-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

64. BISANZIO, GENESI DI UN IMPERO

Quando Eusebio scrisse la Vita del beato imperatore Costantino, essendo lui un suo smisurato ammiratore , questa era  un'opera  encomiastica più che storica, un opera celebrativa, elogiativa del suo signore da cui riceveva protezione e stipendio. Diventando "Teologo di Corte" per 28 anni, fino al 339, ed essendo il primo autore di una storia della Chiesa (Storia ecclesiastica) con una (tutta "sua") amplissima documentazione ci "narra" i primi tre secoli del cristianesimo, soffermandosi molto spesso sulle "vittorie" del suo benefattore dopo i mille "patimenti" sofferti dai cristiani. Fu infatti lui con i suoi scritti a tramandare nei successivi secoli le "persecuzioni". Da lui in realtà mai viste. E anche se qualcosa vide in Palestina, le ostilità erano perfino all'interno dello stesso movimento cristiano o in quello giudaico.

Anche nella leggenda della "visione della croce" (quando le truppe di Costantino entrarono in Roma) c'è solo una fonte ed è proprio quella dello stesso Eusebio, nella sua "Vita di Costantino", ma questa fu fatta solo nel 337 cioè posteriormente alla morte di Costantino, mentre Eusebio non l'accenna invece minimamente quando scrisse nel 325 la già citata "Storia Ecclesiastica".

Dopotutto la croce non era un simbolo esclusivamente cristiano. In tempi passati i galli avevano combattuto sotto la croce di luce del dio Sole, sicchè (visto che le truppe di Costantino erano proprio della Gallia) i cristiani avrebbero visto nel labaro la croce del Cristo mentre per i soldati quello era semplicemente il loro labaro e basta.

Comunque dobbiano attingere a questi panegiristi, che affermano che la vittoria a Costantino gli era stata promessa dal Dio, e al Ponte Milvio lo stesso Dio aveva poi mantenuto a lui quella promessa; che poi ci siano state altre versioni o interpretazioni  non cambia nulla. Le idee di Costantino su Dio e sul cristianesimo saranno forse state chiare, non altrettanto chiare furono in seguito, soprattutto in merito alla differenza tra il Cristo, il Sol invictus (il suo dio Sole) e la sua persona. Cristiano non lo fu mai, solo a pochi minuti dalla morte, quando - ma ce lo racconta sempre Eusebio unico testimonio - prima di ricevere i sacramenti  ebbe il battesimo con gli ultimi dubbi, ma alla fine disse "e sia, abbandoniamo ogni ambiguità". 
Un episodio - se è vero- anche questo è molto ambiguo come molti altri fatti nella vita di Costantino. Inoltre significa anche, e Eusebio ne dà la conferma, che Costantino per tutta la vita non fu mai cristiano, visto che lo diventa solo in punto di morte.

Scopo e ambizione di ogni imperatore e di ogni uomo lo abbiamo visto più di una volta è sempre quello a un certo punto di imitare Dio, di sentirsi un Dio, di comandare come Dio; li abbiamo già conosciuti e  ne conosceremo ancora tanti; quelli che diventeranno Imperatori e quelli che diventeranno Papi, sia quando erano cristiani sia quando non lo erano. Solo tanti tentativi, sprazzi di megalomania umana che durano un mattino o al massimo 1000 mesi.
Nessuno è mai andato oltre. La caducità della vita riporta il delirio di onnipotenza nella polvere e livella i forti ai deboli, i "grandi" ai "piccoli". Alle volte come abbiamo visto, basta una piccola zanzara (il grande Alessandro Magno morì di febbre malarica) o basta un piccolo torrente (Barbarossa vi annegò) per spezzare tutti i sogni di gloria. Anche il più piccolo microbo ha la forza di stroncare la vita di un papa, di un imperatore e di un principe.
Molti si ritengono indispensabili e insostituibili, ma come sappiamo ci sono i cimiteri pieni di questi indispensabili. Prova ne sia che dopo di loro il mondo li sostituisce subito e con la massima indifferenza prosegue il suo cammino.

Troveremo Costantino nel 325 seduto negli scranni del Concilio di Nicea fra i vescovi cristiani che si troveranno anche loro disaccordi, fra malumori, controversie, spaccature, dispute infinite. Troviamo lui Costantino a nominarli i vescovi o a deporli, a innalzarli o a bandirli, a intervenire per modificare le loro dottrine, a promuovere una tesi o a condannarne un'altra, volendo e riuscendo a dimostrare sempre che è lui che comanda ed è lui a scegliere gli dei da onorare e i principi fondamentali di questa o quell'altra religione, pur capendo molto poco di teologia.

Costantino lì seduto- instauratore da una parte, continuatore di un conservatorismo dall'altra - fa iniziare gli anni che faranno fare alla civiltà alcuni passi indietro, verso i secoli bui del Medioevo (alcuni storici lo fanno inziare da lui e non dalla caduta dell'Impero Romano, già morto più di un secolo prima). E quel simbolo delle dispute, vero, interpolato o falso, non aggiunse alla mente umana null'altro di quanto vi era già, male e bene, distruttività e costruttività. Cio' che si era verificato prima e tutto ciò che si verificherà poi vi troviamo solo tanta continuità; nè  apporteranno alla mente umana dei mutamenti; ma solo dolori, sangue, miserie, inganni, che non fece onore a nessuno, a pagani e cristiani o atei che fossero, e che continuarono nelle grandi tragedie come se non fosse accaduto proprio nulla.

Costantino quando decise di mettere la capitale a Bisanzio, era convinto di essere impegnato in una missione grandiosa, universale. Adottando una politica ecclesiastica nella politica di governo non faceva altro che perseguire questo: "a un impero universale ci voleva una religione universale". Puro opportunismo? Forse. Ma oltre non andava. Le discussioni fra le correnti religiose gli importavano poco, nè volle mai approfondirle. Lui era e rimarrà sempre un pagano fino alla morte.
Ed era talmente convinto di poter dettare legge, che con una vera e propria ingerenza negli affari della chiesa, dai vescovi ottenne l'adozione di un suo Credo; dovevano accettarlo senza discuterlo, nè volle dare una intepretazione ufficiale del significato di questo Credo. Del resto non avrebbe potuto, ne' era in grado di farlo. Le contraddizioni in tutto il suo operato ce lo dimostrano.

Emigrando a Bisanzio il disimpegno nei confronti dell'occidente e verso Roma era piuttosto inequivocabile. Creò dunque in Oriente il suo impero, poi venne il dominio anche su altre istituzioni civili e religiose. Tuttavia Costantino non fece eliminare nemmeno uno dei numerosi templi pagani che esistevano da centinaia d'anni, ma anzi ve ne aggiunse altri e di grande magnificenza, cercando di accontentare tutte le esigenze delle altre religioni. Intendeva costruire un impero universale con una religione universale ma non intendeva scardinare e soffocare tradizioni, usanze e innocui idoli dei vari gruppi se questi non davano fastidio ad altri.

Roma aveva le sue poderose mura Aureliane? a Costantinopoli se ne costruirono di ancora più poderose e ciclopiche. Roma aveva sul Palatino i grandi palazzi imperiali? a Costantinopoli sul promontorio del Corno d' Oro fece costruire il suo Palazzo, anche se non lo abitò mai. Non badò alle misure, lo fece costruire ancora più grande, tanto che per 8 secoli rimase senza pari l'edificio più grande che si era mai costruito nel mondo.
Roma aveva il tempio della dea Tyche la Dea della Fortuna pagana? A Costantinopoli se ne costruì uno identico. Roma aveva le sue statue pagane che abbellivano la citta'? (che erano poi i capolavori della Grecia) a Costantinopoli ogni luogo pubblico, giardino, anfiteatro, strada, palazzo, si adornarono con le stesse statue "pagane".
(ma "pagane" queste furono chiamate dai cristiani, quando presero il potere, non vollero sentir ragione che erano invece capolavori dell'arte, come quelli di Fidia o di Prassitele. Rappresentavano Apollo? a pezzi. La bellezza femminile era rappresentata dalle stupende Veneri? a pezzi anche quelle).

Roma aveva le sue basiliche per le divinità pagane e cristiane? A Costantinopoli le costruirono più grandi ancora, e quella dei Dodici Apostoli che fece progettare Costantino ma non la vide mai realizzata, diventò la più grande basilica del mondo.
Insomma la Nuova Roma divenne per Costantino soprattutto la "sua" capitale e polarizzò in questa grande città le diversità della parte orientale e occidentale dell'impero: come la lingua, le abitudini mentali, la prosperità economica, cui seguì tutto lo sviluppo della religione cristiana con tutta la sua potenzialità; non dobbiamo del resto dimenticare che ai tempi di Costantino, proprio in Oriente (lasciando per il momento da parte la distinzione se ariano, ortodosso o cattolico di Roma - un disputa questa non acora iniziata) il cristianesimo era più diffuso che in Occidente, anche se come abbiamo letto e leggeremo, più incline a far diventare le controversie dogmatiche infinite, cavillose, arzigogolate. Furono proprio queste a determinare subito e nel corso dei secoli e nel successivo millennio fratture epocali della Chiesa, con tutte le conseguenze politiche, visto che ormai da Costantino in poi a Bisanzio religione e politica erano una sola cosa. Con e dopo Costantino.

Quando l’imperatore iniziò a mutare strategia, passando dalle persecuzioni alle strumentalizzazioni, i cristiani erano persuasi di aver vinto una grande battaglia. La perfetta sinergia dell’impero romano-bizantino e della chiesa cristiana porterà alla convinzione a quelli di Roma che tutto quanto non rientrava nei canoni morali e religiosi della teologia cristiana, del diritto romano e della filosofia greca, andava considerato come "barbaro".

Il medioevo fu appunto la realizzazione di questa pretesa ideologica. Naturalmente non mancarono fin dall'inizio le differenze tra oriente e occidente. Al crollo dell’impero romano (476), gli intellettuali euroccidentali presero a denominare, con malcelato disprezzo, l’area orientale col termine di "impero bizantino" (ancora oggi in occidente si tende a equiparare "bizantino" a cavillosità, pedanteria). Il motivo era forse dovuto al fatto che il trasferimento della capitale sul Bosforo non era stato visto di buon occhio. In effetti fu un colpo di grazia, perchè la fine di Roma - politica e religiosa ed anche economica -  era già stata decretata decenni prima della nascita dell' Impero Bizantino.

In realtà, il titolo di "impero bizantino" era del tutto estraneo agli abitanti dell’area orientale, i quali, per sottolineare la netta separazione dalla pagana epoca precedente, avevano ribattezzato Bisanzio col termine di Costantinopoli o Nuova Roma. I "bizantini" non si autodefinirono mai con questo termine, né con quello di "greci": al massimo con quello di "elleni". Ma in occidente la parola "ellenico" stava per "pagano", contrapposto a "cristiano".

  Meno che mai cristiani e non cristiani occidentali, accettavano che i bizantini si considerassero dei "romani". Paradossalmente, l’impero bizantino veniva riconosciuto come legittimo erede del millenario impero romano più dai giovani popoli barbarici penetrati in Europa che non dai romani in Italia e tantomeno - e sempre di più - dalla papale sede romana. Quando ad es. Vitige, re degli ostrogoti, pur impegnato contro Giustiniano I nel VI sec. per il controllo dell’Italia, e non si oppose che si coniassero le monete con l’effigie dell’imperatore. Ne ebbe rispetto.

Solo col tempo, spinti in questo anche dalle pretese del papato, i sovrani barbarici cercarono di attribuire a loro stessi la legittima successione. Ciò che, per la prima volta, avvenne nell’800, allorquando Carlo Magno re dei Franchi venne incoronato "imperatore romano" dal vescovo di Roma Leone III, suscitando le ire di Costantinopoli, che per molto tempo considerò la scelta di questo titolo un arbitrio oltraggioso, per quanto ciò non abbia determinato delle conseguenze sul piano militare.
L’area bizantina infatti non ha cercato quasi mai di far valere i suoi diritti al cospetto dell’area occidentale usando la forza delle armi. Ciò naturalmente non significa che nel proprio impero il basileus non usasse la spada contro tutti quei popoli (si pensi ad es. ai bulgari e ai serbi) che rivendicavano autonomia politica e amministrativa. D’altra parte sulla legittimità di questo uso nessun cattolico occidentale sarebbe mai stato, in via di principio, contrario. Perfino Dante mille anni dopo, nel suo De Monarchia, non mette assolutamente in discussione l’idea che debba esistere un unico Stato centralizzato, a livello universale, e che questo Stato debba coincidere con quello romano. I problemi semmai sorgevano a livello pratico-politico, quando gli interessi di dominio delle due Rome venivano a scontrarsi in determinate zone geografiche (si pensi ad es. a quale misera fine ha fatto la cultura bizantina nell’Italia meridionale e nell’esarcato di Ravenna).

L’idea occidentale di poter creare uno Stato cristiano prescindendo dal riferimento all’impero bizantino, che si riteneva l’unico autorizzato a definirsi come tale, troverà un riflesso anche nelle epoche successive. Fino al secolo dei lumi (si pensi alla Santa Alleanza del 1815) gli Stati europei si sono reputati, di nome e/o di fatto, "cristiani". Nessuno in occidente si è mai posto il problema di come conciliare questa pluralità di Stati con l’idea teologica tradizionale secondo cui deve esistere un unico sacro impero, con un sovrano da tutti riconosciuto. Molti di questi Stati occidentali hanno persino combattuto tra di loro, a volte prendendo a pretesto proprio la religione cristiana (si pensi ad es. alle molte successive guerre di religione fra cattolici e protestanti). In teoria, qualunque monarchia cristiana poteva autoproclamarsi "impero". La regina Vittoria non accettò forse il titolo di imperatrice? E Napoleone III non si autoproclamò imperatore di Francia (seguendo l’esempio di suo zio) e non diede forse al suo protetto Massimiliano il titolo di imperatore del Messico? E dopo la vittoria della Prussia sulla Francia nel 1871, il re Guglielmo I non si dichiarò forse imperatore di Germania?

Come dunque si può notare, l’esigenza di sacralizzare l’istituzione del potere è stata legata, in occidente, molto più che nell’area bizantina, a una questione di prestigio. Non era in gioco né il riferimento a una tradizione secolare, né la convinzione di affermare una verità ideale. Anzi, l’idea teocratica, a quel tempo, aveva già smesso di essere una realtà politica e la religione stava diventando un affare sempre più privato, individuale. Equanto ad "affermare una verità ideale" semmai fu decisamente oscurantista. Di verità c'era solo la sua, poi il nulla.

Purtroppo una non indifferente lacuna storica ci impedisce ancora oggi di conoscere esattamente cosa accadde veramente per oltre un intero millennio nell’Impero d’Oriente. Eppure "Bizantino" nella sua estensione del termine, non significa solo il nome di un impero, ma si indica anche il mondo artistico, culturale, politico e religioso, che per mille anni investì tutto il bacino del Mediterraneo orientale e medio-orientale. Nè mancarono penetrazioni profonde nelle regioni continentali con aspetti evidenti ed essenziali: dal medio e alto adriatico fino alla Francia e persino in Irlanda, e dai paesi balcanici alla Romania e alla Russia.
Eppure dobbiamo convenire con J. Von Pflugk Harttung in "Storia dell'Umanità":

Non vi è storia di alcun altro Stato che abbia avuto un trattamento così ostinatamente ingiusto come la storia dell'impero bizantino. È invalsa non di rado l'abitudine di trattare lo Stato bizantino come un corpo agonizzante, mezzo morto ovvero in via di decomposizione; eppure esso per secoli godette di ben altra considerazione, rappresentò la supremazia dell'impero in mezzo a semplici regni. Da ogni lato nemici numerosi insidiarono la sua vita ai confini: Germani, Bulgari, Avari, Slavi e Turchi, i Persiani prima e poi la potenza maomettana, e malgrado questo terribile incendio che lo avvolse, l'impero bizantino si sostenne ancora per un millennio pieno di vitalità e di attività.

Ciò che caratterizza l'impero bizantino è la superiorità del suo incivilimento che spicca a confronto della civiltà meno progredita degli altri popoli. Fattori di questo incivilimento furono l'esercito, la burocrazia, la chiesa e la corona. L'imperatore incarnava l'idea dello Stato nella sua più energica espressione, l'impero. I suoi poteri erano illimitati, le sue volontà erano sacre; una rigida etichetta teneva lontane le masse, senza peraltro che i migliori imperatori si perdessero in queste esteriorità. Gli originari sovrani di carattere universale e cortigiano si trasformarono sempre più in principi nazionali ed in soldati. La forma di governo era caratterizzata da un rigido accentramento, alla cui attuazione Costantinopoli ben si prestava per la sua vastità, ricchezza e quantità di talenti e per la sua felice situazione al confine tra due mondi.
Essa era la sede delle autorità civili e militari, l'arsenale più potente del mondo.

L'organizzazione burocratica bizantina era un capolavoro, un congegno così accurato e graduato che il più lieve impulso dall'alto poteva mettere in attività tutti gli organi minori, e che nel tempo stesso era in grado di moderare ed al caso domare le forze recalcitranti. Accanto alla burocrazia civile stava la gerarchia ecclesiastica, la chiesa anatolica. Essa esercitava grandissima influenza, tanto più che cooperava alla successione al trono e le masse si appassionavano alle questioni dogmatiche come in nessun altro paese.
Di qui un profondo amalgama tra politica e religione.

Il terzo fattore era l'esercito; esso proteggeva l'impero al di fuori e manteneva l'ordine all'interno. Filiazione degli ordinamenti militari del basso impero, questo esercito, malgrado varie oscillazioni, ne conservava le qualità atte ad imporre rispetto. Esso constava di truppe regolari e di mercenari; le prime erano assoldate all'interno, i secondi si reclutavano all'estero. L'istruzione e la tattica, le risorse di un antico Stato civile, rendevano l'esercito bizantino assai superiore alle orde dei vicini semibarbari. L'esercito di terra era inoltre coadiuvato da una discreta flotta.
All'inizio l'impero d'oriente non fu che una suddivisione dell'impero romano dotato di un migliore ordinamento provinciale. Ma in seguito le cose mutarono; i Romani o Romei divennero Bizantini; vogliamo dire che Stato e popolo si fusero a formare un insieme nuovo che rappresenta una civiltà nuova scaturita dalla combinazione di elementi romani, greci ed orientali.

Dalla fine del VI secolo il greco divenne la lingua ufficiale dell'impero. Caratteristica che contraddistingue la popolazione di questo impero è il tecnicismo superiore, e questa tecnica domina in tutto, dalla politica ai mestieri. In seno ad essa si produsse però una strenua caccia al potere ed alla ricchezza. Le piaghe insanabili di questo Stato furono il dispotismo e il dissesto finanziario; i suoi meriti imperituri furono quello di aver salvato l'occidente dagli Arabi e quello di aver custodito e conservato a noi il patrimonio intellettuale dell'antichità.

Teodosio morendo a Milano, divise l'impero fra i suoi due figli. Accanto al primo imperatore d'Oriente, il fanciullo Arcadio (395-408), governarono due reggenti, il primo dei quali finì assassinato, il secondo fu giustiziato. Il regno di Arcadio fu anche turbato da disordini e da guerre, finché il debole imperatore morì e salì al trono in età di sette anni Teodosio II, che vi rimase per circa mezzo secolo (408-50). Teodosio II era una mente limitata, ciononostante la sua fu un'epoca di pace all'interno e di vittorie all'estero. Per lungo tempo tenne le redini del governo la sua sorella maggiore Pulcheria, una donna di grandissimo talento e capacità e di sentimenti monastici; accanto ad essa emerse la moglie dell'imperatore, la dotta poetessa Eudossia. Se non che le due donne vennero a discordia ed Eudossia fu alla fine costretta a ritirarsi a Gerusalemme.

La corte di Ravenna fu tenuta soggetta e venne pubblicata una grande raccolta di costituzioni imperiali, il codice Teodosiano. Proprio al momento in cui vi erano le gravi minacce di gravi complicazioni con Attila, il re degli Unni, Teodosio morì ed assunse la porpora Marciano, di sperimentata capacità; sotto di lui incomincia l'epoca della egemonia germanica, in occidente con lo svevo Ricimero, in oriente col goto Aspar. Per opera di Aspar ottenne la corona il tribuno Leone I, un illirico (457-74) e gli fu posta sul capo dal patriarca, cosa che avvenne ora per la prima volta, certamente in compenso dell'appoggio dato a Leone per la conquista del trono. Schiavo da principio di Aspar, Leone soltanto con la caduta di costui riuscì a domare la prepotenza opprimente dei mercenari germanici.

Dopo la separazione dell'Illiria ereditò il governo suo genero Zenone (474-91). Sotto di lui avvennero gravi manifestazioni politiche violente che fiaccarono le forze dell'impero e resero possibile la salita in auge di Odoacre. Dopo la morte prematura dell'imperatore la sua vedova offrì la mano, e con essa l'impero, ad un funzionario di corte, Anastasio (491-518). Egli dovette lottare contro estreme difficoltà. E come se non bastasse le lotte di religione. Gli ortodossi sollevarono sempre maggiori pretese e si allearono con la parte malcontenta dell'esercito. Alla morte dell'imperatore l'impero si trovava sull'orlo dell'abisso.
Era urgente il bisogno che la corona andasse ad un soldato che nel tempo stesso seguisse l'indirizzo del concilio calcedonico, e fu trovato in Giustino I (518-27).

GIUSTINO I uomo sagace, energico ed attivo, senza istruzione, egli era venuto a Costantinopoli - chiamato dallo zio come aiuto - sotto le vesti di povero pastore per finirvi fondatore d'una nuova dinastia imperiale. Egli pacificò l'agitazione degli ortodossi e risollevò l'onore delle armi bizantine contro i Persiani e gli Etiopi. Ma già sotto di lui le fazioni semi-politiche del circo, i verdi e gli azzurri, cominciarono a dilaniare la cittadinanza di Costantinopoli. Ancor vivo Giustino prese le redini del governo suo nipote Giustiniano (pure lui pastore illirico chiamato ad aiutare lo zio - che regnò poi da solo 40 anni, dal 527 al 567.
Il regno di GIUSTINIANO é il periodo più rimarchevole dell'impero bizantino; esso ne caratterizza l'indole e la potenzialità come nessun altro. Nella sua compilazione l'imperatore disse che l'impero poggiava sulle armi e sulle leggi. E di esse si avvalse per estendere anche in occidente l'autorità imperiale. I suoi eserciti soggiogarono l'Africa, l'Italia e la Spagna meridionale e persino i Franchi dovettero temere per i loro paesi mediterranei, minor fortuna egli ebbe a nord e ad oriente.

Nelle pianure della Russia e dell'Ungheria e nei monti della Transilvania si erano domiciliati gli Slavi (Sloveni) ed i Bulgari, poveri, selvaggi ed agguerriti. Le loro orde, spesso ingrossate da altri barbari, passarono quasi senza tregua il Danubio e si spinsero ripetutamente fin sotto Costantinopoli. Quasi contemporaneamente dalle steppe dell'Asia irruppero i Turchi e fondarono un potente impero. O per questi o per altre cause, si mossero dalle regioni attorno al Caspio ed all'Aral gli Avari, di stirpe finnico-ungarica, e sospinsero i barbari verso occidente; essi costituirono un terribile flagello.
Ancor più pericoloso si manifestò per l'impero il rapido sviluppo assunto dalla potenza persiana verso la metà del VI secolo per opera del grande Cosroe I (Cosru Nuschirwan), il quale all'incivilimento bizantino seppe contrapporre un incivilimento ellenistico-zoroastrico. Ripetutamente fra i due imperi avvennero conflitti armati che si spinsero fin nell'Asia Minore. Ma l'accorto Giustiniano seppe tener lontani i pericoli con donativi, tributi e con un'abile politica.

Alla importante e molteplice attività svolta da questo imperatore nei riguardi esterni corrispose una non minore attività nei riguardi interni che abbracciò tutta la vita pubblica, legislazione, amministrazione, finanze, chiesa. Instancabilmente Giustiniano lavorò a restaurare l'autorità del potere centrale. Egli non tollerò nessun'altra autorità accanto alla sua, egli riteneva se stesso la personificazione di una idea superiore. Quasi mai egli arrecò al conseguimento dei suoi fini l'attività personale, ma in compenso dalle tranquille stanze del suo marmoreo palazzo le sue idee si volsero ad abbracciare il mondo.

Il monumento più imperituro Giustiniano se lo è eretto come legislatore; la sua codificazione ancora ai nostri giorni non ha perduto la sua importanza. Una commissione presieduta da Triboniano ordinò le costituzioni imperiali nel Codice Giustinianeo (529); accanto al codice furono alcuni anni dopo (533) compilate le Pandette (Digesti) con intenti prevalentemente pratici. All'insegnamento vennero destinati quattro libri di Istituzioni (533). Delcodice fu fatta una nuova edizione riveduta, cui seguirono le Novelle (costituzioni) di Giustiniano.
Anche nel campo teologico la figura di Giustiniano emerge. Il suo intento fu di distruggere tutte le eresie e conciliare tutti gli scismi a vantaggio di una forma di ortodossia che a lui parve la più opportuna. La controversia principale che da
lungo tempo si agitava era quella intorno alla unica o duplice natura di Cristo, un dissenso che teneva divisi i monofisiti ed i cattolici e che il concilio calcedonico aveva invano tentato di risolvere a favore degli ortodossi. Col suo famoso editto dei tre capitoli del 544 l'imperatore soppresse alcuni dei decreti del concilio, ciò che indispettì specialmente i monofisiti e suscitò una agitazione che si protrasse per tutto il tempo del suo regno e lo costrinse a prendere delle misure di rigore ora contro una parte ora contro l'altra; così facendo l'imperatore finì per portare la disorganizzazione nella chiesa e nello Stato.


S. Sofia prima di diventare Moschea Islamica

Giustiniano edificò numerose chiese, sopra tutto l'insuperabile Santa Sofia a Costantinopoli che segna il passaggio dalla più semplice architettura della basilica all'architettura più grandiosa del duomo a cupola. Egli si adoperò a distruggere gli ultimi residui del paganesimo ufficiale e tra altro chiuse la veneranda scuola filosofica di Atene. Prudentemente i confini vennero rafforzati con castelli e muraglie, furono costruite strade militari, ponti ed acquedotti, fu favorito il commercio, promossa l'industria. Con l'introduzione dei bachi da seta l'imperatore creò una importante industria tessile.

Giustiniano fu uomo di grandi opere ed in lui si rispecchiò in alto grado lo spirito della sua epoca. Egli seppe scegliere i suoi uomini con non comune abilità e suscitò col proporsi grandi fini il rivelarsi di segnalati talenti che onorarono il suo regno. È anche vero che si ebbe sotto di lui la così detta insurrezione di Nika, la rivolta delle fazioni del circo collegate, che infuriò per le vie di Costantinopoli, ma in sostanza non si trattò che di una subitanea esplosione di una plebe facilmente eccitabile guidata da capi-popolo malcontenti, ed inoltre il fatto avvenne all'inizio del regno di Giustiniano; in seguito dominò sempre la tranquillità, il che non è certamente una semplice casualità.

Accanto all'imperatore spiccò la figura di Teodora, una ex ballerina di circo, lasciatosi alle spallle un passato burrascoso, Giustiniano invaghitosi di lei, la elevò al trono imperiale. Una donna ambiziosa, intrigante ma una volta entrata nel palazzo, anche energica, tenace, audace (alla rivolta di Nike, mentre il marito disperato già era in fuga, fu lei ad affrontare i ribelli, a vincerli e poi severamente punirli). In contrasto con Giustiniano essa favorì i monofisiti; ma chissà che non lo facesse con la sua tacita condiscendenza, perchè come nell'episodio di Nike, lui non voleva esporsi più di tanto.

Sul conto dell'imperatrice e dei suoi costumi se ne dissero d'ogni genere, ma non di rado per spirito di maldicenza e di calunnia. L'invidia però non riuscì ad impedire che questa donna salisse ad alti destini. Naturalmente lei e suo marito furono e rimasero figli dei loro tempi, sovrani e popolo furono degni l'uno dell'altro, e le enormi esigenze provocarono oppressione fiscale e violenze, che sono descritte nella intelligente a maligna narrazione della storia arcana di Procopio.
Giustiniano ci si presenta come un autocrate nell'anima, tenebroso, severo, calcolatore e diffidente, tutto dedito ad un unico ambizioso fine: ripristinare l'antico splendore dell'autorità imperiale. Tornare a fare il "Cesare", poi andò anche oltre, diventando "cesaro-papista".
Infatti egli fu amante della pompa e dell'etichetta. Molto di quanto agognò raggiungere non lo potè raggiungere, e molto di quanto fece andò poi perduto; ma nella sua legislazione e nei monumenti egli vive ancora oggigiorno. Giustiniano fu il Luigi XIV del VI secolo. Il suo principale difetto fu l'aver voluto fare troppo. Quando egli morì (565) l'impero aveva una estensione (vedi l'immagine di apertura) che non era possibile mantenere ed un cumulo di impegni tali che superavano le sue forze; tuttavia le istituzioni giustiniane rimasero la pietra angolare dell'impero. Quanto egli valse lo dimostrò la storia dei suoi successori.

Il primo di costoro fu GIUSTINO II (565-78). Sotto di lui l'impero perdette la massima parte dell' Italia che - dopo la fortunata spedizione di Belisario e Narsete - cadde quasi interamente nelle mani dei Longobardi, l'Africa pur avendola dopo quasi un secolo riconquistata ai Vandali, deperì, mentre i Persiani avanzavano fin nel cuore della Siria e la penisola balcanica era messa a ferro ed a fuoco dagli Avari.
Nella coscienza della propria debolezza Giustino si prese a collega nel regno il generale tracio Tiberio Costantino; questi in seguito rimase solo sul trono, sconfisse i Persiani, ma morì poco dopo, nel 582. Prima di morire pose la corona sul capo di suo genero, il prode Maurizio (582-603). Quest'ultimo inviò in Italia come esarca l'intraprendente Smaragdo il quale però non riuscì ad espellerne i Longobardi, ne ci riusciranno i successori. Col papato Maurizio si trovò spesso in attrito; poi le continue lotte in Oriente esaurirono enormemente le risorse dell'Impero.

Fu necessario combattere prima, e con varia fortuna, contro i Persiani, poi contro gli Avari e gli Slavi. Le perenni guerre alla fine esasperarono le truppe, la situazione sempre critica e malsicura e la gravosità dei sacrifici irritarono il popolo di Costantinopoli; truppe e popolo si allearono e misero alla loro testa il generale cappadocio Foca, di fronte al quale l'imperatore fu costretto a fuggire. FOCA ottenne il trono (603-19) e fece uccidere il benemerito Maurizio con i suoi cinque figli. Con Maurizio può dirsi chiuso il periodo dell'impero di vecchio stile, quel periodo dell'impero a pretese universali, per far posto allo Stato meramente nazionale.

Foca era di corta intelligenza e rozzo. Contro di lui per vendicare Maurizio i Persiani iniziarono una guerra che durò 24 anni e costrinse l'imperatore ad abbandonare la massima parte della penisola balcanica agli Avari ed agli Slavi. Egli cedette definitivamente l'Italia ai Longobardi, cosa che gettò il primo seme del futuro distacco del papato che diventa sempre più impegnato nella penisola italiana ad allearsi ma anche mettere alternativamente bizantini e longobardi uno contro l'altro, in modo da distruggersi a vicenda e così ottenere la chiesa sempre più vasti territori tolti a uno o all'altro.

I Persiani, alleati coi nemici interni dell'imperatore, corsero tutta l'Asia Minore arrivando sino a Calcedone e conquistarono la Siria. Ed in mezzo a tanti flagelli Foca, quasi non bastasse, venne a contrasto con gli ortodossi. Così si fece il vuoto attorno, ed alla fine cadde vittima di una ribellione capitanata da ERACLIO.

Appoggiato dal clero e dal popolo il suo avversario salì sul trono (610-41); Eraclio fu il fondatore di una nuova dinastia, l'ultima dinastia romanica. All'inizio le cose andarono piuttosto male. Cosroe conquistò i territori più ricchi dell'Asia bizantina, l'Egitto e la provincia africana. Ad un dato momento i figli di Zoroastro arrivarono fin sotto Costantinopoli, mentre gli Avari ne saccheggiarono i sobborghi.
In questo terribile frangente clero, laici e sovrano scuotendosi dall'apatia e dai diverbi interni, si strinsero insieme per la difesa comune; l'imperatore giurò nella chiesa di S. Sofia di vivere e morire col suo popolo. Si riuscì ad indurre i nemici a tornare indietro; le chiese offrirono i loro tesori, i cittadini i loro figli, tutte le energie intorpidite si ridestarono; Eraclio si lanciò alle spalle dei Persiani e per la durata di sei anni risuonarono le armi in ogni contrada in mano ai persiani. L'imperatore con ripetute vittorie si spinse fin nella Media. Ma in seguito le cose peggiorarono; i Persiani alleandosi con le popolazioni nordiche, Avari, Slavi, Bulgari e Gepidi, Cosroe II assediò una seconda volta Costantinopoli.

Le sorti dell'impero si trovarono ancora una volta affidate al filo della spada, e nuovamente il valore dei cittadini salvò l'impero. Essi sconfissero sanguinosamente e respinsero i barbari nordici, impedirono dalla parte del mare la loro congiunzione con i Persiani e costrinsero questi ultimi con le armi a sgombrare il campo.
Rafforzato da ausiliari turchi, Eraclio passò all'offensiva e penetrò nella Persia dove Cosroe viveva in mezzo all'opulenza e al fasto orientale. Non lontano dall'antica Ninive l'imperatore riportò una vittoria decisiva, saccheggiando poi la regione. Persino la splendida capitale nemica cadde nelle sue mani. Nella generale confusione Cosroe trovò la morte e con lui si spense la potenza dell'impero dei Sassanidi.

Il figlio di Cristo aveva trionfato su Zoroastro. Eraclio dopo il suo ritornò trionfale a Costantinopoli si recò in pellegrinaggio a Gerusalemme per collocare nella chiesa del S. Sepolcro la riconquistata croce del redentore.
La lunga, formidabile guerra riuscì fatale al vincitore come al vinto, giacché li esaurì entrambi in modo funesto, proprio nel momento in cui una nuova potenza entrava turbinando sulla scena, l'islamismo.

Invano Eraclio tentò di farle argine; la Siria, l'Egitto e la Tripolitania andarono perdute, e difficilmente si sarebbe potuto salvare l'Asia Minore se il nemico non avesse distratto una parte delle sue forze per gettarsi sulla Persia. Il trasferimento della santa croce da Gerusalemme a Costantinopoli costituì per così dire il segno esteriore della ritirata del cristianesimo dinanzi all'invasione dell'islamismo.
E mentre l'impero vacillava a questo modo sull'orlo dell'abisso, all'interno come se non avessero niente da pensare, continuava ad infuriare come prima tra i monofisiti e gli ortodossi la lite relativa all'unica o alla doppia natura di Cristo.

L'imperatore credette di poterla eliminare mediante la fusione delle due nature in un'unica volontà (monoteletismo), ma non fece che creare nuovi scismi e controversie dogmatiche. Si aggiunsero contese intestine in seno alla famiglia imperiale, che alla morte di Eraclio provocarono gravi scosse, finché l'esercito pose sul trono COSTANTE II, quasi un fanciullo (641-68). Il suo regno fu così ricco di vicende, crebbero in tal modo la disorganizzazione ed i pericoli esterni che l'imperatore disperò di potersi reggere in Oriente e decise di spostare il centro di gravità dell'impero verso occidente.

Sembra che egli avesse concepito il disegno di concentrare tutte le forze che potevano dare le parti occidentali dell'impero, lanciarle sull'Egitto e prendere alle spalle il nemico islamita. Ma la situazione non era idonea a render possibile l'esecuzione di piani così vasti. Costante finì assassinato a Siracusa, mentre il potente Moawija di Siria otteneva il califfato e si spingeva vittorioso fino a Calcedone.
L'esercito d'occidente proclamò in Sicilia un imperatore di sua scelta. Invece Costantinopoli riconobbe imperatore il figlio del defunto Costante, COSTANTINO IV, POGONATO (668-85), il quale passò in Sicilia ed ebbe ragione dell'usurpatore. Nel frattempo Schapur, un persiano in servizio nell'esercito bizantino, concepì il disegno di metter la mano sulla corona con l'aiuto di una rivolta militare che Moawija avrebbe dovuto appoggiare. Ma Schapur morì anzi tempo. Fallito questo tentativo i Musulmani investirono la capitale, che però resistette valorosamente come sempre.

Sette anni durò l'assedio. Invano. La tenacia dei Bizantini e gli effetti disastrosi del «fuoco greco» (che incendiava le loro navi) costrinsero gli assalitori a tornare indietro. Essi vennero inseguiti, sconfitti nella Licia, e si trovarono ridotti così a mal partito a causa di rivolte interne, che Moawija nel 678 concluse la pace. L'impero bizantino aveva ancora una volta dimostrato di essere uno Stato tuttora vitale; gli stessi Arabi superstiziosamente credettero che esso godesse di una particolare protezione divina. Ma non per questo l'impero ebbe pace.

Dal nord passarono i confini i soliti invasori ed all'interno si sollevarono gli Slavi. I continui pericoli provocarono una più salda unione dei rimanenti paesi dell'impero ed il sorgere di un sentimento nazionale greco-orientale. Il 7 novembre 680 si radunò a Costantinopoli il sesto concilio generale che condannò la dottrina monoteletica e con questo tentò di ricondurre la pace in Oriente e la concordia col papato.
Contro i nemici esterni fu eretta una specie di barriera militare e la potenzialità militare dell'impero aumentò in modo che il califfo Merwan fu costretto a pagare un discreto tributo. Ma non avendo egli, secondo il punto di vista bizantino, osservato i patti, l'imperatore, che attualmente era GIUSTINIANO II (685-95), gli dichiarò la guerra.

Giustiniano aveva sconfitto Bulgari e Slavi e sperava sicura vittoria anche da questo lato. Ma gli Arabi erano riusciti ad aver ragione dei loro nemici interni e tennero saldo; la guerra si protrasse a lungo e l'Asia Minore e l'Armenia ne soffrirono enormemente. Ciò provocò il malumore nell'esercito. Il capo dei malcontenti, il generale Leonzio, spodestò e bandì l'imperatore, ma egli stesso dopo pochi anni cadde vittima di una rivolta. Uno dei congiurati che l'avevano provocata prese la porpora col nome di TIBERIO III (698-705); era un valente soldato, che lottò con fortuna contro gli Arabi, ma rimase vittima dell'illegittimità della sua posizione.

Giustiniano, l'imperatore spodestato, ritornò con l'aiuto straniero nel palazzo dei suoi padri (705-11) e punì crudelmente tutti i seguaci dei due usurpatori; ma così operando non fece che scavarsi sotto i piedi il terreno. Scoppiò una insurrezione che costò la vita a lui ed a suo figlio. Con la loro morte si estinse la discendenza di Eraclio.

Seguirono tempi torbidissimi; le sollevazioni e le guerre civili divennero una specie di malattia cronica che coinvolse tutte le classi della popolazione, mentre i nemici insidiosamente passavano i confini. Fu una fortuna che finalmente arrivasse al trono con LEONE III, l'ISAURICO, un uomo energico e che riuscì a vivere a lungo (717-41).

Ed ecco gli Arabi ancora una volta dinanzi a Costantinopoli; ancora lotta furiosa, ancora i Bizantini si difesero con tale tenacia che gli assedianti il 15 agosto 718, dopo aver subito perdite terribili, furono costretti a ritirarsi. Fu il più grave disastro che l'islamismo avesse fino allora patito contro nemici esterni. Ed esso salvò non solo Costantinopoli, ma anche la civiltà greca, forse l'intero Occidente, e nel tempo stesso assicurò il trono alla dinastia isaurica.

I Saraceni tornarono tuttavia poco dopo alla riscossa, ma ad Akroinon nella Frigia vennero nel 740 sconfitti nuovamente ed in modo così completo che non furono più in grado di riaversi se non sotto la bandiera nera degli Abbassidi.
E tuttavia l'islamismo doveva esser fatale all'impero, perché lo stesso imperatore che lo aveva vinto sul campo di battaglia si lasciò influenzare da esso nel campo teologico ed inaugurò la malaugurata contesa delle immagini (iconoclastia)

I frequenti contatti coi maomettani radicarono in Leone il convincimento ostile alle immagini, convincimento che egli tentò di imporre all'impero ed alla chiesa; a quella orientale come in quella occidentale. A tale scopo egli pretese che fossero eliminate le immagini dei santi e condannata la credenza alla loro intercessione per le anime. Anche in questo atteggiamento cesaro-papista Leone si accostò all'islamismo, in quanto volle avocare all'autorità imperiale gli stessi poteri che spettavano al califfo. Ma in tal modo egli urtò le suscettibilità della chiesa orientale che considerava ogni innovazione religiosa esclusiva competenza dei concili, e venne a trovarsi in conflitto anche più grave con le idee del papato occidentale.
Leone pertanto, mentre indubbiamente aumentò la potenzialità militare e finanziaria dell'impero, lo difese valorosamente contro i nemici esterni, ne rovinò la compagine interna, perché provocò il distacco di Roma e creò un'altra scissura teologica nella popolazione accanto alle molte che già esistevano; la divise cioè in due partiti avversi degli adoratori delle immagini (iconoduli) e degli iconoclasti. E fu un fiero antagonismo che durò per oltre un secolo.

All'inizio sembrò che la politica di riforma religiosa dell'imperatore dovesse trionfare, e l'andamento delle cose ad essa favorevole si protrasse durante il regno del suo successore COSTANTINO V (Copronimo 741-75). Questi dovette all'inizio lottare contro le insidie del proprio cognato che gli contese la corona, ma nel 743 lo vinse e salì definitivamente sul trono paterno.
In seguito (nel 754) egli convocò un concilio a Hierion presso Costantinopoli che prese le più rigide decisioni contro il culto delle immagini, anzi contro ogni rappresentazione figurativa di indole religiosa in generale.

L'esecuzione delle nuove disposizioni costrinse a ricorrere a misure violenti di carattere coercitivo, perché la resistenza fu tenace specialmente nel ceto monastico. Tanto più tollerante si mostrò l'imperatore verso le sétte, verso i monofisiti e pauliciani, i quali ultimi, basandosi sugli scritti di S. Paolo, volevano restringersi alla sostanza morale del cristianesimo e ripudiavano tutti i riti esteriori intessuti attorno ad esso dalla chiesa.
Fu ordita una pericolosa congiura; ma Costantino procedette energicamente contro i colpevoli e fece decapitare persino il patriarca.

Anche in altre occasioni egli si mostrò spietato, ma indubbiamente fu pure un sovrano notevole che seppe aumentare di molto l'autorità dell'impero. Specialmente gli Arabi ed i vicini bulgaro-slavi del Danubio dovettero accorgersi quanto pesasse la nuova potenza dell'impero. All'interno invece quest'ultimo ebbe molto a patire per una terribile pestilenza che desolò intere regioni e che fu particolarmente rovinosa per la Grecia, giacché nei paesi rimasti deserti immigrarono tribù slave e ne mutarono fondamentalmente il carattere nazionale.

Alla morte di Costantino la preponderanza dei Bizantini (Romei) nell'Asia anteriore e nella penisola balcanica parve saldamente stabilita. Invece in Italia l'autorità imperiale dovette retrocedere sempre più di fronte ai Longobardi e ben presto anche di fronte ai Franchi; solamente una parte della bassa Italia rimase un possesso bizantino, di modo che i vicari imperiali dovettero trasferire la loro residenza a Napoli ed a Siracusa.

Nell'anno 775 Costantino V durante il ritorno da una guerra contro i Bulgari morì a bordo della sua nave.
Passò molto tempo prima che l'impero riavesse un sovrano altrettanto capace ed energico. Per il momento si cominciò nel risentire le conseguenze dei due regni precedenti. Il figlio di Costantino, LEONE IV, che ereditò la corona a 25 anni, morì poco dopo, nel 780, lasciando il trono ad un ragazzo di dieci anni, COSTANTINO VI. Si ebbe perciò un periodo di reggenza per parte dell'imperatrice madre IRENE, una ateniese di grande talento; però anche avida di potere, audace e passionale, per sventura dell'impero e della dinastia.
Da vera greca essa amava la scultura ed il colore e quindi era favorevole al culto delle immagini, ciò che le procurò enorme ed appassionato seguito fra gli iconoduli (adoratori delle immagini).
Ne seguì la reazione contro gli iconoclasti. Al patriarcato venne elevato Tarasio, un fido dell'imperatrice, ed a poco a poco e con cautela si cominciò a ripristinare il culto delle immagini. Nel settembre del 787 iniziò i suoi lavori un concilio convocato a Nicea ed abilmente organizzato, al quale parteciparono anche dei legati di papa Adriano I.

Il concilio di Hierion fu dichiarato eretico e le immagini di Cristo e dei santi vennero proclamate legittimo oggetto di «venerazione». Ma la «nuova Elena» non si accontentò di questa deliberazione che poteva dirsi ancora conciliante, e volle andare ancora più in là. Peraltro, siccome sotto la sua reggenza la potenzialità militare dell'impero era andata rapidamente decadendo, l'imperatrice si vide costretta a concludere una pace svantaggiosa con gli Arabi, e non riuscì nello stesso tempo a domare l'insurrezione degli Slavi stanziati nel Peloponneso. Quando poi la si vide metter da parte il proprio figlio, salendo lei sul trono, una parte dell'esercito si ribellò, la costrinse a ritirarsi dal governo e lo trasferì nelle mani di Costantino VI.

Costantino VI ebbe il sopravvento sui Bulgari e sugli Arabi, ma all'interno si rivelò crudele e ligio ai suoi consiglieri; cominciò a poco a poco a farsi rimorchiare da quella donna intrigante ed assai superiore a lui per intelligenza che era sua madre, la quale fece in modo che egli si inimicasse il clero e le truppe. Alla fine Costantino fu imprigionato e accecato spietatamente, dopo di che Irene potè ancora per cinque anni godere il frutto del suo misfatto.

Ma le cose presero una cattiva piega. Il califfo Harun dominava il mare e non si lasciò indurre alla pace se non mediante il pagamento di una sostanziosa contribuzione. In Bulgaria salì al potere il terribile Krum che estese con audacia il suo territorio a spese degli Ungari orientali, ed in Roma Carlo Magno restaurò l'impero occidentale (nell'anno 800 Leone III gli poneva la corona di imperatore.

Quest'ultimo fatto significò per i Romei il formale distacco dell'occidente, che tuttavia si poteva già da tempo considerare politicamente perduto per loro, ed il sorgere di una grande potenza europea di rango uguale allo Stato bizantino (i Franchi) nonché la certezza che Greci e Latini si sarebbero sempre più alienati gli uni dagli altri.
All'inizio di questa scissione sostanzialmente si ebbe solo nei conflitti di natura religiosa che solo transitoriamente poterono essere eliminati dalla politica ecclesiastica dell'imperatrice Irene.
Ricordiamo qui quanto già detto nelle pagine su Carlo Magno. Appena ricevuta la corona di imperatore, il Franco inviò una ambasceria a Costantinopoli per chiedere la mano della non tanto più giovane Irene. L'intenzione di Carlo era ben chiara, se fosse riuscito questo matrimonio, l'unione dei due imperi era cosa fatta, anche perchè la stessa Irene (oltre alla rinuncia dell'iconoclastia) aveva già iniziato una politica di riavvicinamento con l'occidente e soprattutto proprio con i Franchi; se il matrimonio si fosse realizzato veramente, chissà nei successivi 14 anni di vita di Carlo Magno cosa sarebbe accaduto; e con la Chiesa a guardare l'uomo che Leone III nel mosaico aveva chiamato "il vittorioso"!!

Ma nel frattempo proprio mentre era in corso questo viaggio, Irene fu plagiata oltre che contrastata dal patrizio NICEFORO (802-04) e alla fine privata del trono, sul quale salì egli stesso. Il nuovo sovrano cercò energicamente di restaurare ed accrescere le finanze dell'impero, e per tale operazione chiamò a contribuire anche i monasteri e le chiese che lo ripagarono con un rovente risentimento.
Nelle questioni dogmatiche egli si mostrò tollerante; concluse nell'803 con Carlo Magno un trattato di pace che delimitò i confini dei rispettivi Stati; domò una pericolosa insurrezione degli Slavi nel Peloponneso, ma combattè infelicemente contro gli Arabi ed i Bulgari.
In un improvviso attacco notturno dei Bulgari l'imperatore trovò la morte insieme a gran parte del suo esercito.
Il drammatico disastro provocò lo scompiglio. Il figlio dell'imperatore non credette di potersi sostenere che per breve tempo e perciò lasciò il trono a suo genero MICHELE I Rhangabè (811-13), uno strumento dell'ortodossia dominante che perseguitò gli iconoclasti ed i pauliciani.

Intanto Krum devastava le regioni settentrionali dell'impero e nell'813 sconfisse Michele a Bersinicia. L'esercito si stancò di questo incapace uomo e proclamò imperatore l'armeno LEONE V (813-28).
I Bulgari ora si presentarono anch'essi sotto Costantinopoli, ma allo stesso modo degli altri precedenti assalitori dovettero tornarsene indietro senza aver nulla concluso. Ma la loro ritirata fu segnata dal ferro e dal fuoco; persino Adrianopoli cadde nelle loro mani. Krum rientrò nel suo paese carico di bottino e trascinandosi dietro migliaia di prigionieri, tra i quali il figlio di contadini slavi e futuro imperatore BASILIO.

Morto nell'814 il bellicoso Krum, il suo successore non riuscì a conservare il grado di potenza da lui raggiunto, fu sconfitto da Leone V a Mesembria in modo disastroso e si vide costretto a concludere un trattato di pace che per lungo tempo mise al sicuro i confini dell'impero da questo lato.
Ma all'interno l'imperatore non godette di pace perché si riaccese con nuova furia la controversia delle immagini.
Personalmente Leone non era favorevole al culto delle immagini, ma per ragioni politiche avrebbe volentieri praticato la tolleranza; se non che l'esercito che era iconoclasta e l'alto clero non glielo permisero. Cosicché le due fazioni ben presto si accanirono nuovamente l'una contro l'altra.
Il patriarca Niceforo venne deposto ed il suo successore presiedette un concilio che riconfermò le deliberazioni di quello di Hieron e condannò gli adoratori delle immagini.

Tuttavia l'attitudine moderata che assunse l'imperatore impedì che si arrivasse a degli eccessi, atteggiamento conciliante che non pagò, infatti una congiura il mattino della vigilia di natale dell'820 lo abbatté, fu assassinato nella sua cappella nel palazzo reale.
Uno dei congiurati, MICHELE II (820-29) ottenne il diadema; era un ex-soldato di bassa origine. Nella questione delle immagini pure lui seguì un criterio conciliante, esigendo però col massimo rigore che non fosse turbato l'ordine pubblico. Ma anche a lui con tale atteggiamento gli pesò sul capo la maledizione della violenta conquista del trono. Un generale di nazionalità slava, Tommaso, spiegò nell'822 la bandiera della rivolta nell'estremo oriente dell'impero con l'aiuto degli Arabi. La massima parte dell'Asia Minore andò perduta ed una forte flotta comparve dinanzi a Costantinopoli. Come sempre la città resistette vittoriosamente; Tommaso si trovò obbligato a cambiare da una posizione all'altra, senza un piano prestabilito, finché nell'824 fu catturato consegnato e messo a morte.

La guerra civile aveva profondamente indebolito le forze dell'impero, e in questo momento particolare rappresentò un pericolo gravissimo perché sull'Eufrate sorse il regno dell'audace Omejade Abderrahman ed anche nel Marocco, nella Tunisia e nell'Egitto si formarono signorie autonome. Il Mediterraneo cominciò a popolarsi di audaci maomettani che assoggettarono la ricca isola di Creta e vi fondarono la capitale araba di Chandak, dal cui nome derivò posteriormente quello di Candia. Di qui essi devastarono tutte le coste dell'Egeo ed il flagello si protrasse fino alla metà del X secolo.

Già prima i Maomettani, muovendo da Tunisi, avevano fatto la loro comparsa in Sardegna e nelle Baleari, e nell'827 apparvero in Sicilia. I bizantini subirono qui una disfatta in campo aperto e dovettero sempre più retrocedere dinanzi agli invasori. In questa difficile situazione salì al trono il figlio e successore di Michele, TEOFILO (829-42), uomo attivo, di talento, ben educato, ma principe duro ed iconoclasta ardente. Gli antagonismi che già covavano divamparono ancora una volta; la scintilla fu gettata da una costituzione dell'832.
E mentre a Costantinopoli le fazioni si dilaniavano, in Sicilia la guerra continuava e Messina e Palermo cadevano nelle mani degli Arabi. Per di più scoppiò un nuovo conflitto col califfato di Bagdad.
All'inizxio i Romei-Bizantini lottarono da questa parte vittoriosamente; ma in seguito il califfo Mutassim raccolse tutte le sue forze e tornò all'assalto, ingrossato da orde turche calate dall'oriente asiatico, i progenitori dei futuri Osmani; e i Cristiani dopo la più eroica resistenza rimasero vinti ed il superbo baluardo dell'impero, Amorion, cadde.

Da ambo le parti furono commessi orrori indicibili, da ultimo il contributo di sangue cominciò a calmarsi pur trascinandosi senza risultato per lungo tempo. Malgrado questi gravi disastri Teofilo seppe migliorare l'amministrazione dell'impero e rinvigorirne le finanze. Il commercio, le industrie, le arti fiorirono sotto di lui; le poderose mura di Costantinopoli vennero rinforzate, sorsero sontuose costruzioni, tra le quali un grandioso ospedale. Persino le scienze furono attivamente coltivate, e la storia trovò in Teofane e Niceforo dei rappresentanti di valore; la monaca Icasia si segnalò nella poesia religiosa.

Nell'842 l'imperatore Teofilo sentì che la sua fine era vicina. Egli sistemò le proprie cose, affidò a sua moglie TEODORA la reggenza durante la minore età del figlio MICHELE, le pose accanto un consiglio di reggenza e morì. Teodora ritornò alla politica ecclesiastica di Irene, cosa che le riuscì tanto più agevole in quanto il furore delle fazioni a poco a poco si era venuto calmando e tutti agognavano alla tranquillità.
Il patriarca Giovanni, uomo di notorio intelletto, dovette cedere il posto a Metodio, partigiano del culto delle immagini; questi convocò un concilio che ripristinò lo stato di cose deliberato dal concilio di Nicea, depose i vescovi iconoclasti ed al solito scomunicò i seguaci dell'avversa dottrina.

Il 19 febbraio 842 le immagini e la croce, che per lungo tempo erano state assenti da S. Sofia, vi furono solennemente reintegrate. Con ciò era definitivamente fallito il singolare tentativo di riforma religiosa dell'ultimo secolo. La chiesa orientale acquistò nuova energia, e questa si estrinsecò in una grandiosa opera di conversione degli Slavi e delle popolazioni delle sponde settentrionali del Mar Nero, nonché in un conflitto dogmatico con Roma che si ricollega al nome del patriarca Fozio.
Nonostante tutto, l'impero si rivelò dotato di un saldo insieme di elementi, così superiore ai popoli vicini per la tecnica, l'industria, la cultura, e l'intelligenza che riuscì onorevolmente a reggersi in piedi ancora per secoli ad onta delle continue controversie interne. E non ultime, quelle religiose con Roma.

E noi proprio a Roma ora dobbiamo tornare, con i due capitoli
Papato e Chiesa e Papato e Impero

Iniziamo dal primo, seguirà poi il secondo

PAPATO E CHIESA > >

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