-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

142. L'ETA' MODERNA ( DELLA GRANDE POLITICA )

LA NUOVA LUNGA LOTTA: QUELLA POLITICA

Nel periodo, che va dalla fine della guerra dei trent'anni alla deposizione definitiva di Napoleone, quindi dal 1650 al 1815, la politica predomina interamente negli avvenimenti del mondo.
Sono innanzi tutto considerazioni ed influenze politiche, che determinano i destini dell'umanità; lo svolgimento della politica, quale una raffinata tecnica di gabinetto, raggiunge il colmo della perfezione, ed anzi nei tempi più recenti presso i suoi maggiori maestri, come Choiseul e Kaunitz, comincia a degenerare in un intrigo sopraffino. Chi possiede poi al massimo grado l'arte di guidare gli Stati, e con trattati e con guerre, condotte secondo interessi politici, - poiché nessuno più combatte per la pura gloria o per la propria fede - sa imbrogliare le relazioni internazionali e promuovere maggiormente in quell'imbroglio i propri interessi politici, é considerato come padrone del mondo ed é generalmente celebrato come il modello della perfezione umana.

Le manifestazioni esteriori e gli avvenimenti della storia in questo periodo hanno quasi sempre per base delle cause politiche. La vita degli Stati é guidata nel gabinetto del sovrano, da questo e dai suoi consiglieri. Qui sta il cervello dell'intero paese. Sotto i «tre Luigi di Francia» il «lever» del sovrano, il ricevimento dei cortigiani é l'avvenimento di maggior rilievo del giorno, il soggetto delle conversazioni della società; qui si dà la parola d'ordine all'opinione e alla volontà del paese.

Nel periodo trattato nei precedenti capitoli, la religione ebbe il predominio. Certo entravano anche allora in gioco delle questioni d'indole politico-economica, ma soltanto in seconda linea. Le enormi somme di denaro tedesco, che emigravano in Italia per le indulgenze, mossero a sdegno Lutero, la speranza di acquistare i beni reversibili di chiese e di monasteri entrò per qualche cosa nella prontezza, con la quale nobili, principi e magistrati cittadini accettarono la riforma, e il grande timore d'impoverire fu per la Chiesa una delle ragioni più importanti di condurre energicamente ad effetto la contro-riforma.

Nel loro complesso però le vere forze motrici erano dalle due parti d'indole più intima e religiosa. Le passioni indirizzate a soggetti trascendentali erano febbrilmente eccitate, la questione eucaristica aveva il potere di porre gli uomini in una vera estasi. Anche in un conquistatore come Gustavo Adolfo i motivi ideali rappresentavano una parte considerevole.

Ora invece i motivi di questa specie cominciano ad avere un'importanza secondaria. La religione, come a Bisanzio, diviene nuovamente un mezzo per tenere in piedi la sempre più complessa struttura politica. La Chiesa papale si muta sempre più chiaramente in uno Stato ecclesiastico e il santo Padre in modo non ambiguo pone sempre in maggior rilievo la sua funzione di capo supremo dello Stato. Sempre più spesso i dirigenti politici dei gabinetti si presentano con abiti ecclesiastici, ma senza alcuna traccia d'interessi spirituali, come Richelieu, Mazarino, Alberoni, Fleury. L'abate parigino é considerato come il modello dell'uomo di mondo.
L'innalzamento della Prussia alla dignità di regno, per il quale avevano inutilmente lavorato a lungo i diplomatici, riuscì alla fine con l'aiuto di un confessore imperiale in Vienna.
Nel Paraguay i gesuiti istituirono un dominio temporale. La questione dell'abolizione e del ristabilimento dell'ordine dei gesuiti dipese da considerazioni puramente politiche e solo in apparenza fu tenuto conto dell'elemento religioso. Napoleone, che nel fondo dell'animo era del tutto incredulo, solo per considerazioni di utilità politiche venne a patti col papa e si fece da lui incoronare.

Quando si presentarono casi d'intolleranza, ebbero ragioni politiche e non religiose, così in Luigi XIV, che mentre perseguitava gli ugonotti nel proprio regno e revocava l'editto di Nantes, sosteneva in Germania i protestanti. Perfino la uguale religione non fu più un motivo di amicizia politica. L'Inghilterra e l'Olanda, il Brandeburgo e la Svezia, sebbene Stati protestanti, si fecero guerre accanite, come, nonostante la comune confessione cattolica, la Francia e l'Austria diedero vita al più violento contrasto, e gli stessi Francesi e Spagnoli furono spietati nemici.

Né la differenza di religione fu di ostacolo all'amicizia politica: il re cristianissimo si collegò col gran sultano, Federico il Grande sostenne i gesuiti-e pose a rischio il suo regno in favore della Baviera, i Francesi combatterono contro l'Inghilterra a fianco dei puritani americani. Mossi da vantaggi politici gli elettori luterani di Brandeburgo passarono al calvinismo, come al cattolicesimo il palatino di Neuburg. Dal bagliore della corona di Polonia Federico Augusto di Sassonia fu allettato ad abiurare la fede dei suoi padri. In uno dei precedenti capitoli, abbiamo appena visto come l'ugonotto Enrico IV non indugiò a farsi battezzare cattolico per rimanere saldo sul trono francese. E fu proprio lui a dare questa nuova svolta alla politica.

Dovunque era decisivo soprattutto l'interesse politico. Si formò così l'evangelo universale della ragione di stato. Anche la razza non costituì più una garanzia, contro l'egoismo politico, e ai disegni di distruzione della Polonia partecipò in lega con la Prussia e con l'Austria anche la Russia, per quanto affine di stirpe. Il principio medioevale dell'autorità rimase inviolato, ma la personificazione dell'autorità suprema invece della Chiesa fu lo Stato, cioè il sovrano.
Così pure quale simbolo visibile della nuova autorità temporale comparve la parrucca, che doveva conferire considerazione e imponenza a chi era investito del potere, come un tempo nell'antico Egitto dell'autocratico Ramesse. La questione turca, dopo avere tenuti gli animi vivamente occupati ai tempi della Riforma, destò nuovamente in Europa un movimento intellettuale; mentre però Lutero aveva dichiarato che il governo turco era migliore di quello degli Stati cristiani e solo per motivi religiosi spingeva questi a combatterlo, Caterina muoveva poi contro la Turchia puramente per ragioni politiche senza alcun odio religioso, giovandosi appunto della debolezza della vita politica orientale quale punto di attacco. Essa voleva il Bosforo e non Santa Sofia.
E quello che Napoleone cercò di conseguire in Egitto fu tutt'altra cosa che la diffusione della fede cristiana. Al contrario in un proclama alla popolazione dichiarò uguali dinanzi a Dio tutti gli uomini e buoni musulmani i propri soldati. Il suo generale Menou andò tanto oltre da passare apertamente all'Islam.

Il mondo ebbe cure di maggior momento. La Francia continuò con ogni suo potere nell'assunto, additatole da Francesco I, di raggiungere e conservare il suo predominio in Europa. A questo fine mirò la politica di Luigi XIV, certo grandiosa nel suo genere. E in questa lotta i re di Francia furono seguìti da tutta la nazione gallica, così desiderosa di gloria. Anche nel Siècle de Louis XIV di Voltaire, presso tutta la critica del sistema assolutistico senza scrupoli, del principio l'état c'est moi (lo Stato sono io) traspare la gioia destata dalla gloria della nazione, dalla diffusione della lingua francese. La lotta della Francia finisce per prima con un'immensa disfatta nella guerra della successione spagnola. L'Olanda decadde per la gelosia della Francia e nello stesso tempo dell'Inghilterra. Lo spirito della libertà cittadina, che aveva saputo sostenersi contro la violenza spagnola, soggiacque non ad una potenza intellettualmente superiore, ma all'accumulazione puramente materiale di mezzi superiori di potenza politica.

I motivi etici anche nell'opinione pubblica agivano per avventura con efficacia minore che nel tempo della riforma; l'indignazione patriottica suscitò negli animi delle emozioni relativamente deboli, quando Luigi XIV commise un'aperta violazione di diritto con la rapina di Strasburgo, gemma dell'Impero, o quando la Baviera, rinnegando il suo carattere tedesco, fece per qualche tempo causa comune con la Francia.
Lo stato del Brandeburgo e della Prussia s'innalzò grazie allo sviluppo unilaterale ma logica di un concetto puramente politico, il sacrificio senza riguardi dell'individuo a vantaggio degli interessi dello Stato, nel senso dell'antica Sparta.

Con lodevole perseveranza la Francia si dedicò alla creazione dell'unità politica interna, compiuta spesso con qualche violenza. Si procedette nella via già inaugurata da Luigi XI, combattendo le voglie d'indipendenza delle singole province. La grande rivoluzione non in piccola parte fu un moto di accentramento; da ponente a levante, dalla Bretagna fino all'Alsazia si cercò di reprimere lo spirito di regionalismo e di creare un carattere assolutamente francese.
Strasburgo, città dal nocciolo ancora tedesco, quando Goethe era ancor giovane, era del tutto «francesizzata» alla fine del secolo. Fino dalla scomparsa dello «stato cuscinetto» formato dalla Borgogna si era resa sempre più manifesta la tendenza della Francia verso la riva sinistra del Reno.
Da Richelieu a Napoleone questo scopo non è perso di vista; vi si adopera un'immensa somma, di arti politiche, teorie di diritto pubblico e disegni di matrimoni; le lettere del nobile e onesto Liselotte ci danno un'immortale testimonianza della crudeltà, con la quale la felicità degli individui era allora sacrificata ai fini politici della ragione di Stato.

Un esempio classico dell'onnipotenza degli interessi politici ci è offerto dalla storia della divisione della Polonia. I due estremi del carattere slavo trovano la loro espressione nei due popoli nemici: il subiettivismo raffinato e illimitato dei Polacchi, incapace a frenarsi, col suo fatale Nie pozvolam e la brutale obbedienza dei Russi all'autorità, ai quali rimane infine la vittoria, in grazia della loro massa e della licenza del popolo ad essi fratello.
Ed allora incomincia la parte principale di questo periodo della storia universale, la lotta tra Francia ed Inghilterra per il predominio mondiale, condotta da ambo le parti con tremenda risolutezza e combattuta in tre parti del mondo ad un tempo, nell'Europa centrale, nelle Indie occidentali e nel Canada, della quale la gloria della Prussia, la guerra dei sette anni, considerata dal punto di vista storico più elevato, è soltanto un episodio eroico.

Parve dapprima che la rivoluzione francese dovesse passare sopra a questo contrasto: la nobile Inghilterra costituzionale, ideale di Montesquieu, e la giovane repubblica dovevano porre più in alto la libertà dei popoli che il possedimento dei maggiori continenti oltremarini. Ma dopo il «regicidio» commesso dagli nomini della convenzione, nemmeno gli «whigs» più radicali vollero più sapere della rivoluzione francese. La guerra divampò di nuovo, più violenta che mai. Anzi oltre i limiti della grande rivoluzione si continuò nella lotta gigantesca tra Napoleone, erede delle tradizioni storiche della Francia, e Pitt e Wellington. La Francia cadde e l'Inghilterra ne divenne più vigorosa.

Mentre la Francia era ricaduta nell'assolutismo, l'Inghilterra aveva tirato le conseguenze del proprio svolgimento politico e, grazie alla maturità del suo popolo di un secolo più antico, aveva imparato a rendere con profitto alla generalità quelle energie politiche produttive, che si trovavano nelle classi da acquistare allo Stato, educandole ed ammaetrandole per questo assunto.
Così chiaramente Cromwell aveva additato la via da seguire della borghesia inglese che anche la restaurazione degli Stuard non aveva più potuto deviare la corrente delle nuove fonti, dischiuse verso la potenza e la ricchezza della nazione.

Nell'unico luogo, dove era stato trascurato il pareggio tra doveri e diritti politici, nella colonia dell'America del nord, questa negligenza ebbe una punizione tremenda. Dall'Inghilterra poi si presero Montesquieu e Voltaire il nuovo vangelo politico della «separazione dei tre poteri», dall'Inghilterra venne al continente la grande scienza dello sviluppo della industria, delle manifatture, specialmente dei tessuti, per mezzo delle macchine, quella di dischiudere i tesori del suolo, carbon fossile e ferro, per opera di un popolo cosciente e che partecipava al governo del proprio paese, i cui uomini nuovi più ricchi e più fortunati vennero a sostituire la nobiltà normanna, che lentamente decadeva.

In Francia, in accordo col suo carattere cortigiano, si andò svolgendo l'industria artistica, che assecondava dei bisogni aristocratici, la fabbricazione delle seterie, dei mobili, degli orologi. Qui la borghesia non era chiamata come in Inghilterra a rinsanguare la nobiltà, ma viveva soltanto scimmiottando i nobili e i loro costumi, come la dipinse Moliére in commedie immortali - dove, come nel Beuigeois gentilhomme, - dei ricchi e pazzi borghesi, con nobili fanfaronate sono abbindolati con la speranza di una presentazione a corte. Così anche in questo caso la politica era madre della vita sociale.

Se però la Francia doveva cedere all'Inghilterra, in un punto era politicamente senza discussione superiore alla Germania e l'Inghilterra naturalmente lo era anche di più. Era un regno, obbediva e pagava imposte ad un solo sovrano. La Germania era quasi soffocata da una sovrabbondanza di principi territoriali. Nell'occasione delle secolarizzazioni, di cui si approfittò con sollecitudine, la Riforma aveva dato nuovo sangue a tanti sovrani in diciottesimo a tante città imperiali libere, che si trovavano già in punto di morte per il maggior bene della nazione.
Dinanzi a questo rafforzamento dei piccoli principi e delle città la casa di Absburgo perdette l'ultimo residuo d'interesse alla prosperità dell'intero impero e tanto più di prima si dedicò unicamente a rafforzare la propria potenza dinastica. La gelosia reciproca dei principi, la necessità per l'Austria di servirsi sempre dell'uno contro l'altro e di non lasciarne crescere alcuno in troppa potenza, condusse al colmo la miseria politica della Germania. In Italia in un certo senso dominavano condizioni simili a queste.

Da questo stato infelice di cose, la giovane Prussia seppe creare due miracoli di tecnica politica: un esercito e un corpo di funzionari, due strumenti meravigliosi e sicuri in mano a un despota intelligente e illuminato, coi quali si poterono compiere grandi cose. Questi però, come ogni altra macchina, potevano, com'é naturale, essere adoperati entro limiti determinati e il varcarli portava con sé una amara punizione. Si negava ad essi indipendenza d'azione ed entusiasmo di libertà, e perciò venuti in lotta con un genio superiore ed appassionato o con una moltitudine fanatica si spezzarono.
Due volte hanno fallito, nel 1806 e nel 1848. Anche la formula filosofica del mondo prussiano, l'imperativo categorico, il «maledetto dovere ed obbligo» ha un limite di efficacia. Nelle guerre d'indipendenza il luogo della disciplina dovette esser preso dall'entusiasmo della nazione intera. La Prussia ebbe però la fortuna di trovare in una delle figure più simpatiche della storia tedesca, nel barone di Stein, un uomo, che si adoperò per adattare alle sue condizioni il principio fondamentale della politica interna inglese, la partecipazione attiva della cittadinanza all'amministrazione del paese.

I sovrani francesi per accorti riguardi politici seguirono la via, divenuta tradizionale dal tempo di Francesco I, di adornare la loro capitale con i tesori della bellezza e dello spirito, affinché fosse considerata come il centro del mondo ideale. Attirarono perciò alla loro corte artisti, dotti e scrittori di grido; anche nel 1808 e più tardi, mentre Napoleone opprimeva più gravemente la Prussia, uno dei più nobili figli di questa, Alessandro Humboldt, continuò a dimorare in Parigi per quasi venti anni, trovando qui soltanto un'adatta cassa di risonanza per l'alto inno alla natura, che egli si accingeva ad intonare.
In armonia col carattere centrifugo del Tedesco, la vita intellettuale germanica, per il più vigoroso sbloccamento del suo fiore, si era rifugiata in un piccolo nido, lungi dal mondo, e soltanto l'immancabile rigenerazione della Prussia con la fondazione della nuova università di Berlino provvide in un centro della vita politica anche un luogo di convegno per il rinascimento intellettuale.

Il concetto di diritto politico e di civile filosofia proprio di quel periodo si svolge in modo corrispondente al carattere generale del secolo. Al tempo di Luigi XIV l'inglese Hobbes espose la teoria che tutto l'incivilimento umano ha origine da due impulsi, ambizione ed egoismo. Il reggimento civile é una creazione dell'istinto di conservazione, che spinge a stringere dei legami politici. In un reggimento siffatto il potere sovrano raggiunge la massima efficacia se prende corpo in una persona, che abbia un campo illimitato di potere e a cui spetti il solo obbligo di promuovere la felicità dei cittadini secondo il suo modo di vedere.

Più tardi Rousseau scalzò le istituzioni dello Stato e il concetto di autorità e ricondusse ogni organizzazione politica al libero volere, a una rinuncia opportunistica dell'individualità. Soltanto Guglielmo di Humboldt ricondusse alla quiete gli animi perplessi col suo tentativo di fissare i limiti del potere autoritario, che restringe quello dell'individuo, assegnandogli l'ufficio di garantire entro limiti legittimi l'interesse dei singoli cittadini.

Dalle grandi lotte di quest'epoca risuona una intensa nota politica anche nella vita civile ed intellettuale. Leibniz, il maggior pensatore del suo tempo, si occupava di diplomazia al servizio dell'arcicancelliere elettore di Magonza; il suo « consilium aegyptium » doveva volgere la politica europea ad una parte del mondo ancora inaccessibile. Il circolo dei poeti parigini non poteva sottrarsi all'atmosfera della Corte. In un'opera come l' « Atalia » di Racine, risuona pienamente l'eco delle disposizioni religiose, la nota dominante delle tendenze cortigiane e politiche dei decenni del Re Sole.
I romanzi politici di Fenelon, le polemiche di Pascal ed anche le favole del mite Lafontaine sono piene di aperte o velate allusioni politiche, Voltaire combatte per idee politiche e nella maggior parte dei drammi di Schiller, dai «Masnadieri» al «Guglielmo Tell», l'uomo politico, facile a riconoscersi, parla insieme al poeta. L'eloquenza sacra, che prende in questi tempi uno splendido sviluppo, accoglie nella sua giurisdizione gli avvenimenti del gran mondo; il «Petit Carême» di Massillon e i magnifici elogi funebri di Bossuet, composti secondo le necessità di una grande corte, si leggono in qualche loro parte come fossero memorie politiche.

A molti tra i grandi artisti la vita di corte dà un'impronta speciale. I quadri pastorali di Watteau non dipingono dei veri pascoli, ma rappresentano dei cortigiani travestiti da pastori e da pastorelle; la pompa solenne di Lebrun ci riproduce fedelmente il carattere della corte del re Luigi e David più tardi nei suoi quadri é un ardente repubblicano con tendenze antiche per finire ammiratore di Napoleone.
Un altro centro di arte cortigiana si formò a Napoli sotto un regime assoluto. Qui ebbe origine la nuova opera con le sue danze voluttuose e la sua decorazione fastosa. Sorse il tempo dei teatri di corte e nel teatro dell'opera di Berlino di Federico il Grande non si vendevano in genere dei biglietti d'ingresso al pubblico, ma officiali e funzionari con le loro famiglie ammiravano i gorgheggi del Mara e i passi della Barberina, quali ospiti invitati dal re.

Il vigore solenne di Handel aveva servito a glorificare la corte inglese ed illustrava delle feste regali; isolato ed appena inteso Tommaso Cantor di Lipsia scriveva in Germania i cori grandiosi delle sue musiche sulla Passione, in cui traspare un qualche sentimento democratico, un sentimento del potere delle masse organizzate e nel minuscolo teatro di corte a Jena, nelle esecuzioni dei «Masnadieri», gli studenti imponevano la loro cooperazione intonando il cantico della libertà.

Sul continente anche la scienza fu pure sequestrata a favore della corte; giunse il tempo delle «accademie» sotto la protezione dei principi: Federico II, Caterina di Russia, imitarono l'esempio di Richelieu, e anche a Stockholm, a Gottinga, a Vienna, a Madrid sorsero corporazioni di dotti protetti da principi. Dai monarchi la scienza ricevette un incremento potente anche per l'amore di raccogliere antichità greche e romane, nel quale molti sovrani si dedicarono addirittura con passione; la regina Cristina di Svezia si segnalò in questo. Già cominciava l'accumulazione di tesori nel museo britannico e in altri luoghi.
Liberamente e da se stessa si svolgeva la scienza in Inghilterra. Qui, in contrasto al continente, dove si prendevano le mosse dalla teoria, si credeva soprattutto all'esperienza. Newton, che con la scoperta della legge di gravitazione scacciò dalla concatenazione dei processi puramente fisici l'ultima traccia di fantasmi soprasensibili, Locke, che sollevò l'intelligenza a regnare sull'umanità, Hume, che spiegò l'intelletto come una semplice concatenazione di processi psicologici apparentemente inesplicabili, guidarono a cognizioni, per le quali la natura misteriosa divenne ad un tratto un complesso di processi regolati da leggi. E la chiara e calma comprensione della realtà impresse il suo marchio su tutta la vita della nazione.

L'economia nazionale, che i Francesi chiamano in modo caratteristico, «économie politique», divenne la guida della vita economica. Anche il mercantilismo fu puramente una politica e non una teoria economica. Soltanto i «fisiocrati» col sistema della libertà naturale introdussero una nuova scienza. La dottrina di Adamo Smith della capacità del lavoro a produrre il valore contribuì molto a trasformare in modo radicale il carattere della nazione inglese, alla quale Holbein aveva rinfacciato la sua indolenza.

Nuove scienze ausiliarie ebbero origine, come la statistica, che divenne ben presto l'amica indispensabile di ogni partito politico; il suo sviluppo tuttavia ebbe luogo soltanto nel successivo periodo, in quello sociale, per opera di Quetelet e dei suoi successori. Anche nella tecnica il punto di vista politico fu ancora per lungo tempo quello decisivo. A Federico il Grande non piacque di costruire strade maestre per non agevolare al nemico l'invasione dei suoi stati e Fulton offrì all'inizio il suo battello a vapore al guerriero Napoleone, senza rendersi conto della rivoluzione che la sua scoperta doveva produrre nel commercio.

Anche la vita religiosa era tuttora mescolata a quella politica, dai puritani che tenevano la spada nella mano destra e la bibbia nella sinistra, fino ai quacqueri che non si volevano inchinare né innanzi all'autorità della Chiesa né innanzi a quella dello Stato, fino ai loro affini tedeschi, i mennoniti, che rifiutavano di prestare il servizio militare e fino ai salotti della signora di Krudener, dove sovrani dominatori del mondo attingevano ad una medesima fonte apparizioni degli spiriti e sapienza di reazioni politiche.

Tutte le discipline fecero progressi degni di nota, quando potevano esser adoperate a sostenere le mire politiche dei sovrani e degli uomini di Stato. Vauban, il geniale ingegnere di Luigi XIV, creò un'epoca nuova nella costruzione delle fortezze. Fin dal 1697 l'uso della baionetta fu introdotto nella fanteria francese, il fucile divenne più piccolo, venne in uso la cartuccia, gli archibugieri ricevettero fucili rigati, il fucile a percussione inventato nel 1807 dallo scozzese Forsith soppiantò il fucile a pietra. I tipi di bastimenti furono migliorati nella loro costruzione complessiva in base a regole scientifiche. Il servizio postale fu posto al servizio dello Stato. La famiglia Taxis, originaria di Bergamo, creò un'unione commerciale dei paesi absburghesi tra loro separati. I maggiori Stati dell'impero non vollero aprire i loro territori a questa impresa privata e fondarono delle poste ufficiali proprie per lettere, per piccoli pacchi ed anche per viaggiatori. Il creare buone comunicazioni postali fu presto considerato come un dovere per ogni governo sollecito del pubblico bene.

In Francia e in Inghilterra si attribuì un grande valore allo sviluppo di un gran sistema di canali. La flotta di commercio aumentò, specialmente in Inghilterra, che ricavò grossi guadagni anche dal commercio degli schiavi, che si era espressamente riservato nel trattato di Utrecht. Le navi furono costruite di maggior portata, più pratiche, più veloci.

Il crescere del commercio e dell'industria spinse a migliorare il sistema del credito. Cominciò a svilupparsi il moderno ordinamento bancario, poiché non bastava più l'attività dei banchi, che prestavano su pegno, e si richiedevano somme in contanti di gran lunga superiori agli averi dei singoli individui.
In Venezia e in Amsterdam furono istituite delle banche dalle autorità cittadine. Fino dalla metà del secolo XVII, ebbero luogo trattative animate per la fondazione di una grande banca pubblica in Inghilterra, compiuta nel 1694. Essa ottenne più tardi il privilegio di emettere biglietti. Nel 1685 era stata fondata la banca di Scozia. In Francia il credito per lungo tempo fu riscosso dall'impresa vertiginosa di Giovanni Law; l'Inghilterra dovette attraversare una simile crisi dopo l'impresa del Mare del sud. Soltanto nel 1771 fu fondata poi la caisse d'escompte, che durante la rivoluzione fu messa in difficoltà e abolita nel 1793. Nel 1800 fu aperta la banca di Francia che tuttora esiste e il cui sviluppa stette sempre a cuore al governo. Già nel 1765 Federico il Grande aveva fondato la banca reale di Berlino, nel 1772 sorse la Seehandlung col compito di regolare il commercio esterno e quello di transito.

Nel corso di questo periodo politico venne alla luce un fenomeno assai raro. L'epoca della guerra dei trent'anni era stata affatto virile. Dominavano allora il volto abbronzato, con la barba a punta, l'elmo, il giustacuore di cuoio, gli alti stivali da cavalcare e il largo spadone. Sotto Luigi XIV lo spadone divenne una spada, il volto nudo, il capo fu coperto da una maestosa parrucca a ricci. Non più l'accampamento ma la corte si foggiò a centro dell'esistenza. Tuttavia, si andava sempre alla guerra con pesanti stivali da cavalcare e si camminava anche nelle migliori stanze con i pesanti tacchi. Il contegno aveva qualche cosa di sostenuto e di dignitoso, lo stile della corte era ancora grave, la poesia si muoveva rigida negli alessandrini.


Tutto questo muta con Luigi XV e con Luigi XVI, con l'epoca del rococò. Allora tutto è leggiadro, elegante, flessuoso, ma senza costanza e senza forza. La padrona di casa è divenuta una dama, che con pettinature alte ed incipriate, con nei, con gonne larghe e cerchiate, con scarpine di seta graziose e variopinte e tacchi alti ed acuti si avvicina saltellando sul pavimento. L'epoca é divenuta tutta femminile. Al tempo degli intrighi di gabinetto e delle cabale di corte, della socievolezza e della galanteria, l'elemento femminile si spinge in prima fila.
Al contrario di quello che avveniva nel periodo tirannico dei principi del rinascimento, che nelle loro amanti vedevano solamente la donna, la politica dei re francesi è determinata col concorso delle loro favorite. La dama ha l'ambizione di farsi avanti nella vita, si dà alla politica e al mecenatismo, e con l'imitazione dei modelli francesi presso ogni altra "Versailles" sorge pure un "Trianon".
Nella Spagna l'energia maschile è alcune volte del tutto esaurita e perciò regnano regine e favorite. In Francia queste dominano per mezzo del re, in Russia a Pietro il Grande succedono quasi esclusivamente delle donne, presso le quali i favoriti sostengono le parti principali. Anche la regina Anna d'Inghilterra è debole e irresoluta, unica in Austria Maria Teresa, pur essendo una premurosa e tenera madre di famiglia, tiene con onore e con vigoria il governo.
Non é un caso che rococò, governo di donne e diplomazia politica di preti coincidano col potere illimitato dei monarchi. Fino alla Rivoluzione.

Ci inoltramo in questa lunga storia,
con gli anni di Richelieu, dei tre Luigi e infine della Rivoluzione

L'EUROPA DOPOLA PACE DI VESTFALIA > >

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