-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

78. IL SACRO ROMANO IMPERO (TEDESCO)


La corona imperiale tedesca

Come abbiamo visto nei precedenti capitoli, nel X secolo la monarchia germanica si innalzò al di sopra di tutti gli altri Stati dell'occidente cristiano, e la prerogativa della dignità imperiale da essa acquistata e mantenuta la pose alla testa della cristianità.
Tuttavia una effettiva sovranità sull'intera cristianità occidentale gli imperatori tedeschi non la esercitarono mai; essi, oltre che in Germania, dominarono realmente nella sola Borgogna e in particolare nell'Italia, ed anche qui sempre in maniera discontinua, alternata, e per lo più solo quando vi poterono
tenere forti eserciti.

L'impero non era un territorio che avesse confini e diritti ben determinati, non era un concetto geografico ma solo un concetto ideale. Esso non fu una restaurazione dell'impero romano, ma piuttosto una reminiscenza di questo impero e della sua grandezza, che però ebbe un ascendente sull'animo dei popoli tanto più profondo quanto più si riduceva ad un puro ideale spoglio di tutte le imperfezioni e lacune legate alla nuda realtà.

Ma non per questo fu scarsa l'importanza storica dell'impero tedesco; ché anzi essa è stata grandissima, inestimabile. Questa importanza consiste nell'aver mantenuto vivo il sentimento della solidarietà fra gli Stati occidentali, anche dopo che si era spento il ricordo della loro comune appartenenza antecedente alla monarchia carolingia, e nell'aver favorito l'unificazione dei popoli cristiani in seno alla stessa chiesa.

L'organizzazione della chiesa nei primi cinque secoli sino alla caduta dell'impero romano d'occidente si era venuta svolgendo ad imitazione dell'organizzazione politica dell'impero; e quindi per l'ulteriore suo sviluppo nello stesso cammino ebbe una importanza vitale che l'impero abbia avuto una specie di prosecuzione, sia pure semplicemente ideale.
Carlo Magno aveva considerato la chiesa come una istituzione subordinata allo Stato ed il vescovo di Roma, venerato come capo da tutte le chiese dei paesi latini, come suo suddito. Questi aveva dovuto tributare all'imperatore l'adorazione, secondo il costume bizantino (il costantiniano Cesareo-Papismo) , ed ancora nell'824, vale a dire sotto Ludovico il Pio, l'uomo profondamente ligio alla chiesa, vediamo lo Stato franco prescrivere che i Romani dovessero prestare il giuramesto di fedeltà all'imperatore e che non si potesse consacrare un papa se prima non avesse avuto l'approvazione dell'imperatore e non gli avesse giurato fedeltà.

L'impero tedesco invece costituì il sostrato sul quale sorse l'edificio della chiesa medioevale. Fu l'impero che in particolare le prestò per lo scopo quell'appoggio per cui essa risucì a liberarsi dalla schiavitù della nobiltà romana, sotto la cui oppressione era stata ripetutamente in procinto di sottomettersi e da quella dipendere (salvo quando i papi provenivano dalla stessa nobiltà romana, che però anche questa era divisa in fazioni): così nel 768, nel 775, nell'882, nell'897 e poi negli sconvolgimenti del X ed XI secolo, quando intervennero Ottone I ed Enrico III, e molte altre volte in seguito.

Non è possibile immaginare come il vescovo di Roma avrebbe potuto innalzarsi a quella potenza cui si elevò dalla metà dell'XI secolo in poi, e come avrebbe potuto nascere il papato medioevale, senza la restaurazione dell'impero carolingio ad opera dei re tedeschi della casa di Sassonia.

Per l'impero germanico inoltre gli stretti contatti con l'Italia, più progredita in grazia della quantità dei residui dell'antica cultura, riuscirono e furono vantaggiosi in quanto affrettarono anche il suo progresso intellettuale ed economico che poi diede al popolo tedesco anche l' opportunità della colonizzazione dei paesi orientali e nordici.

Ma grandi pure furono i sacrifici che costò alla Germania la signoria sull'Italia e la gloria di vedere la corona imperiale sul capo dei suoi re. Lo abbiamo visto più di una volta, i re tedeschi trascurarono molto spesso i loro domini di Germania in momenti critici perché dovettero rimanere anni interi in Italia per adempiervi ai doveri inerenti alla dignità imperiale. Queste prolungate assense diedero più di una volta ai principi tedeschi i giustificati (ma anche pretestuosi) motivi per ribellarsi all'imperatore.

La monarchia tedesca, allo stesso modo che la francese e l'inglese, si era trasformata nel IX e X secolo in monarchia feudale, gli uffici pubblici furono considerati come feudi, i cui titolari esercitarono la sovranità per lo più con scarsi vincoli di dipendenza dal re. I vassalli conseguirono l'ereditarietà dei feudi, mentre per la successione al trono accanto al principio ereditario rimase in vigore il sistema elettivo.

I re di Francia e d'Inghilterra nel XII- e nel XIII secolo poterono efficacemente combattere il feudalismo dissolvente e ricondurre una maggiore unità nei loro Stati, riducendo a soggezione i vassalli. Essi crearono quella rete di balivi, senescalchi e prevosti, sopra ricordati, che rievocò in forma migliore l'organizzazione carolingia basata sui conti e centenari.

In Germania la corona non riuscì ad ottenere lo stesso risultato, malgrado che i re della casa di Sassonia, i Salii e gli Hohenstaufen siano stati spesso molto potenti e più d'una volta abbiano posseduto una decisa superiorità sui vassalli. Se ne è di frequente cercata la ragione nel fatto che le famiglie reali tedesche si estinsero molto rapidamente, mentre in Francia i Capetingi ebbero a loro favore l'ereditarietà del trono, come pure nella circostanza che i re tedeschi morirono più volte molto giovani dando luogo a reggenze dannose.

Queste cause hanno indubbiamente contribuito molto anch'esse ad indebolire la monarchia tedesca, ma non è meno vero che pure la Francia e l'Inghilterra ebbero lunghe reggenze, e l'Inghilterra inoltre nei secoli XII e XIII, quelli appunto in cui si verificò il processo di unificazione, fu turbata da lotte di successione al trono. Se pertanto la monarchia tedesca non riuscì ad aver ragione dei suoi nemici, la causa si deve vedere soprattutto in ciò che essa ne fu impedita dagli impegni che le creò la stessa dignità imperiale.

Da Ottone I ad Enrico III i re, non appena credettero di avere alla meglio assicurato la loro autorità in Germania, si allontanarono per badare alle cose d'Italia. E' vero che per tale agire avevano bisogno del consenso dei principi; ma era difficile immaginare che costoro lo negassero, pieni come erano dell'idea dei doveri che come imperatore incombevano al re, cui avevano, eleggendolo, conferito anche la dignità imperiale.

Ed inoltre i più giovani fra questi principi ambivano per lo più partecipare alle grandi gesta che le spedizioni in Italia facevano sperare, invece di consumarsi nelle guerricciuole interne e nell'amministrazione dei loro piccoli domini.
L'obbligo di rimanere sotto le bandiere dei principi e dei vassalli non era limitato a sei settimane così tassativamente come potrebbe sembrare guardando a talune testimonianze di carattere più che altro teorico; ma realmente i re non potevano trattenere sotto le armi le proprie genti oltre un certo periodo, senza ricompensare i loro servizi con elargizioni straordinarie di terre e di privilegi a spese del patrimonio dell'impero.

Con ciò i re tedeschi rosero le basi della propria potenza ed accrebbero la potenza dei vassalli. Ogni successivo sovrano trovò il fondo di risorse dell'impero sempre di più diminuito e la potenza dei principi aumentata. Ora per l'appunto le lunghe spedizioni in Italia richiesero le maggiori elargizioni, e questo impedì la restaurazione in Germania dell'autorità regia per quella via che in Francia fu invece battuta con più successo, col sistema cioè di incamerare i feudi che ritornavano alla corona e di ingrandire i dominii della famiglia reale approfittando dell'estinzione di potenti famiglie.

Forse maggiore ancora fu l'ostacolo derivato dal fatto che i re spesso rimasero trattenuti in Italia per anni interi e quindi furono o costretti a trascurare completamente le più vitali questioni inerenti la Germania, oppure a trattarle e deciderle in diete tenute in Italia in base ad informazioni scarse e talvolta del tutto lacunose.

Ottone il Grande scese in Italia tre volte e, a prescindere dalla prima breve spedizione che durò solo sei mesi, vi rimase dal settembre 961 al gennaio 965 (tre anni e quattro mesi) e dall'agosto 966 all'agosto 972 (sei anni). Egli morì il 7 maggio 973; di modo che negli ultimi undici anni e mezzo del suo regno fu presente in Germania una volta per otto mesi, un'altra volta un anno e mezzo; in totale poco più di due anni. Gli altri nove anni li passò in Italia.

È naturale che dopo una situazione del genere suo figlio Ottone II abbia dovuto all'inizio lottare parecchi anni con i principi. Questa necessità lo trattenne in Germania. Ma appena credette di potersi rischiare a farlo, passò anch'egli in Italia nel 980 e vi rimase sino alla morte (7 dicembre 983).
Ottone III stette sotto tutela sino al 996, ma nel febbraio di questo stesso anno scese a Roma. Nell'agosto ritornò, rimase in Germania circa un anno, poi fu nuovamente in Italia dalla fine del 997 sino alla fine del 999, e, dopo una breve dimora di sei mesi in Germania, ritornò ancora in Italia, dove restò sino alla morte (23 gennaio 1002). Dei sei anni del suo regno questo imperatore non ne passò neppur due interi in Germania e dei gravi conflitti allora scoppiati nel regno tedesco giudicò soltanto in base, alle tardive e scarse notizie che gli giunsero per mezzo di messi o gli furono fornite dalle parti contendenti.

Enrico II fece tre spedizioni in Italia, nel 1004, nel 1013, nel 1021-22; il suo successore Corrado II due, nel 1026-27 e nel 1036-38; Enrico III tre, nel 1046, nel 1047 e nel 1055. E così pure Enrico IV ed Enrico V rimasero fortemente impegnati dalle cose d'Italia. Vi sono molte ragioni per credere che Ottone I ed i re che seguirono la sua politica abbiano voluto tentare di ridurre all'obbedienza i principi ecclesiastici dell'impero con l'aiuto del papa.

Ma se questa fu la loro intenzione, bisognerebbe dire che pagarono a ben caro prezzo quei pochi successi che ottennero. Ad ogni modo poi essi aumentarono, così facendo, in misura considerevole l'influenza dei papi sulla chiesa tedesca, indebolendo quindi sè stessi per aumentare la potenza dei papi.

E gli effetti si videro nella lotta che i papi, da Gregorio VII a Bonifazio VIII, ingaggiarono contro gli imperatori per spogliarli ulteriormente dei loro diritti e ridurli allo stato di propri vassalli.

Alcuni autori hanno voluto negare valore decisivo all'inconveniente delle continue assenze degli imperatori e alla loro politica romana dicendo che la dissoluzione della monarchia tedesca in numerosi stati particolari fu principalmente dovuta agli antagonismi di razza fra Bavaresi, Svevi, Franchi e Sassoni. Ma al contrario sta il fatto che i territori che vennero a risultare dallo spezzamento della monarchia non furono stati nazionali, ma frammenti dell'una o dell'altra di queste stirpi ovvero conglomerati di frammenti di stirpi diverse.
E poi; quale è lo Stato che non sia sorto dalla mescolanza di vari elementi sovrapposti nel lavorio della storia? Forse che la coesistenza di celti del Galles, normanni francesizzati ed anglo-sassoni ha impedito l'unificazione del popolo inglese?

Non l'antagonismo di razza ha ostacolato la formazione di uno Stato unitario in Germania, ma il fatto che i re tedeschi, a differenza dei re francesi ed inglesi, non riassoggettarono i vassalli miranti alla completa indipendenza in quel periodo in cui avevano ancora la forza necessaria per farlo ed in cui se ne presentò a loro l'opportunità. Le cure e gli impegni derivanti dalla dignità imperiale e le conseguenti continue lotte con Roma e con le città e signorie italiane ne tolsero loro la possibilità.

Pur deplorando questa mancata unificazione, non si deve tuttavia dimenticare che il popolo tedesco, sopportando gli inconvenienti dell'impero, ha adempiuto ad un compito d'importanza storica universale. E di fronte a ciò non è lecito ai popoli, come agli individui, calcolare grettamente il bilancio dei guadagni e delle perdite. La fama acquistata fra le nazioni e le memorie della passata grandezza sono per un popolo capitali morali che nessun guadagno può sostituire.

Per quanto si possa essere persuasi che la fama è vana, resta pur sempre che è cosa grande l'aver creato e mantenuto in vita qualcosa di grande. I nomi di Carlo Magno, di Ottone il Grande, di Federico Barbarossa, di Federico II e le gesta dei valorosi che li accompagnarono sono l'orgoglio e l'ammirazione del popolo tedesco appunto perché costoro ripristinarono l'impero, dominarono in Italia e qui tutelarono lo sviluppo della chiesa e protessero l'incremento della cultura giuridica, economica e letteraria del medio-evo, forse anche si può dire la resero possibile.

Certo non fu tutta opera cosciente e riflessa. Ma é ugualmente giustificato nel popolo tedesco l'orgoglio di essere stato allora alla testa del mondo occidentale, di avergli dato il capo nella persona dell'imperatore, di aver salvato dalla rovina interna l'Italia, la madre della civiltà cristiana, di averla salvaguardata da Greci e Saraceni, e finalmente di aver portata questa civiltà tra i popoli orientali e nordici.

Terminava così il cosiddetto Medio-Evo
che ora andiamo ad analizzare meglio con i prossimi capitoli

PAPATO E CHIESA SINO A BONIFACIO VIII > >

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