-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

76. STATO - SOCIETA' - DIRITTO

LO STATO

Nel XIII secolo gli Stati maomettani furono sottoposti ai Mongoli, e se in Persia sotto alcuni dei sovrani mongoli si ebbe un certo rifioritura dell'antica cultura, si trattò di un fenomeno passeggero e senza forza vitale. Con la fine del XIII secolo si può dire decisa il predominio dell'Occidente sull'Oriente; solo la lotta tra la chiesa greca e la chiesa romana per la conquista del mondo slavo volse in questo periodo a favore della chiesa greca, perché Serbi e Russi aderirono ad essa; i soli Bulgari dopo la caduta dell'impero bizantino accolsero la confessione cattolica.

È ben vero che dal XIV secolo i Turchi, avanzando da oriente, minacciarono di sopraffare l'occidente cristiano, ma questo riuscì ad arrestarli ed i Turchi da parte loro completarono la rovina dell'oriente. L'Asia, l'Africa e la penisola balcanica dal XIV secolo ritornarono per merito loro allo stato di barbarie. Anche gli Stati romano-germanici occidentali erano stati nel IX e X secolo sul punto di cadere nell'anarchia, ma dalla dissoluzione sociale e politica di quei secoli si erano svolte nuove forme di ordinamenti politici e di organizzazione sociale capaci di far fronte alle esigenze dei tempi.

Abbiamo già visto nei precedenti capitoli i mutamenti verificatisi nel diritto pubblico dei singoli Stati nel corso del presente periodo, ma gioverà riassumere e comparare qui tra loro alcuni tratti dell'evoluzione degli Stati più importanti.
In tutti questi paesi durante l'attuale periodo gli organi dello Stato e le loro competenze subirono considerevoli trasformazioni. In Francia, Italia, Germania i conti, che in origine erano semplici organi ed agenti del re, considerarono a datare dal X secolo la loro carica come un feudo proprio. Contemporaneamente però l'unità delle contee cominciò ad essere intaccata dalle numerose immunità concesse ai conventi e ad altri proprietari di estesi possedimenti terrieri, per le quali il conte non poteva compiere direttamente alcun atto del suo ufficio nei loro villaggi e beni, ma doveva all'uopo servirsi dell'opera dell'advocatus, nominato dal signore fondiario.
Queste immunità sorsero sul modello degli analoghi privilegi che godevano i possedimenti regi ed ebbero origine dal desiderio di sottrarre i possedimenti della chiesa e degli altri signori laici alle esazioni abusive dei conti, che non avevano stipendio fisso, ma erano ricompensati mediante elargizioni e cose simili, nonché dal desiderio di rivolgere a proprio vantaggio queste elargizioni.

All'immunità venne poi per lo più ad aggiungersi la concessione almeno della bassa giurisdizione sugli abitanti del territorio immune. Questo processo fu reso più sensibile dal frazionamento intervenuto nelle contee, giacché le tre o quattro centene che avevano formata la contea dell'epoca franca a scopi amministrativi e giurisdizionali, vennero erette ciascuna a contea autonoma.

Nel X secolo, e già spesso nel IX, la carica di conte era divenuta ereditaria, e molti conti possedevano parecchie contee che erano semplici porzioni delle vecchie giurisdizioni comitali. Inoltre essi non di rado furono chiamati ad occupare la carica di advocati nei territori immuni sopra menzionati dove quindi esercitarono una autorità analoga al potere loro spettante sulla contea. L'esempio a suo tempo addotto degli Absburgo, i quali oltre all'autorità di conti di una porzione dell'Alsazia esercitavano anche le funzioni di advocati nel territorio immune (Mundat) di Ruffach, non é isolato, ma si ripete cento volte in Francia ed in Germania.

I titolari di parecchie contee nominavano poi dei vicari (vice-comiti, visconti) nei distretti che non potevano amministrare personalmente. Dal IX al XII secolo valse la norma che questi vice-comiti, nonché gli advocati delle immunità ecclesiastiche, dovessero dopo la nomina da parte dei conti, impetrare dal re la concessione del banno, vale a dire del potere giurisdizionale. Vero é che il re non poteva rifiutare tale concessione se il richiedente apparteneva alla classe dei cavalieri ovvero a quella dei ministeriali (dopo che quest'ultima nel XII secolo assurse ad un grado sociale pari alla classe dei cavalieri); ma tuttavia l'accennata norma implicava ancora il netto riconoscimento del vecchio principio che la giurisdizione emanasse dal re.

Diversa a tal riguardo era in Germania la posizione dei margravi. In tutto il territorio della rispettiva marca i margravi potevano delegare a rappresentanti l'esercizio della giurisdizione senza che costoro fossero tenuti a chiedere al re la concessione del banno. Nel XIII secolo poi i potenti duchi e ben presto anche altri principi esercitarono lo stesso diritto e la concessione regia del banno per i vice-comiti cadde in disuso. Ciò servì a preparare quell'ulteriore evoluzione per cui i maggiori territori vennero ad essere suddivisi in nuove circoscrizioni amministrate da funzionari del signore territoriale cui la carica non era più concessa in feudo.

Quel che la corona fece in Francia, nella Germania lo fecero i signori territoriali. In Francia avvenne l'incorporazione delle signorie territoriali nelle nuove circoscrizioni amministrative del regno, ed il re ebbe una rete di suoi funzionari estesa a tutto il paese. In Germania il re perdette invece l'influenza che aveva ancora esercitata con la concessione del banno ai funzionari nominati dai principi territoriali.
Fino al XII secolo tutti i conti erano stati annoverati tra i principes dell'impero; ma nel corso del XII secolo, essendosi le contee rimpicciolite di molto ed essendosi gran numero di conti trasformati in funzionari dipendenti dai titolari di signorie territoriali di maggiore importanza, incontriamo il fenomeno già altrove rilevato che cioè si annoverano ormai tra i principes i soli conti che tenevano il loro feudo direttamente dalle mani del re.

Sul passaggio dal XII al XIII secolo poi avvenne in questa già ristretta cerchia una ulteriore selezione, nel senso che sette principi acquistarono il diritto di votare per primi nelle elezioni dei nuovi re e di fare una specie di indicazione preventiva del sovrano preferito. Questo diritto nel corso del XIII secolo si trasformò da ultimo nell'esclusivo loro privilegio di eleggere il re.
In occasione delle elezioni avvenute nel 1256-57 ed in occasione dell'elezione di Rodolfo d'Absburgo l'accennato privilegio ci si presenta completamente fermato e generalmente riconosciuto.

Questa profonda riforma costituzionale dell'impero è un notevole esempio di introduzione d'una nuova norma di diritto per consuetudine, giacché é difficile credere che i principi abbiano concesso volontariamente ad un ristretto gruppo di loro pari un così importante privilegio, tanto più che costoro non erano neppure i più potenti della classe. Si trattava cioè di tre principi ecclesiastici: gli arcivescovi di Magonza, di Colonia e di Treveri, e di quattro principi laici: il conte del Palatinato renano, il duca di Sassonia, il margravio di Brandenburgo ed il re di Boemia.
Si comprende facilmente come gli arcivescovi, specialmente quelli di Magonza e di Colonia, abbiano acquistato tale privilegio, perché concorrevano all'incoronazione, erano i cancellieri dell'impero e quindi le persone più a contatto col re, e le elezioni e le incoronazioni dei re avevano luogo nella loro diocesi. Quanto ai quattro principi laici, lo Specchio Sassone, un libro di diritto sorto verso il 1230, indica la ragione che costoro esercitavano le grandi cariche di corte di scalco, maresciallo, tesoriere e coppiere. È questa una semplice opinione dell'autore del libro, ma ha in sé qualcosa di convincente; e siccome lo Specchio Sassone, quantunque opera privata, acquistò prestissimo carattere ufficiale, la sua teoria contribuì moltissimo ad elevare a norma di diritto costituzionale il privilegio elettorale di quei principi, probabilmente da loro esercitato prima solamente in via di fatto in alcune elezioni.

Sotto gli Ottoni il regno tedesco si suddivideva in quattro (temporaneamente cinque) ducati nazionali: Sassonia, Svevia, Baviera, Lorena e Franconia, cui vanno aggiunte le marche. I re del X secolo ebbero a sostenere non poche lotte con questi «regoli». Essi si sforzarono in parte di incamerare alla propria casa i ducati, in parte di indebolirli staccandone delle porzioni ed elevandole a principati indipendenti. Il processo di dissoluzione dell'autorità regia si comunicò anche ai ducati. Enrico il Leone tentò con successo di restaurare l'originaria alta sovranità dei duchi su vescovi, conti ed altri signori feudali che facevano di tutto per rendersi autonomi, ma la sua caduta (1181) lasciò libero campo al particolarismo. E le signorie territoriali formatesi nel XIII secolo non furono aggregati omogenei basati sulla nazionalità e sui ducati nazionali, ma aggregati di possedimenti disparati acquistati in feudo dall'imperatore dai grandi signori sotto vari titoli ovvero altri domini, specialmente ecclesiastici.

Il particolarismo che fiaccò la monarchia tedesca ed ostacolò la formazione dell'unità germanica non fu pertanto effetto di antagonismi di stirpe, ma dei mille eventi che fecero concentrare nelle mani delle famiglie principesche un certo numero di possedimenti, vale a dire fu il prodotto di quegli stessi fattori che impedirono che la corona tedesca rimanesse come in Francia stabilmente acquisita ad una casa. In alcune regioni peraltro talune signorie conservarono un carattere di maggiore compattezza; e questo si deve dire principalmente delle marche, dove i margravi avevano posseduto ab origine il diritto di esercitare il loro potere per mezzo di rappresentanti cui non occorreva la concessione del banno regio.
Ma, se i margravi d'Austria e di Brandenburgo si elevarono al di sopra degli altri signori territoriali per potenza ed autorità, e se questi territori formarono il nucleo dei due Stati particolari più vasti della Germania, non ci sembra che la cosa sia dovuta solamente all'accennata loro condizione giuridica privilegiata. Altre marche, le quali erano pure nella stessa posizione, non arrivarono allo stesso sviluppo in estensione e potenza, e le stesse marche di Austria e di Brandenburgo hanno avuto dei periodi in cui furono sul punto di ridursi a territori insignificanti.

La rovina del dominio di Enrico il Leone e la caduta della potenza degli Hohenstaufen, verificatasi due generazioni dopo, costituiscono la crisi che decise del trionfo del particolarismo tedesco. Con ciò un gran numero di piccoli dinasti e territori videro cadere ogni ostacolo alla loro ambita autonomia. Né mancarono in questo periodo costituzioni degli stessi imperatori che aumentarono l'indipendenza dei territori e restrinsero i diritti dell'imperatore all'interno dei domini dei principi e dei signori territoriali anche di rango non principesco.
In origine vigeva il principio che la pubblica autorità ricadeva intera nelle mani del re appena questi metteva piede in un distretto qualsiasi ovvero vi mandava un suo rappresentante straordinario. Così pure le immunità concesse alle chiese, ai monasteri, alle città od a feudatari minori nei territori dei principi e dei loro conti, vennero da principio accordate dai re senza bisogno di espresso consenso dei principi, giacché costoro erano considerati semplici agenti od organi del re. Invece già nel X secolo pare che di regola fosse necessario questo consenso, perché allora il concetto del feudo prevale su quello della carica pubblica, ed il signore feudale non poteva modificare i diritti inerenti al feudo senza il consenso del vassallo.

Dalla metà del XII secolo vediamo il margravio d'Austria, il quale dal 1156 portava il titolo di duca, concedere egli stesso delle immunità, in parte col concorso dell'imperatore, in parte di propria autorità. Bastava che egli ordinasse ai giudici suoi dipendenti di non esercitare le loro funzioni o di esercitarne soltanto talune nei luoghi dotati di immunità. Tutte queste autonomie non traggono origine da costituzioni imperiali ma si sono stabilite per consuetudine; esse però furono straordinariamente consolidate dalle costituzioni del 1220 e 1232, con cui Federico II rinunziò ad importanti diritti della corona e specialmente a stabilire nuovi dazi, alla coniazione della moneta, all'istituzione di mercati, alla erezione di castelli o città nei territori dei principi o delle chiese, ovvero a permettere che i servi della gleba di questi dominii immigrassero nelle sue città. La sovranità dei signori territoriali acquistò così un contenuto che abbracciava taluni determinati diritti spettanti a tutti i signori senza bisogno di appositi privilegi.

In antitesi alla Germania che si era così spezzata in una quantità di signorie territoriali assai indipendenti, l'Inghilterra nel XII e XIII secolo si organizza gradatamente e saldamente a monarchia unitaria, gettando anche le prime basi delle istituzioni parlamentari. Il particolarismo che anche qui minacciò un tempo di dissolvere lo stato in signorie territoriali fu completamente soffocato.
In Francia non esistevano nel XIII secolo dei principi ecclesiastici che potessero paragonarsi ai potenti arcivescovi di Colonia, Magdeburgo, Salzburg ed a tanti altri principi ecclesiastici tedeschi.
Anche in Francia si erano un tempo manifestati i primi accenni alla formazione di analoghe signorie territoriali ecclesiastiche, ma dal XII secolo i vescovi vennero al pari dei grandi signori laici ricondotti alla dipendenza del re, gli prestarono il giuramento di fedeltà e furono obbligati a fornirgli milizie.
Una rete di funzionari regi, paragonabili ai conti dell'epoca carolingia, si stese su tutto il regno e fece prevalere sempre più la volontà del re anche nelle signorie più potenti.

L'Italia e la Spagna non formarono mai nel Medio-Evo degli Stati abbraccianti l'intero paese e non poterono per ragioni di politica estera raggiungere l'unità. Nella Spagna lo impedì l'antagonismo tra cristiani e maomettani.
L'Italia se la disputarono l'impero greco e l'impero tedesco, la bassa Italia gli imperatori tedeschi ed i Normanni. E finalmente l'unificazione italiana trovò pure ostacolo nell'ambizione dei papi di crearsi uno Stato indipendente nell'Italia centrale.
I principi ecclesiastici italiani, come l'abate di Monte Cassino e l'arcivescovo di Milano, perdettero anch'essi la loro influenza politica, un tempo considerevole.

Al sud, nello Stato dei Normanni e dei loro successori, gli Hohenstaufen e gli Anjou, prevalse il carattere monarchico unitario. Nel resto d'Italia fiorì dall'inizio da una folla di piccole signorie territoriali, ma i feudatari laici ed ecclesiastici nel XII e XIII secolo vennero in gran parte sopraffatti dai comuni.
Nell'Alta Italia la nobiltà laica, proveniente da funzionari dell'impero o da vassalli delle chiese, fu nel XII secolo costretta per lo più ad incorporarsi ad un comune. Così Genova tra il 1140 ed il 1150 costrinse molti feudatari e conti ad entrare nella « compagna » del comune genovese (o, secondo la terminologia dell'epoca, a giurare compagna et habitaculum). Non li obbligò in genere ad abitare in città, ma in qualche caso, come nel caso del potente conte di. Lavagna, volle che il nobile avesse anche una casa in città e vi abitasse almeno due mesi all'anno. Del resto molte famiglie nobili si trasferirono stabilmente a Genova, mentre famiglie borghesi acquistarono terre o castelli in contado. L'affluenza in città di queste famiglie nobili, il loro ingresso nella cittadinanza, rafforzò politicamente il comune in misura assai sensibile, e sopra tutto gli infuse le tendenze all'espansione del suo dominio. E questa dominazione si attuò in due modi: il territorio adiacente al comune fu incorporato con i suoi borghi e castelli alla stessa città; oltre questi limiti invece il comune esercitò la sua signoria mediante funzionari ovvero mediante trattati, come quello concluso nel 1138 col già menzionato conte di Lavagna.

Questo fenomeno da noi messo in rilievo con l'esempio di Genova si verificò generalmente per tutte le città dell'Alta e Media Italia, rivelando la superiorità dell'elemento comunale su tutti gli altri elementi politici del paese. E nessun altro paese infatti ha visto una simile preponderanza assoluta delle città. Ma appunto la loro evoluzione così energica portò al completo frazionamento dell'Italia, anzi alla peggior forma di particolarismo.
Lo Stato cittadino é infatti una forma imperfetta di Stato; la sua stessa piccolezza lo rende schiavo degli interessi personali in conflitto. Né le condizioni dell'Italia migliorò quando in molti comuni si instaurò la signoria di condottieri di mercenari e di potenti casate nobili, giacché salvo poche eccezioni, queste signorie non raggiunsero neppure esse un grado di sviluppo tale da potere influire sulla sorte politica della nazione, ovvero ebbero una influenza transitoria. Al contrario esse dettero nuova esca a discordie intestine e ad pretestuose guerricciuole tra vicini, nelle quali il popolo sciupò tutte le sue energie senza giungere a godere i benefici che solo può arrecare uno Stato abbastanza grande per essere in grado di difendersi contro i nemici esterni e nello stesso tempo stornare il popolo dai meschini antagonismi e dalle gelosie campanilistiche e di famiglie.

Il sentimento nazionale italiano che nei secoli precedenti si era trovato unito nel profondo disprezzo per i barbari non si manifestò poi nel XIII secolo abbastanza forte per arrivare alla costituzione di uno Stato di qualche entità, sia pure abbracciante la sola Alta Italia.
Venezia salì, é vero, a grande potenza, ma i suoi dominii erano più che altro fuori d'Italia, e lo Stato della Chiesa rimase per lo più immerso nel disordine. Altre parti importanti della penisola se le contesero potenze straniere. Le condizioni politiche d'Italia erano quindi anche più infelici di quelle della Germania, fra le cui signorie territoriali se ne ebbero almeno alcune di notevole importanza e di notevole durata, mentre l'impero induceva sino ad un certo segno una qualche unità.

Le teorie politiche del Machiavelli, germogliate sul suolo d'Italia nelle accennate condizioni, rispecchiano questo stato di cose ed altro non sono che massime di prudenza ed abilità utili ad un tiranno che miri a conservarsi il potere come una privata proprietà sul territorio. Lo Stato tratteggiato dal «Principe» manca delle basi morali del vero Stato fondato sopra un popolo che sia nello stesso tempo una nazione.

Anche nel XV e XVI secolo il sentimento nazionale italiano non si manifestò, per quanto spesso assai profondamente, nella sua letteratura. Le condizioni politiche d'Italia non impedirono del resto sensibilmente lo sviluppo dell'incivilimento in genere; oltre che nella letteratura, nella tecnica, nel commercio, nelle scienze e nelle arti l'Italia mantenne un posto preminente ed anche si trovò addirittura alla testa dei popoli occidentali.
I termini tecnici del commercio bancario conservano ancora oggi il ricordo di questa preponderanza dell'Italia, ed altrettanto dimostra il cammino trionfale compiuto in tutta l'Europa dalle elaborazioni scientifiche del diritto canonico, del diritto romano e del diritto feudale, nonché l'influenza esercitata dalle Università italiane. Ma é questa una ricchezza che non serve ad altro se non ad eccitare le cupidigie degli stranieri quando manca uno Stato che la difenda ed educhi la coscienza popolare ad avere un adeguato sentimento del proprio valore.

Le riforme del diritto e degli ordinamenti amministrativi non vennero per lo più introdotte nel Medio-Evo mediante leggi di carattere generale, ma mediante privilegi concessi a persone od a corporazioni ovvero mediante le consuetudini e le statuizioni autonome delle stesse corporazioni e degli stessi gruppi che sentirono il bisogno di nuove norme e di nuove forme di vita sociale. L'epoca che va dall'850 al 1250 rappresenta da questo lato l'antitesi dell'epoca di Carlo Magno con la sua copiosa attività legislativa. Gli Stati fondati dai Normanni in Italia ed in Inghilterra, e così pure la Francia ed alcuni Stati della Spagna spiegarono bensì nel XII e XIII secolo una notevole, e sotto molti riguardi ammirabile, attività legislativa e questa non mancò del tutto neppure in Germania; ma ad onta di ciò la caratteristica generale dell'epoca rimane quella già accennata; che cioè i mutamenti nel diritto furono in massima parte dovuti a privilegi e consuetudini ed all'opera di svariatissime corporazioni.

Anche a tale riguardo va prima d'ogni altro ricordata la chiesa, la quale nel presente periodo aumentò i suoi diritti come aumentò le sue ricchezze, e sopra tutto estese immensamente le competenze dei suoi tribunali. Gli ecclesiastici erano quasi completamente sottratti ai tribunali civili anche in materia civile, e solamente nelle liti riguardanti immobili il giudice civile aveva per lo meno una partecipazione allo svolgimento della procedura.
I tribunali ecclesiastici inoltre allargarono la propria giurisdizione anche sui laici, pretendendola in tutti i mille casi in cui la questione aveva attinenza coi doveri religiosi ovvero in cui fosse stata violata una legge della chiesa. Come si comprende il criterio era tanto vago da sopprimere ogni limite: il furto e la frode potevano riguardarsi violazioni di quel genere che abbiamo detto, altrettanto quanto l'immoralità, l'adulterio e lo spergiuro.

Così avvenne che i tribunali ecclesiastici fecero la concorrenza ai tribunali civili ed i molti pregi che presentava la loro procedura ebbero per conseguenza che la loro influenza aumentò anche in materia di giurisdizione volontaria. Tutto ciò si verificò in alcune regioni e città in misura maggiore che in altre, dove invece l'estensione della giurisdizione ecclesiastica andò incontro ad ostacoli.

Accanto al vero e proprio tribunale episcopale sorsero in questo periodo i tribunali sinodali, mediante i quali il vescovo (e a datare dal X secolo l'arcidiacono) procedeva ad una specie di revisione generale della comunità dei fedeli. Nell'assemblea dei fedeli (sinodo) alcuni fra gli uomini più autorevoli erano tenuti sotto il vincolo del giuramento a denunziare tutte le violazioni ai precetti della chiesa che sapessero essere state commesse in seno alla comunità. Il buon andamento della vita pubblica soffrì assai gravemente per l'introduzione di un simile sistema di delazioni.

Grande fu poi l'influenza dei tribunali feudali, che erano esclusivamente competenti per tutte le controversie tra signori e vassalli e tra vassalli di uno stesso signore, come pure per tutte le materie che avevano attinenza coi rapporti feudali. I reclami dalle giurisdizioni feudali andavano in ultima istanza al re, nella sua qualità di supremo sovrano feudale e da questo lato le giurisdizioni feudali acquistano l'aspetto di una istituzione dello Stato al pari dei tribunali ordinaria; benché nel nostro caso non si ricorresse al re come capo dallo Stato, ma come supremo signore feudale.
L'immenso sviluppo assunto dalla feudalità fece sì che una massa di questioni e di materie regolate come erano dallo speciale diritto feudale e devolute alle giurisdizioni feudali, rimanessero sottratte ai tribunali ordinari ed all'ordinaria amministrazione; questo sviluppo del diritto feudale inoltre creò un surrogato al difetto di legislazione statale. Né basta, perché i singoli feudi, le comunità rustiche, le città, le corporazioni cittadine, e finalmente anche le leghe fra città ed altri territori, regolarono nei loro tribunali speciali, mediante statuti e mediante consuetudini, diritti ed obblighi, monete, dazi, privilegi di ogni genere, la condizione giuridica degli stranieri nelle città e nel contado, e molte altre questioni grandi e piccole, con norme che di per sé erano destinate a valere soltanto per i singoli consorzi particolari, ma spesso acquistarono decisiva autorità generale con l'adozione fattane dappertutto.
Questa pure fu una fonte che supplì in larghissima misura alla mancanza di legislazione.

La medesima funzione ebbero le elaborazioni private del diritto vigente, sorte specialmente nel XII e XIII secolo. Così l'opera del monaco camaldolese Graziano (1140-1150), intitolata Decertuna ovvero Concordantia discordantium canonum, la quale cercava di metter d'accordo e conciliare le disposizioni contraddittorie del diritto canonico, acquistò l'autorità d'un codice, benché fossa pura opera privata.
Uguale autorità acquistò il trattato di diritto feudale scritto sotto il titolo di Libri Feudorum dal milanese Oberto dall'Orto verso la metà del XII secolo. Queste opere formarono la base delle ulteriori elaborazioni del diritto canonico e del diritto feudale che finirono per godere analoga autorità. Del pari in gran parte della Germania adempì di fatto alle funzioni di un codice lo Specchio Sassone (Sachsenspiegel), benché il libro fosse opera puramente privata, opera cioè di un dotto laico, Eire voi Repgow. Questi scrisse prima (verso il 1230) il suo libro in latino e poi lo tradusse nella sua lingua sassone nativa per renderlo accessibile ad un signore che non sapeva di latino ed alla sua gente.
Ad imitazione di questo libro ne furono scritti in Germania durante lo stesso XIII secolo altri due analoghi, e tutti contribuirono a svolgere progressivamente il diritto e a diminuire gl'inconvenienti della. mancanza di raccolte ufficiali delle leggi o addirittura al difetto di leggi.

È in Francia che i tentativi di redazione o di trattazione dei vari diritti vigenti nelle diverse regioni furono particolarmente numerosi; la quantità ed il valore di questi lavori ci dimostra ancora una volta che la Francia era allora la sede principale degli studi. Fra questi libri eccelle la trattazione metodica delle coutumes du Beauvoisis, scritta da Filippo Beaumanoir nel 1283. Egli aveva governato come funzionario regio vari distretti, ed anche lo scopo per cui scrisse la sua opera fu quello di accrescere l'influenza della corona.
Nel XIII secolo aumentò abbastanza in tutti i paesi, non esclusa la Germania, ma sopra tutto in Francia, il numero delle ordinanze e leggi generali. Le ordinanze dei re francesi non sempre ebbero all'inizio vigore nei territori di tutti i vassalli, ma col crescere della potenza della corona varcarono anche i confini delle più potenti signorie particolari.

Di speciale importanza fu l'ordinanza con cui re Filippo Augusto prima di partire per la crociata del 1190 regolò le competenze e il servizio dei suoi funzionari e Luigi IX spiegò una notevole attività legislativa, come ad es. nel 1260 con la sua ordinanza sul procedimento probatorio. Per la Francia va poi ancora rilevata l'autorità acquistata dalla corte regia (curia regis) che la fece prendere a modello nel resto del regno. I grandi vassalli della corona cioè, per quanto fossero indipendenti nei riguardi della propria politica e della legislazione, modellarono tuttavia le loro corti supreme di giustizia sulla curia regis e permisero l'accesso ai nuovi principi che venivano proclamati dai re sotto forma di ordinanze che in fondo consacravano le massime adottate dai loro tribunali. Ciò contribuì a livellare le differenze delle consuetudini giuridiche,vigenti nelle singole regioni.
I paesi della Francia si raggruppavano dal punto di vista del diritto in due grandi categorie: i paesi del nord ed i paesi del mezzogiorno. Nei primi imperava il diritto germanico modificato dal diritto romano e dal diritto canonico, mentre nei secondi vigeva il diritto romano, modificato tuttavia anche qui notevolmente dalla influenza del diritto germanico.

Un notevole impulso subì questo processo verso l'uniformità delle consuetudini giuridiche in seguito alla fondazione del regno di Gerusalemme, che generò per i cavalieri rimasti in Oriente e destinati a costituire il popolo del nuovo Stato il bisogno di codificare in modo uniforme il diritto che li doveva reggere. Siccome erano in prevalenza di numero i cavalieri francesi, così prevalsero in questa compilazione del diritto le lois et usages o coutumes vigenti nei paesi di lingua francese. Il diritto del regno di Gerusalemme si divise in due rami, a seconda che doveva essere applicato dalle due corti del regno: la Haute tour ovvero Cour des chevaliers, competente a giudicare la nobiltà cavalleresca, e la Baisse Cour competente a giudicare il popolo.

Questo diritto venne più volte rielaborato nel XIII secolo, e così sorsero le Assises de Jerusalem, che sono il risultato di tutta una attività dottrinale, provocata dal bisogno di adattare il diritto feudale francese alle condizioni del nuovo Stato istituito in Oriente. Questo Stato, che prese il nome di regno di Gerusalemme, era di tipo assolutamente feudale, anzi più esclusivamente feudale degli altri Stati dello stesso genere. I cavalieri occidentali rimasti in Palestina assomigliavano più ad un corpo di occupazione d'un paese straniero che al ceto cavalleresco di un nuovo popolo e di un nuovo Stato.
Tuttavia il regno di Gerusalemme tentò di affermarsi come uno Stato, durò parecchie generazioni ed il suo diritto influì sull'unificazione di quello della madre-patria ed é particolarmente istruttivo per molti lati della struttura dello Stato medioevale. Inoltre in base ad esso possiamo farci una idea retrospettiva di quelle che dovevano essere le condizioni della Francia prima dei mutamenti avveratisi nel XII e XIII secolo.

LA SOCIETÀ

Per quanto gli Stati sopra menzionati abbiano seguito un cammino di evoluzione del tutto diverso, questa evoluzione tuttavia condusse per tutti nel XIII secolo a scuotere gli ordinamenti feudali ed a stabilire od a preparare l'avvento di una forma di Stato più centralizzato e più forte. Questo mutamento fu provocato e reso possibile dal sorgere di nuove classi sociali che si formarono in tutti questi Stati sullo stesso tipo ed all'incirca anche nello stesso periodo. Esse furono la cavalleria e la borghesia cittadina.

Nei paesi neolatini la trasformazione in generale si avverò alquanto prima che in Germania, ma talune regioni della Francia, dell'Inghilterra e dell'Italia conservarono a loro volta il vecchio carattere più a lungo che non molte regioni germaniche.
La società del IX secolo aveva un carattere eminentemente agricolo. La ricchezza principale consisteva nella proprietà fondiaria e nei diritti sulle terre e su coloro che le avevano ricevute in godimento. Non mancavano certamente i metalli preziosi né la ricchezza mobiliare acquistata con le industria e con i commerci né i privilegi della classe dei mercanti; lo stesso armamento ed equipaggiamento degli eserciti e le costruzioni di chiese, monasteri e palazzi di questa epoca presuppongono necessariamente un certo sviluppo delle industrie e delle arti manuali. Ma ciò non toglie che l'agricoltura e la proprietà delle terre col relativo bestiame e persone soggette costituissero la base di gran lunga preponderante dell'ordinamento sociale e della distinzione tra le classi della società.

Nel IX secolo, in antitesi con i primi tempi del periodo merovingio, dominò nel regno franco il latifondo. Gli oneri del servizio militare franco, gli abusi dei conti non stipendiati ma retribuiti col sistema delle sportule (piccole elargizioni, regalie contenute in una "sporta" = borsa), gli incameramenti di eredità da parte della chiesa, tanto lamentate da Carlo Magno, nonché le devastazioni arrecate dalle guerre, avevano già verso l'800 immiserito gran parte dei liberi agricoltori costringendoli a ridursi in uno stato di dipendenza economica e giuridica dai grandi; e questo processo di decadenza continuò nel X e nell'XI secolo.

Nell'undecimo secolo ed in seguito senza dubbio rimaneva tuttora buon numero di liberi agricoltori, ma solo in poche regioni essi erano economicamente forti per esercitare un'influenza sulla vita pubblica accanto ai grandi signori terrieri. Sulla sorte dei liberi agricoltori pesò gravemente l'obbligo del servizio militare. Nel regno franco tutti gli uomini liberi vi erano tenuti e dovevano prestarlo con armi proprie mantenendosi a proprie spese e senza stipendio.
Con l'estendersi del dominio franco le guerre cominciarono a durare per mesi e mesi; ed allora l'onere del servizio militare nella forma anzidetta divenne intollerabile per moltissimi piccoli proprietari, i quali si posero sotto la protezione, divennero soggetti cioè di chiese e di monasteri o di potenti signori laici per essere esentati dal servire nell'esercito.

Gli obblighi imposti a questi soggetti furono assai diversi, da prestazioni e servigi minimi fino a prestazioni e servigi molto gravosi, che arrivavano a costituire perfino un vero e proprio asservimento. E già nel X e nell'XI secolo la massa dei contadini non prestava più servizio militare o aveva limitati obblighi di servizio.

Dall'VIII secolo, specialmente dopo le misure adottate da Carlo Martello per aumentare l'esercito combattente contro i Saraceni, il servizio militare era divenuto sempre più un mestiere. Il nerbo dell'esercito fu costituito dalla cavalleria munita di pesante armatura e reclutata tra i vassalli dei grandi, mentre sull'esercito reclutato presso i contadini si fece poco calcolo e affidamento. È vero che re Enrico I si servì dei suoi vassalli rustici per presidiare e difendere delle piazzeforti dagli Ungheresi e pretese che lo stesso facessero i suoi feudatari, ma questi stessi provvedimenti dimostrano che allora (924) in Sassonia la difesa del paese non era più basata sui liberi agricoltori ma sulle milizie feudali, non su una leva di masse popolari non istruite, ma sopra un nucleo di gente già addestrata alle armi e ben armata.

Il servizio militare obbligatorio, salvo in alcune contrade costiere e montane, si ridusse dal X secolo in poi all'obbligo di dar la caccia ai masnadieri od in caso di necessità di appoggiare i milites, i cavalieri, i soldati di mestiere.
Ora l'esenzione dal servizio militare di questa gente appena detta, portava ipso iure ad un abbassamento della condizione sociale degli esenti. L'agricoltore libero che mediante la protezione di un feudatario riusciva a sottrarvisi ovvero era troppo povero per armarsi ed equipaggiarsi venne calcolato come appartenente alle classi inferiori, al vulgus ineptum agriculturae pocius quam militiae assuetum, come si espresse Lamberto di Hersfeld in occasione della battaglia sull'Unstrut (1075).

Né i cavalieri tollerarono poi che uno di costoro portasse la lancia ed indossasse l'armatura cavalleresca. Ogni differenza di stato personale che per questi liberi per nascita esisteva di fronte ai servi si perdette nella comunanza di vita e di occupazioni delle due classi, ed i liberi agricoltori furono guardati pari a servi, li fecere scendere a quel livello. Le persone invece di nascita non libera, funzionari od uomini d'arme dei grandi (i ministeriali), di cui costoro avevano bisogno per l'amministrazione dei loro uffici e dei loro possedimenti, nonché per la difesa dei loro castelli, per le faide private e per le guerre dei re, divennero compagni dei nobili nella vita e nelle occupazioni, alla caccia, nell'amministrazione ed in guerra, si fusero con essi e con i loro vassalli ingenui nella classe professionale dei cavalieri.

Molti di questi servi privilegiati, per i quali divenne tecnico il nome di ministeriali, occuparono posizioni in cui avevano ai loro ordini migliaia di persone e decidevano delle elezioni dei vescovi ed abati.
La loro origine servile venne dimenticata di fronte alla reale potenza di cui godevano, finirono per essere annoverati tra i nobili e considerati come questi capaci di rapporti feudali.

Più o meno anche i loro pari, adibiti a minori uffici ed alle funzioni di uomini d'arme e castellani dei loro padroni, acquistarono analoghi privilegi. Nell'XI e XII secolo poi anche i principi ecclesiastici, gli abati dei grandi monasteri ed i vescovi, guidarono spesso essi medesimi i loro uomini alla guerra, fecero vita comune con i loro ministeriali. I documenti dell'XI e XII secolo che elencano i servigi cui erano tenuti i ministeriali non ci porgono un'idea completa dell'importanza assunta da questa classe di persone giuridicamente non libera, ma influentissima, ma bisogna integrare il quadro con la posizione che essa occupava di fatto.

Così l'elenco dei servigi dovuti all'arcivescovo di Colonia dai suoi ministeriali, che risale al 1154, non ci dice -se non a quali prestazioni essi erano tenuti qualora l'arcivescovo accompagnasse il re oltr'alpe in occasione della sua incoronazione ad imperatore, e viceversa ciò che l'arcivescovo doveva loro dare in denaro, equipaggiamento e stipendio. Ma la vera posizione dei ministeriali si comprende solo se si tiene conto dell'influenza che costoro esercitavano e si osserva come un uomo della potenza dell'abate Vibaldo di Corvey non sia riuscito a spuntarla contro di loro.
I rapporti dei ministeriali coi loro padroni erano soggetti ad una specie di etichetta rigorosa accompagnata da vari atti simbolici. Essi dovevano baciargli l'estremità della veste se volevano fargli delle rimostranze per non avere ad es. ricevuto lo stipendio; ma ciò non significa che in realtà non fossero potenti, assistiti come erano dalla solidarietà dei loro pari. I ministeriali costituivano il gradino più basso nella scala dell'aristocrazia cavalleresca alla cui sommità stava lo stesso re, ma facevano parte di questa aristocrazia e ne rappresentavano la categoria più numerosa.

In questi cavalieri gli Stati acquistarono un nuovo ceto medio che li compensò della sorgente di forze militari esauritasi con la sparizione dei piccoli proprietari liberi. Non tutti gli uomini d'arme del resto per il fatto che vennero armati cavalieri e adibiti agli uffici propri dei ministeriali giunsero a far parte di quella cerchia privilegiata di persone che nei secoli XII e XIII si svolse la bassa nobiltà che parificò i cavalieri di origine non libera ai nobili d'origine libera; una parte di costoro rimase in condizione sociale inferiore. I ministeriali divennero capaci di tenere dei feudi. Le terre che avevano ricevute come servi vennero in seguito trattate come veri feudi, dello stesso genere di quelli che in origine il re solo concedeva e soltanto ad uomini liberi.
Tra i cavalieri si ebbero poi gradi diversi secondo il patrimonio e la specie del feudo che avevano. Chi riceveva un feudo da un ministeriale veniva dopo di lui nell'ordine di precedenza, era al suo servizio, costituiva l'ultimo gradino dell'eribanno.

I cavalieri recarono pure un notevole contributo alla vita intellettuale dell'epoca. Ne incontriamo un gran numero tra i poeti e scolari, tra i giuristi e letterati del XII e XIII secolo, non meno che tra i soldati degli eserciti crociati e tra gli amministratori dei dazi, nei posti di giudici e advocati nelle campagne e nelle città. Forti ed operosi in maniera spiccata, erano inoltre in maggioranza costretti dalle necessità della vita ad ingegnarsi,a darsi da fare in tutti i modi, perché il patrimonio che possedevano era troppo esiguo per le loro numerose famiglie.

Nel IX secolo entro l'àmbito dei paesi che avevano formato l'impero franco non esisteva che una sola forma di comunità, il cantone rurale (pagus, Gau) ; anche le città dell'epoca romana tuttora superstiti non erano ormai che borghi un po' più popolosi del cantone. Le città medioevali non sono né una continuazione né una riproduzione delle città dell'epoca romana; tra il periodo romano ed il periodo della fioritura delle città medioevali intercede il periodo della monarchia franca cui l'ordinamento cittadino é ignoto.
Certamente anche nell'VIII e IX secolo in centri popolosi come Metz, Treveri, Augsburg, Milano e Pavia non si poté a meno di provvedere ai bisogni della sicurezza e del mantenimento dell'ordine, alla manutenzione delle mura e dei ponti e ad analoghe esigenze. Ma a tali necessità devono aver provveduto in parte il cantone e le corporazioni ecclesiastiche e laiche delle singole città, in parte il re ed i suoi conti e centenari.

Tuttavia l'esistenza di questi centri ed il loro sempre crescente sviluppo portò col tempo ad una trasformazione della costituzione cantonale a tutto vantaggio degli elementi economicamente e socialmente superiori delle città. La necessità di provvedere alla costruzione e difesa delle mura, al regolamento dei mercati divenuti più attivi, alla manutenzione delle strade molto più battute, alle monete, ai pesi e misure, alla definizione degli attriti e controversie tra il centro abitato e le comunità sparse dappertutto; queste ed altre esigenze fecero dal pagus sorgere quella forma di comunità, assai più copiosamente dotata di diritti, di mezzi e di organi che noi chiamiamo in senso giuridico città o comune cittadino.

Ovvero anche le città sorsero in località non precedentemente abitate come quelle di cui abbiamo parlato, ma che per un mutamento nelle vie seguite dal transito commerciale o per altre ragioni divennero centri importanti di traffici e di considerevoli interessi. La data del sorgere delle città non può fissarsi con precisione: l'epoca e il particolare processo di formazione di esse fu diverso nei vari paesi, per quanto nelle linee fondamentali l'evoluzione sia uniforme. In Germania questa evoluzione giunse al suo compimento nell'XI secolo, La fondazione da parte di Enrico I o di altri sovrani di villaggi fortificati e difesi dai vassalli con un turno di guardia accuratamente disciplinato non ebbe il carattere di fondazione di città; ma alcuni di questi posti fortificati in seguito formarono il primo nucleo di future città.

Gli artigiani e mercanti qui domiciliati aspirarono, come é naturale, sempre a maggiori diritti e ad un più perfetto e libero ordinamento delle istituzioni comunali. Si aggiungano gli artigiani e mercanti che vi affluivano ai mercati settimanali ed annuali, i ministeriali dei feudatari vicini che radunavano nel luogo fortificato il denaro e le prestazioni in natura riscosse dai contadini, vi equipaggiavano le soldatesche del padrone, vi procuravano il legname e le pietre per le costruzioni del signore o altrimenti vi accudivano ad altre incombenze. Ciò non vuol dire che tutti questi gruppi di persone siano entrati a far parte della comunità cittadina. Non di rado i ministeriali ed anche i contadini dimoranti in città rimasero per lungo tempo ancora estranei al comune; talora pure dallo stesso aggregato di popolazione sorsero più città l'una accanto all'altra, spesso intersecate da uno o più territori feudali immuni.

Lo sviluppo dei mercati e la moltiplicazione dei privilegi, delle consuetudini e degli statuti relativi concorsero notevolmente al processo di formazione delle città, ma non mancano esempi di luoghi di mercato dotati di analoghi regolamenti giuridici che non divennero mai città. Forse una influenza maggiore dei mercati esercitarono le esigenze della difesa. La fortificazione del comune richiese una notevole somma di lavoro e di spese, fece sorgere nuove corporazioni, e col sentimento della responsabilità suscitò in esse quell'attività più intensa e multiforme che distingue la vita cittadina dalla tranquilla vita del villaggio.

E finalmente influì sopra ogni altro il fatto che la difesa delle mura e delle opere di fortificazioni in genere fece del cittadino un soldato, e con ciò lo elevò al, disopra del rustico incapace di portare le armi e lo collocò accanto alle classi sociali superiori abili alle armi. Non ogni città divenne una fortezza e non ogni castello divenne una città, ma la maggior parte delle città erano fortificati ed in ciò trovarono una fonte di potenza.
Mercati e mura sono certamente da ritenere i principali fattori chi concorsero alla genesi della vita e delle istituzioni cittadine.

Sviluppatisi le città, i principi che ne compresero l'importanza passarono a regolarne la condizione giuridica ed a fondarne di nuove. La figura dei vari comuni fu all'inizio assai diversa, ma nel corso dell'XI secolo la loro struttura acquistò alcune linee fondamentali che più o meno si ripresentano ovunque.
La città costituiva un distretto giudiziario separato sotto uno sculdascio (magistrato analogo al centenario - come in seguito il Podesta e il Sindaco) che vi esercitava i poteri di polizia e la giurisdizione. I tribunali cittadini non acquistarono l'alta giurisdizione se non nel corso del XIII secolo, ed anche ora la ebbero solo quelli dei maggiori comuni.
I titoli dei giudici cittadini furono vari burgravi, sculdasci, Vógte; del resto l'egual titolo dei magistrati nei vari comuni non significava sempre eguaglianza di competenze. Inoltre quelle stesse competenze variarono assai tra città vicine, che adottavano persino talora le une gli interi statuti delle altre. La nomina del giudice cittadino spettava al conte che imperava sul territorio ove era situata la città. In molte città, specialmente in quelle che erano sedi di vescovadi, uno o più feudatari o il vescovo esercitavano sul comune diritti feudali e quindi avevano dei diritti più o mino gravosi su parecchie sfere della popolazioni.

Ma questi oneri feudali per lo più andarono decrescendo od anche sparirono del tutto. Alcuni signori feudali vi rinunziarono spontaneamente per promuovere un più rapido incremento della città ed accaparrarsene l'appoggio, altri vennero costretti a rinunziarvi con la forza o in base a trattati. Finalmente non poche città riscattarono col denaro la stessa giurisdizione o la acquistarono mediante altre convenzioni o se ne impadronirono usando le armi; di modo che nominarono esse medesime i giudici.
Tuttavia nella maggior parte delle città i conti mantennero una partecipazione al potere pubblico, conservando così la loro posizione di autorità superiori alle città. Del resto la conquista del poteri giurisdizionale pieno non ebbe per l'incremento dei comuni tanta importanza quanto potrebbe sembrare.

L'amministrazione cittadina autonoma aveva oltre questo numerosi altri servizi da curare: la gestione del patrimonio comunale, il regime dei pesi e misuri, il regolamento dei mercati, della circolazione monetaria e l'esazione delle imposte, l'esercizio del diritto di batter moneta che le città, spesso ottennero, la manutenzione delle strade, dei ponti, delle fortificazioni, delle chiese e di altri edifici pubblici, i trattati con territori vicini, la ricezione di stranieri, le relazioni con corporazioni ecclesiastiche cittadine od estranee, i conflitti con queste corporazioni e mille altre incombenze analoghi, soprattutto poi le finanze, la provvista dei mezzi pecuniari occorrenti per tutti questi servizi.
L'organo del comune cui incombeva tali multiforme attività era il consiglio cittadino, una delegazione del popolo analoga a quelle che le assemblee popolari giudiziarie si erano un tempo creata per il regolare disbrigo degli affari.

Il consiglio cittadino esercitava anche la giurisdizione, ma in origine essa era stata una giurisdizione meramente autonoma, pari a quella che anche altre corporazioni esercitavano nelle contestazioni interne dell'associazione senza escludere la possibilità di un posteriore giudizio sulla stessa questione da parte dei tribunali ordinari.
Per il funzionamento della giurisdizione pubblica esercitata dal giudice cittadino, il burgravio o comunque altrimenti fosse chiamato, venne istituito un collegio di scabini. In molti luoghi a questo collegio degli scabini furono affidate le funzioni del consiglio, mentre in altri i consiglieri cittadini vennero chiamati all'ufficio di scabini ; ma si trattò sempre di un cumulo di funzioni diverse nelle stesse persone; gli uffizi di per sé rimasero distinti ed il fenomeno di quel cumulo non si verificò dappertutto.

Il consiglio cittadino nominava nel proprio seno delle giunte e commissioni per scopi speciali, organizzò un corpo di funzionari amministrativi, e vide sorgersi accanto tutta una fioritura di minori corporazioni o gilde, corporazioni d'arti e méstieri, di mercanti, di marinai ed altre. Esse vigilavano all'osservanza dei propri statuti, punivano le violazioni delle relative norme, regolavano l'educazione e l'addestramento degli apprendisti, la posizione dei soci, definivano controversie tra questi ultimi; inoltre acquistarono immobili, assunsero appalti per la difesa della città, i loro membri costituirono reparti delle milizie cittadine, di modo che disimpegnarono una porzione considerevole dei servizi pubblici.
Tra le varie corporazioni e sopra tutto fra il patriziato o il popolo grasso ed il popolo minuto sorsero non poche rivalità e spesso anche regnò l'invidia e la gelosia. Lo sviluppo dell'amministrazione comunale talora trasse da queste gare un migliore impulso, talora ne fu anche turbato, ma non fu mai durevolmente arrestato. Esempi tipici Firenze, Venezia, Milano ecc.

Nei secoli della dominazione dei Salii e degli Hohenstaufen anche in Germania le città divennero centri di una nuova vita e della formazione di nuovi gruppi e classi sociali. Il commercio assunse forme più svariate e più evolute e intere categorie di persone soggette ed oppresse acquistarono maggiore energia e coscienza di sé stesse.
Alla economia in natura si andò sempre più sostituendo l'economia monetaria ed il capitale cominciò ad esplicare la sua ammirabile attitudine ad organizzare sotto una sola direzione grandi masse di forze per l'esecuzione di vasti progetti.

Col suo onesto lavoro questa borghesia cittadina arricchì tutti i paesi di artistici ed utili edifici, gettò ponti sui fiumi, ripuli le strade e i mari dai masnadieri e pirati che li infestavano, e favorì lo sviluppo della tecnica, dell'arte e delle scienze. Le città divennero centri di una cultura laica più intensiva che ben presto gareggiò col clero anche nel campo letterario, dove esso un tempo aveva dominato quasi esclusivamente nella maggior parte dei paesi.
E ben presto le città si distinsero pure nella fondazione ed organizzazione più perfetta di scuole ed università.

Verso la metà dell'XI secolo i concetti nuovi spontaneamente sorti del comune e delle autonomie cittadine erano già abbastanza nettamente formati per poter essere volutamente e di proposito applicati per trasformare in città le vecchie organizzazioni territoriali rustiche e per fondare nuove città. E ben presto avvenne pure che comunità tuttora in via di evoluzione la completarono all'improvviso mutuando pari pari gli ordinamenti di un'altra città già costituita.

In Francia ed in Italia la costituzione di un nuovo comune di solito avveniva mediante un giuramento dei cittadini; ciò non si praticava invece in Germania; ma salvo questa differenza, il processo fu analogo dappertutto.

La scienza ha tentato come era suo compito di analizzare e comprendere la genesi di questa nuova forma di vita politica dei popoli; ma ogni genesi storica presenta, come la vita, un mistero primordiale che non ci è concesso scrutare. Noi riusciamo a vedere i fattori che concorrono alla produzione del fenomeno storico, a stabilire le cause che lo hanno favorito o ritardato, ma poi non senza stupore ci troviamo d'un tratto di fronte al fatto compiuto. Le città furono il risultato di nuove forme di lavoro umano e di vita sociale, e queste nuove forme, l'attività cittadina cioè che a sua volta venne a distinguere la borghesia dalla popolazione rurale, trovarono nell'XI, XII e XIII secolo nell'indipendenza ed autonomia dei comuni un terreno propizio a svilupparsi straordinariamente e a meglio distinguersi.

Se al tempo di Gregorio VII si riuscì a Milano ed in altre città a scuotere il giogo del clero aristocratico, ciò fu possibile solo perché il movimento sociale delle classi inferiori tendenti ad elevarsi nelle città venne in aiuto del movimento di riforma della chiesa. Cento anni più tardi queste città furono capaci di resistere ai poderosi eserciti di Federico Barbarossa, e nella ricostruzione di Lodi distrutta dai Milanesi, come anche poco dopo nella ricostruzione di Milano distrutta dall'imperatore, e nella edificazione della città fortificata di Alessandria ed in moltissimi altri casi analoghi rivelarono tale quantità di forze economiche, militari e morali, che lo stesso loro avversario non poté a meno di restarne ammirato, in alcuni casi (proprio Alessandria) perfino sbalordito e umiliato.

L'Inghilterra, la Francia e la Germania ci offrono esempi analoghi delle ricchezze e della potenza delle città. L'obbligo generale del servizio militare a difesa della propria città fortificò il coraggio di queste borghesie, fece loro acquistare una abilità militarmente preziosa, e permise di superare anche molte difficoltà provocate dalla coesistenza di gruppi poco omogenei e spesso animati da reciproca rivalità.
In molte città infatti accanto ai liberi proprietari dimoravano categorie di persone soggette a feudatari diversi e che fra loro si differenziavano ancora per la diversità degli obblighi cui erano vincolate. Si aggiunga l'affluenza di forestieri. Gli immigranti spesso agli inizi di una città costituirono la maggioranza della popolazione. Non di rado si trattava di servi o soggetti dei feudatari vicini, o anche lontani.

Altro elemento di notevole importanza fu quello rappresentato dagli ebrei. Costoro già nei commercio dell'VIII e IX secolo avevano manifestato una invadenza che aveva suscitato aspre ostilità e fin da quei tempi sono pervenuti sino a noi scritti di tinta antisemita. Ma gli ebrei non si lasciarono sgominare. Essi tuttavia non furono considerati nazionali, ma stranieri e come tali erano sotto la protezione particolare del re verso il quale in compenso erano vincolati a speciali obblighi.
Nelle città la loro condizione non fu uniforme dappertutto. La piena cittadinanza non l'ebbero in nessun luogo, ma in molte città, come ad es. a Colonia, essi formavano una comunità distinta, dotata di considerevoli diritti ed obbligata come altre corporazioni e gruppi a disimpegnare servizi pubblici e compiere opere di pubblico interesse. In particolar modo essi erano tenuti ad edificare una porzione delle fortificazioni ed a difenderla.

È noto il motto: «L'aria della città rende liberi». Questo proverbio però non va inteso nel senso che nelle città non siano esistite mai persone di condizione vincolata, soggette a servizi e ad oneri tributari verso signori feudali, che il servo od il semi-libero rimanesse sciolto da ogni vincolo non appena fosse stato accolto in un comune. Ma é certo che le nuove forme di economia sociale svoltesi nelle città valsero ad attenuare i vincoli di soggezione giuridica. Le persone soggette vi trovarono protezione, i poveri vi trovarono molte occasioni di guadagnare che mancavano nelle campagne.
Di fatto quindi molti servi e semi-liberi si conquistarono nelle città libertà ed indipendenza. Soprattutto quando emergevano elementi dotati di grande intelligenza, intraprendenza, energie creative. Nella borghesia liberi e non liberi si fusero a formare una classe orgogliosa che aveva un alto concetto di sé e difendeva strenuamente i suoi membri. Come la ministerialità aveva fuso molti servi con la nobiltà di nascita libera in una nuova classe che aveva finito per far dimenticare la differenza di origine, così anche la borghesia cittadina fuse in sé liberi e non liberi. Questo processo di fusione fu molto più rapido e completo nelle città.

Il proverbio giuridico sopra accennato verso il 1160 in molti luoghi acquistò persino valore giuridico formale. Ciò perché la caratteristica fondamentale della nuova classe borghese era la libertà e le persone giuridicamente ed economicamente soggette che affluirono nelle città vennero a far parte integrante del comune. La caratteristica fondamentale della ministerialità invece, la sostanza delle relazioni tra signore e ministeriali, rimase il rapporto di servizio.
Borghesia e cavalleria rappresentano le classi progressiste, dotate di maggiore capacità produttiva del periodo dei Salii, degli Hohenstaufen, dei Capetingi e dei Plantageneti. In molti campi d'attività esse si integrarono a vicenda, e nelle crociate fu la loro cooperazione che rese ripetutamente possibili i più grandiosi successi, giacché ad ottenerli erano indispensabili così le flotte delle città marittime come le schiere di cavalieri coperti delle loro pesanti armature. Lo sviluppo dei commerci delle città costrinse la chiesa a dimenticare sempre più l'assurdo divieto delle usure, cosicché in Occidente poterono diffondersi e prevalere le forme più agili e produttive dell'economia monetaria e in parallelo la crescita di una nuova attività, quella dei banchieri.

Le città finalmente ebbero pure una parte importante nell'opera di colonizzazione. I territori verso i quali nell'accennato periodo doveva necessariamente rivolgersi la colonizzazione erano i paesi incolti situati a settentrione e ad oriente dell'impero tedesco, i paesi nordici, i paesi slavi e l'Ungheria. Le trasmigrazioni di cavalieri normanni nelle regioni già coltivate della bassa Italia e dell'Inghilterra e gli stessi loro stabilimenti in Oriente non possono chiamarsi colonizzazioni, perché una colonizzazione presuppone anzitutto il lavoro dell'aratro e poi dell'industria cittadina. Cose queste che già esistevano.

Nel Medio-Evo colonizzazioni su vasta scala operarono solo i Tedeschi, il popolo che era anche geograficamente il più vicino ai territori già indicati che ne avevano bisogno perchè fino allora erano deserti. In Ungheria affluirono a dire il vero oltre ai Tedeschi molti Greci ed Italiani che vi introdussero i prodotti e le arti proprie del loro incivilimento superiore, ma qui alla vera e propria colonizzazione parteciparono quasi unicamente i Tedeschi. Anche se in Ungheria l'immigrazione teutonica non fu abbastanza forte per germanizzare il paese, mentre tale germanizzazione avvenne per una buona porzione del territorio occupato dagli Slavi.
Nel IX secolo l'Elba costituiva l'estremo limite orientale cui si spingeva l'incivilimento cristiano e germanico. Di qui i Tedeschi penetrarono e si avanzarono nei paesi slavi ed ungarici; il fortilizio, il castello, servì come primo punto di appoggio dell'avanzata; ma accanto ai castelli sorsero in seguito monasteri e villaggi e ben presto anche città. La colonizzazione incominciò con guerre nelle quali gran parte dell'antica popolazione rimase distrutta.
In molti punti tuttavia della marca di Brandenburg, delle regioni ad essa adiacenti, e soprattutto nelle contrade più orientali, gli Slavi sopravvissero in masse abbastanza dense da permetter loro di conservare i propri ordinamenti economico-sociali e la propria lingua nazionale.
Nel Mecklenburg e nella Pomerania l'opera di assoggettamento degli Slavi e di colonizzazione venne compiuta con mano ferrea da Enrico il Leone, allo stesso modo che due secoli prima il margravio Gero aveva fatto sulla Saale e sull'Elba; nella Slesia la fondazione di villaggi e di città di coloni tedeschi venne procurata e favorita da principi polacchi della casa dei Piasti.

Queste colonizzazioni avvenivano di regola così: Il proprietario del territorio ne destinava una determinata estensione alla creazione di un villaggio di coloni ed incaricava un imprenditore (locator) di arruolare un certo numero di coloni idonei. Costoro ricevevano in proprietà i rispettivi appezzamenti di terreno, salvo a pagare una lieve imposta ed a prestar taluni non gravosi servigi. Al locator si assegnava un appezzamento maggiore esente da imposte, ed egli assumeva nel tempo stesso la carica di sculdascio del villaggio. La sua carica ed i beni annessi (la « Scholtisei ») erano considerati come un feudo, gravato nei trapassi da un laudemio (imposta) del decimo del valore, dal quale erano invece esenti in origine le proprietà dei coloni.
I villaggi tedeschi si distinguevano tra i villaggi degli Slavi, i quali vivevano in uno stato di grave oppressione giuridica ed economica, per la condizione molto più dignitosa dei contadini, per l'ordine che regnava nelle loro case coloniche e per il più razionale sfruttamento del suolo, e ben presto anche alcuni villaggi formati a scopo di colonizzazione mediante Slavi con lo stesso ordinamento giuridico tedesco (ius teutonicum) salirono a maggior floridezza economica.

Appunto questi pregi dei villaggi e delle città tedesche spinsero i duchi della casa dei Piasti a favorire l'immigrazione di coloni tedeschi nella Slesia. Il XIII secolo fu il periodo più attivo di tale colonizzazione; in esso, oltre alla colonizzazione della Slesia e delle regioni attigue della Boemia e Lausitz, va ricordata la conquista e germanizzazione della Prussia compiuta dall'Ordine Teutonico, sotto la cui protezione il paese si coprì di villaggi e città tedesche, e diede vita ad uno dei più vigorosi rami del popolo tedesco. (Anche se ancora al tempo del grande Federico II di Prussia, questo re soleva dire che dopo il Sahara il deserto più grande era il suo - ma che ben presto lo trasformò in quella che divenne la Grande Prussia e inb seguito la vera e propria Germania).

Questa colonizzazione dei territori tra l'Elba e la Vistola e la diffusione oltre questo limite della cultura occidentale e degli ordinamenti giuridici tedeschi in città così importanti come Cracovia ed Ofen-Pest ed intere regioni come la Transilvania è una delle più importanti opere di incivilimento di tutto il Medio-Evo. I cavalieri tedeschi, le chiese ed i monasteri, gli agricoltori ed i cittadini conquistarono i nuovi territori necessari alla espansione delle esuberanti energie nazionali, e, per quanto a prezzo di gravi sacrifizi, li mantennero.

Le nuove classi sociali, cavalieri e borghesia, mentre si rivelarono strenue rappresentanti del sentimento nazionale di ciascun popolo, che allora noi vediamo affermarsi in modo molto più spiccato che non prima, furono nel tempo stesso le rappresantanti di quelle tendenze internazionali che caratterizzarono la vita intellettuale dell'epoca e la fecero progredire. Mercanti d'ogni nazione affluirono alle grandi fiere della Champagne e si diedero convegno nei grandi empori commerciali come Bruges, Venezia, Ferrara.
Ciò li costrinse a formarsi uno svariato corredo di conoscenze linguistiche, giuridiche ed economico-sociali attinenti ai vari popoli ed a creare forme e regole commerciali generalmente riconosciute su tutto il resto d'Europa.

Analogamente i cavalieri degli Stati occidentali avevano un codice in sostanza identico per i costumi e le regole d'onore, come identica era in fondo dappertutto la loro condizione giuridica e la loro posizione economica. Migliaia di cavalieri militarono più o meno lungamente all'estero e con camerati stranieri. Non pochi principi possedevano feudi loro concessi contemporaneamente dai re di Francia e d'Inghilterra, ovvero dalla Germania e dalla Francia, ed avevano ai loro servizi cavalieri di nazionalità diversa.
I solenni convegni della cavalleria di tutti i paesi, come quello di Magonza (1184) in cui furono armati cavalieri i figli dell'imperatore Federico, le spedizioni degli imperatori tedeschi in Italia, meglio ancora le crociate e la dimora, talvolta prolungata per anni ed anni, di numerosi cavalieri in Oriente, nonché molte altre analoghe occasioni radunarono e tennero lungamente a contatto i cavalieri delle nazionalità più diverse e provocarono la formazione di un complesso di usi e regole uniformi della vita cavalleresca.

Un cavaliere tedesco sotto molti riguardi, e non soltanto estrinseci, assomigliava più ad un cavaliere francese od inglese che non ad un suo connazionale d'altra condizione sociale.
Questo internazionalismo fu anche favorito dal carattere universale della chiesa e dalla unicità della lingua, il latino, di cui si serviva la letteratura filosofica, giuridica e teologica. Anche gli scritti polemici attinenti argomenti di politica laica od ecclesiastica furono redatti in latino, e nell'XI secolo ancora esclusivamente in latino.
Nel XII e XIII secolo, nell'epoca cioè appunto della cavalleria e della borghesia e della diffusione della istruzione e degli studi nel ceto laico, si cominciarono ad usare le lingue nazionali negli scritti giuridici (in Germania ad es. nello Specchio Sassone ed in Francia nella redazione di vari Usages o Coustumes) e nei documenti legali, come nelle carte di Metz relative ad alienazione di immobili. Anche in Italia il volgare compare in questo periodo nella stesura di un documento legale, in modo da essere compreso da ambedue i contraenti.

Nel tempo stesso la letteratura poetica neolatina e tedesca raggiunse un grado di splendore che la pose assai al disopra di tutta la produzione antecedente. In Germania, in Spagna, il culmine di questa evoluzione si ha nel periodo dal 1190 al 1220. I campi nei quali si svolse principalmente l'opera di questi poeti tedeschi e neolatini furono la lirica e le narrazioni epiche, ed in entrambi essi rivelarono grande abilità così nella forma come nella scelta delle materie. Il canto del trovatore neolatino trova il suo riscontro anche in Germania nel canto del Minnesanger tedesco. Argomento di questi canti sono anzitutto gli universali sentimenti umani dell'ammirazione per le bellezze della natura, dell'amore e del rimpianto per la caducità della felicità terrena; ma é in essi inoltre notevole l'interesse vivo per le lotte e le sventure della propria patria.
In siffatti canti per l'appunto il sentimento nazionale del popolo tedesco trovò allora l'espressione più bella ed imperitura per la forza del sentimento medesimo e per la perfezione della forma. Forse ancora maggiore é l'affinità della poesia epica neolatina e tedesca di questi tempi.
Alcuni grandi cicli di leggende eroiche sono comuni ad entrambe e non pochi poeti riproducono un modello antecedente già apparso nella lingua del popolo vicino. Anche i più grandi fra i poeti epici tedeschi, quali Goffredo di Strasburgo e Wolfram di Eschenbach, scrissero di argomenti già trattati da poeti francesi, ma i loro poemi non sono perciò meno originali e costituiscono un vero ornamento della letterature tedesca.
Da essi peraltro si rivela in maniera evidente che la loro poesia non apparteneva alla sola nazione tedesca, non era un esponente della sua vita particolare; ma rispecchiava le idee ed i sentimenti di quella specie di società internazionale che era costituita dalla cavalleria cristiana. Se non che quest'arte suscitata dall'attrattiva di modelli stranieri e cresciuta alla scuola di poeti stranieri ha poi donato sul finire del XII secolo alla Germania anche poemi di argomento schiettamente nazionale come il canto dei Nibelunghi e la Gudrun, che a buon diritto vanno tuttora annoverati fra i tesori della letteratura tedesca.

Noi non conosciamo il poeta o i poeti che scrissero questi canti, probabilmente essi sono dovuti al genio di un cavaliere, al pari della maggior parte dei canti di quei tempi. Anche Gualtiero von der Vogelweide, il più grande fra i lirici del nostro periodo e forse insieme a Goethe il più gran lirico tedesco di ogni tempo era un cavaliere. Era peraltro un cavaliere povero, senza beni di fortuna, che per molto tempo dovette dichiararsi lieto se il suo canto riusciva a procurargli di che vestirsi ed un ricovero conveniente, sinché Federico II gli donò un piccolo feudo. Ciononostante egli andò girando da paese a paese, non di rado come un vagabondo, ma il suo cuore si serbò altero e non rinunziò al diritto di giudicare con indipendenza e di seguire con amorosa premura le vicende dell'umanità e principalmente del suo popolo.
Come una spada affilata il suo canto flagellò le orde dei clericali che prendevano a pretesto la scomunica papale per defezionare dall'imperatore, ed i suoi nemici lo temettero come una potenza. Egli era un cavaliere, ma il suo pubblico era formato non solo dai suoi pari ma anche dagli studenti delle Università e dai borghesi delle città.
Cavaliere era pure Wolfram di Eschenbach, il grande poeta epico, il cantore del S. Gral. Goffredo di Strasburgo, il poeta forse più perfetto nella forma, era invece uscito dalla borghesia, ma il suo poema di Tristano ed Isotta rispecchia la vita cavalleresca.

Verso il 1200 la cavalleria emergeva ancora a confronto della borghesia, ed i borghesi più influenti, i patrizi delle città, amavano adottare le forme della vita cavalleresca e militare mutuandola proprio dai cavalieri.
Nel XIV secolo invece le cose cominciarono ad invertirsi e la borghesia così nella vita come nella letteratura prese il sopravvento anche in Germania. In Italia ciò era avvenuto già un secolo prima. Ma non perciò si deve ritenere che sia stato di poco momento il contributo arrecato dalla borghesia alla letteratura poetica tedesca anche nel XlI e XIII secolo, per quanto sia dubbio se i due cittadini di Zurigo, Rudiger e Giovanni Manes, siano proprio gli autori di quella raccolta (detta da loro del manoscritto manessiano) che rappresenta la più splendida ed importante raccolta della poesia cortigiana tedesca.
Dell'Italia e di altri paesi parleremo in seguito in un altro capitolo

Dobbiamo ora tornare alla Chiesa,
a questa grande organizzazione politica,
malgrado i suoi fini immediati fossero d'indole religiosa

CHIESA E INCIVILIMENTO > >

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