-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

183. TUTTI CONTRO NAPOLEONE - 1813 - 1814


Importante non era battere Napoleone, ma di spartirsi l'Europa, non quella di unirla.
All'Unione Europea ci stava pensando solo Napoleone, il "diavolo"
"...Abbiamo bisogno di una legge europea, di una Corte di Cassazione Europea, di un sistema monetario unico, di pesi e di misure uguali, abbiamo bisogno delle stesse leggi per tutta Europa. Voglio fare di tutti i popoli europei un unico popolo... Ecco l'unica soluzione che mi piace."

Poi amareggiato lascerà scritto nel Memoriale di Sant'Elena:
"... L'Europa sarebbe diventata di fatto un popolo solo; viaggiando ognuno si sarebbe sentito nella patria comune... Tale unione dovrà venire un giorno o l'altro per forza di eventi. Il primo impulso è stato dato, e dopo il crollo e dopo la sparizione del mio sistema io credo che non sarà più possibile altro equilibrio in Europa se non la lega dei popoli".
Un Unione Europea!!

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Mentre in Russia il mito di Napoleone stava crollando, nell'Europa centrale non si seppe nulla della «Grande Armèe»; giunse poi la notizia che l'imperatore aveva dovuto abbandonare Mosca.

Poi sempre più ad alta voce si andava sussurrando di un orribile disastro, finché si venne a sapere che verso metà dicembre l'imperatore era ricomparso a Dresda, e di qui si era affrettato a tornare a Parigi.
Le voci di sventura furono confermate, quando fin dai primi giorni del gennaio 1813 si videro giungere attraverso le frontiera miserabili figure umane, avvolte in abiti laceri e mezzo morti di fame, molti con gli arti congelati; erano gli avanzi del più potente esercito che si era mai visto fino a quell'epoca.

La potenza di Napoleone vacillava sulle sue basi, egli però non pensava a cederne nemmeno una piccola parte. Non si sapeva ancora se i suoi sudditi gli sarebbero rimasti fedeli, nè se i Russi avrebbero continuato ad inseguirlo e se nel farlo avrebbero trovato degli alleati.

La prima questione fu decisa in suo favore; le altre due contro. La Francia certamente nutriva una profonda brama di pace e di quiete, tuttavia appena il sovrano ricomparve sulla Senna tutti si adattarono alle circostanze, non perché amassero Napoleone, ma perché riconoscevano che egli rappresentava la nazione. I ministri consigliarono la pace.
Data la situazione in cui si trovava, l'imperatore era anche disposto ed iniziò delle trattative con la Russia, che rimasero però senza risultato, anche se non furono mai del tutto interrotte.

Tuttavia non si scoraggiò nel riorganizzare i suoi armamenti. Con ordini dati senza riguardi si richiesero delle nuove leve, che avrebbero dovuto dare circa 650.000 uomini; tutto si pretese dall'Italia e dai principi della Confederazione renana. Alla fine di aprile sull'Elba e sul Weser stavano già 226.000 uomini con 457 cannoni. Le fortezze sulla Vistola e sull'Elba erano sufficientemente presidiate; altri rinforzi già si avvicinavano.

Di fronte a questo poderoso spiegmento di forze l'armata campale della Russia vittoriosa contava soltanto 110.000 uomini; si formò anche un esercito di riserva, che però entrò in campo troppo tardi. Un partito tipicamente russo con Kutusov alla testa voleva fermarsi ai confini, ma lo Zar con i suoi molti consiglieri tedeschi la pensavano diversamente; a lui piaceva considerarsi come il liberatore dell'Europa e perciò spingeva a voler mandare avanti la guerra.

Dalla Svezia e dall'Austria all'inizio nulla vi era da aspettarsi, l'Inghilterra da Walcheren in poi aveva perduto la voglia di nuove imprese sul continente; tutto quindi dipendeva dalla Prussia. Quel che all'inizio era sembrata una umiliazione, il suo corpo ausiliare al lato dei Francesi, divenne poi la sua fortuna.
Esso era scampato al disastro. Il suo condottiero, il generale York, aveva a quanto pare delle istruzioni confidenziali del Re, che egli interpretò separandosi dai suoi precedenti alleati e concludendo il 30 dicembre 1812 a Tauroggen col generale russo Diebitsch un accordo, in seguito al quale le forze prussiane fino all'arrivo di nuovi ordini sarebbero rimaste neutrali, mentre i Russi potevano liberamente avvalersi delle strade prussiane. Questo compromesso puramente militare, fu la causa, per cui la guerra offensiva russa venne continuata ed avvenne perciò una grande sollevazione nazionale nella Prussia. E fu la prima a tradire il suo alleato.


5 febbraio 1813 - il generale York solleva gli Stati prussiani

Ma, qual'era la condizione di questo paese, un tempo così altero? Formava uno Stato di secondo ordine, allungato, con soltanto quattro milioni e mezzo di abitanti, finanziariamente esausto e paralizzato sotto l'aspetto militare. Non aveva un esercito pronto a combattere, ma invece un oppressore ovunque ed un re intimidito, a cui mancava ogni ardire ed ogni grandezza di carattere e per il quale una campagna sfortunata voleva dire la rovina della propria dinastia e forse del suo Stato, l'esempio della Polonia gli era vicino. Si aggiungeva a questo che le condizioni complessive esteriori gli erano sfavorevoli; alla Russia inaffidabile e insieme alla piccola Prussia stava di fronte il più gran genio guerresco con le forze di tutto il continente dell'Europa centrale, dai Pirenei fino alla Danimarca e alla Puglia, ed anche con quelle della stessa Germania, eccettuate la Prussia e l'Austria.
Se ciò nonostante la Prussia accettò questa impari lotta decisiva, ciò non fu opera del re Federico Guglielmo né del gabinetto, ma dell'anima nazionale, come in Spagna. La forza morale, prodotta da anni di sofferenze venne alla luce del giorno con la potenza di un elemento scatenante. Si voleva riconquistare i propri diritti politici ed umani, i propri beni, si voleva vincere o morire. Un entusiasmo mai presagito si accese. Tutti corsero alle armi; chi non poteva sacrificare sé stesso sull'altare delle patria dette i suoi averi.

«II popolo sorge, la tempesta si scatena», cantava il poeta della libertà, Teodoro Kórner; però questo non avvenne con violenza e senza freno, ma con una disposizione d'animo seria e profondamente religiosa. Nessuna schiera scese in campo senza avere ricevuto la benedizione divina nella chiesa. Il re Federico Guglielmo si comportava timidamente di fronte a questo movimento, che al suo limitato sentimento di monarca appariva quasi come un sanguinoso giacobinismo, da temere più che confidare.
Tuttavia la forza popolare trascinò con sé i funzionari e la Corte. Scharnhorst fu richiamato, Gneisenau gli stette a fianco e in Hardenberg viveva un abile diplomatico, che sapeva governare la nave dello Stato in mezzo alle onde burrascose.

Soldati e ufficiali furono chiamati sotto le bandiere, ma nella penuria di tutto soltanto a gran fatica si riusciva ad andare avanti. Tuttavia alla fine di marzo l'esercito di prima linea era abbastanza pronto, ma i battaglioni di riserva erano in ritardo, così la «Landwehr». Il 21 aprile seguì un'ordinanza sulla «Landsturm». Alle truppe di linea si unirono corpi liberi, formati di volontari patriottici, estranei alla Prussia. Il più noto gruppo di questi volontari quello del Lutzow, nel quale combatté e morì Teodoro Kórner.

All'inizio della guerra si poterono mettere in campo circa 80.000 uomini bene addestrati, ed inoltre si andavano accrescendo le qualità militari. Cosicché durante le battaglie della primavera poterono giungere all'esercito soldati di complemento, a cui seguirono durante l'armistizio rinforzi considerevoli.

Come abbiamo visto, Napoleone aveva accordato il comando supremo sulla Vistola al re di Napoli, Murat, che tuttavia il 17 gennaio ebbe per successore il vice re Eugenio. Quando i Russi mossero contro di lui in quattro colonne, egli il 18 febbraio si ritrasse sull'Oder. La politica prussiana alle sue spalle in quel momento era ancora oscillante e doppia. Né poteva essere diversamente, finché i Francesi si trovavano ancora in Prussia.

Napoleone piuttosto allarmato, chiese spiegazioni, e ottenne atteggiamenti rassicuranti, sebbene contemporaneamente si facessero trattative con Alessandro. Con un pretesto il 22 febbraio Federico Guglielmo se ne andò da Posdam a Breslavia. Qui era libero e risoluto. Abilmente e in apparenza contro il suo volere si lasciò spingere da Napoleone dalla parte della Russia, con la quale il 26 stipulò una lega offensiva e difensiva. Fu pattuito con Alessandro che la Prussia ritornasse nelle condizioni politiche in cui si era trovata prima del 1806.
Il trattato fu tenuto segreto fino al 13 marzo, fino al giorno cioè in cui la Prussia dichiarò la guerra a Napoleone. Fu allora istituito l'ordine della «Croce di ferro» (*) , come l'unico segno di onore per quella guerra ferrea e santa, mentre risuonavano infiammati proclami sulla Gazzette. "Il momento è giunto!" (*).
(in originale li abbiamo già anticipati e riportati in fondo al capitolo 178).

Presto esercito e popolo e l'intero Stato furono penetrati da vita e movimento, da spirito di sacrificio, da amor patrio e da speranza. Le energie reali e quelle ideali armonizzavano potentemente insieme. L'avvenire doveva mostrare se questo affratellamento avrebbe potuto condurre in campo forze maggiori e di qualità, non solo possedute dal geniale Napoleone.

Nella Prussia orientale si adoperavano per la causa nazionale York e il barone di Stein, l'ultimo quale rappresentante della Russia, in Pomerania von Borstell, nella Marca von Tauenzien. D'accordo con i Russi le truppe delle province orientali si mossero lentamente verso l'Oder, alcuni battaglioni russi passarono questo fiume ed entrarono in Berlino.

 

Eugenio si sentì presto così poco sicuro che indietreggiò fino all'Elba. Intanto le forze prussiane nella Slesia furono portate a 25.000 uomini e poste sotto il comando del generale Blucher. Il vecchio Blucher fu l'eroe della Prussia, in certo modo la personificazione guerriera dell'anima nazionale; era uno dei pochi che non temevano Napoleone. Il suo coraggio, il suo ardore e la sua forza di volontà meritavano illimitata fiducia, ma un uomo simile, pratico, poco s'intendeva di piani di guerra e di strategia. Perciò gli si dettero per consigliarlo Scharnhorst come capo di stato maggiore e Gneisenau capo del quartiermastro generale, i due ufficiali più culturalmente preparati dell'esercito.

In seguito all'attuazione dell'alleanza russo-prussiana, Kutusov reduce della grande impresa in Russia, ottenne il comando supremo dei due eserciti. Egli lo divise in tre parti, un'ala destra sotto il russo Wittgenstein, una sinistra sotto Blucher e una riserva nel centro guidata da lui stesso.
Di fronte a lui Eugenio concentrò il suo corpo principale presso Magdeburgo, ma con questo dovette cedere Amburgo e Dresda agli alleati. Napoleone infuriato nominò Davout governatore dei territori della bassa Elba; il generale Morand passò il Weser, ma fu sorpreso presso Lüneburg, dove le sue truppe furono completamente distrutte.

Fu questa la prima vittoria effettiva degli alleati sul suolo tedesco e destò dovunque un grande entusiasmo. Anche Eugenio il 2 aprile si mosse in avanti per ricuperare Berlino, ma dopo un vivace scontro a Magdeburgo venne respinto.
Wittgenstein, oltrepassata l'Elba, si unì con Blucher, che però dovette arrestarsi sulla Mulde.

Kutusov si avvicinava lentamente con 32.000 uomini, ma il grande generale russo morì in un modesto scontro a Bunzbau e in seguito a questa grave perdita ottennero il comando supremo, prima Wittgenstein, poi Barclay.
Giungevano intanto gravi notizie dell'avanzarsi di Napoleone; si era perduto molto tempo prezioso, nel quale con forze superiori si sarebbe potuto affrontare e distruggere le forze di Eugenio. I governanti prussiani nonostante i proclami non è che avessero molta fiducia in se stessi, anzi scorgevano un avvenire piuttosto fosco.

L' imperatore dei Francesi aveva raccolto sul Meno inferiore un grosso esercito, che il 15 aprile mise in movimento, mentre da mezzogiorno si avvicinava un corpo italiano. Coll'esercito dell'Elba le sue forze combattenti salivano a 200.000 uomini, di cui ne aveva subito a disposizione 145.000; a questi gli alleati ne poterono opporre non di più di 80.000.
Non lontano da Lipsia presso Gross-Gòrschen, si giunse il 3 maggio con accanimento inaudito a una battaglia, guadagnata da Napoleone con la perdita però di 18.000 combattenti. Avendo inoltre
perso ancora molti soldati nell'inseguimento, raggiunse l'Elba con 35.000 uomini in meno e questo prova lo spirito poco impegnativo del suo esercito.
Soltanto l' 11 maggio occupò Dresda-Neustadt.

Per gli alleati questa sconfitta, per quanto onorevole, ebbe per conseguenza che i contrasti tra generali Prussiani e Russi vennero quasi a una rottura, di modo che l'alleanza ne fu quasi compromessa.

Poi passata la bufera di alcune incomprensiopni i Prussiani con i loro alleati occuparono una posizione presso Bautzen, di nuovo sotto il comando supremo di Wittgenstein. Qui il 20 e 21 maggio si venne contro le forze superiori di Napoleone ad una battaglia di due giorni, e nonostante il valore dei Prussiani fu anche questa volta persa.

Gli eserciti battuti si ritirarono lentamente, sempre combattendo, fin presso il confine austriaco. Tuttavia nemmeno la battaglia di Bautzen arrecò a Napoleone un buon risultato, era un colpo sensibile ma non decisivo; il nemico aveva dimostrato una forza imprevista di resistenza, mentre le sue proprie truppe erano stanche di combattere e riempivano in gran quantita gli ospedali, i i lazzaretti, o sempre più spesso soprattutto quelli di lingua tedesca, disertavano, non erano disposti a combattere gente della stessa stirpe.

Oudinot, che da occidente doveva occupare Berlino, fu respinto con gravi perdite presso Luckau dal generale prussiano von Bulow, mentre alle spalle dell'esercito francese si muovevano - dopo essersi riuniti a loro anche i disertori - bande di volontari tedeschi minacciosi, anche senza la guida di un capo militare, operavano non in un modo decisivo ma tuttavia con una fastidiosa guerriglia.

Tutto questo indusse l'imperatore a prendere in considerazione la via di un armistizio, concluso poi il 4 giugno a Plaswitz per alcuni giorni, che fu poi prolungato per due mesi fino al 20 di agosto.
Questo accordo di sopsendere temporaneamente il conflitto è stato uno degli errori più gravi di Napoleone e si spiega con la sua stanchezza oltre che con quella del suo esercito. Se avesse afferrato risolutamente l'occasione, la vittoria sarebbe stata quasi sicura.
Gli alleati si erano quasi dispersi, soffrivano di tutto e i generali non potevano andare d'accordo. Napoleone però aveva di questo soltanto notizia insufficiente. Sperava d'integrare il suo esercito durante l'armistizio, di guadagnarsi l'animo dell'Austria e di separare la Russia e la Prussia. I vantaggi di quest'armistizio toccarono però non a lui, ma ai suoi avversari.

Riuscì agli alleati a convincere gli Svedesi a prender parte alla guerra, di ottenere sussidi in denaro dall'Inghilterra e finalmente di tirare dalla loro parte anche l'Austria. Il diabolico Metternich era rimasto sempre alla finestra a guardare, e senza interruzione era rimasto nel corso di questi primi eventi guerreschi in continua relazione con i russo-prussiani, ma anche con la stessa Francia, pur con una forte tendenza verso i primi.

An ub certo punto ruppe gli indugi e concluse con essi il trattato di Reichenbach, il quale conteneva la importante promessa che l'Austria avrebbe dichiarata la guerra alla Francia, qualora questa non accettasse le condizioni che le sarebbero poste.
Queste non erano molto sfavorevoli a Napoleone; ma egli le rifiutò, dopo di che Metternich gli aveva fissato per la risposta come ultimo termine il 10 agosto. Con una tensione in crescendo in questo ultimo giorno decisivo si contavano le ore e i minuti.

Quando suonò la mezzanotte si accesero fuochi sui monti per annunciare che toccava ora alla spada il decidere. Il 12 agosto l'Austria dichiarò la guerra. Molti storici hanno scritto che l'ostinato delirio di grandezza di Napoleone gli aveva impedito di orientarsi in quel cambiamento della situazione generale. Che non era impossibile, nè disonorevole accettare le condizioni che gli erano state poste da Metternich. Altri storici rispondono che Napoleone non poteva certo fidarsi di un ambiguo oltre che diabolico Metternich, che dimostrò in seguito di che pasta era fatto.

Nessuno con quell'armistizio, se ne rallegrò più dei patrioti prussiani e tedeschi. Teodoro Korner cantava, infiammando la passione di combattere, Massimiliano von Schenkendorf annunciava il desiderio che fosse restaurata la dignità dell'antico impero ed Ernesto Maurizio Arndt poetava: «Iddio, che fece allignare sulla terra il ferro non volle che vi fossero schiavi! ».

Tutti si armarono e più di tutti la Prussia. Al divampare della guerra possedevano 271.000 uomini che nel corso dell'anno furono portati a 300.000. Era quindi in sostanza un popolo in armi. Poderosi eserciti muovevano in campo. La Russia fornì 184.000 soldati, la Prussia 161.000, l'Austria 127.000; con i contingenti minori si contava oltre un mezzo milione di combattenti e 1380 cannoni. A questi si aggiunsero le riserve e le truppe austriache, adoperate in Italia.

Ma anche Napoleone aveva messo insieme 700.000 uomini, però in parte gente di minor valore. Per le operazioni militari gli alleati proposero il piano di Trachenberg (di Reichenbach). Si dovevano formare tre eserciti. Il più grande, -
la cosiddetta armata principale, in Boemia sotto un comandante austriaco, un secondo nella Marca di Brandeburgo sotto il principe ereditario Bernadotte di Svezia ed un terzo più debole nella Slesia sotto un comandante prussiano.
Si doveva accettare battaglia soltanto in caso di evidente superiorità. Se il nemico si gettava sopra una delle armate, questa doveva ritirarsi ed ognuna delle altre due invece doveva avanzare velocemente.

Napoleone decise di appoggiarsi alla linea dell'Elba e alle sue fortezze, 300.000 dovevano tenersi pronti in Sassonia e nella Slesia e 110.000 di questi dovevano intraprendere un attacco laterale contro Berlino. Rinunziò quindi ad una rapida offensiva fatta in grande stile. Il giovane vincitore di Marengo avrebbe agito diversamente.

Si riuscì a portare l'armata di Boemia ad oltre 250.000 uomini con Austriaci, Russi e Prussiani. Ne ottenne il comando supremo Schwarzenberg, nel cui quartier generale si trovavano anche i tre monarchi, e poiché egli agiva d'accordo con loro, possedeva una certa autorità sugli altri due eserciti, ma nulla di più.
La direzione data alla guerra da Schwarzenberg, si dimostrò eccessivamente cauta e incerta, e questo creò spesso occasione di ingerenze dei sovrani, specialmente di Alessandro, che vantandosi di essere lui il capo della "crociata" faceva il vanitoso. Il 22 agosto Schwarzenberg valicò il confine sassone, senza incontrare una seria resistenza. Napoleone con la guardia era partito contro Blucher. Se il generale austriaco avesse approfittato di questa situazione molto a lui favorevole per una rapida marcia sopra Dresda debolmente occupata, questa sarebbe certamente caduta in suo potere. Ma soltanto il 25 agosto 80.000 uomini stavano davanti alle porte della capitale sassone, ed anche allora Blucher indugiava ad assalirla.

Napoleone, presupponendo che le maggiori forze del nemico fossero nella Slesia, decise di batterle con 80.000 uomini e subito accorrere di nuovo a Dresda. Nella Slesia poi Blucher comandava 105.000 Prussiani e Russi. Chi lo aveva fino allora consigliato, lo Scharnhorst, così pieno di abnegazione, era morto in seguito ad una ferita ed era stato sostituito dallo Gneisenau, previdente, ardito e di grandi risorse, che poteva essere considerato come il miglior rappresentante della moderna arte militare in Prussia.
Blucher assalì e respinse con energici combattimenti il Macdonald, che gli stava a fronte. Giunse allora Napoleone e si gettò sul nemico. Blucher si accorse subito con chi aveva a che fare e arretrò secondo il piano generale di guerra (di non dare battaglia in caso di superiorità numerica del nemico).

Questo movimento destò tuttavia una crescente opposizione, mentre le truppe affrontavano sofferenze indicibili. Blucher decise quindi di sottrarsi alle disposizioni del piano, con una battaglia. La fortuna gli sorrise, poiché appunto allora Napoleone era partito di nuovo per Dresda con una parte del suo esercito. Durante l'inseguimento Macdonald valicò, mentre pioveva dirottamente, la Neisse, che era in fortissima piena, quando improvvisamente si vide assalito dal Blucher, respinto contro il fiume ed inseguito fino a Górlitz (battaglia della Katzbach del 26 agosto 1813).

 

I Francesi perdettero in tutto 103 cannoni e 18.000 prigionieri. Se la direzione prussiana della guerra non era ancora giunta al suo più alto grado, mostrava già tuttavia il suo carattere: impegnare senza riguardi tutte le forze, cooperazione di tutte le armi, forte impiego della cavalleria e inseguimento prolungato.

Nel frattempo anche nell'armata del Nord si era giunti a una decisione. Contava 120.000 uomini, Prussiani, Russi e Svedesi, che erano uniti con i 33.000 uomini del corpo prussiano di Tauenzien. Il comandante dell'armata del Nord, principe ereditario di Svezia, appariva sospettoso, perché lui mirava soprattutto ai fini politici, oltre che a quelli militari; era un accorto ed abile condottiero, per quanto il trovarsi davanti al suo primo maestro di guerra, Napoleone, gli ispirasse una vera angoscia. Dei comandanti a lui subordinati il generale von Bulow era di gran lunga il più degno, chiaro, intraprendente, ma ostinato e difficile a manovrare.

I due eserciti stavano a mezzogiorno di Berlino, quando Oudinot avanzò con 63.000 uomini. Dopo vari combattimenti vittoriosi, Oudinot stava accampato presso Grossbeeren. Qui piombò su di lui inaspettato il Bulow e lo sconfisse in una battaglia sanguinosa. Un'altra divisione francese fu quasi distrutta presso Hagelsberg.
Le cose andarono in modo molto diverso a Dresda, dove comandava Napoleone in persona. Davanti alla città stava l'armata principale degli alleati, dentro ad essa Saint-Cyr con tre divisioni soltanto.
Il 25 agosto mattino all'alba Schwarzenberg mosse all'assalto, ma in modo debole e piuttosto slegato, così che il suo avversario si poté sostenere, finché nel pomeriggio arrivò l'imperatore con dei rinforzi e prese la direzione della battaglia. Alla sera, nonostante la superiorità delle loro forze, gli alleati avevano già perduto terreno e Vandamme aveva risalito l'Elba per tagliar loro la ritirata.

Nel giorno seguente ( 26 agosto) la battaglia riprese di nuovo, all'inizio con gran violenza, poi abbandonata dallo Schwarzenberg scoraggiato. Nell'oscurità della notte sotto una pioggia dirotta, per impervie strade di montagna, i vinti dovettero marciare di nuovo verso la Boemia. La loro divisione orientale, formata da Russi e Prussiani, parve perduta, perché Vandamme poteva presentarglisi di fronte e Napoleone assalirla da dietro.
Ma l'imperatore trascurò questa opportunità. Perciò il Vandamme, rimasto isolato, dopo una disperata resistenza fu fatto prigioniero presso Kulm insieme al suo corpo d'armata.

Gli alleati avevano dunque riportato tre vittorie e con questo compensato la disfatta presso Dresda. Anche l'irresoluto Schwarzenberg cominciò a sperare, mentre Napoleone si sentiva non sicuro e rinunziava a quella guerra fatta con le grandi azioni come in passato. E agendo così riuscì solo s ritardare la disfatta e l'invasione.

Lui avrebbe volentieri castigato Berlino, ma non si arrischiava ad allontanarsi di persona, era diventato sospettoso. Vi mandò il Néy, che cercò invano di assalire il Blucher, tuttavia respinse lo Schwarzenberg. Di sera mentre era a tavola Napoleone ricevette la notizia della disfatta di Ney. Questi aveva battuto Tauenzien presso Juterborg, ma era stato assalito da Bulow presso Dennewitz e sconfitto con la perdita di 22.000 uomini.
Bernadotte non seppe cogliere tutto il frutto di questa vittoria. Ancora più lontano a nord il Davout si ritirò sopra Amburgo, la cui difesa da allora in poi divenne il suo scopo principale. Qui il generale Walmoden, che gli stava a fronte, valicò l'Elba, riportò una vittoria sulla Ghórde, indusse l'Annover a passare dalla parte degli alleati e rese definitivo l'isolamento di Amburgo.

Le cose andavano male per Napoleone. Dall'inizio della campagna aveva perso quasi 150.000 uomini, 300 cannoni e una gran quantità di materiale bellico. Le comunicazioni alle spalle del suo esercito erano interrotte da volontari e da bande di guerriglieri; a stento si poteva rifornire di vettovaglie l'esercito, i lazzaretti erano ingombri, lo spirito e l'energia delle truppe diminuiva sempre più. Era per lui una fortuna che restassero inattivi i suoi avversai, i quali in un ampio semicerchio stavano circondando lui e i suoi 40.000 uomini.
Allora Blucher fece il passo decisivo. Lasciando un unico corpo alla difesa della Slesia, mosse verso l'Elba, ne forzò il passaggio dopo un accanito combattimento presso Wartenburg e cominciò a spingersi avanti dal nord, mentre dal sud Schwarzenberg marciava sopra Lipsia. Con questa manovra la posizione avanzata di Napoleone a Dresda divenne insostenibile.
Egli dovette tentare d'impedire l'unione dei nemici alle sue spalle. Con questo scopo affidò a Saint-Cyr la capitale della Sassonia, mandò il Murat contro gli Austriaci e guidò personalmente 160.000 uomini contro Blucher e Bernadotte.

Inutilmente cercò di arrestare il Blucher. Per attirare lui e Bernadotte indietro, mandò una parte del suo esercito presso Wittenberg sull'Elba. Invano perché il Blucher si tenne fermo in Hall e con questo costrinse a restarvi anche il principe ereditario di Svezia, col quale andava poco d'accordo. Napoleone vide che il suo piano era andato a monte e mosse verso Lipsia per concentrarvi tutte le sue forze.

L'armata di Boemia, che contava 240.000 uomini dopo i rinforzi ricevuti, lasciò una parte delle sue forze davanti a Dresda e con il grosso di queste si spinse poco abilmente e con lentezza più oltre a occidente nella Sassonia. Di fronte ad essa il Murat, sebbene con forze inferiori, si comportò così audacemente e con tanta intraprendenza che Napoleone ebbe tutto il tempo per andare in cerca di Blucher.
Fallito questo tentativo, gli eserciti si avvicinarono sempre più a Lipsia; questo condusse il 14 ottobre presso Liehertwolkwitz, al più gran combattimento di cavalleria di tutta la guerra.

Si combatté con slancio da entrambi le parti. Quando la giornata volse al suo termine da ambo le parti si trovarono nella stessa posizione come al mattino. Murat si mantenne sull'Hohenzúge a mezzodì di Lipsia ed assicurò al suo maestro un terreno vantaggioso per la battaglia principale. Da parte di Napoleone per ragioni che non sappiamo rifiutò di fare subito questa battaglia. Tuttavia si trovava in una situazione critica e decise poi ugualmente di combatterla nella speranza di poter distruggere Schwarzenberg prima dell'arrivo di Blucher.

L'esercito dell'imperatore - se si fosse tutto riunito - contava ancora 190.000 uomini con 724 cannoni; il nemico poteva opporgli 300.000 combattenti e più di 1300 cannoni. Mancavano tuttavia nelle sue file ancora 100.000 uomini.
Ciononostante gli alleati erano pieni di fiducia e decisi a combattere i Francesi stanchi e demoralizzati, e i Renani tedeschi piuttosto riluttanti a buttarsi nella mischia per scannare altri tedeschi.

Napoleone schierò le forze dei suoi in un ampio semicerchio a sud della città, dalla riva della Pleiss fino ad Holthausen, mentre un esercito secondario stava dalla parte di settentrione e una piccola divisione presso Lindenau.

Nel quartier generale degli alleati regnava la discordia. La maggior parte degli Austriaci passò la Pleiss e con questo fece sì che Russi e Prussiani proprio nei luoghi decisivi rimasero inferiori di numero al nemico. Il 16 ottobre divampò la battaglia; a Markkleeberg e Wachau si combatté a lungo ed accanitamente poi presso Wachau i Francesi tentarono di rompere la linea nemica, ma senza riuscirvi.

La giornata finì con un forte cannoneggiamento. Anche presso Lindenau dalle due parti nulla si era ottenuto; gli imperiali avevano respinto l'attacco dell'armata di Boemia senza però conseguire una vittoria decisiva.

Appunto quando il combattimento di cavalleria presso Wachau si fu pienamente svolto, si udì dal nord tuonare cupamente il cannone. Napoleone riconobbe subito il suo fato, l'arrivo di Blucher. Furente girò il suo cavallo e corse a briglia sciolta verso Mockern. Tuttavia non poté portarvi rimedio e nella battaglia decisiva, mancò forse oltre che l'intuizione anche la sua alta scuola

Blucher era accorso inaspettato da Hall, si era gettato sopra Marmont e dopo un'accanita resistenza verso sera s'inoltrava sopra Lipsia. La battaglia di Mockern é stata la più sanguinosa di tutta la campagna. Sua ricompensa fu la vittoria nella Battaglia delle nazioni. Oltre 60.000 uomini giacevano sul campo di battaglia.

Al mattino seguente Napoleone non assalì, ma esitante rivolgeva a se stesso tristi pensieri, perdendo il suo tempo in trattative. Si posarono quindi in questo giorno le armi. Alla sera i Francesi si concentrarono avvicinandosi a Lipsia in un ampio semicerchio.
Mentre rimanevano tuttora solo in 135.000, gli alleati per l'arrivo di Bennigsen e di Bernadotte dovevano crescere a 268.000. Le loro forze principali stavano a sud, Blucher a nord; tra i due dovevano avanzarsi i 100.000 combattenti freschi che si aspettavano. Il 18 ottobre di buon'ora Schwarzenberg avanzò in tre colonne. Presso Probstheida la battaglia ondeggiava, ma i Francesi si sostenevano con un impressionante spargimento di sangue.
Quando però nel pomeriggio comparvero prima Bennigsen poi Bernadotte i nemici, che stavano loro a fronte dopo una eroica resistenza dovettero cedere e a questo punto i Sassoni e i Wurttemberghesi cambiarono bandiera e passarono in massa agli alleati.

Napoleone con la sua guardia riacquistò il villaggio di Paunsdorf in fiamme, ma si vide pure lui respinto dalla superiorità del numero dei suoi nemci. Il Marmont difese incrollabilmente fino al calar della notte il villaggio di Schónefeld, chiave della posizione.
Diecimila uomini caddero qui morti o feriti. Sulla estrema ala sinistra dei Francesi i Prussiani giunsero fino a porta Hall di Lipsia. Infine tuonarono 1500 cannoni, l'aria era oscurata da caligine e da fumo e gli uomini dal frastuono e dalla commozione erano intontiti e come impazziti.
Da ogni lato si erano perduti 25.000 uomini, eppure la battaglia non era decisa. Gli alleati aspettarono la sua conclusione con la Battaglia delle nazioni ( o detta anche "dei giganti").
Il solo Blucher riconobbe giustamente che era vinta e che occorreva tagliare al nemico la linea di ritirata. Per questo mandò York a Merseburg.

L'imperatore dei Francesi passò la notte sul campo al fuoco dei bivacchi. La sua posizione era insostenibile. Diede, scuro in volto, l'ordine di ritirata e s'immerse nel sonno. L'esercito mosse verso Lipsia, attraverso le strade strette della città si diresse verso Lindenau sopra un unico ponte. Il disordine aumentò finché tutto cadde nella completa confusione.
Una parte delle truppe era destinata a difendere, finché fosse possibile, le parti esterne della città. Quando si fece giorno il 19 ottobre gli alleati videro che il campo di battaglia era vuoto e che la vittoria era stata conquistata. Tre "giganti" avevano vinto il "gigante".

Pieni di giubilo mossero contro Lipsia; ma per il possesso di questa città si accese ancora un vivace combattimento, che in parte durò per moltre ore. Ad un tratto il ponte di Ramstadt saltò in aria. Quelli che combattevano al di qua della Pleiss furono tagliati fuori, in parte resero le armi e in parte tentarono di combattere ancora. La battaglia infuriava sempre, quando a mezzogiorno l'imperatore Alessandro e Federico Guglielmo tra il giubilo della popolazione fecero il loro ingresso nella città. E questo giubilo echeggiò lontano attraverso l'intero paese, poiché la gran gesta era compiuta, Napoleone abbattuto. Ma la vittoria era costata 120.000 vite umane ed in Lipsia languivano 20.000 feriti.

Napoleone si trovava in una situazione disperata. Nella sua ritirata, simile a una fuga, attraversò tutta la Germania. Un inseguimento energico avrebbe probabilmente annientato il suo esercito; tuttavia ciò non avvenne e il vinto trovò scampo. Inoltre un altro serio pericolo lo minacciava. I Bavaresi si erano pure loro staccati da Napoleone, cambiato bandiera, e il loro generale Wrede gli sbarrava la via nei pressi di Hanau.
Tuttavia un rapido combaitimento lo mise fuori causa. Il 2 novembre l'imperatore passò il Reno presso Magonza con circa 80.000 uomini, dei quali però 30.000 avevano cotratto il tifo e o malati o morti vennero a mancare. Fu un'ulteriore bastosta.

Nel corso di un solo anno due eserciti di circa mezzo milione di combattenti erano stati distrutti. Questa campagna autunnale non fu un capolavoro della strategia napoleonica. Il gran capitano mosse contro gli alleati con un esercito di forza pressochè eguale come numero ma soccombette completamente ad essi.
Certo i suoi soldati per molte ragioni avevano un minor valore, nè poteva fare affidamento nei suoi alleati renani, ma la ragione principale del suo insuccesso é da cercarsi in lui stesso. Lo animava ancora l'antico genio, ma la sua energia e la sicurezza della vittoria, che mai gli era mancata, erano ora scomparse.

Invece di battere uno alla volta i suoi avversari fino alla loro distruzione, sprecava le sue forze in movimenti inutili. Inoltre la direzione generale strategica fu senza paragone inferiore a quella tattica dimostrata nei singoli combattimenti. Era come se un uomo indebolito di nervi si scuotesse per un esaltazione momentanea per poi ricadere in una profonda depressione.
Finché aveva personificato lo spirito del suo tempo il destino lo aveva reso irresistibile; ora invece questo spirito combatteva contro di lui e Napoleone appariva come affranto.

La Germania era libera fino al Reno. I suoi principi ritornarono alle loro capitali; soltanto alcune fortezze si trovavano ancora nelle mani del nemico. Dal punto di vista militare sarebbe stato bene di approfittare della vittoria e subito marciare per entrare in Francia. Ma questo non fu fatto; allo sforzo segui un rilassamento. Gli eserciti occuparono la linea dei Reno, e i rappresentanti delle grandi potenze si raccolsero a consiglio in Francoforte.
Subito si manifestò la diversità dei loro fini al punto che avvenne una cosa incredibile, cioé che al vinto nemico si offrirono i confini «naturali» della Francia, la linea del Reno, le Alpi e i Pirenei.

Ma Napoleone non si poteva ancora separare dal suo sogno di una monarchia universale e diede una risposta evasiva. Allora gli alleati lasciarono cadere la loro proposta, forse anche non concepita del tutto sul serio, e presero di nuovo in mano alle armi.

Più a nord delle altre stava l'armata di Bernadotte con 102.000 uomini; veniva poi sul Reno superiore quella di Slesia con 82.000, poi l'armata principale con 200.000, una austro-italiana con 55.000 e finalmente nella Francia meridionale l'inglese Wellington con 80.000 uomini. A questi si aggiunsero ancora circa 100.000 soldati, che assediavano le fortezze tedesche occupate dai Francesi.
Di fronte a questo spiegamento di forze quelle di Napoleone rimanevano molto inferiori, e si poterono radunare quasi soltanto per mezzo di leve militari senza alcun limite. Si mancava di tutto, di armi, di munizioni, di cavalli e di denaro.

Il 22 dicembre i Bavaresi del Wrede passavano già il Reno ed assediavano Huninga. Blucher seguì il loro esempio nella notte del capodanno 1814, presso Caub, Bernadotte assediava Amburgo e mandava una debole divisione sotto Bulow verso l'Olanda.
Blucher si dimostrò di nuovo il più pronto e, passata la Saar, spinse Marmont su Metz. Anche l'armata principale sull'alto Reno si pose lentamente in moto e alla metà di gennaio raggiunse Langres. Qui perse tempo per aspettare il resto delle truppe. Blucher lasciò York davanti a Metz, si volse verso la Mosa e il 23 gennaio passò la Marna. Invano aveva sperato che Schwarzenberg si unisse a questo movimento verso Parigi. Costui stava sempre presso Langres trattenuto da preoccupazioni militari ed ancor più da preoccupazioni politiche.

Napoleone per mezzo di Caulaincourt aveva nel frattempo aperto dei negoziati, che al Metternich non giunsero sgraditi. Finalmente Schwarzenberg si pose di nuovo in marcia e dopo un vivace combattimento a Bar-sur-Aube respinse Mortier su Troyes. Pareva che Napoleone non fosse presente.
Ad un tratto comparve dinanzi a Blucher. Un lavoro gravoso e la sua indecisione lo avevano paralizzato a Parigi. Quando si recò all'armata aveva con sé presso Saint-Dizier 42.000 uomini, Mac Donald si avvicinava a lui con 10.000 e Mortier ne conduceva 20.000.

Fra le sue truppe Napoleone si sentiva rinascere come guerriero. Sbaragliò una divisione prussiana e respinse Blucher presso Brienne, ma il primo febbraio fu vinto proprio da Blucher presso La Rothiére con gravi perdite. Fu questo un grave colpo per l'imperatore, che tuttavia nel pericolo mostrò tutto il suo genio. Mentre gli alleati credevano che la guerra fosse decisa e di nuovo allontanavano reciprocamente l'uno dall'altro i loro due eserciti, Napoleone sorprese i singoli corpi del Blucher e li batté così gravemente che questi perdettero 16.000 uomini.
L'armata principale però si era spostata troppo a sinistra e aveva scoperto il fianco di Blucher. Napoleone non poté approfittare della sua vittoria, perché notizie di pericoli che minacciavano la capitale lo chiamavano a difenderla; soltanto per questo i Prussiani guadagnarono tempo per riordinarsi e per riprendere il 18 febbraio la loro avanzata.

Le vittorie sull'armata di Blucher furono fatali all'imperatore. Sotto l'impressione della disfatta presso La Rothiére egli si era adattato ad ampie concessioni diplomatiche. Queste furono bene accolte, perché la discordia era molto presente tra gli alleati. Il 5 febbraio si radunò un congresso a Châtillon, nel quale i vincitori richiesero i confini dal 1791.
Già in sostanza Napoleone li aveva accettati, quando sorridendogli la fortuna delle armi nello scontro con Blucher ritirò la sua sottoscrizione.
Superbamente Napoleone richiese i territori che gli erano stati consentiti a Francoforte, poi si mise in movimento contro Schwarzenberg e riportò alcuni vantaggi sopra di lui. Il generale austriaco spaventato non si vergognò di richiedere un armistizio, ma Napoleone non volle fare alcuna concessione se non sulla base dei confini naturali.
E poiché Schwarzenberg sofferse due altre sconfitte, credette di trovare la sua unica salvezza in una ritirata generale. Il nemico prese d'assalto Troyes ed un consiglio di guerra decise difatti la ritirata dell'armata principale sino a Langres ma nello stesso tempo diede piena libertà d'azione per Blucher.

Quella fu piuttosto deplorevole, questa ha salvato la campagna. Blucher si volse verso settentrione, per congiungersi con Wintzingerode e con Bulow che veniva dall'Olanda; vinse il Marmont, attirò a sé Napoleone e il 3 marzo si unì con Bulow presso Soissons.
Allora il suo esercito contava 100.000 uomini. Il vecchio ma ostinato maresciallo volle subito fare i conti con Napoleone, ma si ammalò; lo stesso accadde a Gneisenau, che inoltre era in grandi difficoltà con i comandanti di corpo. Rinunziò per questo al comando mentre si occupava una forte posizione presso Laon.

Il 9 marzo i francesi attaccarono senza ottenere grandi cose; subito dopo York nella notte fece un contrattacco e vinse l'ala destra nemica. Napoleone non poteva più sostenersi; la sua posizione era ormai disperata.

Col trattato di Chaumont Russia, Austria, Inghilterra e Prussia si unirono definitivamente per continuare la guerra, finché la Francia non fosse ricondotta ai confini, che aveva prima della rivoluzione.
Questo decise lo Schwarzenberg; passò di nuovo all'offensiva, vinse a Barsur-Aube, riconquistò Troyes e indicò Parigi come meta di ogni movimento.

Napoleone si impegno in una grande attività, ma presso Arcis-sur-Aube, per quanto all'inizio riportasse qualche buon successo, fu respinto da forze superiori. Quando anche Blucher avanzò di nuovo e batté Marmont, fu evidente che le forze francesi non bastavano più a trattenere i nemici.
Allora l'imperatore con audace cambiamento di strategia non si mosse più verso ponente ma verso oriente portandosi alle spalle degli alleati, sperando di tirarseli dietro.
Però Schwarzenberg e Blucher non si lasciarono prendere dal tranello e con 180.000 uomini comparvero davanti a Parigi, diedero qui il 30 marzo un'ultima battaglia vittoriosa e costrinsero i difensori guidati da Marmont e da Mortier a firmare nella stessa notte, alle 2 del mattino, la capitolazione.

Il 31 marzo 1814 i vincitori entravano solennemente nella superba capitale dei Francesi, il luogo bramato da tutti loro dopo tante fatiche. La popolazione li accolse acclamando: «Viva il re Luigi XVIII !». L'uomo che era fuggito ed emigrato nel 1791, chiedendo nelle corti di tutta Europa di far ritornare a Parigi la monarchia borbonica.
E così sul trono di Francia sale LUIGI STANISLAO SAVERIO di BORBONE, il fratello del re ghigliottinato, col nome di LUIGI XVIII. Quasi subito, il 4 giugno, su consiglio di TALLERYRAND il sovrano emana una nuova Costituzione, che pur se ispirata a quella inglese non é una espressione della volontà della nazione, ma tipicamente feudale; c é il ripristino del potere monarchico. Il ritorno al passato, con in più il rancore, verso tutti e tutto.

Si voleva rifare il clero, ma si scelse un vescovo spretato per innalzare trono e altare. Si voleva passare la spugna sulla Rivoluzione, ma si esumavano i suoi cadaveri.
Si sorvegliavano i soldati, perché se ne aveva paura, e li si faceva passare in rivista da gente che parlava di gloria,... salutando i Cosacchi !!!
La Francia non avrebbe dovuto avere fiducia nel suo governo, perché il governo non ne aveva per niente nella Francia. La Nazione non aveva capito che i suoi interessi non erano quelli del trono, e che quelli del trono non erano i suoi.

Invece con un colpo di spugna, tutti i francesi avevano buttato nella pattumiera tutti i ricordi dei giorni della rivoluzione e venti intensi anni di Bonapartismo.

E così la restaurazione delle monarchie esautorate nel '91 dai "venti" repubblicani, torneranno dopo Napoleone nuovamente a dominare diventando ancora più conservatrici, più repressive e più arroganti di prima, utilizzando le stesse "armi" di Napoleone: usando il popolo. Fecero esplodere la rivolta degli spiriti contro la predominanza della Francia di Napoleone; ed é curioso che sia in Francia, in Prussia, in Austria, Russia, Italia e in Inghilterra si servirono tutti della stessa parola: Soulevement -rivolta! "Rivolta contro Napoleone"!

Pochi anni dopo il Duca di Modena Francesco IV, al Congresso degli Stati Europei fu molto chiaro: "per stroncare ogni altra velleità liberale del popolo, dopo quel "sapore di libertà" provata nel periodo napoleonico, da Metternich chiamata "rivolta degli spiriti; dovremmo sfruttare ora a nostro vantaggio, mettersi noi alla loro testa". 
Ma era possibile un ritorno alla monarchica? I francesi diedero la loro risposta solo dopo trent'anni.
Nel 1848 la "rivolta degli spiriti" era infatti rimasta sempre da una parte, e non era di sicuro quella guidata dai monarchici; la loro crociata era fallita.
Napoleone era stato anche buon profeta, finito a Sant'Elena, nel suo Memoriale scriveva: "Deve passare una generazione, poi i giovani vendicheranno l'oltraggio che io soffro qui, colle chiare opere che da essi usciranno" infatti dopo una generazione, nel '48 iniziarono le rivoluzioni! In Francia, in Italia, in Prussia, e perfino nella stessa Vienna, abbattendo l'uomo della sventura dell'Austria: Metternich.
Quanto alla Russia, vincitrice di Alessandro, la sua sventura continuò con i Romanov. Arrivata all'inizio del XX secolo era ancora un Paese medioevale, antiquato, chiuso, con un popolo miserabile. Proviamo a pensare come ci sarebbe arrivata se Napoleone avesse conquistato Mosca, e unita la Russia al sistema occidentale !!! )

 

Torniamo ai fatti di Parigi durante la capitolazione. Tristi giorni aveva nel frattempo passati Napoleone; all'esterno, le sue speranze e i suoi sforzi furono vani. In Vitry ricevette la notizia che la sua capitale era minacciata. Con pochi fidati accorse in suo aiuto, ma lungo la strada fu informato della sua capitolazione. Infuriato e sconfortato si recò a Fontainebleau.

Quando lo raggiunsero anche qui le sue truppe volle mettersi alla loro testa per marciare su Parigi, ma il Senato già il 30 marzo cedendo alle manovre di Talleyrand aveva dichiarato decaduto Napoleone, i marescialli rifiutarono di obbedire e una parte dell'esercito senza generali era esitante. Dopo una ostinata ed intima lotta sottoscrisse quindi l'11 aprile 1814 la sua abdicazione.
""a combattermi - dirà amaramente Napoleone nel suo Memoriale di Sant'Elena - c'era anche la stessa Francia: "le figlie si sono rivoltate contro la madre che le ha formate!" ..."mi sembravano degli stranieri in patria".

Come un giocatore disperato, nella breve campagna del 1814, breve ma ricca di vicende, Napoleone aveva cercato di riguadagnare quel che da lungo tempo era andato perduto. Senza sentire quanto fosse cambiata la sua situazione, senza avere la forza di dominarsi, fece richieste che non era in grado di ottenere con le armi. Ostinato, respinse quelle che gli venivano offerte. Così fu egli stesso autore della propria rovina.
Anche se dopo l'abdicazione, e l'esilio all'Elba, fece un nuovo tentativo per evitarla.

Il 20 Aprile Napoleone si congeda dalla Guardia Imperiale;
si mette in viaggio per l'Isola d'Elba.
E' questa la sua nuova destinazione di sovrano spodestato.
Cosa farà ora, il contadino ?


L'ELBA - WATERLOO - CONGRESSO DI VIENNA - 1814-1815 > >

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