando l'Indo, senza che Gengis Khan inseguisse il nemico ormai sconfitto. Intanto Tului veniva mandato nel Chorasan, dove la guerra si limitava all'assedio delle fortezze. In tre mesi, oltre a Merw, Nishapur ed Herat, Tului prese molte altre città minori.

Le conquiste mongoliche del 1221-22 segnano il periodo della devastazione più terribile sofferta dall'Asia occidentale e le cui conseguenze non furono mai del tutto cancellate. Non bisogna però dimenticare che anche i Musulmani, quando se ne presentava l'occasione, commettevano le più orribili atrocità; se ne compiaceva persino un uomo come G'elal-eddin.

Ogni resistenza era spezzata dopo la distruzione di Balch e di Merw; restavano solo bande di briganti a infestare il paese. Dopo la vittoria su G'elal-ed-din, Gengis Khan era rimasto sull'Indo per altri tre mesi. Pensava di ritornarsene attraverso l'India, l'Himalaya e il Tibet e mandò un'ambasceria al sultano di Delhi.
Intanto, spinto forse da una ribellione dei Tanguti, ritornò per la stessa strada per cui era venuto. Nel maggio del 1222 era giunto sulle rive dell'Amudarja; in quell'anno non partecipò di persona ad alcuna spedizione, affidando l'espugnazione delle fortezze di montagna nell'Afghanistan settentrionale e la protezione delle comunicazioni ai suoi generali, compito che essi assolsero con fortuna, ad onta delle difficoltà della regione montuosa.

Col suo geniale intuito militare Gengis Khan aveva afferrato, con straordinaria rapidità e sicurezza, i dati geografici a lui del tutto ignoti e si era acquistato, per mezzo de' suoi esploratori, una esattissima conoscenza del paese. Nell'autunno del 1222, passando l'Amu, si recò a Samarcanda; nella primavera del 1223 s'incontrò sul Syr-darja con Ugedai e G'agatai; qui fu tenuto un «Kurultai» . Nell'estate del 1223 i Mongoli occupavano la grande pianura a nord dei monti Alessandro.
Nel 1223 Gengis Khan tornò in Mongolia; pare che nell'estate dell'anno seguente i Mongoli si stabilissero sull'Irtysh, se nell'autunno del 1223 avevano lasciato le steppe.

Con Gengis Khan tornarono anche i suoi figli, meno G'ug'i, in cui sembra si agitasse l'idea di fondare un regno indipendente. Si dice che avesse progettato di uccidere il padre durante una caccia e di unirsi poi ai Musulmani. Gengis Khan, avvertito, lo fece segretamente avvelenare. Secondo un'altra tradizione, Gengis Khan richiamò G'ug'i perché non aveva eseguito un suo incarico. Il figlio rispose di non potersi muovere perché ammalato. Allora il chan gli mandò contro G'agatai ed Ogotai; ma nel frattempo giunse la notizia che G'ug'i era morto.

Questo conflitto interno fu il primo segno dello sfascio della potenza mongolica.
Gengis Khan aveva trovato nelle steppe un bellum omnium contra omnes: «I giovani non ubbidivano ai vecchi, i sottoposti non badavano ai loro superiori, i capi non adempivano ai loro doveri verso i sudditi».

Il suo governo instaurò severità di disciplina e saldezza di ordine; tutto quel che avvenne poi si deve al suo spirito onniveggente ed alla sua volontà dominatrice.
La fondazione del regno non avvenne senza influssi dei popoli civili limitrofi; ma anche questi servirono agli ambiziosi piani del sovrano. Unici mediatori della civiltà nelle steppe erano stati finora i mercanti musulmani; essi figurano già nell'esercito di Temug'in. Un Uiguro, scrivano dei Naiman, lo iniziò ad un sistema più elevato di amministrazione, al funzionamento della cancelleria e all'uso del sigillo. L'influsso della cultura cinese si diffuse solo più tardi in larga misura presso i Mongoli; sin dal 1216 si servivano della scrittura cinese nei rapporti con le autorità cinesi.
Prima era in uso la scrittura uigurica, derivata dall'alfabeto siriaco ed adoperata solo a scopi giuridici. Temug'in, o i suoi immediati successori, ordinarono la compilazione di annali dello Stato. Tali documenti erano però tenuti segretissimi ed accessibili soltanto a membri della casa regnante ed ai più alti funzionari.

Lo Stato comprendeva popoli sedentari di antica civiltà e di svariata cultura: cristiana, buddista ed islamita. Il governo doveva pertanto ricorrere alla collaborazione dei rappresentanti di quelle civiltà: i Mongoli tenevano il dominio, ma non il governo. Gengis Khan riconobbe che era necessario di rendere via via il proprio governo indipendente dai funzionari stranieri. A tale scopo fece impartire un'educazione elevata tanto ai suoi figli quanto ai membri della nobiltà mongola.

Ma le buone intenzioni di Gengis Khan s'infransero dinanzi al fatto che il nomadismo guerriero e la missione di una civiltà superiore sono termini inconciliabili.
Mancava ai nomadi la capacità del lavoro continuato, senza di cui non é possibile la formazione di una cultura intellettuale. Anche i successori di Gengis Khan non poterono fare a meno, per tutti i bisogni del governo e dell'amministrazione, degli Uiguri, Cinesi, Persiani ed altri popoli.
I Mongoli non hanno saputo creare una cultura omogenea e corrispondente al loro carattere, da farne solido fondamento allo Stato, che posava invece sulla volontà del sovrano e sulla assoluta coesione della dinastia regnante. L'immenso impero era considerato semplicemente come proprietà del chan e della sua famiglia; il diritto privato del nomadismo fu pertanto trasferito, senza alcuna modificazione, nell'organismo dello Stato. In ciò sta il vero motivo della dissoluzione della dinastia e con essa dello Stato.

Quale ci é rappresentato nel suo 65.° anno di età, Gengis Khan si distingueva dal suo popolo per imponente statura, robusta struttura del corpo, fronte alta e barba copiosa. L'altezza del suo spirito é documentata dal dominio che sapeva esercitare su sé stesso e dalla forza di volontà cui ogni cosa circostante si piegava. Sapeva tenersi lontano da tutti gli estremi: dal rigido cipiglio atto solo a incutere paura e dallo sfrenato abbandono ai piaceri della vita.
L'immensa forza della sua volontà sopprimeva ogni altra volontà intorno a sé e manteneva nel suo esercito una disciplina ferrea. Gengis Khan aveva consolidato la propria potenza distruggendo tutto ciò che gli resisteva. Ma non si farebbe un'idea completa del grande mongolo chi vedesse in lui solo il conquistatore e il devastatore.

Mentre Gengis Khan era l'esponente del nomadismo che irrompeva nel mondo della civiltà, non si possono d'altronde disconoscere in lui tratti di straordinaria grandezza. Come sovrano, seppe dar forma ad alti pensieri e non trascurò nemmeno alcuni problemi della cultura. Per quanto operasse sempre coll'unico scopo di rafforzare la propria potenza, egli seppe dominare gran parte della terra con una acutezza di visione quale é propria solo dei geni. In lui si avvera un peculiare fenomeno storico.
Passò sopra vaste contrade saccheggiando e distruggendo, ma il suo passaggio portò a molteplici relazioni di cultura. L'invasione mongola ha fatto nascere i più grandi scambi commerciali che la storia abbia mai registrato. Venezia era unita a Pechino per una via che passava per Costantinopoli e Trebisonda.

Tutto ciò può apparire un merito di Gengis Khan; ma forse, più che a lui, si deve alle circostanze nelle quali le nuove relazioni fecero nascere ed avvicinare gli scambi e i commerci. Eppure Gengis Khan, intermediario di cultura, ma indipendente nel suo pensiero e nella sua attività, non subì per nulla gli influssi delle grandi civiltà che fin dal XII secolo si erano aperte la via nella Mongolia. Egli non parlava altra lingua che il mongolo, non sapeva né leggere né scrivere e, nonostante la vicinanza della Cina burocratica, ignorava perfino l'uso del sigillo. Fu grande per il suo genio di organizzatore, per le sue doti di sovrano. A questo lato del suo carattere si deve riportare l'interesse che dimostrò alla cultura.
Gli torna pur sempre a grande onore l'averne compreso, col suo acuto intelletto, l'alto valore e di aver trovato il modo di farla servire ai bisogni del suo regno di nomadi. Ma un valore indipendente non le riconobbe mai, pervaso dal pensiero che il dominio spetta ai nomadi e che i popoli civili, ponendo a disposizione di quelli le forze del loro lavoro, debbano servire al nomadismo.

Solo una volta sembra che Gengis Khan abbia sentito un interesse personale per i tesori puramente spirituali di una cospicua civiltà. Nel 1219 invitò a Samarcanda un filosofo cinese, il monaco taoista C'am c'ean, col quale ebbe vari colloqui nei quattro anni seguenti. Gengis Khan aveva sentito parlare delle dottrine di una scuola filosofica che si riattaccava al grande Lao tse e che mirava a raggiungere un'esistenza di imperturbata purità spirituale mediante la meditazione; simboleggiando questo appagamento di un ideale filosofico nella vecchia immagine della pietra filosofale. Ebbene, dalle domande rivolte al sapiente da Gengis Khan, risulta che questi, preso alla lettera il simbolo, aveva frainteso la dottrina, pensando di poter con essa ottenere un mezzo per non morir mai.

Riguardo al suo pensiero politico, Gengis Khan rimase sempre il condottiero dei nomadi. Il grandioso impero da lui fondato significava per lui il dominio dei nomadi sopra i popoli civili di cui si aveva bisogno come agricoltori ed operai. Egli agiva per sé e per la sua dinastia; egli applica alla politica dello Stato, mostruosamente ingrandite, le concezioni del diritto familiare del nomadismo. Ma la cultura intellettuale dei popoli vinti era una forza reale di cui Gengis Khan voleva far partecipi anche i Mongoli.
Intanto egli aveva organizzato lo Stato, di per sé, con tanta saldezza, che l'unità di esso si mantenne per ben quarant'anni dopo la sua morte.

Nell'agosto del 1227, a 72 anni, morì il più potente di quanti fondarono e formarono regni in Asia, lasciando ai figli, insieme ai territori conquistati, un grandioso organismo politico.
L'impero di Gengis Khan era uno Stato di nomadi; in ciò stava il problema della sua esistenza politica. Ogni cultura intellettuale si basa sul lavoro disciplinato, che si ottiene solo con la sedentarietà e il lavoro di parecchie generazioni. Se la forza dell'impero doveva basarsi sul nomadismo dei Mongoli, come aveva voluto il chan, veniva per questo fatto a mancar loro il mezzo di procurarsi una elevata cultura.
Assai scarso fu sempre il numero dei Mongoli capaci di attendere alle cariche dello Stato. Bisognava ricorrere ai servizi dei popoli assoggettati. A Gengis Khan non era però sfuggito che il popolo dominatore doveva emanciparsi dall'aiuto di popoli e di civiltà straniere.
Il popolo nel suo insieme doveva bensì conservare il nomadismo, radice della sua forza; ma il chan dispose che i figli della nobiltà mongola imparassero a leggere e a scrivere. Sorse così una scuola di corte, che doveva provvedere funzionari allo Stato. Le doti militari del sovrano si rispecchiano nella sua concezione dell'ordinamento giuridico; anche come reggente fu guerriero. Volle metter fine alla mancanza di disciplina, all'anarchia delle steppe; la parola d'ordine fu «ubbidienza» e la ferrea disciplina dei suo esercito fu trasferita nel giure e in tutta la vita popolare. A ciascuno assegnò un posto nell'immenso organismo dello Stato. Non esisteva che una volontà, la sua; nessuna autorità accanto alla sua.

Gengis Khan mise veramente ordine rigido ed esemplare in un popolo indisciplinato, sfruttando politicamente anche le religioni. Poiché i rappresentanti del buddismo e del cristianesimo, forze di cultura, gli erano indispensabili, praticò verso tutte le credenze eguale tolleranza. La cultura uiurica innestata all'aristocrazia mongolica produsse per lo meno una certa unità di educazione tra le classi dirigenti. I successori dei gran sovrano non seppero trattare il problema della cultura con altrettanta genialità e sicurezza di vedute.
La solidarietà degli interessi, già minacciata nel vasto impero, si infranse del tutto a causa delle differenze di mentalità. Trent'anni dopo la morte di Gengis Khan (1227), restavano ancora alcuni capi educati da lui; e finché parlò in essi lo spirito del fondatore dell'impero, l'unità si mantenne. Divisa la dinastia in rami di cui ciascuno aveva pienezza economica, politica e religiosa, anche l'impero si sfasciò.

Il concetto di proprietà del dominio nomade lo aveva tenuto insieme. Non dipendendo più i singoli rami uno dall'altro, il legame venne a mancare. Non si era formata presso i Mongoli alcuna idea di Stato, alcuna concezione veramente politica, da sostituire alla primitiva idea della proprietà, con la quale erano appunto inconciliabili le grandi vicende politiche.
Per quanto ci é dato riconoscere la personalità di Gengis Khan dalla sua opera politica, dobbiamo annoverarlo fra gli spiriti più grandi che abbiano segnato il cammino all'umanità. Egli seppe, mediante una sola volontà, svegliare, riunire e guidare forze immense. Forse egli fu il più grande di tutti gli uomini in cui predominò la volontà.
Non solo s'innalzò su quelli che lo circondavano, per le sue eminenti doti intellettuali, ma riconobbe altresì, con la perspicacia del grande statista, qual valore potessero avere per la costruzione del suo impero i tesori di civiltà a lui d'altronde del tutto stranieri. Il cerchio delle idee direttive entro cui Gengis Khan si mosse, fu certamente ristretto; ché egli rimase sempre il re di nomadi, il capo di un'aristocrazia di tribù. Ma diede un gigantesco sviluppo all'idea del predominio del nomadismo e ne fece il principio di un impero universale, che portava così con sé la propria debolezza e il germe del dissolvimento.

Alla morte di Gengis Khan il suo impero comprendeva quasi tutta l'Asia, dal Mare del Giappone al Mar Nero ; a sud era limitato dal Hoang-ho e Kuen lün; vi eran comprese la Persia, nonché parte della Siberia e della Russia. Gengis Khan lasciò disposizioni minute per la spartizione dell'impero, dettategli solo dall'idea che si era fatta della capacità dei propri figli; nessuno dei suoi parenti riuscì mai ad avere una qualche influenza sulla sua grande anima. Solo per seguire la consuetudine popolare, assegnò, ancora vivo, alcune parti dell'impero ai figli.

A G'ug'i, il figlio maggiore, toccò il territorio tra Selenga e l'Jenissei. Dei due altri figli, G'agatai si stabilì a sud dell'Ili, Ogotai - come pare - nelle regioni altaiche; ma finché il padre visse, non si allontanò dal territorio dell'alto Irtysh. Gengis Khan dispose che ad Ogotai, il figlio minore, che all'energia ed intelligenza univa un fare insinuante e simpatico, fosse assegnata, insieme alla parte orientale dell'impero, anche l'alta sovranità su di esso.
Karakorum, da lui abbellita con splendidi edifici, divenne la capitale dell'impero, la caratteristica capitale delle steppe; che solo la volontà del sovrano poté formare qui una città, scomparsa poi col dissolversi dell'impero. Ogotai proseguì la conquista della Cina, distruggendo nel nord la dinastia Kin ed estendendo il proprio dominio fino al Yang-tse.

A Batu, nipote di Ugedai, fu assegnato l'occidente dell'impero, con Sarai sul Volga come capitale. Con lui cominciarono (1237) le terribili invasioni tatare in Europa. Per lungo tempo la storia della Russia si svolge sotto il predominio dei Tatari. Penetrati, attraverso la Livonia e la Polonia, nell'Ungheria e nella Slesia, in un'accanita battaglia (1241) sconfissero presso Liegnitz l'esercito dei cavalieri tedeschi.

Per le operazioni della colonna al comando di Khaidu, diventate famose per la battaglia di Leignitz ma che coinvolsero solo ¼ dell’esercito mongolo può bastare un breve riassunto. Il Grousset ne parla in questi termini.
“... parte dell’armata mongola , lanciò un attacco in Polonia. Durante l’inverno del 1240-1241 i Mongoli attraversarono la Vistola ghiacciata (13 Febbraio 1241), saccheggiarono Sandomir e avanzarono fino ai dintorni di Cracovia. Essi sconfissero un’armata poalacca a Chmielnik il 18 Marzo 1241, e marciarono su Cracovia, da dove il re polacco Boleslao IV fuggì in Moravia. Trovando Cracovia abbandonata dai suoi abitanti i Mongoli la diedero alle fiamme. Essi penetrarono in Slesia sotto il comando di un principe che gli storici polacchi chiamano Peta – sicuramente Baidar- attraversarono l’Oder a Ratibor e si scontrarono con il duca polacco Enrico di Slesia che comandava un’armata di 30000 uomini che consisteva di Polacchi, crociati tedeschi e cavalieri teutonici. Il 9 aprile questa armata fu annientata e il duca ucciso a Wahlstatt vicino a Liegnitz (Legnica). Dopo questa vittoria i Mongoli si diressero in Moravaia e devastarono la regione, ma non furono in grado di prendere la città di Olomuc, difesa da Yaroslav di Sternberg. Dalla Moravia questo corpo si ricongiunse alle altre armate mongole che operavano in Ungheria”.

Come si vede l’incursione in Slesia e la vittoria di Liegnitz erano servite solo come un’azione di copertura magistralmente condotta per l’attacco principale che era rivolto contro l’Ungheria. Forse sfuggì ai Mongoli o forse la cosa non importò ai fini dei loro piani che dopo Liegnitz tra la Polonia e la Francia non c’era una sola forza organizzata in grado di contrastarli.

L'Europa stava indifesa dinanzi alla loro marcia vittoriosa. La salvezza le venne dal caso, Ogotai morì a Karakorum nel dicembre del 1241; sua moglie Turakina fece dichiarare erede, dall'assemblea dello Stato, il proprio figlio Kujuk. A causa di questi avvenimenti Batu tornò in Oriente, dove riuscì a imporre con la violenza, morto Kujuk (1247), la elezione a gran chan di Mangu, figlio di Tuli quarto figlio di Gengis Khan.
Sotto Mangu (1251-57) l'impero mongolo toccò la sua massima estensione grazie alle conquiste de' suoi fratelli Kubilai e Hulagu. Kubilai s'impadronì della Cina meridionale e divenne gran chan (1260). Egli trasferì in Cina il centro dell'impero, facendone capitale Pechino, col nome di Cambaluk, cioé Khan-balik (città del Chan).

Nel frattempo, in Occidente, Hulagu iniziò la conquista della Persia. Che in breve avrebbe portato alla
distruzione del regno del califfo. Bagdad, la capitale, espugnata nel 1258, fu distrutta e saccheggiata e la massima parte della popolazione uccisa.

Trentasettesimo esponente della sua linea dinastica, al-Mustasim regnava su un territorio ristretto ormai al solo Iraq, un’ombra di quello che era stato il califfato al suo apogeo, ma si sentiva ancora il capo spirituale della comunità islamica ed era di conseguenza poco disposto a sottomettersi ad un barbaro miscredente. La sua condotta mostrò alquanto a desiderare perché, senza compiacere il suo pericoloso vicino mandando truppe o tributi, non mostrò sufficiente risolutezza nel preparare la difesa e lasciò che le inconcludenti trattative andassero avanti quasi fino al momento in cui l’esercito mongolo incombette sulla città.

Le truppe califfali furono spazzate via e la città investita nel gennaio del 1258 L’assedio fu breve e già il 10 febbraio le truppe mongole avevano aperto delle brecce. Il califfo per stornare l’imminente catastrofe mandò alti dignitari e i suoi stessi figli con doni, accettando di sottomettersi. Infine si recò di persona all’accampamento mongolo e fu accolto affabilmente da Hulagu. I Mongoli, gli imposero di lanciare un appello alla popolazione perché deponesse le armi e uscisse dalla cinta di mura per essere censita. Quelli che ascoltarono l’appello uscirono dalla città, furono suddivisi in vari gruppi, e fatti a pezzi scaglione dopo scaglione. Questo massacro perpetrato a sangue freddo doveva precedere il saccheggio e renderlo il più comodo possibile.

I giorni successivi furono dedicati dalle truppe mongole ad asportare tutti i beni che era possibile trasportare. Il saccheggio non risparmiò nulla: dal palazzo del califfo all’ultima casa popolare. Quelli degli abitanti che non erano riusciti a nascondersi perfettamente furono uccisi sul posto. I cristiani rifugiati nelle chiese furono risparmiati per l’influenza della Dotuz Khatun.
Alcuni Mussulmani cercarono di comprare la salvezza, ma solo dopo sette giorni di saccheggio e caccia all’uomo ai superstiti fu concesso di vivere. Al- Mutassim fu indotto da Hulagu a rivelare tutti i tesori segreti, poi fu portato insieme ai suoi figli nel villaggio di Vakaf. I mongoli non usavano spargere il sangue dei nemici di sangue reale, per cui misero il califfo in un sacco e lo fecero calpestare a morte dai cavalli. I suoi figli e ogni parente abbaside furono analogamente messi a morte. Il fetore proveniente dalla montagna di morti insepolti si era fatto così pestilenziale da indurre i Mongoli a muoversi a parecchi chilometri dalla città devastata.

Per assicurare una certa parvenza d’ordine e di amministrazione essa venne affidata allo stesso visir che aveva servito sotto al Mutassim e che lo aveva consigliato invano di sottomettersi ai Mongoli.

Al saccheggio di Baghdad seguì un periodo di stasi della durata di circa un anno, finché nel 1259 Hulagu intraprese la campagna di Siria. Questa era un obiettivo fin troppo ovvio dal momento che si spingeva ormai come un saliente nei territori governati dai Mongoli della Mesopotamia, dell’altopiano armeno e dell’Anatolia. La situazione politica sulla costa mediterranea presentava un quadro piuttosto variegato. Fino agli anni 50 sulla costa resistevano alcune città in mano ai crociati, gli ultimi avanzi degli stati che erano stati severamente ridimensionati dopo le campagne di Saladino nel 1174-92.
Saladino aveva unificato gli emirati mussulmani di Damasco e Aleppo con l’Egitto e aveva dato origine alla dinastia ayyubide che aveva regnato per circa ottanta anni prima di essere rovesciata dai Mamelucchi.
Nel libro “Mongols and Mamluks di Amitai-Preiss essi sono così sinteticamente descritti

“I Mamelucchi erano schiavi-soldati, soprattutto di origine turca che erano stati razziati dai territori stepposi e ancora pagani a nord dell’area islamica. Non appena arrivati nella loro nuova patria veniva loro imposto un rigoroso addestramento militare e venivano loro impartiti col massimo rigore gli insegnamenti dell’Islam, finché non erano plagiati e poi arruolati come arcieri a cavallo nell’armata del loro patrono. Separati come erano dalle loro famiglie e dalla terra d’origine, da una parte, e dalla popolazione locale, dall’altra, essi mantenevano grande lealtà sia al proprio patrono che ai compagni di schiavitù. La società mamelucca era una aristocrazia militare di una singola generazione, continuamente replicata, perché i figli dei Mamelucchi non potevano essi stessi diventare Mamelucchi. I loro ranghi erano rinfoltiti dall’afflusso di nuove giovani reclute schiave”

I sultani Ayyubidi d’Egitto avevano fatto un sempre crescente impiego di queste truppe speciali, e, paradossalmente furono proprio le invasioni mongole con la riduzione in schiavitù di vastissime popolazioni turche a permettere l’immissione sul mercato di giovani schiavi che si sarebbero rivelati eccellenti guerrieri contro gli stessi Mongoli. Il sultano ayyubide al-Salih (1240-1249) comprò un migliaio di ragazzi di etnia turco-Qipchaq, appartenenti a quei khanati spazzati via dall’orda mongola durante la campagna in Russia del 1237-1240 e venduti poi ai mercanti locali.
Il migliaio di giovani Qipchaq comprati da al-Salih costituirono un unico reggimento, detto dei Bahriyya, da cui emerse il futuro sultano Baibars, che già nella giornata di al-mansura, in cui le forze ayyubidi sconfissero i crociati guidati da Luigi IX (1250), si distinse nei combattimenti.

La dinastia ayyubide si trovò ben presto rovesciata dagli stessi Mamelucchi che l’avevano salvata dai crociati e nel periodo 1250-1260 l’Egitto assistette ad una serie di lotte per il potere tra gruppi differenti di Mamelucchi, mentre il reggimento Bahriyya, escluso dal potere dal sultano Aybeg (anche lui un mamelucco), passò al servizio dell’ ayyubide al-Nasir Yusuf signore di Damasco e Aleppo.
Al-Nasir, accarezzava l’idea di riportare l’Egitto sotto il controllo della sua famiglia, ma all’atto pratico si rivelò un sovrano irresoluto che alternava atteggiamenti di sfida e sottomissione ai Mongoli, ma che fece ben poco per preparare il regno ad affrontarli.. Alle soglie dell’invasione mongola la Siria e l’Egitto, erano così divisi in regni non ancora consolidati e incapaci apparentemente di fare fronte comune contro l’imminente minaccia.

Il 18 dicembre 1259 le truppe mongole passarono l’Eufrate e raggiunsero la città di Aleppo che cadde dopo una settimana d’assedio alla fine del gennaio 1260. La cittadella resistette un altro mese finché non capitolò sotto condizioni onorevoli. Gli Ayyubidi di Hama e Homs corsero a rifugiarsi alla corte di al-Nasir Yussuf, mentre alcuni personaggi importanti della corte siriana, come Al-Ashraf Musa defezionarono ai Mongoli. A questo punto però Hulagu, iniziò una ritirata verso est, lasciando in Siria un distaccamento di Mongoli che assommava a 10-12000 guerrieri al comando di Kitbuqa.
Proprio in quel periodo infatti gli era giunta la notizia della morte di Mongka, il capo supremo dei Mongoli. Il decesso di questo energico sovrano rappresentò una svolta nella storia dell’Oriente. I quattro khanati mongoli erano stati finora uniti dalla sua autorevole figura, ma alla sua morte scoppiò una disputa per la successione tra i due fratelli Arigh-boke e Khubilai, ciascuno dei quali si fece eleggere in una quriltai illegale, perché non rappresentativa l’intera assemblea dei Mongoli. Nella guerra civile Hulagu sostenne Khubilai, mentre Arigh Boke godette del sostegno di Berke, khan dell’orda d’oro, e di Jiagatai. L’unità dell’impero mongolo venne spezzata da questa disputa e mai più ricostituita.

Per il momento le unità lasciate a Kitbuqa parvero all’altezza del compito. Al-Nasir Yussuf era fuggito da Damasco ancora prima della caduta della cittadella di Aleppo e si era rifugiato in Egitto. Qui era avvenuto un colpo di stato nel quale Aybeg era stato assassinato per ordine della sultana Shajar-ad Dur, già vedova del sultano precedente. La sultana non aveva però abbastanza sostenitori tra i Mamelucchi e la maggioranza di loro ne pretese la morte.
Successivamente fu elevato al trono l’infante figlio di Aybeg, ma nel dicembre del 1259 il mamelucco Qutuz, uno degli ex colleghi di suo padre, lo depose diventando sultano al suo posto. I Mamelucchi Bahriyya che avevano seguito l’ayyubide al-Nasir Yussuf a Damasco in odio ad Aybeg ma che erano disgustati dalla mancanza di coraggio del loro padrone, ritornarono al Cairo, unendosi alle forze del nuovo sultano, mentre al-Nasir parimenti timoroso dei Mongoli e Mamelucchi vagò nel deserto palestinese finché non fu catturato da una pattuglia mongola. Il suo seguito che contava truppe assortite di ogni tipo, continuò la marcia verso il Cairo per mettersi al servizio di un più risoluto padrone.

Negli stessi mesi in cui i Mongoli avevano perso l’unità politica i Mamelucchi l’avevano ritrovata e si preparavano ad affrontare la minaccia.

Kitbuqa arrivò a Damasco il 14 Febbraio 1260 e la trovò già pronta a sottomettersi, per cui non ci furono i soliti massacri e saccheggi. Al seguito di Kitbuqa erano i suoi alleati, il re d’Armenia e il principe Boemondo d’Antiochia. Non accadeva da secoli che tre condottieri cristiani sfilassero per le vie di una delle capitali dell’Islam.

Il 2 marzo 1260 un governatore di Hulagu stabilì una regolare amministrazione mongola della città. I Mongoli ricevettero anche la sottomissione di Hama, mentre il principe Ayyubide al-Ashraf Musa che aveva fin dall’inizio incitato i Mongoli ad invadere la Siria per poter riottenere il principato di Homs che gli era stato sottratto da al-Nasir Yussuf, venne insignito del governo, probabilmente nominale, della Siria mongola.
Una forza da ricognizione mongola compì un raid a vasto raggio in Palestina, toccando Hebron, Ascalona e Gerusalemme, per sconfiggere a Nablus gli ultimi uomini fedeli ad al-Nasir.
Il principe di Damasco, catturato nel deserto della Transgiordania fu poi inviato ad Hulagu che lo tenne prigioniero per qualche mese e poi lo fece uccidere.

Kitbuqa dovette stroncare una rivolta della guarnigione di Damasco che portò alla distruzione parziale della cittadella, poi, conquistò Baalbek e diverse piazzeforti nelle colline del Golan e della Transgiordania.. Anche il signore ayyubide di Kerak, al-Mughit ‘Umar mandò la propria sottomissione.

Questi facili successi erano stati ottenuti per l’irresolutezza degli Ayyubidi di Siria, ma se il loro dominio era stato integrato in quello mongolo, la loro forza militare era passata pressoché intatta ai Mamelucchi d’Egitto.
Baibars, ormai capo riconosciuto dei Bahriyya, incitò Qutuz a passare all’offensiva. L’Egitto poteva e doveva essere difeso in Palestina e i Mongoli non erano invincibili se attaccati con la tattica giusta. Nell’estate del 1260 Hulagu mandò un’ambasceria al Cairo con l’ingiunzione ai Mamelucchi di sottomettersi ai Mongoli a cui era stato dato dal cielo il dominio del mondo. Chi non si sottometteva subito sarebbe stato considerato un ribelle e, come tale, distrutto. Qutuz fece uccidere gli inviati mongoli. Il dado era tratto.

LA BATTAGLIA - Subito dopo l’uccisione degli ambasciatori mongoli l’esercito mamelucco si mise in marcia. Era il 26 luglio del 1260. Le truppe di Qutuz erano piuttosto assortite: comprendevano l’armata egiziana con il corpo d’elite mamelucca, e contingenti misti di Siriani, Turcomanni, beduini del deserto e disertori dell’esercito mongolo.
Reuven Amitai-Preiss parla di circa 10.000 Egiziani e un numero imprecisato, (forse altrettanti) alleati. L’esercito così raccolto e in particolare gli ufficiali non mamelucchi erano poco entusiasti all’idea di combatter i Mongoli, ma Qutuz riuscì a convincere anche i più riottosi a partire. Baibars fu elevato al comando dell’avanguardia.

Un primo contatto con i Mongoli avvenne a Gaza, dove un distaccamento mandato da Kitbuqa fu facilmente volto in fuga. Da Gaza Qutuz mosse verso Acri. Il suo itinerario prevedeva di passare per la costa Palestinese per tagliare eventualmente le comunicazioni ai Mongoli se avessero indugiato in Transgiordania. C’era però bisogno del consenso dei Franchi dei territori crociati. I Cristiani erano divisi tra loro sulla linea politica da prendere, ma alla fine scelsero i Mamelucchi, permisero loro il passaggio e li rifornirono lungo la strada.
I Mongoli erano stati preceduti dalla loro cattiva fama di distruttori e nei mesi precedenti avevano compiuto un’incursione devastatrice a Sidone, in risposta ad una mal consigliata scorreria del signore della città, Giuliano, nei territori amministrati da Kitbuqa. La diffidenza dei Franchi era quindi comprensibile.

Kitbuqa si fece cogliere per nulla impreparato dall’arrivo dei Mamelucchi. Le sue truppe erano sparse in una vasta area, anche per risolvere il problema di trovare pascoli per cavalli. Dopo un attimo di esitazione decise di muovere verso sud ed accettare la sfida. Il suo esercito non comprendeva più di 12.000 uomini, inclusi contingenti della Georgia, dell’Armenia minore e di alcuni principi Ayyubidi: al-Ashraf Musa e Said Hasan. Muovendosi verso sud Kitbuqa prese posizione presso Ayn Jalut: gli “Stagni di Golia”, una sorgente che si trovava ai piedi dell’angolo nord-occidentale del monte Gelboè, teatro in epoca biblica di una famosa battaglia tra Israeliti e Filistei.
Il luogo si trova a 15 Km a nord-ovest della città di Baysan. Il posto offriva naturalmente acqua in abbondanza e pascoli per i cavalli, il terreno ideale per un esercito quasi completamente montato come quello mongolo. Il monte Gelboè e la collina di Moreh potevano inoltre offrire protezione ad un esercito ridotto come quello di Kitbuqa.

Nello stesso tempo i Mamelucchi da Acri si inoltrarono in Palestina, e l’avanguardia al comando di Baibars prese contatto con gli schermagliatori Mongoli. Baibars sconfisse alcuni distaccamenti e avvertì Qutuz che aveva preso contatto con gli avversari.
Il 3 settembre del 1260 Baibars arrivò in vista del grosso dell’esercito mongolo accampato ai piedi del Gelboè. Avvistato anche lui venne immediatamente inseguito. Il Runciman riporta che la fuga di Baibars fu uno stratagemma per attirare i Mongoli contro la forza principale dei Mamelucchi al comando di Qutuz.
I Mongoli furono certamente attratti qualche miglio a nord di Ayn Jalut e incocciarono nei loro avversari che scendevano per la valle di Jezreel da nord-ovest. Fu quindi una battaglia d’incontro. I Mongoli e i Mamelucchi fondavano la loro forza sugli arcieri montati. I Mongoli che portavano con sé almeno cinque pony delle steppe, godevano certamente di maggiore mobilità e potevano tirare d’arco anche mentre erano in corsa. Tuttavia erano armati ed equipaggiati più leggermente dei Mamelucchi. Molti possedevano solo arco e frecce, più asce e mazze per il combattimento corpo a corpo. Essi avanzavano in scaglioni, avvicinandosi al nemico quanto bastava perché le frecce fossero efficaci contro le loro corazze per poi rompere il contatto dopo la prima salva e permettere al secondo scaglione di effettuare la propria azione.
I Mamelucchi avevano archi e frecce di miglior qualità, nonché, spade, asce, e lance per il combattimento ravvicinato. Erano meglio addestrati ad un tiro preciso e potevano caricare e andare al corpo a corpo con i loro avversari. In pratica compensavano la loro minore mobilità con una maggiore potenza di fuoco. I Mongoli per essere efficaci contro le loro corazzature si dovevano avvicinare moltissimo ai loro avversari, esponendosi così al tiro dei loro archi e alla carica dei lancieri.
Naturalmente le truppe d’elite mamelucche, le uniche perfettamente equipaggiate e addestrate, anche nei momenti migliori non erano la maggioranza dell’esercito egiziano e alcuni reparti non mostrarono la loro stessa coesione e fermezza di fronte all’avvicinarsi dei Mongoli.

La battaglia di Ayn Jalut mostrò in pieno queste caratteristiche. Nonostante l’inferiorità numerica e lo svantaggio tattico i Mongoli erano avversari temibili e la l’ala sinistra mamelucca iniziò a fuggire ancora prima di prendere contatto. Qutuz pregò Allah di dargli la vittoria, raccolse le sue truppe scelte e lanciò una carica di contrattacco che riuscì ad entrare in mischia con i Mongoli mettendoli in rotta. Un secondo attacco mongolo, o meglio un secondo scaglione ebbe parimenti successo nel mettere in fuga alcuni Mamelucchi, ma ancora una volta la carica delle sue migliori truppe permise a Qutuz di ingaggiare nel corpo a corpo i suoi sfuggenti avversari. La stessa ala sinistra mamelucca che prima era fuggita, rientrò in combattimento.

Nel frattempo la superiorità numerica dei Mamelucchi fu accresciuta dalla defezione degli uomini di al-Ashraf Musa, che abbandonarono Kitbuqa. Questi venne ucciso in battaglia o subito dopo la cattura, dopo aver predetto ai Mamelucchi che il suo signore l’avrebbe vendicato.

La sconfitta dei Mongoli fu disastrosa perché i loro avversari riuscirono a circondare gran parte del loro esercito. Alcuni fuggiaschi furono uccisi dagli abitanti dei villaggi locali, altri si rifugiarono in un canneto: i Mamelucchi diedero fuoco alla vegetazione e li sterminarono. Baibars si occupò personalmente del rastrellamento dei fuggitivi.

CONSEGUENZE - Alla notizia dell’esito della battaglia, i Mongoli di Damasco , insieme ai più compromessi dei collaborazionisti che, fidando nella loro invincibilità si erano uniti a loro contro i correligionari, lasciarono la città, ma vennero tormentati nella loro fuga dagli abitanti locali, desiderosi di far pagare care le vessazioni a cui erano stati sottoposti per mesi. Lo stesso capitò ai Mongoli in fuga da Hama e Homs. Baibars piombò con le sue truppe su questi contingenti mongoli e su altre truppe che Hulagu aveva mandato di rinforzo a Kitbuqa, sconfiggendole.
Tutto il dominio mongolo in Siria crollò ad Ayn Jalut e i pochi scampati al disastro si rifugiarono oltre l’Eufrate o in Cilicia presso Re Hetum. Qutuz ebbe in mano anche i principi ayyubidi superstiti.

Al Mansur Muhammad, che aveva sempre combattuto con i Mongoli fu reinsediato nel principato di Hama. Al Ashraf Musa, che con la sua diserzione aveva facilitato di molto la vittoria dei Mamelucchi riottenne Homs. Entrambi però dovevano ora governare sotto la sovranità del sultano d’Egitto. Infine al Said Hasan che non aveva cambiato bandiera in tempo fu sommariamente decapitato. A Damasco ancora prima dell’arrivo dei Mamelucchi erano cominciate le purghe contro i collaborazionisti.

I cristiani in particolar modo, che avevano goduto per sette mesi della protezione dei Mongoli per ottenere uno status egualitario nei confronti dei Mussulmani, furono perseguitati: i loro averi furono depredati e le loro chiese bruciate. Qutuz premiò col governatorati di Damasco e Aleppo alcuni suoi collaboratori, ma trascurò proprio Baibars, insieme a lui il grande artefice del successo di Ayn Jalut. La rappresaglia del comandante dei Bahriyya non si fece attendere.
Il 23 Ottobre del 1260 mentre Qutuz era sulla via del ritorno al Cairo dove lo attendeva il trionfo, Baibars gli affondò una spada nella schiena e si fece immediatamente riconoscere sultano al suo posto.
Sotto il suo sultanato, che sarebbe durato dal 1260 al 1277 i nemici dei Mamelucchi non ebbero tregua.

I Cristiani che si erano alleati con i Mongoli pagarono cara la loro scelta, dal momento che le truppe Egiziane devastarono sistematicamente il regno armeno e il principato d’Antiochia, finchè la stessa capitale non cadde in mani mamelucche nel 1268. Hulagu fu comprensibilmente infuriato alla notizia della disfatta e morte di Kitbuqa, ma per tutti gli anni che gli rimanevano da vivere non poté intraprendere un’altra invasione in larga scala della Siria.
Il clan dell’orda d’oro Berke, convertito all’Islam e con una disputa territoriale con Hulagu riguardo ai territori del Caucaso scatenò una guerra sanguinosa che tenne impegnate le risorse militari dei Mongoli di Persia. Hulagu si scontrò a più riprese presso il fiume Terek ed ebbe la peggio nell’ultima battaglia. Berke inoltre si alleò proprio con i Mamelucchi e tenne aperti i canali per il vitale traffico di giovani schiavi soldati dalle steppe asiatiche.

L’universalismo mongolo venne così fermato dalle dispute intestine più che dalle sconfitte militari. Hulagu e i suoi successori che si chiamarono Ilkhan continuarono a regnare sull’Iran, Iraq e sui territori del Khurasan a sud dell’Oxo. Circondati ormai da vicini ostili del loro stesso sangue, non riuscirono per molti anni a concentrare i loro sforzi contro i Mamelucchi. Tuttavia né Hulagu, né il figlio di lui Abaqa (1265-81) rinunciarono al loro sogno di conquista, e al perseguimento di una politica antimussulmana, in un regno in cui l’Islam era seguito dalla larga maggioranza dei loro sudditi.

Ayn Jalut rinfrancò lo spirito dei Mussulmani più di ogni altro evento. Era stata una vittoria ottenuta contro un nemico fino ad allora creduto invincibile, e poco importava che fosse stata impegnata solo una piccola parte dell’esercito mongolo. L’Islam aveva superato una delle sue prove più ardue grazie ai suoi campioni, Baibars e Qutuz. Tuttavia la lotta contro i Mongoli, proseguì per molti anni con alterne fortune e fu solo la vittoria di Homs (1281) che liberò l’Egitto e l’Islam dall’incubo della conquista e distruzione.


Sfasciatosi l'impero mongolo, la sua storia diventa quella dei regni che ne sorsero: quattro regioni del tutto distinte, che d'ora in poi hanno la loro speciale storia. Il regno del Gran Chan comprende l'Oriente, con Pechino per capitale; gli appartengono la Cina, Corea, Mongolia, Manciuria e il Tibet.

La parte centrale, formata dal territorio tra il Kuen-lün e l'Altai, la regione fino all'Oxus, l'Afghanistan e poi anche il Peng'ab, costituiva il regno di G'agatai, con Almalik sull'Ili per capitale. Qui si formò poi il regno di TIMUR (1400). (Ne parliamo nel prossimo capitolo)


Il regno settentrionale o di Kipc'ak, si costituì mediante le conquiste di Batu. Comprendeva le steppe dei Kirghizi, dal lago Aral in avanti, tutta la Russia meridionale e centrale sino ai confini della Lituania, Polonia e Ungheria. Il basso Danubio ne formava il confine meridionale; a nord si estendeva sino al 60° grado di latitudine. Dalla parola turca ordu «accampamento», é chiamato il regno «dell'orda d'oro»: nome che accenna alla ricca capitale Sarai, sul Volga. La storia di questo regno fa parte della storia dello Stato russo.

Il quarto regno mongolo, quello degli Ilchani, sorge sulle rovine del califfato, per le conquiste di Hulagu- Parte principale ne é la Persia con l'Armenia e alcune province dell'Asia minore- I discendenti di Hulagu vi hanno regnato per poco più di un secolo.
Finalmente una dinastia mongola é sorta nell'India, gli imperatori Mogul della famiglia di Timur- Dopo che sei dinastie maomettane (1001-1526) quasi tutte di origine tatara si furono succedute nelle lotte più sanguinose di un'epoca di terrore, il timuride Babar fondò la signoria dei Mogul, durata nominalmente fino al 1858.

Proprio a queste due regni di Timur e Mogul
parleremo nel prossimo capitolo.

IL REGNO DI TIMUR E IL GRAN MOGUL > >

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..... CINA-INDIA-GIAPPONE

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