-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

170. LA SPEDIZIONE IN EGITTO - 1798-1801

 

I progetti di Napoleone, dopo la strepitosa campagna in Italia seguita dalla pace, non si fermarono il 17 ottobre 1797 a Campoformio con l'Austria, né erano nei suoi progetti di assumere la completa egemonia in Italia.
L'inghilterra restava in guerra con la Francia. La superiorità britannica sui mari escludeva ogni possibilità di attacco diretto da parte della Francia.
Bisognava quindi per piegarla e renderla inoffensiva, insidiare le vie commerciali britanniche, minacciando gli interessi inglesi nelle regioni che erano un po' il cuore dell'Impero britannico: attaccando prima l'Egitto, costituire qui un ponte per poi intervenire in India.
Napoleone seguitava a concepire piani geopolitici che erano molto simili a quelli dell'Impero Romano: seguitava a ripetere che chi avesse dominato il mar Mediterraneo avrebbe avuto in mano il mondo.

Come in ogni cosa, così anche nel suo odio contro l'Inghilterra Bonaparte fu la personificazione della nazione francese. Il suo primo combattimento fu rivolto contro gli Inglesi, come il suo ultimo; una baionetta inglese gl'inferse la sua prima ferita e nell'isola inglese di Sant'Elena gli inglesi lo misero nella doppia tomba, in quello dell'esilio e poi in quella vera e propria.

Dopo la campagna vittoriosa del 1796, scriveva a suo fratello: «Volgiamo tutta la nostra attività verso il mare, e distruggiamo l'Inghilterra; compiuto questo tutta l'Europa sarà ai nostri piedi».

Ma come raggiungere un nemico così ben armato e che dominava il mare? Rendeva possibile questo solo la via attraverso il Mediterraneo, che per l'Egitto conduce all'India. L'India era la più ricca delle colonie britanniche; il Mediterraneo era stato finora poco curato dagli Inglesi e la distanza così appariva minore. Inoltre l'acquisto dell'Egitto era da lungo tempo un desiderio silenzioso della Francia; si dominava difatti con i paesi del Nilo anche il commercio del Levante, e si poteva di là acquistare un'influenza diretta sulla Turchia e inoltre sull'Austria e sulla Russia, ed anche la possibilità di cacciare del tutto l'Inghilterra dal Mediterraneo.

Bonaparte aveva preparato cautamente l'impresa con l'occupazione dei porti italiani, principalmente di Venezia, di Livorno, di Ancona e poi con quelli delle Isole lonie. Ma nel tempo stesso l'apertura della questione orientale offriva infinite difficoltà e pericoli ed in genere serviva meno gli interessi della Francia che quelli del suo generale. A Parigi alcuni non erano in grado di concepire piani così vasti, non sapevano nemmero cos'era l'Egitto e l'India stessa. Conoscevano al massimo le Alpi, il Reno, qualche cosa sull'Austria.

In seguito alla pace di Campoformio Bonaparte si trovava in una cattiva situazione. Aveva stabilito la pace ma egli aveva bisogno invece di agitazione, di entusiasmi e di violenza per salire ancora più in alto. La tranquillità gli era fatale.
All'inizio tornando da trionfatore a Parigi dopo la sua campagna in Italia, aveva sperato per un istante di essere accolto nel governo, ma la cosa non ebbe seguito, perché egli appariva troppo pericoloso ai governanti. Gli si offrivano ora quindi soltanto due vie: o rovesciare il Direttorio o assumere un comando superiore.

Per la prima le cose non erano ancora mature, invece nella seconda si era in guerra con la Gran Brettagna. Bonaparte si fece dare quindi il comando dell'armata d'Inghilterra e con questo ottenne un gran potere e attrasse verso di sé gli occhi di tutti. Avrebbe preferito sbarcare sulla costa nemica, ma essendo questo impossibile si gettò nella campagna egiziana.

Sperava di finirla rapidamente e nel frattempo promuovere sulla costa settentrionale della Francia la costruzione di navi e gli armamenti in modo da potere in autunno andare a cercare nella sua stessa isola il superbo nemico.
Se l'impresa falliva - dicevano al Direttorio - le Potenze interessate in Oriente si potevano forse invogliarle con delle usurpazioni di ogni genere a prendere le armi ma anche allora si avrebbe avuto bisogno del generale vittorioso da mandare in quelle parti.

D'altra parte il Direttorio era ben contento di potere allontanare un emulo incomodo e acconsentì di buon grado ai suoi piani.
Bonaparte desiderava che la vittoria gli fosse assicurata e perciò raccolse un esercito di 38.000 soldati scelti, guidato dai migliori ufficiali, provvisto di un abbondante ed eccellente materiale di guerra. Si arruolò perfino uno stato maggiore di dotti, di artisti e di ingegneri. Talleyrand si recò a Costantinopoli per mantenere con la Porta sentimenti pacifici.

Il 19 aprile 1798 Bonaparte lasciò segretamente Tolone e lungo il percorso gli si unirono le truppe raccolte nei porti italiani. Aveva il comando supremo delle forze di terra e di mare; le ultime consistevano in 13 vascelli di linea, 6 fregate e 300 navi da carico sotto l'ammiraglio Brueys.
Il 9 giugno la flotta comparve dinanzi a Malta, allora in posesso dall'Ordine di S. Giovanni, e dopo pochi giorni costrinse l'isola ad arrendersi. Procedette poi verso Alessandria. Bonaparte arrivò dinanzi a questa città il 1° luglio 1798. Sbarcò subito a terra le sue truppe ed assalì le mura piuttosto mal difese.


Cercò di attenuare la cattiva impressione di questa arbitraria violazione del diritto delle genti con un proclama nel quale diceva di esser venuto a liberare il popolo egiziano dal giogo dei Mammalucchi; affermava inoltre che tutti gli uomini erano uguali dinanzi a Dio, che Dio era uno e uno solo, e che lui e i suoi soldati erano quindi buoni Musulmani. Il 7 luglio si mise già in marcia verso il Cairo.

La fortuna aveva favorito la sua temerità. Agli Inglesi non erano sfuggiti i poderosi armamenti di Tolone. Certo non conoscevano il loro scopo; mandarono però là per sicurezza una flotta sotto l'ammiraglio Nelson. Appena questi fu giunto davanti a Tolone una terribile tempesta lo costrinse ad entrare con forti avarie in un lontano porto di rifugio. La medesima tempesta offrì ai Francesi l'occasione di prendere il mare inosservati.

Quando Nelson comparve di nuovo davanti a Tolone si accorse di quanto era avvenuto. Con un giusto presentimento fiutò in Alessandria la meta del nemico e vi accorse facendo forza di vele. Vi arrivò il 28 giugno - ma il porto era vuoto. Senza arrestarsi si affretta verso l'Asia Minore, poi verso Siracusa e le isole greche. Qui riceve sicure notizie. Ritorna di nuovo ad Alessandria dove il tricolore sventola già sulle mura.
Nella sua prima traversata Nelson aveva preceduto sulle coste egiziane quelli che andava inseguendo. Ma anche questa volta non si vedeva in alcun luogo la flotta francese. Per non essere bloccato Brueys aveva condotto le navi verso il seno di Abukir e le aveva fatte ancorare una dietro l'altra lungo la spiaggia, con un fondo di nove metri. Fu qui ben presto scoperto dal Nelson. Il suo occhio d'aquila scorse in Nu il punto tattico.

Il vento a Nu era favorevole; occorreva assalire l'ala sinistra e il centro del nemico con forze superiori e non curarsi per dir così del resto della flotta. Avanti dunque ! La notte era vicina. Una parte degli inglesi si volse lungo la riva dal lato interno della linea nemica, l'altra le si pose avanti dal lato esterno. Si accese una lotta micidiale. I Francesi sorpresi si difesero disperatamente. Poi la loro nave ammiraglia l' Oriente colpita prese fuoco e saltò in aria.
Quando il giorno spuntò si combatteva ancora. Scamparono soltanto due vascelli di linea e due fregate francesi, ma anche gli Inglesi avevano terribilmente sofferto. La battaglia di Abukir infranse i piani di Bonaparte. Il nemico era padrone del mare; l'esercito francese era tagliato fuori dalla sua base e la grande impresa era divenuta da quel momento un'avventura.

L'Europa si mise in movimento; spinta dalla Russia e dall'Austria la Porta dichiarò la guerra alla Repubblica; una flotta russa tolse ai Francesi le Isole lonie e ben presto si formò una nuova coalizione di alleanza contro la Francia.

L'Egitto si trovava allora sotto il dominio dei Mammalucchi. Questi non erano un popolo, ma una casta guerriera permanente, che per lo più s'integrava per mezzo di schiavi circassi. Contava circa 10.000 esperti cavalieri, uomini valorosi e fanatici, ma in nessun modo pari ai Francesi sotto l'aspetto militare. Se per questo riguardo le cose erano favorevoli, si doveva poi accorgersi che i più pericolosi difensori del paese non erano essi, ma invece i deserti, l'ardore del sole, la penuria e le malattie infettive.

I Francesi cominciarono la loro marcia sul Cairo con la testa piena di fiabe e di sogni fantastici, che però troppo presto si dileguarono. L'andare attraverso le sabbie roventi era cosa terribile e i suoi pericoli furono accresciuti dagli attacchi degli agili cavalieri nemici. Finalmente si scorsero le Piramidi. Allora giunsero di galoppo le schiere principali dei Mammalucchi del Basso Egitto; furono respinte dai quadrati dei Francesi e i vincitori della famosa "Battaglia delle Piramidi" occuparono la capitale.
Bonaparte mise mano al governo del paese, come se già ne fosse il padrone; col rigore cercò di spaventare, con parole ipocrite e con un governo ragionevole procurò di guadagnarsi l'animo degli indigeni arabi e copti. Però non poté dissipare la diffidenza e l'odio dei locali verso lo straniero invasore.

Quando poi corse voce che il Sultano aveva proclamato la guerra santa e che le sue truppe erano già in marcia per liberare l'Egitto si scatenò al Cairo alla fine d'ottobre una furiosa insurrezione. Questa fu certo repressa nel sangue, ma la situazione rimase tesa e pericolosa. Gli abitanti del Basso Egitto mordevano il freno, mentre l'Alto Egitto era sottomesso da Desaix. Nuovi pericoli si avvicinavano.

La Porta raccoglieva un esercito in Siria e un altro a Rodi per prendere l'Egitto tra due fuochi. Tuttavia Bonaparte la prevenne, conquistò El Arisch, Gaza e Jaffa, fece massacrare duemila prigionieri di guerra inermi e avanzò fin davanti a S. Giovanni d'Acri (Akkon). Qui urtò in una ostinata resistenza sostenuta dagli Inglesi; tutti gli attacchi fallirono.
Si avvicinava allora per liberare la città uno degli eserciti turchi. Bonaparte gli si gettò contro e lo battè al monte Tabor; ma S. Giovanni rimaneva inespugnabile. Per non incorrere in altre perdite i Francesi dovettero ritornare in Egitto. Di nuovo attraverso gli orrori del deserto molestati dal nemico, esausti e cupi si trascinavano nella ritirata con gravi perdite. Fu una spedizione che poteva passare per un preludio di quella, che più tardi avvenne attraverso i campi ghiacciati della Russia.

Finalmente alla metà di giugno si raggiunse il Cairo; dei 13.000 uomini, con i quali Bonaparte era partito, ne riportava indietro soltanto 8.000 affaticati e ammalati. Ciononostante si avvicinava il momento di chiedere ai soldati nuovi sacrifici. L' 11 giugno sbarcò il secondo esercito dei Turchi presso Abukir dove occupò una forte posizione sopra una stretta lingua di terra. Con rapida decisione Bonaparte irruppe sopra di loro, ne fece strage, li fece prigionieri o li gettò in mare.

Poteva superbamente narrare: «dell'armata nemica nemmeno un uomo é scampato». Si era così procurato una splendida partenza, poiché aveva deciso di lasciare l'Egitto e di ritornarsene in Europa, dove intanto le cose avevano preso una piega piuttosto a lui favorevole. Fece segretamente armare due fregate e riuscì a mettersi in salvo con una fuga avventurosa lungo le coste africane.

Bonaparte in Egitto ha svelato tuttavia pienamente il suo carattere: un egoismo illimitato, geniale, che si spingeva fino ad essere sovrumano; si sente un essere superiore eletto dal destino e ogni altrui resistenza é per lui un delitto capitale. Perciò sta al di là del bene e del male e non conosce alcuna legge morale né coscienza né onore, ma il suo potere non può mai offuscarlo né mai lo abbandona il senno.
In guerra, nel governo, nel dominio delle moltitudini e di sé stesso e col coraggio, che mai gli manca, compie gesta straordinarie. Però egli distrugge come un predatore, in piena pace reca ad un paese una frivola guerra, si comporta con maggiore violenza e crudeltà di un despota orientale, senza compassione, senza pietà per il destino delle migliaia di vite umane.
E quando l'Egitto e l'esercito hanno fatto il loro dovere per questo titano dell'egoismo, quando il suo vantaggio lo chiama in Francia, li lascia in asso senza scrupoli. Periscano pure, purché egli salga in alto.

Prima della sua partenza dette il comando supremo a Kleber, il più abile dei suoi generali. A lui lasciò un compito estremamente difficile. Le casse erano vuote, il soldo arretrato saliva a più di 3 milioni di franchi e il bilancio aveva un deficit di 11. Inoltre non vi era alcuna speranza di miglioramento all'interno, e nessuna speranza di una liberazione dall'esterno. Kleber fu quindi contento di ottenere dalla Turchia un accordo (24 gennaio 1800) secondo il quale i Francesi potevano lasciare l'Egitto indisturbati.

Ma gli Inglesi si opposero; Kleber prese le armi e batte i Turchi ad Eliopoli, tuttavia il 14 giugno (nello stesso giorno di Marengo) dovette soccombere sotto il pugnale di un musulmano fanatico. Il suo successore, il generale Menou, poté ancora meno di lui dominare le avverse circostanze. Nel marzo 1800 gli Inglesi sbarcarono nel golfo di Abukir, batterono il Menou, lo respinsero verso Alessandria, marciarono sul Cairo e lo costrinsero ad arrendersi. Dei 9000 uomini della sua guarnigione 4000 erano ammalati. Cadde poi anche Alessandria con il resto dell'esercito.

Il 2 settembre Menou concluse un patto in seguito al quale doveva cedere il paese del Nilo e imbarcarsi verso la Francia con le sue truppe, 10.500 uomini sopra navi inglesi.

Il paese cadde poi nella totale anarchia; in quella dei Pascià. Dal 1800 al 1806 le vecchie e nuove caste diedero inizio a scontri e intrighi con un susseguirsi di reciproci assassinii e stermini per la lotta al potere. Fin quando la Gran Porta scelse l'uomo giusto per governare dall'anno 1806 al 1849 con una serie di Pascià.

Per questa avventura egiziana la Francia ha molto perduto, ma Bonaparte ha guadagnato molto di più. Essa aumentò la sua gloria, lo sollevò al disopra di ogni mediocrità, gli concesse una specie di aureola fantastica e finì coll'additarlo come l'uomo dell'avvenire. Un altro fortunato destino lo attendeva a Marengo

Da parte dei suoi nemici, si era accresciuta la rivalità commerciale e coloniale dell'Inghilterra. Il ministro Pitt si dedicò attivamente agli affari del Mediterraneo e dell'India e per non avere più future sorprese in quel mondo coloniale che era già come territorio cento volte la sua stessa isola, spinse le altre Potenze a concludere una nuova coalizione contro l'ascesa della Francia.

Ma da quando Napoleone era partito per l'Egitto
in Europa cos'era accaduto ?


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