-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

L'EUROPA FRA DUE RIVOLUZIONI - ( 1830-1849 )


193. 2) - LA GERMANIA, LA SVIZZERA e L'INGHILTERRA
FINO AL 1840

GERMANIA

La grande festa del 1832 al Castello di Hambach (Palatinato), divenne famosa
come "Festa delle Costituzioni" o "dell'affratellamento dei liberali di tutti i Paesi".

Nella Germania la scossa, prodotta dalla rivoluzione nel sud, maturò l'esecuzione di riforme, per le quali già si era combattuto nelle singole diete. Bene o male inoltre i Governi con orientameni orientamenti legittimisti si erano dovuti risolvere a tollerare le conseguenze di una rivoluzione, per cui nel ducato di Brunswick venne cacciato un sospetto membro del ceto principesco, il duca Carlo, e fu sostituito dal duca Guglielmo.
Come il Brunswich ormai poteva godere di una costituzione liberale, così, dopo che i disordini di Lipsia e di Dresda si calmarono, il regno di Sassonia mosse un primo passo sulla via costituzionale; l'Assia elettorale vide, dopo qualche convulsione rivoluzionaria, una costituzione, fornita di guarentige liberali, uno strumento veramente necessario di difesa contro il malgoverno principesco.

Non bisogna dimenticare, quanto gl'interessi del paese e il benessere dei cittadini avevano, per l'ingerenza del personalismo, sofferto in quello staterello.
In fine, dopo le dimissioni del conte Munster, anche l'aristocratico Annover si avviò ad una riforma, poiché nel 1833, con un atto pienamente legale, fu pubblicata e attuata una costituzione, che dotò il paese di un sicuro ordinamento delle pubbliche finanze e di una posizione che dipendeva dall'esperienza, degli abitanti non nobili nella dieta.

Certo per la nobiltà privilegiata questo rafforzamento della borghesia possidente e colta fu per lungo tempo spiacevole; il che rese difficoltosa la continuazione della riforma, prima ancora che la tempesta la travolgesse.
Oltre il Meclemburgo, la Prussia si era precluso il proseguimento della sua evoluzione costituzionale anche allora, come pure della considerazione per gli orientamenti nazionali. L'appoggiarsi all'Austria, comodo come un cuscino da riposo, fece addirittura trascurare l'occasione di porre, sulla base di un accordo con la Baviera, la costituzione militare della Germania sotto l'influsso prussiano.

Il timore diffusissimo di vedere la Francia rivoluzionaria ancora una volta sul Reno quale fautrice di desideri democratici del popolo sarebbe stato un fortissimo sprone per un simile moto progressivo. Se l'Austria rimaneva non tedesca e la Prussia pigliava atteggiamenti non tedeschi, all'impaziente amor patrio dei cittadini non restava che spiegare i colori neri, rossi e gialli nelle feste popolari o tutt'al più proporre nella dieta prussiana la convocazione di un parlamento tedesco accanto alla dieta della confederazione germanica.

In realtà allora il bisogno di garantire i diritti della libertà individuale, mediante una protezione costituzionale, era più forte del sentimento nazionale, pronto ai sacrifici. Chi fin da allora ebbe questo sentimento nazionale fu il generoso Svevo Paolo Pfizer (in "Corrispondenza di due Tedeschi"); il quale sostenne l'idea di restaurare l'unità tedesca, mediante il regno prussiano, quale postulato della nostra storia.
Solo alcuni personaggi dallo sguardo acuto, come il creatore della costituzione annoveriana, il professore Dahlmann a Gottinga, e il generale olandese Federico von Gagern, della nobiltà tedesca, osarono vagheggiare simili fini. Nella Germania meridionale si nutrivano tuttavia assai poco benevoli sentimenti verso questo sistema - poco e male compreso - dello Stato prussiano. Siccome la Prussia di rado e poco spendeva del tesoro di forze, di cui disponeva, in favore della Germania, ci si abituò a non aver fiducia in essa.

Questo stato d'animo non mutò per i mirabili successi del suo sistema doganale. Dopo l'accesso dell'Assia elettorale alla lega doganale tra Prussia e Darmstadt (1832), in pochi anni, con l'entrata della Baviera, del Württemberg, della Sassonia, della Germania occidentale e della Turingia si formò la lega doganale prussiano-tedesca (la Zollervein) che congiunse circa 24 milioni in un unico territorio sotto l'aspetto commerciale ed economico.
La comunione della vita materiale della più gran parte della Germania non austriaca si fece conoscere, col mettere in mostra e promuovere interessi comuni anche di fronte all'estero, oltre tutto, essa possedeva il terreno adatto per un naturale sviluppo dela Patria (Prussiana, Tedesca ?)

Il benemerito ministro prussiano von Motz l'aveva predetto giustamente. Ma il rimanere fuori della unione tributaria, quindi addirittura dei territori del mare del nord, che la Prussia doveva considerare nella sua sfera d'influenza politica, se significava qualcosa, ne diminuiva l'importanza nazionale.
Conclusa solo a tempo e denunciabile, la lega doganale apparve un'attiva forza nazionale per più ampi circoli, quando, dinanzi ai chiari interessi della popolazione, la gelosia dinastica contro la Prussia minacciò di mandarla in malora.

Soltanto fra i coadiutori, appartenenti alla burocrazia dei piccoli Stati, si ebbero qua e là intelligenti sostenitori. I componenti della lega doganale non propendevano proprio per nulla a ricoscere una pretesa prussiana a concertare più stretti rapporti politici dentro la stessa lega esistente. Nonostante la già ricordata cedevolezza ai desideri popolari, non esisteva negli Stati costituzionali il convincimento che la migliore difesa contro la rivoluzione stesse in un accurato allontanamento degli abusi.
Solo nei rapporti materiali si ottenne molto, quasi da per tutto. Anche l'immaturità e le smanie dei liberali offrirono troppi appigli alla reazione, a cui il Metternich accennava fino dal 1831.

Contro gli eccessi di organi della stampa radicale si ricorse, nel 1832, a decreti federali: ma i giornalisti, così condannati al silenzio, ritornarono all'assalto degli uffici di redazione sulla strada.
Rumorose feste popolari, la più famosa al castello di Hambach nel Palatinato (1832), dovevano dare significativa espressione allo affratellamento dei liberali di tutti i paesi, come una forza contrapposta ai Governi, che si sentivano solidali fra loro.

Una rivoluzioncella - come spesso i Governi ne avevano dipinto lo spettro sulla parete - si presentò, quando nel 1833 una mano di studenti esaltati ebbe l'audacia di disperdere la dieta francofortese mediante l'assalto al corpo di guardia. Per quanto il fatto fosse privo d'importanza dinanzi agli umori del popolo allora del tutto monarchici e favorevoli all'ordine di cose esistente, esso porse occasione a una nuova persecuzione contro la stampa, gli studenti e le università.
Si rinnovò la più disgustosa persecuzione contro i demagoghi e, nella maniera più violenta, contro gli appartenenti alla associazione tedesca degli studenti, accusati di patriottismo, cui si voleva rendere impossibile, come degli appestati, l'esistenza futura in Germania.

Le decisioni segrete d'una conferenza ministeriale, tenuta a Vienna, nel 1834 interdissero alle diete di deliberare intorno alla validità dei decreti federali, e le assoggettarono, per quanto s'atteneva a contestazioni per interpretazioni costituzionali, ad un tribunale federale, composto con criteri affatto unilaterali, mentre le ordinanze governative restavano valide, anche se i tribunali le dichiaravano non obbligatorie legalmente. Questo supremo potere poliziesco della confederazione fu integrato dai provvedimenti intorno all'intromissione della dieta federale nel caso di rifiuto di pagare le tasse federali, come pure intorno ai divieti di associazioni e d'insegne.

Quanto la nazione nella sua naturale evoluzione e i Governi nella loro mistica concezione di una sovranità illimitata, direttamente loro concessa, differissero fra loro apparve terribilmente chiaro durante la questione, concernente la costituzione annoveriana. Dei tre paesi federali, che erano uniti a corone straniere, il primo a liberarsene fu l'Annover, quando alla salita sul trono di Vittoria in Inghilterra, lo zio di lei, il duca Ernesto Augusto di Cumberland, divenne nel 1837, conforme al diritto principesco tedesco, Re dell'Annover.

Da un pezzo i nobili, che si ritenevano pregiudicati, mediante la riforma, dal colpo del signore di Scheele, speravano in questo astuto principe; nel quale proprio l'incontestabilità di un diritto sovrano, che concedeva a un suddito della regina d'Inghilterra una corona tedesca, doveva avere rafforzato la convinzione soggettiva dell'illimitatezza del suo potere regio, divinamente ordinata, superiore ad ogni altro diritto.
Poiché, sulla base della costituzione del 1833, gli spettava solo una limitata disponibilità dei possessi demaniali, egli abrogò nel novembre del 1837 la costituzione legittimamente in vigore, secondo le leggi del paese e della confederazione, e sciolse i funzionari dello Stato dal giuramento prestato.

Dovendo di nuovo acquistare vigore l'ordinanza del 1819, legalmente abolita, sette dei più celebri professori dell'università di Gottinga si dichiararono, il 18 novembre, in una rimostranza diretta al consiglio d'amministrazione, vincolati in coscienza dal giuramento prestato alla costituzione.
Allora con un atto del brutale gabinetto di giustizia il Guelfo destituì dall'ufficio quegli uomini onorati e subito dopo esiliò tre di loro, il Dahlmann, il Gervinus e Jacopo Grimm, perché responsabili della pubblicazione-rimostranza.
La voce del paese in complesso non si fece sentire dinanzi al terrorismo del sovrano: ma un'associazione, fondata a Lipsia, assicurò ai sette professori di Gottinga in primo luogo il modo di vivere. Se il sentimento della solidarietà degli interessi liberali fino allora qualche volta aveva esercitato la sua efficacia sui Tedeschi elettrizzandoli, il pensiero dell'indice legale esistente strinse un vincolo politico più saldo fra migliaia di patriotti.

Quando nel 1839 la dieta federale ebbe respinto la proposta delle rappresentanze locali d'intromettersi in favore del diritto conculcato, questa nuova esperienza fu addirittura una lezione per la speculazione politica. Si cominciò a comprendere che, senza modificare la costituzione generale conforme alle idee nazionali, tutte le libertà non avevano saldo fondamento, mentre la coscienza che i governanti sacrificavano così il diritto e l'equità, come gl'interessi nazionali a sentimenti dinastici andava conquistando forze fresche alla causa dell'unità tedesca.
Ma quell'esperienza divenne un terreno adatto per la corrente repubblicana, rafforzatasi nel silenzio fino dal 1832 in grazia dell'arbitrio: corrente che acquistò seguaci anche fra i partigiani della scuola liberale del Rotteck e del Velker. Migliaia di moderati amici della costituzione, che bisogna ascrivere, come il Dahlmann, ai conservatori, si vedevano costretti ad operare spalla spalla con gli elementi radicali.

Dai rapporti amichevoli ed ostili di questi gruppi derivarono ammaestramenti per le fazioni; ma anche confusione nei concetti politici. Quasi senza avvedersene, concezioni moderate vennero cambiate in radicali, massime per riguardo allo scambio dei diritti politici con i doveri politici.
Ma che c'era da sperare senza un'impulso dal basso? In Prussia lo spirito creativo dell'amministrazione stava inaridendo. L'arrogante saccenteria dei governanti non poteva essere influenzata o disturbata da una stampa imbavagliata dalla censura, o da una più libera mossa delle autonome amministrazioni cittadine, le deliberazioni delle quali erano escluse, mediante la segretezza, dall'azione reciproca con la vita pubblica.

Contrastando arbitrariamente ai segni caratteristici del tempo non si seppero far tesoro delle scintille spirituali, che pur esistevano. Si calpestò brutalmente il nobile entusiasmo di giovani dai sentimenti nazionali con la condanna a morte o al carcere a vita, e si perseguitarono le coscienze, quando si punirono i luterani ortodossi con l'imprigionamento degli ecclesiastici, anzi addirittura con la punizione dei padri di famiglia, che osarono dichiararsi i "battezzatori de' loro figlioli".

In questi ed in altri casi si rivela per lo più la medesima mano, cioè quella del Re invecchiante, cui il formalismo dello Stato poliziesco riesce comodo, e il quale non si vuole persuadere dell'incompatibilità dei suoi concetti di governo patriarcale con la reale vita dei tempi nuovi. I decreti regi, che di continuo uscivano per punire o proibire qualcosa, dovevano aggravare il sentimento della mancanza di una istituzione che vigilasse l'assolutismo.
Così un decreto del 1825, per cui il diritto vigente in Slesia per i matrimoni misti fra cattolici e protestanti fu esteso ai paesi renani conquistati nel 1815, divenne la punta di partenza d'intrighi molto importanti con la Chiesa cattolica e con i sudditi cattolici.

La politica ecclesiastica giurisdizionale degli Hohenzollern, contrariamente al principio federiciano, si era vista costretta nel 1821 a stabilire, mediante trattative col Papa, il riordinamento delle diocesi, sconquassate nel periodo della rivoluzione, e della elezione dei vescovi. Con la coscienza della generosa dotazione degli istituti ecclesiastici e della condiscendenza per le esigenze pastorali de' vescovi, si erano comportati in buon accordo di soci, tanto più che si trovava in ufficio la generazione più vecchia di preti, toccati dallo spirito di tolleranza del secolo XVIII.
Essendosi intraprese a regolare le difficoltà, presto manifestatesi a causa dei matrimoni misti, nelle province renane mediante trattative dirette col papa Pio VIII, un breve del 1830 fu così di fatto inferiore alle necessità di uno Stato con parità confessionale che fu deciso nel 1834 di concludere con l'arcivescovo di Colonia una convenzione che allargasse il breve tanto per lui, quanto per i suoi suffraganei.

Era appena entrata in vigore la circolare rivolta ai parroci dal buon tedesco principe della Chiesa, barone di Spiegel, quando egli morì nel 1835. Nell'elezione del successore il Governo illuso scelse, sotto l'influsso del romantico principe ereditario, a suo candidato un sacerdote di Munster, noto fanatico, Clemente Augusto, barone di Droste-Bischering. Clemente Augusto non lasciò a lungo al Governo l'opinione che egli dovesse mantenere e manterrebbe la convenzione. Come egli, senza riguardo alcuno allo Stato, affermò ostinatamente la sua autorità di fronte alla facoltà teologica cattolica di Bonn, così non mantenne la sua promessa, perché non trovò la convenzione in armonia col breve pontificio. Egli rigettò ogni accomodamento e la richiesta della sua rinunzia ad una dignità, a cui era stato innalzato con altri propositi, cosicché, dopo penose trattative, il Re lo fece nel 1837 arrestare e rinchiudere nella fortezza di Minden.

Non avvennero disordini, ma si levò un grido di rabbia di tutto il mondo cattolico contro la Prussia, davanti al quale nella questione dei matrimoni misti lo State poliziesco, che invano cercava degli appoggi, fin dal 1838 cambiò rotta. Clemente Augusto rimase prigioniero, finché visse Federico Guglielmo III; il suo successore si assoggettò alle pretese romane per poter calmare l'agitazione ecclesiastica con l'assenso all'insediamento di un coadiutore in Colonia . Egli concesse per ciò il placet regio, e assicurò ai vescovi i più liberi rapporti con Roma: finalmente creò nel ministero del culto una speciale sezione cattolica, che naturalmente, secondo la sua composizione, doveva propendere a fondarsi, senz'altro, sulle pretese canoniche nel trattare questioni statali-ecclesiastiche.

In apparenza ritornò la pace; ma l'errore non é stato riparato.
Nuovi uomini con idee affatto diverse ottennero, un po' alla volta, le cariche ecclesiastiche, mentre con l'attiva partecipazione dei laici si diffondeva potentemente una rinascenza della Chiesa romana.
L'agitazione contro il Governo prussiano aveva trovato il terreno più fruttuoso, con l'evidente tolleranza dall'alto, nella Baviera, dove col 1837 appunto, per la prima volta in quel secolo, era giunta, col ministro von Abel, a prevalere una corrente rigidamente clericale nel secondo Stato per grandezza della Germania.

Le esigenze della Chiesa cattolica, fondate sul concordato, risaltarono bruscamente nello Stato, che, conforme alla costituzione, ammetteva l'eguaglianza delle confessioni religiose. Il Re Luigi I aveva fatto questo voltafaccia, quando aveva sperimentato troppo scomodo il controllo sulle sue spese per fini artistici della dieta bavarese.

LA SVIZZERA

Nel frattempo la confederazione svizzera, la neutralità della quale fu garantita, secondo il diritto delle genti, nel 1815, era, mediante un'assemblea nazionale con un capoluogo avvicendantesi fra tre cantoni, troppo debolmente organizzata davanti ai 22 cantoni sovrani. Quantunque fra la generazione più giovane spirasse di buon'ora uno spirito letterariamente nuovo, non era stato considerato, prima del 1830, un mutamento più vasto.

Solo quando, dopo la rivoluzione parigina del luglio, nella gran maggioranza dei cantoni, l'aristocrazia, ereditariamente radicata, ebbe ceduto il posto, per lo più pacificamente, a costituzioni più democratiche, parve anche per la confederazione giunto nel 1831 il tempo di toglier di mezzo antichi guai.
Pur nondimeno la resistenza di alcuni cantoni rimase invincibile, cosicché un progetto, faticosamente messo insieme nel 1833, dovette essere abbandonato: ma la riforma democatico-rappresentativa dei cantoni portò con se un soffio di modernità.
Così si ottennero la separazione della giustizia dall'amministrazione, l'eguaglianza dei diritti politici fra i cittadini cristiani e altre riforme. In questo movimento non furono elevate pretese particolari dagli operai. Per il traffico, perdurando l'antica costituzione centrale, non si poteva fare nulla d'efficace; mentre invece la cura dell'istruzione di tutti i gradi era riconosciuto come un dovere dello Stato. Sorsero università a Zurigo nel 1833 e a Berna nel 1834.
Da Basilea si separò un cantone, quello di Basilea campagna.

L' INGHILTERRA

In Inghilterra il rigido conservatorismo, indebolito dal malcontento per l'atteggiamento dei suoi capi rispetto all'emancipazione dei cattolici, soccombette di fronte allo spirito, che anche là penetrava attraverso la Manica. Avendo il ricco ceto medio, sostenuto nelle sue propensioni politiche dalla condotta dei circoli operai, socialmente danneggiati, abbattuto nelle nuove elezioni dell'estate del 1830 la maggioranza avversaria, il Wellington fu costretto a cedere il posto al gabinetto liberale del conte Grey; il quale, dopo lotte violente con la Camera alta, riuscì a condurre in porto la riforma, violentemente richiesta, della Camera bassa.

I « borghi putridi » furono per la più parte aboliti, ma i collegi elettorali rimasero eterogenei. Il diritto elettorale attivo dipendeva dalla prova di un alloggio o di un affitto legalmente fissato, quello passivo da un alto censo.
Il fatto principale fu che la borghesia urbana in parte subito, in parte dopo essersi rafforzata, conseguì vera importanza politica, mediante il raddoppiamento del numero degli elettori, mentre le moltitudini operaie, che con la loro pressione avevano fortemente cooperato alla riforma dimostrando la loro tendenza, rimanevano escluse dal diritto elettorale.
Tuttavia si ebbe un periodo di riforme, da lungo tempo necessarie, durante il quale i liberali finalmente cercarono di estinguere il loro debito; ma una debolezza del ministero consisté, nonostante la sua maggioranza alla Camera bassa, nella perplessità del Re e nelle pretese dei seguaci radicali e ir landesi.

Né il ministero Grey, né quello che gli successe nel 1834 del Melbourne riuscirono a sciogliere soddisfacentemente il problema irlandese. L'antichissimo contrasto di una minoranza di Anglosassoni anglicani con milioni d'Irlandesi celto-cattolici si manifestò allora soprattutto nella questione ecclesiastica. Numerosissimi delitti agrari, appena limitati da leggi coercitive, ammonivano di riparare a una vecchia ingiustizia; tanto più che le decime dei cattolici per la Chiesa anglicana erano sistematicamente rifiutate, come pure i fitti.
Ma la limitazione, proposta più volte dai liberali, del possesso della Chiesa episcopale irlandese, con l'obbligo di usare i sopravanzi per fini educativi, urtò alla Camera alta nell'indomabile opposizione dei pretesi difensori del trono e dell'altare. Il malcontento, attizzato soprattutto da O' Connel, crebbe in Irlanda fino ad esigere lo scioglimento dell'unione (repeal), tanto che anche una maggiore imparzialità dell'amministrazione non poté impedire gli attentati agrari nel prossimo decennio.
All'incontro nel 1834 l'abolizione della schiavitù dei negri nelle colonie inglesi col risarcimento dei proprietari e una riforma dell'amministrazione dell'India riuscirono bene. Varie leggi regolarono su una base accentratrice l'ordinamento locale dell'assistenza ai poveri, divenuta ridicola; rammodernarono l'amministrazione urbana e iniziarono, sia pure in maniera meschina, l'appoggio dello Stato alla pubblica istruzione.

Più tardi si giunse ai registri dello stato civile e al matrimonio civile, facoltativo per i dissidenti. La miseria e la depravazione della popolazione operaia, stipata nei nuovi centri industriali, erano spaventevoli. Solo alcune peggiori piaghe poterono esser tolte di mezzo mediante una certa restrizione del lavoro dei fanciulli a buon mercato nelle fabbriche e miniere e mediante l'introduzione d'ispettori statali. A poco per volta la riforma era così giustificata dai frutti che produceva. Si palesò più energica l'opera di adattamento ai bisogni dei tempi, dopo che nel 1837 Vittoria, nipote di Guglielmo e dal 1840 maritata col principe Alberto di Sassonia-Coburgo, fu divenuta regina, sebbene le idee radicali, contrastanti con la mancata modificazione di quanto era tradizionale, si delineassero senza riguardo alcuno nel così detto movimento dei cartisti (1836-1840).

La richiesta di una carta popolare col suffragio universale, del voto segreto, dell'uguaglianza dei collegi elettorali, dell'abolizione del censo, di diete e parlamenti annuali in comizi popolari, in gigantesche petizioni sorsero capi, in mezzo allo scatenarsi di atti violenti, al disegno di convocare una convenzione nazionale.
Le centinaia di migliaia di lavoratori industriali, eccitati dagli agitatori, in parte organizzati in società operaie per il conseguimento di salari più alti, erano spinti dalla speranza di conquistare con la potenza politica i mezzi di migliorare le proprie condizioni economiche e sociali. Questo fece sì che umanitari, come il Kingsley, il Carlyle e altri, giudicassero la cosa con una certa condiscendenza.

L'egoismo delle classi dominanti rifuggiva dal riconoscere tuttavia il male, non volendo confessare che col perfezionamento del lavoro a macchina era andato congiunto un deplorevole regresso della popolazione operaia, sotto il rispetto fisico e morale. Si diceva che non bisognava limitare il capitale dell'operaio, cioè la sua forza lavoratrice, e quindi la possibilità di acquistarsi col risparmio l'indipendenza, mediante intromissioni usurpative della legislazione, come ad esempio l'accorciamento delle ore di lavoro.

Il rincaro delle spese di produzione delle merci più importanti e l'ostruzione delle fonti della prosperità nazionale si ponevano davanti come spauracchi. L'abbassamento dei salari ("così non vanno a spenderli nelle bettole" - dicevano gli ottusi ricchi fabbricanti) si consideravano conseguenze inevitabili di una restrizione della libertà del contratto di lavoro.
Ancora non si sapevano adattare all'idea che la società si sarebbe sentita sicura soltanto, quando fosse possibile di innalzare la condizione morale, spirituale, e materiale degli operai industriali, separati per un profondo abisso dai ricchi fabbricanti. Costoro per ciò, e specialmente gli amici del cartismo fra essi, erano innanzi tutto ben lontani dalle propensioni dei circoli industriali di estendere la loro efficacia politica, conseguita dal 1832 sulla politica commerciale nazionale.

In realtà la lotta contro le leggi sui cereali fu in prima linea una battaglia del capitale cittadino contro l'aristocrazia dei nobili, possessori di terre. L'impulso ideale e umanitario, che nel Cobden e in qualche altro capo si condensava in un vero interesse per le moltitudini bisognose, mancava nella gran maggioranza dei loro seguaci agiati del ceto medio.
RICCARDO COBDEN ha - come iniziatore dell'assoluta libertà degli scambi e della politica della pace internazionale - una importanza, che supera l'azione sua puramente inglese. Il Cobden appare un personaggio di salde convinzioni, il quale si dimenticava della salute e del patrimonio suo per adoperassi in pro' del benessere altrui e incominciava la sua attività politica fin dalla grande crisi commerciale del 1838, che, in rapporto con eventi americani e con una scarsa raccolta indigena, portò come conseguenza il rincaro del prezzo dei cereali, il rinvilio dei salari, e addirittura la chiusura di molte fabbriche.

Malcontento, miseria, minacciosa carestia richiamarono l'attenzione sui dazi granari, che favorivano gl'interessi dei proprietari di terre, ai quali, sebbene fino dal 1828 i dazi stessi avessero perduto il carattere affatto proibitivo per assumere quello protezionistico, si ascriveva la colpa di quel rincaro innaturale. Con la fondazione della lega contro la legge sui cereali iniziò con tutti i mezzi legali e costituzionali una agitazione, che, dal 1839 riempì il paese di un'eccitazione sempre crescente.
Si ricorse ai mezzi più energici per rendere evidente quell'ingiustizia stampandosi delle tabelle del prezzo del pane inglese ed americano, posti a riscontro, perfino cuocendosi dei pani, com'erano in conseguenza della tassa e come avrebbero dovuto essere senza la tassa.

Mentre il clero anglicano la sosteneva, secondo il costume tradizionale, appoggiando i grandi proprietari, i dissidenti sostenevano nelle loro prediche che l'imposta sui cereali contraddiceva alla parola di Dio.
La ricchezza degli industriali, che si adoprava efficacemente in favore della lega, offriva i mezzi per suscitare, mediante discorsi, opuscoli e giornali, la rivolta di un numero sempre maggiore di persone contro la falange degli sfruttatori.
I fabbricanti sostenevano a loro volta la causa con ardente zelo, perché, economicamente rafforzati, avevano la coscienza di non aver più bisogno dei dazi protettivi.
Inoltre supponevano che l'importazione di grano straniero avesse ad agevolare la nutrizione dei lavoratori e quindi a rendere sufficienti i salari; infine da una maggiore importazione straniera deducevano la probabilità di una maggiore esportazione di prodotti inglesi. L'asprezza dei contrasti sembrava non lasciasse sperare alcun ripiego, soprattutto dopo ché fu rigettata dal parlamento una modifiche piuttosto mite dei dazi, proposta dal ministero liberale nel 1841.

Dopo nuove elezioni, riuscite in tutto favorevoli ai tory, entrò in carica per la prima volta sotto la regina Vittoria un ministero davvero conservatore. Gli antichi nomi dei partiti dei tories e dei whigs troppo limitati dinanzi all'allargamento del diritto elettorale cominciarono di fatto a poco a poco a cedere terreno ai nomi dei partiti continentali.

Sir ROBERT PEEL fu lo statista, che dalla fiducia dei suoi amici tories era stato portato alla presidenza del gabinetto: un conservatore convinto, se ce ne fu mai, certo un buon tory, per quanto senza l'ostinata infatuazione della partigianeria, soprattutto un politico di razza, che pensava con la sua testa. Egli possedeva profondità di giudizio e coraggio di guardare in faccia i problemi urgenti sotto l'aspetto prevalente dell'interesse nazionale e di sostenerne la risoluzione con spirito realistico.
Senza dubbio il Peel intendeva difendere la rocca dei privilegi ereditari contro l'assalto dei novatori; ma nel corso di qualche anno riconobbe l'impossibilità di una continua negazione, e allora passò risolutamente a operare.

Il crescente buon successo del movimento contro la legge sui cereali entro e fuori del parlamento, l'eccitamento della pubblica opinione mediante la lunga agitazione, che si estendeva dai circoli da té ai comizi popolari, finalmente nel 1845 una cattiva raccolta, che era destinata ad acquistare nuovi seguaci al Cobden e compagni fra i lavoratori agricoli, furono altrettanti impulsi esteriori, mentre anche il cartismo stesso degli operai industriali si era lasciato attrarre a favorire l'abolizione dei dazi.

Già prima il Peel aveva dato, con l'introduzione di un'imposta sulle rendite, alle finanze una salda spina dorsale; poi, mediante nuove tariffe nel 1842 e 1845, aveva diminuito la maggior parte dei dazi, o in parte abrogati del tutto, specialmente quelli sulle materie prime e semilavorate, sebbene avesse lasciato un dazio protettivo moderato in favore delle colonie in opposizione al concetto del radicale Cobden, il quale avrebbe desiderato in generale spogliarsi delle colonie, e in ogni caso abrogare tutti i dazi protettorali.
Quindi si poteva parlare solo condizionatamente d'introduzione del libero scambio, tanto più che il Peel non pensava affatto a far sparire d'un tratto il dazio sul grano, quantunque di fronte alla malattia delle patate del 1845 in Irlanda e in alcune parti dell'Inghilterra fosse risoluto ad abbattere, un po' alla volta, ma definitivamente ogni monopolio.

Il suo atteggiamento da vero statista non fu però approvato dai suoi colleghi, che non osavano seguire la deviazione del loro capo dal programma del partito, sanzionato di nuovo nelle ultime elezioni. Il Peel per questo ostracismo si dimise dal suo ufficio.
Ma dopo che, preoccupato della maggioranza conservatrice della camera bassa, il capo dei liberali ebbe rifiutato quel posto, il Peel con un gabinetto alquanto modificato si accinse cavallerescamente al rischio di imporre, con l'aiuto dei libero-scambisti e dei liberali con lui consenzienti, alla maggioranza dei suoi compagni sempre mal disposti al sacrificio delle convinzioni e dei loro interessi.

Sebbene costoro, in grandissima parte, si assoggettassero all'inevitabile, solo dopo un'aspra lotta parlamentare la graduale abolizione dei dazi sul grano fino al 1849 divenne legge dello Stato (26 giugno 1846). Il Peel con il suo passaggio a una politica, moderatamente libero-scambista, passaggio compiuto con la più matura riflessione, guidò una delle evoluzioni più importanti, strappando da un precipizio la sua patria, che certo sarebbe andata incontro alla fame e probabilmente a disordini interni, dando con il suo contegno l'impulso più efficace alla trasformazione del partito tory in un partito conservatore veramente di governo, mentre additava al tempo stesso al grande possesso fondiario nuovi competi nell'economia nazionale.

Che valore abbia avuto par l' economia mondiale l'esempio dell'Inghilterra può mostrarlo soltanto la narrazione degli eventi futuri. Il Peel, cui l'Inghilterra deve anche la legge bancaria del 1844, si era nel 1846 gettato nel precipizio che si era aperto davanti al paese. Non per la prima volta, durante la sua carriera politica, egli si era accostato a un'opinione, in precedenza impugnata da lui; ma veramente per la prima volta con tutta intera la sua responsabilità personale.

Se alla vita costituzionale contemporanea dell'Inghilterra non è estraneo il concetto che un partito accolga e traduca in atto per il meglio della conciliazione un provvedimento sostenuto dal partito avverso, questo fenomeno non si concilia del tutto con l'esempio del 1846. La maggioranza conservatrice, rimasta senza il suo capo, aveva, è vero, ceduto, ma non c'era da supporre che i gentiluomini campagnoli irritati per la costrizione sofferta avrebbero prestato ancora i loro servizi al capo rinnegato.
Era per ciò prudente e patriottico che il Peel quasi immediatamente dopo il suo maggior trionfo si dimettesse. La eredità del potere fu assunta dal liberale lord < RUSSEL nel gabinetto del quale al Palmerston, il lord "tizzone", spettò di nuovo la direzione della politica estera.
Anche questo ministero non si trovò sur un letto di rose; ma proseguì gl'interessi d'una politica riformatrice conciliante. Così vennero sospese le antiquate leggi sulla navigazione (l'atto di navigazione fu abrogato soltanto nel 1849). Solo con l'appoggio dei conservatori maligni e contro l'opposizione dei liberoscambisti, che reputavano almeno necessario, al tempo stesso, una diminuzione dei salari, fu conseguita la riduzione della giornata di lavoro nelle fabbriche, innanzi tutto per le donne e per i fanciulli, a 10 ore.

Assai poco fu possibile ottenere per l'insegnamento popolare da parte dello Stato in mezzo al contrasto delle varie confessioni, mentre l'emancipazione degli ebrei naufragava nella Camera dei Signori. Le condizioni dell'Irlanda rimanevano ancora tutt'altro che soddisfacenti. Necessità finanziarie cagionarono una transitoria deviazione dalla legge bancaria. Ma questa ed altre cose apportarono allo spirito d'intraprendenza industriale dei Britanni così poco beneficio, come al sano svolgimento delle loro libere istituzioni.

Quando nell'anno 1848, per dirla col Macaulay, altrove, secondo l'opinione di fedeli amici del popolo, si trovavano in gioco così preziosi interessi che poté esser necessario «sacrificare la libertà per salvare la libertà», egli poteva vantare nella sua storia inglese che stava pubblicandosi: «Frattanto nella nostra isola il regolare andamento del Governo non è stato interrotto, neppure per un giorno».
Se nell'aprile di quell'anno, trascinati dagli eventi di Francia, i cartisti avevano mostrato la voglia di abbandonarsi a violente dimostrazioni, furono però tenuti a bada soltanto con lo spiegamento di forze spontanee, tratte dalle classi possidenti.
A questo esempio il continente non poteva contrapporre nulla di simile.

Riguardo alla politica estera di lord Palmerston nel 1848, della quale qui non si parla, ma lo faremo nel prossimo periodo storico, mi sia lecita un'osservazione. Il Palmerston si adoperò diplomaticamente per rafforzare il Piemonte di fronte alla Austria, ma fu pure insieme con la stampa nazionale favorevole alla pretesa innocente della Danimarca contro la Prussia. È necessario ricordare che non solo si deve tener conto di un nobile sentimento in favore del più debole in ambedue i casi, ma che l'astio commerciale contro la lega doganale prussiano-tedesca vi ebbe la sua buona parte?
A questa osservazione non può togliere valore l'indubbio interesse, che il principe consorte d'origine tedesca prendeva al risanamento costituzionale e nazionale della Germania. È assurdo rinfacciargli la mancanza di simpatie egemoniche per la Prussia.

A questo proposito non dobbiamo dimenticare quanto il mondo e soprattutto la Germania deve al popolo inglese per rispetto ad influssi teorici sia politico-costituzionali, sia economici. Anche se un uomo come Tommaso Carlyle è stato in quel decennio l'intermediario della vita spirituale tedesca in Inghilterra, è, d'altra parte, vero che allora l'Inghilterra era la parte che dava di più.

Se infine in quegli anni, che tutto vacillava, qualcosa può rendere evidentissima la fredda sicurezza del temperamento inglese, sono le più svariate tendenze dei profughi rappresentativi, ai quali il paese dava asilo; il principe di Prussia, Napoleone III, Luigi Filippo, il Guizot, il Metternich, il Mazzini, lo Herzen, il Freiligrath, il Kinkel e molti altri.

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