-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

182. LA GUERRA NAPOLEONICA IN RUSSIA

Come fu possibile che Napoleone volle rivolgere le armi contro Alessandro? Eppure, prima ancora che terminasse la rovinosa guerra in Spagna, Napoleone pensava già di rivolgersi contro la Russia.

Ma cos'era accaduto? E la pace di Tilsit del 1807 e di Erfurt che univa Napoleone e Alessandro contro l'inghilterra?
Tilsit fu tutta apparenza: abbracci, cavalcate, spettacoli e promesse: in realtà fu un grande malinteso.
Tilsitt costrinse Alessandro solo a seguire il grande piano che lui, Napoleone, aveva in mente ?
Lo storico Sorel disse che il Trattato di Tilsit, non era altro che "un simulacro: l'alleanza si riduceva al foglio di carta sul quale c'erano dei bei caratteri, i sigilli e le due firme degli imperatori". Ciampini scrisse più tardi: "Contro l'alleanza stavano tutte le realtà della politica, della geografia, della storia; le profonde diversità dei due popoli, il Granducato di Varsavia che era una frontiera alzata contro la Russia, il blocco continentale così contrario agli interesse politici ed economici russi, infine la Turchia che Alessandro vuole smembrare e invece Napoleone vuole mantenere (per se', tutta per se')".

E che valore assume la lettera che Napoleone inviò il 2 febbraio del 1808? 
Napoleone prospetta ad Alessandro la possibilità di una spartizione dell'Europa (alla Russia il settentrione e l'oriente, alla Francia il mezzogiorno e l'occidente), una spedizione comune su Costantinopoli, e di là poi verso l'India degli inglesi. Nella sua lettera è molto chiaro: "Vostra Maestà e io avremmo preferito le dolcezze della pace, e di poter passare la nostra vita in mezzo ai nostri vasti imperi, occupati a vivificarli e a renderli felici per mezzo delle arti e di una amministrazione benefica: i nemici del mondo non lo vogliono, bisogna essere più grandi nostro malgrado. E' saggio e politico fare ciò che il destino comanda, e andare dove ci porta la spinta irresistibile degli eventi. Allora questa nube di pigmei, i quali non vogliono vedere che gli eventi attuali sono tali che bisogna cercarne il confronto nella storia e non nelle gazzette del secolo passato, si piegheranno e seguiranno il movimento che Vostra Maestà e io avremo ordinato, e i popoli saranno lieti nella gloria, delle ricchezze, della fortuna, ecc......".

Spedizione contro le Indie? forse: ma non certo una spartizione della Turchia con una Costantinopoli russa.

Troppe testimonianze abbiamo della volontà di Napoleone. Forse egli voleva soltanto lusingare la vanità di Alessandro; forse dargli parole invece di risultati concreti; forse distogliere la sua attenzione da problemi più urgenti, portandola su orizzonti più vasti. Certo non voleva dargli le porte del Mediterraneo: e il progetto di spartizione rimase sulla carta, e non andò più in là di formule vaghe e generiche.
Altrettanto quelle del blocco. Pensando sempre a oriente Napoleone trascurò il blocco in occidente.

Leggiamo lo storico Geoffrey Bruun in Cambridge University Modern History "L'idea di Napoleone di costituire un "blocco continentale" per impedire all'Inghilterra gli sbocchi al commercio non era nuova. Dopo le clausole segrete a Tilsitt di aiutare Alessandro a liberarsi dei turchi, Napoleone ottenne dallo zar la promessa di dichiarare guerra (militare se occorreva o più semplicemente commerciale) all'Inghilterra, e quindi il suo piano -quello del blocco- iniziò ad attuarlo.
Purtroppo il blocco non raggiunse gli obiettivi che ci si era proposti e spinse poi Napoleone a prendere (ma in ritardo) decisioni sbagliate. Alcuni storici hanno affermato che "era un piano inattuabile", dimostrando che Napoleone in materia economica non era un competente. Lo storico Franzois Crouzet invece nel fare l'analisi più completa tentata finora è giunto alla conclusione che "il blocco non era affatto inattuabile: esso fallì non perchè il modo in cui era stato concepito fosse errato, ma perchè non fu mai applicato abbastanza a lungo e con sufficienza coerenza per essere davvero efficace".
Gli Inglesi scorazzavano sul Baltico perché c'era una Russia non abbastanza forte da poterlo impedire? Non è proprio così.

Napoleone dopo il successo a Wangram, l'entrata a Vienna, seguite dalle feste nuziali, iniziò a commettere alcuni errori politici che amareggiarono e crearono molti sospetti ad Alessandro che si preparò subito al peggio e con rapidità e senso realistico analizzò alcuni punti:

a) Della promessa spartizione della Turchia Napoleone non ne fece più niente; b) La Polonia era nuovamente inquieta e delusa; c) la nomina di Bernadotte a erede del trono di Svezia iniziò a preoccupare lo zar; d) Il matrimonio combinato da Metternich lo mise in grande allarme; e) Vide annettere i domini di Oldemburgo alla Francia senza essere nemmeno consultato; f) Napoleone aveva deciso di impossessarsi di tutta la costa dall'Olanda al Baltico che provocarono altre proteste di Alessandro per la violazione del trattato di Tilsit.
A questo punto - o per vendetta, o per prudenza, o per calcolo - gli inglesi potevano un domani essere utili - lo zar stesso iniziò a violare i patti. Nei porti russi si vietava l'ingresso dei mercantili inglesi, però non si impedivano di fare commerci a quelli battenti bandiera neutrale (dopo un po' gli inglesi naturalmente usarono solo più questi e ripresero a prosperare).

Era questo del resto (oltre quello politico) un sistema ombra per non rinunciare a incassare lo zar i lucrosi introiti doganali inglesi; si arrivò fino al punto che per favorire gli inglesi "ombra", la Russia aumentò le tariffe delle merci francesi inviate via terra. Altro che patti! Così agendo Alessandro non solo rinvigoriva le finanze inglesi in gravissima crisi, ma indeboliva quelle Francesi. Eppure Napoleone non prese in considerazione questi rancori e queste sfiducie dell'alleato; né vide che si stava allontanando dopo aver ricevuto da lui solo illusioni. A Napoleone fu fatale questo atteggiamento dello zar e ancora più fatale non averle considerate. La sua rovina inizia proprio qui. (ce lo conferma lui nelle sue memorie). Tutto quello che accadrà dopo è solo un corollario e trattandosi non di un qualsiasi Belgio, Olanda, Italia, ma di un Paese enorme come la Russia, le probabilità di un suo successo erano molto ma molto scarse.

Finora Napoleone aveva combattuto contro dei governi, ma ora si stanno formando e dovrà combattere contro delle nazioni, in una coalizione che non assomiglia in nulla alle altre quattro che l'hanno preceduta. Sono nazioni forti non ancora nate all'indomani della pace di Tilsit, ma i prussiani e gli austriaci temprati dalle sconfitte, cominciarono fin d'allora a prepararsi a una guerra di liberazione; e cercavano alleati delusi da Napoleone: e chi meglio dello zar!.

Un allarmante segnale Napoleone l'aveva già ricevuto. Nel 1808 mentre si assentava per correre a soffocare la rivolta in Spagna, rientrato poi a Parigi venne a sapere da alcune malelingue che gli austriaci si stavano preparando alla guerra contro di lui dopo che Alessandro aveva fatto delle promesse segrete all'Austria.  Stava dunque lo zar stracciando il trattato di Tilsit con un tradimento?
Bonaparte come sappiamo decise di affrontare ugualmente gli austriaci nella primavera dell'anno dopo.
Non vedendo i russi intervenire era già qualcosa, allontanavano le voci delle malelingue, ma nell'ansia, nelle difficoltà (gli austriaci non erano più quelli del 1796 e gli crearono qualche problema) Napoleone non può fare a meno di inviare un amaro messaggio ad Alessandro "Dunque, il risultato della nostra alleanza sarà che io dovrò affrontare tutta l'Austria da solo?" .

Ansioso attese risposte che non arrivarono. Certo, alcune divisioni russe si muovevano ma con una lentezza incredibile; e non arriveranno mai sul teatro delle operazioni. Con i fidi generali Napoleone fa delle constatazioni amare e dolorose, e indicando la Russia "Non è un'alleanza che ho là... si sono tutti dati un appuntamento sulla mia tomba....".

Alessandro tuttavia non si è schierato con l'Austria come dicevano le malelingue, ma non ha fatto nulla per favorire Napoleone. Indubbiamente è rimasto alla finestra a guardare chi avrebbe vinto per poi decidere con chi stare.
Napoleone ancor più amareggiato invierà una accorata lettera all'ambasciatore francese a Pietroburgo. E' una delle sue lettere più dolorose, una lettera che esprime la sua stanchezza e la sua delusione; il cuore di Napoleone è profondamente ferito.
Napoleone non ha più fiducia. L'alleanza russa è ormai morta. Questo lo ha ormai capito, e non è il solo: tutto il resto d'Europa rimase prima del suo successo a Wagram col fiato sospeso. Che sviluppi ci sarebbero stati se Napoleone in Austria avesse perso?

Poi il 5 luglio la vittoria a Wagran, raddrizza di colpo la fortuna di Napoleone. Entrò a Vienna, poi seguì la Pace di Schoenbrunn. Ma questa vittoria fece nascere altri più grossi problemi, fu accolta dagli avversari di tutta Europa, come l'annunzio di una grave sventura; perchè Napoleone aveva fatto tutto da solo, senza ottenere l'aiuto della Russia. "Ora è Vincitore, sottometterà la grande Austria, la farà entrare per forza nel suo sistema, e avrà via libera al resto dell'Europa; iniziando forse proprio contro la Russia che non ha mantenuto i patti". 

Questo si dissero in molti. E questo pensò il futuro cancelliere austriaco "perchè allora non aiutare Napoleone e poi alla prima scivolata voltargli le spalle?". Non si sbagliava né lui né gli altri, perchè proprio all'invasione della Russia stava pensando Napoleone, e alle spalle aveva bisogno di una copertura. E chi meglio dell'Austria poteva farlo?
Napoleone ha tuttavia corso troppi pericoli e ha bisogno di una pausa di pace; inoltre è proprio convinto di avere sconfitto gli austriaci per sempre. Talmente convinto da imparentarsi con gli Asburgo sposando Maria Luisa.
A Schoenbrunn è spuntato fuori un personaggio diabolico: il nuovo cancelliere Metternich. Che combina il matrimonio del "plebeo" con la principessa di nobile casata, figlia dell'Imperatore, e lo fa tramando fin dal primo istante.

Infatti, Metternich vuole temporeggiare perchè bisogna per prima cosa riorganizzarsi; poi perchè già in Germania sotto i funzionari francesi qua e là iniziano a scoppiare insurrezioni locali; la Confederazione del Reno è anch'essa in fermento; la Prussia è scossa dalle imposte riforme francesi e vorrebbe ritornare ad essere una grande nazione; e non ultimo problema per Napoleone è la sua politica contro il Pontefice e anche se l'imperatore ha sempre manifestato l'intenzione di colpire solo il potere temporale, sottovaluta quelle formidabili resistenze del sentimento religioso che in Italia, in Austria e in Germania ci sono.
Per Metternich sono tutte cose utili ma devono maturare; spingerle a maturare occorre però tempo.

Napoleone a Vienna è dunque forte ma ha corso pericoli; vuole la pace ma non vuole far capire che ha fretta (infatti le trattative di pace saranno lunghe). Ogni tanto minaccia di separare l'Austria in tre corone, ma ogni tanto lascia anche capire che ha bisogno di un alleato sicuro, di "un imperatore di buona fede" dal quale ci si possa fidare e che sappia essergli grato. Metternich il diabolico, fa finta di abboccare al suo amo, raccoglie gli accenni, e concepisce il piano che gli riuscirà benissimo: sostituire Alessandro nell'alleanza, per acquistarsi la fiducia di Napoleone, che sarà poi facile abbandonare nel momento della crisi che egli già spera e prevede immancabile, portandolo alla rovina.

Dopo Wagran e dopo il matrimonio di Napoleone con Luisa, l''alleanza franco-russa nel 1811 si è dunque infranta del tutto; e quello che temeva Alessandro, puntualmente nel 1812 accadde: il 12 marzo Napoleone conclude un trattato di alleanza con l'Austria e ottiene 60.000 soldati per invadere con gli altri suoi 540.000 la Russia.
E a sua volta Alessandro firmò la pace con l'Inghilterra della quale divenne alleato, ed inoltre strinse un accordo con gli insorti spagnoli che stavano dando filo da torcere ai francesi. Bisognava tenerli impegnati su due fronti i francesi e la sua (ora) nuova alleata, con Wellington in Spagna ci stava riuscendo benissimo.

Ripercorriamo meglio alcune tappe che precedono il grande scontro, iniziando proprio dallo zar.
Il 34 enne imperatore ALESSANDRO (1777-1825) era pieno d'ingegno, ma gli mancavano chiarezza e costanza d'idee. La Harpe, che lo aveva educato nella sua giovinezza lo aveva imbottito di filosofia illuministica del secolo XVIII, mentre ora gli stava attorno da ogni parte uno stato militare ed assoluto, che trovava il suo principale rappresentante in Alessio Araktscheieff, uomo volgare e brutale.
Così nell'animo dello zar la propensione teorica al liberalismo poteva accoppiarsi ad una ostinata autocrazia. Lui provò a fare delle riforme, ma senza andare a fondo, e conferì al suo governo un aspetto solo esteriore di liberalismo, senza andare più oltre.
Continuavano così a sussistere un governo corruttore e corrotto e con la enorme servitù della popolazione contadina. Nell'estate del 1807 cominciò l'influenza francese, malvista dalla nazione; ma lo zar riconosceva la grande superiorità dell'assolutismo moderno napoleonico su quello tradizionale russo, il vantaggio dell'ordine di fronte al capriccio e all'inconsideratezza. Per questo s'impegnò con molto zelo di emulare il suo grande modello e ordinò a Michele Speranskij di elaborare una legislazione secondo il modello francese.

Tuttavia questi sforzi dell'imperatore non durarono a lungo; istituì soltanto un Consiglio di Stato burocratico; del resto era più propenso alla politica estera, a capo della quale stava un suo amico di gioventù, il polacco principe Czartoryski. Questi all'inizio manifestò idee panslavistiche; egli desiderava l'unione di tutti i popoli slavi, il ristabilimento della Polonia e l'ingrandimento della Russia a spese della Turchia.
Si venne per questo proposito a trattative con Napoleone, che però non desiderava affatto una estensione troppo grande dell'impero degli zar. Questo suscitava del malumore a Pietroburgo. Frattanto la Russia fino dar 1806 era in guerra con la Porta e le imponeva poi nel 1812 la pace di Bukarest, che fissò il confine al Pruth.

Dall'altra parte i Polacchi speravano da Napoleone la loro liberazione. Ma per lui la Polonia era soltanto un pezzo nel gioco di scacchi della politica, mentre Alessandro temeva per le sue province occidentali. Una tale situazione nel gennaio del 1810 condusse ad un compromesso fra i due sovrani, in forza del quale non doveva esser mai ristabilito un regno di Polonia. Questo ridiede vigore alla loro amicizia, Napoleone aspirò perfino alla mano della granduchessa Anna, sorella dello zar.
Avendo poi dopo Wagram davanti a sè tutta una nuova situazione, il matrimonio lo fece con la figlia dell'imperatore Francesco d'Austria. Questa unione raffreddarono le relazioni dei due alleati franco-russi.
Per anticipare alcune riforme di Napoleone presso i Polacchi, Alessandro nel 1811 fece a questi promesse di voler restaurare il loro regno, con la premessa che lui stesso sarebbe diventato il loro re.

Naturalmente Napoleone venne a sapere queste sue intenzioni e non aveva alcuna intenzione di permettere la realizzazione di simili suoi piani.
Si aggiunga a queste intenzioni di Alessandro la circostanza che il blocco continentale gravava fortemente sulla Russia, senza arrecarle alcun vantaggio; il commercio languiva e scendevano il corso dei suoi titoli. E mentre la Russia si sarebbe volentieri liberata dal blocco, Napoleone desiderava invece di accrescerne l'efficacia, e proprio questo fine annetteva al suo impero la costa della Germania settentrionale nel Mare del Nord, compresa Lubecca.
Di conseguenza andava ancora più vicino alla Russia. Fra i danneggiati si trovava il duca d'Oldenburgo, parente dello zar. Alessandro fece delle obiezioni, e permise l'arrivo nei suoi porti alle navi neutrali, anche se portavano merci inglesi, mentre su alcuni prodotti francesi imponeva un dazio proibitivo.

Le reciproche note diplomatiche erano sempre più eccitate nel tono, si rafforzavano le fortificazioni di frontiera, ed ognuno rimproverava all'altro di spingere gli animi ad una guerra.
In realtà una decisione fatta con le armi tra la Francia e Russia era la conseguenza naturale della politica napoleonica di conquista. Non vi era spazio per due grandi potenze nell'impero mondiale nella mente di Napoleone, e se qualcuno gli avesse intralciato i suoi piani era pronto all'idea di una guerra. Ma fino all'estate del 1810 anche Alessandro viveva nella persuasione che si doveva giungere ad una rottura con il suo alleato. Non sappiamo cos'era in lui più dominante, se la gelosia delle sue vittorie, il mancato commercio, il rancore per il mancato matrimonio di sua sorella con lui, la rabbia nel vederlo sposare la figlia dell'imperatore austriaco: che non era un banale matrimonio, ma una unione di due potenze, piuttosto pericolose per la Russia.

Nella primavera del 1811 aveva quasi l'intenzione di assalire lui per primo Napoleone. Per rendere popolare la guerra sostituì allo Speranskij un uomo di sentimenti russi di antico stampo. Tutto il suo essere cominciò a trasformarsi; divenne mistico e superstizioso. Napoleone gli apparve come un genio diabolico e lui credette di essere assisitito dalla provvidenza per abbatterlo.

Da ogni parte si cercavano alleati. Così a Berlino come a Vienna si odiava l'Imperatore francese, ma questi sapeva rendere la posizione della Prussia così disperata da non restarle altro scelta che una piena sottomissione. Il 24 febbraio la Prussia concluse con la Francia un trattato di alleanza difensiva ed offensiva, in cui prometteva di concedere all'esercito imperiale libero passaggio nel suo territorio e di fornire e mantenere 20.000 uomini di truppe ausiliarie. La via della Russia era aperta.
Ancor meglio riuscirono i trattati con l'Austria, che dovette promettere 60.000 uomini, i quali però dovevano formare un corpo separato meridionale. Le due potenze anche se rimasero segretamente alleate dello zar, misero tutta la forza combattente nazionale a disposizione del Corso.

Da ogni parte si muovevano verso oriente i corpi dei vari eserciti dell'Europa centrale. Napoleone lasciò Parigi e tenne a Varsavia una specie di splendida assemblea, dove i principi della Confederazione del Reno, il re di Prussia e l'imperatore d'Austria gli si affollavano intorno.
Seguirono feste stupende; nel teatro si rappresentò un tempio del sole con l'inscrizione: «Il sole è meno grande e splendente di Lui». Napoleone pareva stesse all'apice della sua fortuna. Fu amabile con tutti e si congedò commosso da tutti con altrettanta affabilità.

Con singolare previdenza il grande maestro di guerra fin dall'inizio del 1811 aveva fatto i suoi preparativi e - come era solito fare, senza far rumore - raccolto un esercito di circa 600.000 uomini. Di questa «Grande Armata» più di 450.000 varcarono i confini russi, e a questi seguirono altri 140.000 uomini di rinforzi.

Era un esercito interminabile con oltre 1000 cannoni e tutte le provviste occorrenti. Ma se le forze combattenti di Napoleone superavano in numero tutte le precedenti, non erano altrettanto pari al loro valore. Anche lui, il "Cesare" supremo era cambiato e non in meglio; era divenuto corpulento, la sua salute non era più ottima e molte altre cose intorbidavano il suo sguardo. Aveva inoltre plasmato ogni cosa secondo la sua persona, senza peraltro poter dominare il carico di responsabilità infinitamente aumentate.

Non concepì un vero e proprio piano di guerra; sperava fin dall'inizio di distruggere il nemico subito con alcuni gravi e improvvisi colpi. Il suo spirito vagava assai lontano, verso Mosca, verso le Indie. Così lontano che ha fatto un naufragio vicino. Quando non riuscì a vincere i Russi non lontano dalla frontiera, s'inoltrò fino a Mosca.
La campagna era stata nel solito modo concepita: una marcia sulla capitale, per infliggere alla Russia un colpo al cuore. Ma la Russia non era adatta a questa forma di guerra, e il calcolo errato di Napoleone divenne una delle cause principali dello sfacelo.

Tuttavia anche nelle truppe russe le cose erano ancora più inquietanti. Il disordine era grande, mancava un comandante capace. Perciò Alessandro prese personalmente il comando supremo ed elesse suo consigliere il generale von Pfuel, teorico privo di esperienza. Volle questi imitare il metodo difensivo, adoperato con successo così felice da Wellington in Portogallo: devastare il paese e poi ritirarsi combattendo fino al campo fortificato di Drissa sulla Duna, che doveva divenire la Torres Vedras della Russia.
Si costituirono due armate una sotto Barklay e una sotto Bagration, mentre una terza si teneva in riserva.

Dalla parte dei Francesi l'esercito principale con Napoleone al comando formava il centro, Macdonald comandava l'ala sinistra con i Prussiani, il generale imperiale Schwarzenber l'ala destra con gli Austriaci.

Il 23 giugno, dopo qualche ritardo la grande armata iniziò a muoversi, il giorno dopo, il 24, varcò il fiume Niemen per affrontare e sbaragliare le difese russe per poi marciare in avanti nella sterminata Russia.
Ma Bagration non si lasciò sorprendere, non ebbe grandi perdite, e seguitando a comattere come nei piani arretrò fino al campo fortificato di Drissa, che però si dimostrò essere una posizione insostenibile; i due eserciti russi dovettero ancora arretrare cedendo sempre più terreno; a quel punto per necessità adottarono la strategia che andava declamando Pfuel, quello di attirarsi dietro di sè il nemico, senza mai accettare una battaglia decisiva.

Quando il 28 luglio Napoleone conquista Witebsk, è già in ritardo e la meta é ancora lontana! La distanza coperta é già enorme, animali e uomini sono già sfiancati, i convogli di viveri tardano o sono già vuoti, e le requisizioni, infine i saccheggi procurano quasi nulla perchè i russi hanno svuotato tutti i magazzini di viveri, portato via tutti gli animali, bruciato tutti i fienili. La tecnica non è nuova, era già accaduto nel 1709 alla famosa BATTAGLIA DI POLTAVA di Pietro il Grande.

Con questa tecnica ( che poi adotterà 150 anni dopo anche Stalin con Hitler) tutta quella marea di uomini s'inoltrarono e sprofondarono dentro l'immenso impero, e se qualche volta erano impegnati lo erano solo in piccoli scontri, una specie di guerriglia che implacabilmente conducevano i partigiani.

L'esercito napoleonico a causa del grande caldo dell'estate e mancanza di vettovaglie cominciò terribilmente a soffrire. Lo scoraggiamento e il disordine si andavano diffondendo; a Witebsk divenne ancora più critico per altre due settimane, poiché 100.000 uomini si erano già sbandati.
Lo zar nel frattempo, lasciato il comando, era corso a Mosca a radunare i popoli alla guerra santa; la stessa chiesa si dava da fare accendendo il fanatismo dei contadini, i quali, dov'era possibile, lungo il tragitto arrecavano danni ai nemici.

La situazione diveniva così critica per Napoleone che si poté discutere se era il caso di rimandare la campagna all'anno successivo. Questo partito del ritiro offriva però molti pericoli e delle grandi difficoltà; si continuò verso Smolensk. Qui si venne a battaglia con Barclay; ma di nuovo il Russo riuscì a sfuggire e la popolazione abbandonati i propri paesi dopo aver incendiato ogni cosa utile al nemico, lo seguiva agitata, interrompendo di quando in quando la sua marcia per fare modesti combattimenti e più che utili venivano fatti solo per farsi inseguire, sempre più dentro nella sterminata pianura.

L'esercito napoleonico pur senza tante gravi perdite, si andava sparpagliando, mentre il grosso era appena capace di condurre a termine l'impresa. La ritirata del nemico si fece più lenta. Barclay poteva appena tenere in freno la collera delle sue truppe. Troppo tardi si decise ad una grande battaglia. I vertici lo misero da parte mettendo a capo dell'esercito un Russo di nascita, Kutuzov, che aveva già comandato ad Austerlitz.
Kutuzov aveva allora 67 anni; era troppo vecchio per essere all'altezza di un Napoleone ed era in genere piuttosto un uomo scaltro che un generale; ma appunto questo gli venne a proposito. Anche lui non diede battaglia, ma continuò il movimento di arretramento facendo dietro di sé terra bruciata, fino a Borodino, villaggio a O di Mosca, dove si fermò per la giornata decisiva per ingaggiare battaglia, non perchè lui lo volesse, ma davanti all'opinione pubblica, non poteva arrischiarsi di abbandonare Mosca senza combattere.

Questa "battaglia di Borodino" detta anche "della Moskova" combattuta il 7 settembre 1812 fu uno degli episodi più fatali della Campagna di Napoleone in Russia.
Le forze russe contavano 100.000 combattenti, le napoleoniche 125.000. Le prime sbarravano di traverso la via della capitale e combatterono dal 5 al 7 settembre con accanimento fanatico, ma non si poterono più a lungo mantenere in quella posizione.

Della «Grande Armée» 28.000 rimasero sul campo di battaglia, i Russi ne avevano persi 50.000, quindi la metà dell'esercito. Era stata così combattuta la battaglia più sanguinosa dalla scoperta delle armi da fuoco in poi; il premio dei vincitori era Mosca.

Ma Napoleone accusa già un fortissimo ritardo, e potrebbe ancora salvare tutto l'esercito tornando indietro.
"Nulla da fare, non sente che la necessità di avanzare - il maresciallo Duroc lo scriverà nel suo diario; note frettolose, scampate per miracolo dalla tragedia - è prigioniero del mito che egli stesso ha creato, e il mito impone all'Imperatore di cadere, ma non di retrocedere. Con terrore davanti a Mosca ho sentito Napoleone quasi gridare "Ci vuole una vittoria davanti a Mosca, un'occupazione di Mosca... Bisogna andare avanti o morire: un Imperatore muore in piedi, e allora non muore" e quasi in delirio seguitava a mormorare "Bisogna andare avanti, bisogna agire ...fare finire questa febbre del dubbio".
Sette giorni dopo Napoleone sferra l'attacco. Il 14 settembre entra a Mosca.

I Francesi salutarono con giubilo la città: finalmente eran giunti alla meta di tante fatiche ! Ma con loro sgomento trovarono Mosca quasi vuota; tutta la popolazione l'aveva abbandonata; vi erano rimasti soltanto 15.000 abitanti e fra questi poche facce da ispirare fiducia. E questo non bastava. In diversi luoghi iniziarono a divampare incendi, per lo più nei depositi di materiali e di vettovaglie, ma ben presto con un micidiale vento di nord-est, le case di interi quartieri per lo più fabbricate tutte in legno trasformarono la città in un mare in fiamme per più giorni. Crepitio di fiamme e vento, assomigliavano proprio al muggito del mare; di giorno tutta la città era oscurata dal fumo, di notte il cielo rosseggiava di una vampa sanguigna.

Dal 14 al 18 settembre tre quarti della città diventarono cenere. È difficile che l'incendio abbia avuto una origine casuale o dovuto a dei fanatici; fu invece appiccato secondo un piano prestabilito, per distruggere la città santa della nazione, piuttosto che lasciarla nelle mani impure di nemici eretici; ma indubbiamente anche col secondo fine piuttosto realistico, quello di rendere impossibile ai francesi di acquartierarsi nella città. Non esisteva più un filo di biada, né alcuna cosa da mangiare, né un animale da stalla o da cortile; e per come erano soliti i francesi di arrivare in una città e accamparsi e vivere con le requisizioni fatte ai locali abitanti, quella desolazione fu micidiale.

Nessuno fu colpito più gravemente di Napoleone da questo avvenimento. All'inizio aveva sperato da parte dei Russi delle offerte concilianti; poi fece informare il Kutusov delle sue intenzioni pacifiche, ma si ebbe da lui la risposta che la parola pace non rientrava nelle istruzioni impartite da Alessandro.

Per 32 giorni insiste nel voler concedere una tregua allo Zar, l'altro sprezzante rifiuta perchè non é lui ad averla chiesta. Non è lui ad aver scatenato la guerra. Inoltre è a casa sua.

Napoleone perdette cinque settimane in un'attesa che gli fu fatale. Se prima non aveva avuto la forza di arrestarsi al momento giusto, ora gli mancava la forza di rassegnarsi ad una sorte terribile. Finalmente la fame, l'indisciplina, la guerriglia e le armi di Kutusov lo costrinsero alla partenza.
Volente o no dovette sgombrare quella grande tomba spalancata. Il 18 ottobre dette l'ordine di mettersi in marcia. Per un certo tempo pensò di muovere sopra Pietroburgo, poi scelse la ritirata per Kaluga. Come numero poteva ancora stare a fronte del suo avversario, ma l'esercito assomigliava piuttosto a un'orda di nomadi che non a un corpo ordinato di truppe.
Uomini, cavalli e carri erano carichi di preda, si udivano risuonare ingiurie e maledizioni. Con un movimento di fianco Napoleone cercò di passar davanti a Kutusov, che si era spinto già avanti non per affrontarlo in una battaglia ma per fare azioni di disturbo, tuttavia in un punto ingaggiò anche un difficile combattimento, che fece decidere a Napoleone ad abbandonare la via di Kaluga e a deviare verso Smolensk per una via secondaria.

Questa via era peggiore di un deserto. Sul territorio mancavano le vettovaglie e la fame infuriava in forma terribile. La miseria e lo sforzo andavano crescendo, il nemico incalzava continuamente e a gran fatica la retroguardia di Davout sfuggì alla distruzione. Dal 4 novembre il tempo si fece freddo e cominciò a nevicare. Un bianco lenzuolo funebre copriva la pianura, sulla quale passava il vento gelato del nord ; in nessun luogo si trovava ricovero, protezione, salvezza.
In cupo sbalordimento la lunga colonna s'inoltrava, lasciando dietro a sé una linea interminabile di uomini e di cavalli morenti o sfiniti, di armi gettate via, di carri e di cassoni pieni di preda abbandonati. Il 9 novembre si giunse finalmente a Smolensk, dove si distribuirono alcuni viveri e si ristabilì un certo ordine, riunendo di nuovo circa 50.000 uomini.
Tuttavia nemmeno a Smolensk era il caso di trattenersi; il 13 si andò avanti in mezzo alla rovina e alla morte. Kutusov non era lontano ed avvenivano continui assalti. In uno stato miserrimo si sguazzava in quel deserto sconsolato di neve; poi con alcuni giorni ci pallido sole giunse il disgelo e le strade furono impraticabili col fango (la "rasputina") che giungeva fino alle ginocchia.

Presso la Beresina, fiume affluente di destra del Dnieper, con tanti lastroni di ghiaccio sulle sue acque, i Russi il 30 novembre, incalzarono i francesi di fronte, alle spalle e ai lati; molti francesi catturati per sbarazzarsene li buttavano nel fiume a morire assiderati dalle acqua gelide; soltanto il coraggio della disperazione e la previdenza dei capi salvarono l'esercito da una distruzione completa, che subì una perdita di 25.000 uomini, quindi la metà del suo effettivo. I superstiti dispersi e disordinati in fretta e furia fuggirono verso il Niemen. Il 2 dicembre erano ancora uniti 8800 combattenti, il 10 soltanto 4300; e a questi i cosacchi davano una caccia senza misericordia.
Qusta la descrizione del conte di Rochechauart "Il 30 novembre mi trovai sul posto dove l'esercito francese aveva passato la Beresina. Nulla avrebbe potuto essere più straziante. Si vedevano montagne di cadaveri di uomini, donne, di soldati di tutte le armi e di diverse nazioni, che giacevano ancora lì gelati, schiacciati dai fuggiaschi o finiti dalla mitraglia russa".

Dinanzi a questo sfacelo generale Napoleone il 5 dicembre abbandonò il suo esercito. Non lo trattennero gli scrupoli morali; come generale quell'esercito non poteva più soccorrerlo, come capo di Stato sapeva che la sua presenza era più necessaria a Parigi che non in Russia.

Viaggiò rapidamente per Varsavia, Dresda e Magonza; alla mezzanotte tra il 18 e il 19 dicembre raggiunse la sua meta. A Murat aveva affidato il comando supremo dei soldati da lui abbandonati. Questi giunsero l'8 gennaio 1813 a Wilna, ma dovettero proseguire perchè incalzati dai nemici. Soltanto al Niemen cessò la tremenda caccia .
Della «Grande Armèe» c'erano più soltanto i 1000 uomini della guardia. Ai contemporanei quell'avvenimento parve un giudizio di Dio. «Con uomini, cavalli e carri il Signore li ha battuti».

Stavano meglio dell'esercito principale quelli dei corpi laterali sotto Macdonald e Schwarzenberg, che contavano ancora oltre 60.000 uomini. Se si aggiungono i Polacchi e i pochi altri resti, di 600.000 uomini ne tornarono indietro circa 100.000. Se scampò qualche soldato dell'armata principale fu grazie a Kutusoff, il quale, salvo che a Borodino, non arrischiò mai di affontare seriamente Napoleone. Le sue azioni furono principalmente solo di disturbo, e conoscendo molto bene il territorio gli fu facile creare dei micidiali punti di assalto e poi dileguarsi immediatamente.

Non più la sicurezza istintiva del genio guidava in Russia la «Grande Armata», ma un'irrequietezza nervosa e una grande ostinazione. Senza fare i conti con le caratteristiche del paese e del popolo, Napoleone con una rapida marcia trionfale voleva in poco più di quaranta giorni, compiere un'impresa che non si poteva portare a termine in nemmeno due anni.
(Hitler commise lo stesso errore; iniziò l'invasione della Russia nello stesso giorno che l'aveva iniziata Napoleone; e come il Corso trovò la sua prima fatale resistenza proprio a Smolensk; come Napoleone si attardò e andò incontro al signor "generale" inverno; e se Napoleone era comunque entrato a Mosca, per una beffa del destino, l'unico reparto tedesco che stava per entrarci dovette fermarsi proprio in quella porta di Mosca che ha nelle sue mura incastonata la lapide ricordo dell'entrata e uscita di Napoleone. Infine non dimentichiamo un altro protagonista; la nuova svolta data all'esercito russo fu merito del comandante in capo che portava questo nome Kuzov, mentre Zukov (sembra il suo anagramma) il comandante in capo che sconfisse Hitler!
Un'altra singolarità: come per l'invasione tedesca, Napoleone aveva reclutato in Italia circa 100.000 soldati, ne morirono congelati 75.000, come nella ritirata in Russia nella seconda guerra mondiale 78.500.
Un altro aneddoto: Stalin, sentendosi perso davanti alle armate di Hitler, proprio lui che aveva abbattuto lo zar, si mise a incitare i russi non a nome del Comunismo, nè si mise a chiamarli "compagni"; ma ricordò loro l'esempio di come aveva vinto lo zar Pietro il Grande a Poltava. "patrioti della Grande Russia, bruciate, distruggete tutto e arretrate, fateli venire avanti, prepariamogli la trappola, poi ci penserà il "generale inverno" a fermarli" ).

Strategicamente fu un errore voler condurre a Mosca mezzo milione di uomini; 100.000 soltanto vi arrivarono. Anche se la città non fosse stata distrutta dalle fiamme, Napoleone difficilmente avrebbe potuto passarci l'inverno, perché era troppo grande la distanza fino al confine polacco, e troppo minacciate le vie di comunicazione con questo. I Russi favoriti dal freddo, dalle nevi e dalle sollevazioni popolari, erano in grado di tagliare ogni via ai soccorsi, cosicché a Napoleone sarebbe rimasta soltanto una scelta o partire da Mosca o morire di fame; in altre parole o morire dentro o fuori della città di Mosca.

Napoleone non aveva appreso nulla dalla campagna d'Egitto. Quella in Russia la ripeté in un modo anche piuttosto grossolano. Inoltre non seppe entrare nella psicologia di Alessandro. Che da suo ammiratore, e perfino suo alleato, seppe trasformarsi in un implacabile giustiziere. Lo zar dovette sentirsi grande, quando a Mosca sprezzante gli rifiutò il colloquio.
Poi della disfatta non si accontentò. Contro il parere di Kurozov che avrebbe voluto fermarsi alle frontiere russe, Alessandro prese l'iniziativa di condurre fino in fondo la lotta contro Napoloene, lui a promuovere la crociata antinapoleonica, e l'Austria e la Prussia che appena un anno prima erano diventate alleate della Francia, a poco a poco si lasciarono prendere dalla sua manovra, e non rimasero di certo insensibile l'Inghilterra e la Svezia.


Per la Francia il 19 dicembre mattina - quando Napoleone nella notte era giunto a Parigi - fu un brutto risveglio. L'impero stava crollando, e molti avvoltoi erano tutti pronti a divorare la preda; mentre la grande coalizione contro la Francia si rafforzava con chi aveva già tradito Napoleone o nelle stesse ore lo stava tradendo: generali, funzionari, amministratori e parenti stretti compresi.

Il 23 ottobre a Parigi il generale Malet già aveva cercato di impadronirsi del Governo con un colpo di mano; fallito, il 29 era stato fucilato con i complici.

Metternich a Vienna esultava
la sua diabolica trama era giunta finalmente al punto giusto di maturazione
bastava ora spingere l'acceleratore.


LA GUERRA D'INDIPENDENZA - 1813 - 1814 > >

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