-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

90. GLI STATI ALLA FINE DEL MEDIO EVO


Per i dettagli vedi la cartina gigante dell'EUROPA del 1450 e del 1492 QUI >


Per i dettagli della cartina gigante dell'ITALIA del 1492
QUI

Nel parlare di Stati Nazionali, si intende quel processo di rafforzamento delle monarchie nazionali (o comunque di ampie dimensioni) che interessarono diversi piccoli regni d'Europa a partire subito dopo l'anno Mille.

Il risultato più importante dello svolgimento della vita politica dei popoli europei negli ultimi secoli del Medio-Evo fu appunto la formazione di Stati nazionali. Spesso a questo processo si accompagnò la costituzione di una forte monarchia, come nella Spagna, in Inghilterra ed in Francia, mentre in Germania i singoli territori dei Principi di cui si componeva lo Stato percorsero un cammino analogo, ma il regno come tale prese sempre più il carattere di una aristocrazia; responsabili gli imperatori tedeschi, che anzichè rafforzarsi, avevano perduto progressivamente il loro potere a vantaggio dei potenti signori che ebbero la possibilità di creare dei governi autonomi. Tutto questo fino all'ultimo sovrano di cui abbiamo concluso il precedente 89° capitolo (cioè con Federico III, quindi prima dell'avvento di Massimiliano che portò poi l'impero ad una nuova grandezza, ampliandolo e soprattutto centralizzandolo).

Per quanto riguarda invece l'Italia, proprio la costituzione delle grandi monarchie nazionali nell'Europa occidentale, scatenarono tra queste le lotte per il predominio, e la prima vittima fu proprio l'Italia trasformata in una grande arena; del resto essa nel corso degli ultimi due secoli, offrì lo spettacolo del completo frazionamento politico, basterà guardare la cartina del 1492 per vedere com'era ancora frazionata e in quante denominazioni era divisa l'Italia: in Ducati, Principati, Repubbliche, Contee, Feudi, Marchesato, Vescovado, Dominio, e l'unico a chiamarsi Stato quello della Chiesa.

 

.... di modo che alla fine del Medio-Evo era già in balia della dominazione straniera. Nessuna altra nazione - date le sue tradizioni - formava un insieme culturalmente omogeneo come la penisola italiana, purtroppo politicamente era divisa; o quando vi era qualche accenno di unione, il papato era pronto e deciso a chiamare truppe straniere per stroncare sul nascere qualsiasi ambizione di autonomia.

SPAGNA - Il fenomeno più notevole della formazione di Stati nazionali é forse quello della Spagna, dove nella seconda metà del XV secolo da due Stati abbastanza modesti che avevano avuto ben poca parte nella storia dell'Occidente d'Europa vediamo scaturire quasi d'un tratto una grande potenza europea, per una serie di fortunate circostanze.
Già nel 1410 in verità, cioè dal momento in cui si estinse la famiglia reale aragonese, l'Aragona era stata sotto lo scettro di uno dei rami della casa di Castiglia, ma i due regni erano rimasti separati. Invece condusse alla loro fusione il matrimonio che il nipote del primo re castigliano d'Aragona, Ferdinando I, contrasse con la principessa castigliana Isabella.

Quest'ultima era sorella di Enrico IV, che sedeva dal 1454 sul trono di Castiglia, un sovrano che si era alienato l'animo della nazione per la sua incapacità ed indegnità. All'inizio gli venne contrapposto come candidato al trono il fratellastro Alfonso; ma dopo la sua morte (1468) Isabella si pose a capo dell'opposizione contro il monarca e sua figlia, della quale venne impugnata la legittimità.
E fu allora che Isabella per procurarsi un ulteriore appoggio diede la mano di sposa a Ferdinando d'Aragona. Morto poi nel 1474 Enrico IV, Isabella reclamò la successione; a favore invece della figlia di Enrico entrò in lizza Alfonso di Portogallo, ma Ferdinando lo sconfisse presso Toro, guadagnando così ad Isabella il trono di Castiglia.

Era, come si vede, il primo passo verso l'unificazione dei due regni. Le varie province erano molto diverse come lingua, cultura e tradizioni, ed anche gelose delle loro istituzioni particolari, che ognuna voleva conservare; ma al di sopra di esse la monarchia si andò sempre più affermando come il vero e proprio potere prevalente sul tutto. La nobiltà era ancora potente, specialmente in Castiglia; ma per tenerla in rispetto il re si valse con successo dell'aiuto delle città. Queste ultime, già da tempo unite in leghe parziali, costituirono ora una grande lega generale, la così detta « santa hermandad » (= fratellanza) ed organizzarono milizie cittadine, le quali, comandate da ufficiali regi, mantennero la pace e l'ordine nel paese rintuzzando la tracotanza dei nobili.

Nel tempo stesso i privilegi della nobiltà vennero falcidiati o aboliti e si procedette ad una rigorosa verifica della legittimità dei suoi possedimenti, il che portò al riacquisto di una quantità di beni della corona usurpati. La stessa nobiltà del resto comprese che era spuntata un'altra epoca: vi si adattò e si dedicò d'ora in poi al servizio della monarchia.
Anche la chiesa si riuscì a subordinarla alla corona, e nel 1482 ottenne dal papa un concordato molto vantaggioso, secondo il quale in nessun vescovado si poteva procedere alla nomina dell'ordinario senza il consenso del re e nessun decreto pontificio poteva essere pubblicato nello Stato senza il regio placet.
Il clero fu chiamato inoltre a contribuire alle pubbliche imposte.

Nell'anno 1480, auspice Isabella, venne introdotta in Spagna l'inquisizione, dapprima transitoriamente contro i così detti marannos, ebrei convertiti in gran numero al cristianesimo e di dubbia fede ortodossa; ma poi essa diventò un'istituzione statale e si pose anche ai servizi della corona, contro i cui nemici costituì un'arma terribile.

L'unione delle forze dei due regni d'Aragona e di Castiglia mise poi anche fine della dominazione maura nella Spagna. Resisteva ancora il regno di Granata, sotto i Nafridi, la capitale con l'Alhambra, l'emblema della signoria maomettana in Spagna, potentemente fortificata. Anche la natura montagnosa del paese era per gli Arabi una valida difesa; ma le discordie in seno alla dinastia maura agevolarono l'opera dei cristiani. Tuttavia occorsero dieci anni di guerra persistente, non interrotta neppur negli inverni, per spezzare la resistenza del regno di Granata. La conquista procedette passo a passo; finalmente l'unica a resistere ancora rimase la capitale.
Nell'aprile 1491 cominciò l'assedio e la città si arrese il 1° febbraio 1492. I vinti furono all'inizio trattati con moderazione, ma poi per incitamento del consigliere spirituale della regina, il cardinale e grande inquisitore Ximenes, vennero espulsi dal paese.

La guerra di Granata educò quelle fanterie spagnole che ben presto fecero la loro comparsa su tutti i campi dì battaglia d'Europa e resero ovunque temuto il nome spagnolo. Inoltre la caduta di Granata e quindi la fine degli onerosi conflitti, diede la possibilità alla regina di assecondare le ardite idee del grande italiano Cristoforo Colombo, la cui attuazione ben presto fruttò alla Spagna immensi domini ed immensi tesori.

INGHILTERRA - Il vincitore di Bosworth, Enrico VII (Tudor), riuscì dopo trent'anni di lotte dinastiche a restaurare l'autorità regia. Enrico cercò di fondere nella sua persona i titoli della casa di Lancaster e di York, sposando - egli che per via di madre aveva nelle vene il sangue dei Lancaster - Elisabetta di York, figlia di re Eduardo IV. Ma badò bene a stabilire che il suo diritto alla corona era per nulla indipendente da questo matrimonio, il che gli servì in seguito a mettere nuovamente da parte i Yorkisti. Ciò fece si che due avventurieri, spacciandosi per discendenti della casa di York, trovassero considerevole seguito in paese, dando molto da fare al re. Questi però se ne seppe liberare e provvide ad evitare che si ripetessero simili rivolte in avvenire, soprattutto con l'istituire un tribunale speciale composto dei suoi più fidi consiglieri, la così detta camera stellata che venne munita di poteri straordinari per aver modo di soffocare sul sorgere ogni moto sedizioso.

Severe sanzioni furono poi emanate contro gli eccessi degli uomini d'arme al servizio dei nobili, i quali nelle guerre delle due rose erano stati un vero flagello. Del resto la vecchia nobiltà era in massima parte perita o nelle battaglie o sul patibolo. Sulle sue rovine ora Enrico, proseguendo sulla stessa via di Edoardo, eresse l'edificio dell'assolutismo, al cui scopo si impegnò di rendersi finanziariamente sempre più autonomo dal parlamento.
Già in gran parte lo aveva messo da questo lato in condizioni favorevolissime la concessione fattagli fin daall'inizio e per tutto il tempo della sua vita dal parlamento della più importante tassa sul traffico.
Ma Enrico seppe completare l'opera e riempire la sua cassa mediante confische, rivendicazioni di beni della corona ecc., nonché mediante prestiti forzosi a carico degli abbienti ed altri espedienti anche più biasimevoli ed estorsioni d' ogni genere.
Però bisogna anche dire che il re pose pure gran cura ad aumentare la ricchezza del paese, promuovendo le esportazioni, concludendo trattati di commercio e provvedendo all'interno con misure adeguate. Non indugiò ad aumentare la flotta ed incoraggiò i mercanti inglesi, i così detti merchant adventurers, a fare concorrenza agli anseatici ed agli Olandesi.

Anche alle iniziali imprese coloniali della sua epoca re Enrico VII non rimase estraneo; egli fornì a Giovanni Caboto i mezzi per compiere un viaggio di esplorazione, col quale fu per la prima volta raggiunto il continente americano. Doveva tuttavia passar molto tempo prima che il Nuovo Mondo divenisse un campo importante d'azione per l'Inghilterra.

Il primo dei Tudor cercò al possibile di evitare ogni conflitto esterno, sopra tutto nell'interesse della propria indipendenza finanziaria. Tuttavia l'antagonismo sempre latente contro la Francia lo indusse a stringere relazioni più intime con la Spagna; frutto di questa politica fu il matrimonio dell'erede del trono inglese con l'infanta Caterina, evento che fu assai fecondo di conseguenze storiche. Così pure Enrico, sposando sua figlia Margherita con re Giacomo IV di Scozia preparò l'unificazione della Gran Bretagna che andò a compiersi un secolo dopo.

FRANCIA - Qui Carlo VII, ed ancor di più e in meglio suo figlio Luigi XI (1461-1483), avevano risollevato l'autorità della corona e sottomesso i grandi vassalli. La nobiltà alzò ancora una volta la testa dopo la morte di Luigi XI che rese necessaria una reggenza a causa della minore età dell'erede del trono CARLO VIII (1483- 98). Ma la sorella maggiore di Carlo, Anna di Beaujeu, cui toccò la reggenza, tutelò con energia ed accortezza gli interessi della monarchia; essa cercò protezione contro le pretese dell'aristocrazia nella rappresentanza nazionale, negli stati generali; questi si adunarono a Tours e col loro appoggio aumentarono il prestigio della reggente, la quale tuttavia seppe sottrarsi a fare qualsiasi concessione che pregiudicasse i poteri della corona.

Verso la stessa epoca si verificò un evento alla Francia assai vantaggioso; nel 1487 morì cioè il duca di Bretagna, unico vassallo dei regno rimasto in sostanza indipendente. Egli era l'ultimo rappresentante maschio della sua stirpe. Sua figlia ed erede Anna era fidanzata al re di Germania; ma questi era lontano ed impegnato in altri contrasti. Così la Francia riuscì ad impedire le nozze e finalmente Carlo VIII, divenuto adulto, costrinse la principessa a concedergli la sua mano.
Morto prematuramente re Carlo VIII, la vedova passò a seconde nozze anche con il suo successore LUIGI XII d'Orleans (1498-1515), e siccome non ebbe figli, la Bretagna si trasmise alla corona che così mise fine all'ultima signoria territoriale autonoma. Il consolidamento della monarchia all'interno fece sì che, come vedremo, la Francia prese la via delle conquiste esterne.

GERMANIA - Morto Federico nel 1493 e che in 50 anni di regno non era riuscito a unificare un bel nulla, - sale finalmente sul trono il 34enne figlio Massimiliano. E' lui a chiudere l'epoca medioevale, ed è ancora lui a inaugurare una nuova era della Germania. Come re e imperatore sarà lui ad unificare i suoi Stati ereditari e a dotarli di istituzioni centralizzate. Sotto di lui la questione delle riforme costituzionali fece notevoli progressi. Dai tempi di Sigismondo era stata agitata nelle diete tedesche senza venire a capo, come sappiamo, a risultati concreti.
I progetti di organizzazione dello Stato in circoscrizioni amministrative, i progetti delle imposte necessarie a tale scopo, si erano trascinati dai giorni delle guerre contro gli Ussiti da dieta a dieta, ma si era ben lontani da una soluzione definitiva. L'ostacolo principale stava in ciò che la monarchia aspirava a riforme che rafforzassero l'autorità centrale, mentre i piccoli stati miravano ad accrescere anche maggiormente i propri poteri di fronte alla corona.

Preoccupato per tale tendenza degli stati il vecchio imperatore Federico III fino agli ultimi giorni di vita si era opposto a qualsiasi progetto di riforma. La speranza di arrivare a qualcosa di concreto risorse quando morì Federico (19 agosto 1493) ed assunse il governo suo figlio MASSIMILIANO, principe di ingegno versatile e vivace, animato da nobili ed elevati propositi.
Sembrò inoltre che, costretto come era a non poter fare a meno dell'aiuto degli stati del regno per mantenere e consolidare la posizione della sua casa, Massimiliano non avrebbe potuto rifiutarsi di assecondare i loro desideri. A capo del movimento stava l'arcivescovo Bertoldo di Magonza, della famiglia dei conti di Henneberg (1484-1504), che aveva fatto della riorganizzazione del regno l'ideale della sua vita, ma voleva un riordinamento che desse l'assoluta predominanza alla rappresentanza nazionale.
Bertoldo progettava niente di meno di fare della Germania una repubblica rappresentativa con alla testa un consiglio, il quale, soggetto in sostanza all'influenza dominante dei capi dell'aristocrazia, cioè dei principi elettori, doveva essere dotato di quasi tutti i diritti e le competenze di governo.

Contro un simile progetto il sentimento di orgoglio di Massimiliano si ribellò; egli dichiarò che non intendeva lasciarsi ridurre a re travicello o farsi soppiantare. Ma dopo che per lo scarso appoggio trovato in Germania ebbe subìto ogni sorta di sconfitte nella sua politica estera, si vide costretto nel 1500 ad acconsentire all'istituzione di un consiglio di governo (« Reichsregiment ») composto di venti membri in cui dominava l'influenza dei principi elettori; egli scese al posto di semplice presidente di questo consiglio, che si attribuì persino la competenza di regolare la politica estera.

Tuttavia il re seppe destreggiarsi in modo da non lasciare che il consiglio cominciasse a funzionare effettivamente e dopo due anni lo dichiarò sciolto. D'altro canto però i principi elettori persistettero nel reclamare la riforma e l'attrito aumentò al punto che si minacciò di far fare a Massimiliano la fine di Venceslao. Se non che Massimiliano aveva pure un forte partito tra i principi, specialmente tra i più giovani. Nell'anno 1504 si ebbe una crisi violenta che si risolse in maniera favorevole al re; Massimiliano nella contesa tra la Baviera ed i principi palatini per la successione nel retaggio della casa di Landshut prese le partì della Baviera, la fece trionfare ed umiliò gli avversari.

Fu in questo periodo che venne a mancare Bertoldo di Magonza e morto lui il partito della riforma perdette il suo capo. Tuttavia Massimiliano, instabile e fantastico e per di più continuamente distratto dalla politica estera, non era l'uomo adatto ad approfittare del momento favorevole per rafforzare stabilmente la posizione della corona; di modo che nell'aspra e lunga lotta tra la corona e gli stati, questi ultimi in complesso finirono per vincere.

Tutto sommato però da tutto questo agitarsi venne fuori qualcosa che impedì la completa dissoluzione dello Stato. Così la « tregua eterna » e generale a tutto il regno che fu votata alla dieta di Worms del 1495 costituì un progresso notevolissimo a confronto di tutte le precedenti tregue parziali e limitate nel tempo; ora si poté dire abolita per sempre la guerra privata, la faida, la peggiore nemica della tranquillità interna e dell'ordine; la faida e la complicità nelle violazioni della tregua fu punita col bando, con la pena estrema.
Ma la competenza di infliggere il bando spettò ad un tribunale supremo, il così detto tribunale camerale, i cui giudici erano nominati dal re, mentre i sei assessori a loro aggiunti (tre giurisperiti e tre nobili) dovevano essere presentati dall'assemblea degli stati; si trattava quindi di una organizzazione nettamente rappresentativa e perciò assai sgradita al re. Il tribunale ebbe all'inizio sede a Francoforte e dopo molte peregrinazioni passò definitivamente a Speyer. Corse più volte il serio pericolo di doversi sciogliere per mancanza di risorse finanziarie.

Nel 1512 poi la dieta di Colonia fece per lo meno un passo ulteriore suddividendo il regno in dieci circoscrizioni amministrative. Il sistema era già stato deliberato prima, ad esclusione però dell'Austria e dei principati retti da elettori; ora esso fu generalizzato a tutto il regno, compresi i Paesi Bassi e la Franca Contea.

Anche qui vinsero gli stati, perché all'imperatore non fu riconosciuta ingerenza di sorta nella nomina dei capi di tali circoscrizioni.
Si era così alla meglio provveduto all'amministrazione della giustizia ed alle esigenze dell'ordine pubblico, ma non al bisogno più urgente: l'introduzione di un ordinato sistema finanziario e la riforma degli ordinamenti militari. E i ripetuti tentativi di introdurre un'imposta diretta a favore del governo centrale dello Stato, dell'impero, fallirono sempre; gli stati non vollero mai concedere che una parte delle energie contributive dei singoli territori andasse a beneficio della generalità.

La dieta di Worms del 1495 ammise sì una lieve tassa; ma la sua riscossione incontrò tale resistenza passiva che non si incassò quasi nulla. Nè meglio andarono le cose in materia militare. Nel 1500, quando interessava di ottenere il consenso di Massimiliano all'istituzione del sopra ricordato consiglio di governo, si era stabilito che si sarebbe prestato per ogni cento abitanti un uomo d'arme a piedi; ma l'impegno non venne poi mantenuto, in parte per l'avversione contro la politica estera spesso avventurosa di Massimiliano, in parte per la generale disgregazione che regnava nello Stato, per cui chi voleva poteva a suo comodo sottrarsi agli obblighi verso il governo centrale.
Solo l'introduzione dell'accennata organizzazione amministrativa dipartimentale rese possibile la formazione di regolari liste e registri per i tributi e le prestazioni d'indole militare dovute all'impero; tutto ciò fu definitivamente concordato solo nel 1521 a principio del regno di Carlo V.

In conseguenza però di questi tentativi di riorganizzazione alquanto più unitaria dello Stato, l'impero perdette uno dei suoi territori, quello della Confederazione svizzera, fino allora considerato ad esso appartenente. Gli Svizzeri rifiutarono di accettare le nuove istituzioni, l'assoggettamento al tribunale camerale ed al tributo. Scoppiò per questo la guerra, ma ebbe per Massimiliano esito sfortunato; gli Svizzeri lo sconfissero a Dornach (1499) e la pace di Basilea del 1500 suggellò la reale, se non la giuridica separazione della Confederazione dall'impero.

Ma, anche a prescindere da ciò, non si può dire che il problema delle riforme dello Stato abbia avuto allora una soluzione soddisfacente; l'idea moderna dello Stato, come forma di organizzazione generale, non era riuscita a farsi strada in Germania. E così perdurò il sistema della monarchia elettiva; i principi elettori continuarono ad esercitare il loro diritto ogni volta che il trono si rese vacante, e benché fin da dopo Massimiliano per tre secoli essi si siano conservati fedeli alla casa d'Absburgo, pure, dal momento che vi era sempre la possibilità di una scelta diversa, non poté verificarsi una fusione degli interessi della famiglia regnante e degli interessi dello Stato.

Inoltre sul finire del Medio-Evo si può dire era cessata ogni ingerenza dei papi nella successione al trono tedesco; persino la dignità imperiale - ridotta a dire il vero ad un vano titolo - divenne di fatto indipendente della Santa Sede.

Nel 1508 Massimiliano, impossibilitato a recarsi personalmente a Roma per prendervi la corona imperiale, assunse il titolo d'imperatore col il semplice consenso di papa Giulio II, e tra i suoi successori solo Carlo V ricevette ancora la corona imperiale dalle mani di un papa, ma non in Roma ed unicamente nella forma di cerimonia, perché già da tempo lui portava il titolo imperiale.

Nel frattempo anche il papato aveva subito un profondo mutamento di carattere. Esso aveva superato vittoriosamente l'epoca dei concili, per lo meno nel senso che era riuscito ad eludere le speranze ed i desiderii di riforma della cristianità. Ma, siccome per trionfare sui concili aveva adottato il sistema degli accordi diretti con i singoli Stati, il papato aveva implicitamente riconosciuto all'autorità civile il diritto di ingerirsi nelle questioni ecclesiastiche.

In molte nazioni poi, come la Francia, l'Inghilterra e la Spagna, l'idea moderna dello Stato, che si era venuta affermando in conseguenza del loro sviluppo politico, non era più conciliabile con la concezione medioevale del potere universale della Santa Sede. E dunque la corrente favorevole alla riforma della Chiesa non era affatto estinta, e la minaccia di ricorrere alla convocazione di un nuovo concilio (come aveva fatto Sigismondo in quello di Costanza) continuò ad essere uno dei mezzi preferiti dal potere civile per mettere in imbarazzo la curia.

Una nuova missione universale spuntò nondimeno sul finire del periodo conciliare per la chiesa in seguito ai progressi dei Turchi in Oriente. Costoro, come già abbiamo accennato, sotto il sultano Murad II (1421-1451) avevano ripreso i loro progetti di conquista della penisola balcanica, ed arrestati prima dal valore dell'eroe ungherese Giovanni Uniade, avevano alla fine riportato due decisive vittorie sui cristiani, nel 1444 a Varna e nel 1448 al Campo dei Merli in Kossovo (Cossovopoglie). Mettendo a frutto queste vittorie il successore di Murad, il sultano Maometto II, era poi passato a mettere l'assedio a Costantinopoli, che dopo una valorosa resistenza venne espugnata il 29 maggio 1453; lo stesso imperatore Costantino IX trovò la morte sul campo di battaglia.

L'impero d'Oriente era così caduto dopo un millennio di esistenza e gli infedeli avevano conquistato quella impareggiabile posizione militare che è il Bosforo, d'onde minacciavano costantemente la civiltà occidentale. Spettava pertanto in prima linea ai papi di incitare la cristianità a difendersi contro questo pericolo, dando essi per i primi l'esempio dell'abnegazione. La curia comprese fino ad un certo punto questa sua missione. Papa Calisto III (1455-1458) giurò solennemente di combattere i «figli del diavolo»; ed il suo successore Pio II (1458-1463) chiamò i principi europei ad un congresso a Mantova per organizzare una crociata contro Costantinopoli che il papa intendeva guidare personalmente (1459).

Ma siccome papa Pio II, un tempo ardente campione delle idee conciliari che gli avevano valso l'elevazione al soglio, tornò invece ora in seno al congresso a proclamare la vecchia pretesa del papato di essere al di sopra d'ogni potere terreno e l'anno successivo dichiarò nullo qualsiasi ricorso a sinodi generali (mediante la bolla « Execrabilis »), anzi comminò la scomunica contro chi l'avesse tentato; inoltre, dal momento che reclamò dalla Francia l'abolizione della sanzione di Bourges e contestò la validità del compromesso di Praga con gli Ussiti, tolse a tutti la voglia di affidarsi alla guida del papato e raffreddò il già tiepido zelo delle nazioni occidentali per la guerra contro i Turchi.

Fra i successori di Pio II, papa Innocenzo VIII (1484-1492), non si vergognò poi di allacciare rapporti pacifici con il sultano e di aiutarlo, dietro compenso in denaro, con il tener prigionieri i suoi fratelli; e finalmente Alessandro VI (1492-1503) aizzò addirittura i Turchi contro la repubblica di Venezia.
Insomma in generale questi papi trascurarono sempre più la loro missione spirituale, proponendosi per fine principale quello di sfruttare la loro posizione per arricchirsi ed arricchire i propri sostenitori.
Il collegio dei cardinali si riempì di personaggi, per lo più indegni; tra questi anzitutto i parenti ed i «nepoti» dei papi, che spesso erano figli naturali dei vicari di Cristo. Altri di questi nipoti rimasero laici, e dal tempo di Sisto IV (1472-1484), che fu il vero e proprio fondatore del nepotismo, venne l'uso di servirsi dei possedimenti della chiesa per il loro appannaggio.

Tutto questo si rese possibile per il fatto che dalla seconda metà del XV secolo il papato era riuscito ad imporsi nuovamente nello Stato della chiesa; i piccoli tiranni che vi dominavano furono per lo più sterminati, ed al loro posto sorsero dei principati soggetti a famiglie dei nepoti dei papi.
Su più vasta scala tentò verso il 1500 di formarsi una grande signoria personale nell'Italia centrale Cesare Borgia, l'energico ma scellerato e perverso figlio di Alessandro VI; e non era molto lontano dal raggiungere il suo scopo, quando l'improvvisa morte del papa fece con gran disappunto naufragare tutti i suoi progetti.
Ciò che andava facendo Cesare Borgia nel proprio interesse, l'eliminazione delle piccole signorie nello Stato della chiesa, papa Giulio II (1503-1513) volle sempre far credere che veniva fatto nell'interesse della chiesa; e veramente questo papa guerriero, che non si sdegnò di guidare personalmente le campagne militari e di sottoporsi a tutte le fatiche della guerra, riuscì a ridurre sotto il potere della Santa Sede il territorio di San Pietro.
Con questo i papi, che da un pezzo non erano che italiani ovvero stranieri italianizzati, come ad esempio i Borgia, entrarono nel novero dei piccoli signori territoriali italiani e furono trascinati o loro trascinarono altri, nelle lotte che funestarono la penisola sul passaggio dal Medio Evo all'età moderna.

Veramente Giulio II nutriva un più alto ideale; quello di collegare tutte le signorie italiane sotto il suo primato per opporsi ad ogni ingerenza straniera; ma gli antagonismi esistenti in Italia e la potenza ormai predominante degli stranieri frustrarono il suo progetto.

Dove l'influenza della curia in questo periodo si presenta invece davvero eminente é nel campo artistico e letterario. Roma era divenuta uno dei centri principali della rinascenza delle lettere e delle arti, ed i papi, da Nicola V in poi, favorirono e promossero in ogni modo questo movimento intellettuale, ad onta che la sua bandiera fosse l'emancipazione dell'umanità dalle pastoie della dottrina teologica medioevale.
Tutto questo fece si che nello stesso Vaticano penetrassero con le idee umanistiche forme e abitudini semi-pagane e che proprio in esso la sensualità ed il dispregio d'ogni morale raggiungessero limiti mai visti. La curia visse in una atmosfera esclusivamente intellettuale che le fece dimenticare ben presto le norme più fondamentali della morale e perfino gettare il disprezzo sui dogmi tradizionali della fede.

Degli altri Stati italiani occorre ricordare brevemente ancora Firenze, Milano e Napoli.
A Firenze, sede di una popolazione di impareggiabile attività industriale e mercantile, venne al potere la famiglia dei Medici; e questo fu possibile tanto per la sua potenza finanziaria quanto per le eminenti qualità dei suoi membri. Cosimo dei Medici, abbattuto il partito degli Albizzi (1434) divenne in sostanza il padrone dello Stato. Perdurarono bensì le forme esteriori repubblicane, anzi Cosimo evitò ogni atto che potesse far sospettare in lui intenti monarchici; egli rimase il primo cittadino di Firenze: ma in realtà le redini del governo erano completamente in sua mano, come decisiva era la sua influenza nelle nomine alle pubbliche cariche.

Più apertamente fece sentire la sua autorità il nipote, Lorenzo il Magnifico (dal 1469); ma ciò facendo accrebbe le opposizioni già esistenti contro la sua famiglia che finalmente nel 1478 ebbero il loro epilogo nella così detta congiura dei Pazzi. Però il pugnale dei congiurati non riuscì a raggiungere che il fratello minore di Cosimo, Giuliano, mentre il primo domò la congiura e tenne testa con successo, per quanto non senza difficoltà, anche ai nemici esterni, il papa ed il re di Napoli, che avevano di nascosto sostenuto la congiura. Dopo ciò Lorenzo, per poter più agevolmente esercitare la propria influenza sulla cosa pubblica, provocò una riforma della costituzione interna che mirava a semplificare il sistema delle nomine alle magistrature cittadine. Inoltre egli si circondò di una pompa veramente principesca, per mantenere la quale fu necessario mettere a grave contributo le casse dello Stato con effetti deleteri per le pubbliche finanze.

Tutto ciò fomentò nuovo malcontento, e, morto Lorenzo nell'ancor giovane età di 43 anni (1492), non passò molto che tutto l'edificio della signoria medicea precipitò. La calata di Carlo VIII in Italia provocò infatti in Firenze una sollevazione contro Piero dei Medici, il lussurioso e fiacco figlio di Lorenzo, e finì con la sua facile cacciata dalla città (1494). La città passò nel dominio più verbale che sostanziale, di un domenicano di S. Marco a Firenze, Gerolamo Savonarola, che da tempo andava predicando contro le pompe dell'epoca medicea, e tuonava dai pulpiti il ravvedimento.

Caduti i Medici, turbata tutta Italia dall'invasione francese, Firenze seguì con fanatismo il domenicano e fece penitenza; lo Stato venne trasformato in una teocrazia, con a capo lo stesso Cristo; Savonarola non era che il suo vicario visibile. Egli tenne per parecchi anni Firenze sotto la sua influenza; ma a poco a poco si raffreddarono gli ardori ascetici da cui la città era stata invasa, l'antico partito mediceo risollevò la testa e si manifestò anche una opposizione aristocratica; per di più il monaco, ostinato nelle sue idee, venne a rottura col papato che gli scatenò contro l'ordine dei francescani.
Da ultimo si convenne che tra i domenicani ed i francescani dovesse decidere la prova del fuoco; ma i nemici del Savonarola mediante astuti maneggi fecero sì che all'ultimo momento la prova non avesse luogo; allora il popolo abbandonò il suo profeta che, imprigionato dalla signoria a lui avversa, venne torturato e bruciato con altri domenicani (1498).

Il Savonarola non può essere annoverato tra i precursori della Riforma, perché in sostanza le sue idee non si staccano dal campo dell'ascetismo medioevale. La sua caduta portò alla restaurazione degli ordinamenti repubblicani a Firenze; solo una generazione dopo i Medici riuscirono a rimettre piede in città.

La storia dell'Italia meridionale é in quest'ultima epoca ancota tutta medioevale contrassegnata dalla lotta tra i francesi e gli Aragonesi che regnavano in Sicilia dal tempo dei Vespri. A Napoli la casa d'Angiò vide nel XV secolo approssimarsi il momento della sua estinzione. Alla corte dell'ultima rappresentante della dinastia, la regina Giovanna II che era rimasta priva di prole, un partito francese ed un partito aragonese lottarono per assicurarsi la successione. La regina oscillò tra l'uno e l'altro. All'inizio adottò re Alfonso V d'Aragona e Sicilia e lo designò a suo successore, poi entrò in contrasto con lui e cercò di sostituirlo con Luigi III d'Angiò, capo del ramo collaterale della sua famiglia, e dopo la sua morte con il fratello Renato di Lorena.
Morta nel 1435 la regina Giovanna, la sorte delle armi decise a favore di Alfonso che ottenne la corona di Napoli e nel 1458 la lasciò in eredità al suo figlio naturale Ferrante. Questi, ad onta della sua nascita illegittima, poté rimanere indisturbato sul trono sino al 1494; soltanto verso gli ultimi anni della sua vita vide risorgere minacciose le antiche pretese della Francia sul regno e morì con la persuasione che i giorni della dominazione delle Due Sicilie erano ormai contati.

All'accennato mutamento nella politica francese aveva offerto occasione un conflitto scoppiato tra Ferrante e Ludovico il Moro di Milano.
A Milano l'estinzione della famiglia dei VISCONTI (1447) risuscitò nella cittadinanza l'antico spirito repubblicano, ma in breve le necessità della difesa contro le aggressioni dei vicini costrinsero la città a darsi un nuovo signore. Questi fu il valoroso e fortunato condottiere FRANCESCO SFORZA, uomo di bassi natali cha aveva servito sotto l'ultimo Visconti; ora poi nel momento del pericolo prestò il suo braccio efficacemente alla difesa e conservazione dello Stato, e perciò il popolo nel 1450 lo ricompensò acclamandolo duca di Milano.

Nei sedici anni in cui egli resse il governo dello Stato milanese restaurò l'antico prestigio di Milano, e morendo nel 1466 lasciò in eredità il ducato alla sua famiglia. Se non che suo figlio Galeazzo Maria, operando come un tiranno, cadde assassinato nel 1476, lasciando un figlio minorenne, Giovanni Galeazzo, ed allora lo zio LUDOVICO IL MORO quale tutore dell'erede del ducato prese nelle proprie mani le redini del governo, escludendone completamente la duchessa madre.
Poi ambizioso com'era non lo lasciò il governo neppure quando il duca Giovanni Galeazzo raggiunse l'età maggiore, anzi costui si lasciò dominare dallo zio, ma alla fine la sua intrusione illegale provocò una rottura tra Ludovico e gli Aragonesi di Napoli, dalla cui famiglia usciva la moglie del giovane principe.
Contro di essi l'usurpatore, che era riuscito a farsi infeudare nel ducato milanese dall'imperatore di Germania, invocò questa volta l'aiuto della Francia, e scatenò così una tempesta che doveva travolgere lui stesso.

Re Carlo VIII di Francia, deforme e malaticcio, ma smisuratamente ambizioso, trasse ben volentieri occasione dall'invito del Moro per iniziare una politica di conquiste esterne. Egli passò nel 1494 le Alpi con un numeroso esercito e giunse senza trovar resistenza fino agli estremi confini d'Italia; a Firenze abbatté i Medici, entrò in Roma, e scacciò perfino gli Aragonesi da Napoli, rivendicando il regno alla Francia. Cominciò così in Italia l'era delle dominazioni straniere che era destinata a prolungarsi per tre secoli e mezzo.

La politica conquistatrice della Francia ebbe delle ripercussioni in altri Stati d'Europa, principalmente nella Spagna, la quale a sua volta si levò a difesa dei diritti degli Aragonesi sull'Italia meridionale. Alla Spagna si unì anche re Massimiliano, non tanto come rappresentante dello Stato tedesco quanto come capo della casa d'Absburgo, ed il 5 novembre 1495 venne combinato uno degli imparentamenti di maggiori conseguenze politiche che la storia conosca; quello tra l'unico figlio di Massimiliano, Filippo, e l'infante di Spagna, Giovanna.

Giovanna, rimasta per la precoce morte dei fratelli e delle sorelle a lei superiori d'età, la discendente più anziana di Ferdinando ed Isabella, era l'erede del trono di Spagna (dove qui potevano regnare le donne); quindi l'accennato matrimonio preparava la riunione dei dominii degli Absburgo e di quelli spagnoli. Ed in parte questa riunione in seguito avvenne, in quanto il primogenito di Filippo, CARLO, unì alla sovranità sulla Spagna la sovranità sui Paesi Bassi, mentre il secondogenito FERDINANDO ebbe l'avito retaggio austriaco.
Anche Ferdinando poi contrasse un matrimonio di non minore importanza; egli sposò cioè la figlia di Vladislavo di Boemia e di Ungheria, Maria, e, morto senza prole nel 1526 il fratello di lei, re Luigi, accampò diritto alla corona dei due regni e l'ottenne.

Così all'inizio dell'era moderna i nipoti di Massimiliano e di Ferdinando ed Isabella di Spagna, dei quali Carlo ereditò dal primo anche la corona tedesca, dominavano sopra una considerevole porzione dell'Europa oltre che sulle colonie spagnole d'oltre mare recentemente scoperte.

Contro questo poderoso blocco di forze la monarchia francese fu costretta a lottare quasi ininterrottamente, sia nell'interesse della propria esistenza, sia per non perdere la posizione acquistata in Italia; e l'urto di questi interessi in contesa ha per secoli determinato tutte le vicende della storia dell'Europa centrale e meridionale.

L'Italia poi, oggetto delle lotte tra le potenze più forti, procedette solo verso conquista pacifica dell'Occidente, diffondendovi la cultura scientifica ed estetica della rinascenza.
Una missione non meno importante era riservata alla Germania; politicamente arretrata ed incapace, essa era destinata nel campo religioso a ricondurre la cristianità alle fonti genuine della sua fede e ad emanciparla dalla schiavitù verso il papato mondanizzato e dispotico. Il protestantesimo era insomma alle porte. Ma di questo parleremo ampiamente in uno dei prossimi capitoli.

Prima di lasciare del tutto la fine del Medio Evo
dedichiamo alcuni capitoli particolari
sulla civiltà di questo periodo

DIRITTO E AMMINISTRAZIONE GIUDIZIARIA > >

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