-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

106. LA POLONIA SOTTO I PIASTI


La Polonia alla fine del XIV secolo

Alcuni autorevoli studiosi considerano il centro di origine degli Slavi tra l'Oder e la Vistola, da tempi remoti (almeno dal 500 a.C.). Vi erano stanziate tribù di Polani, Vislani, Pomerani o Casubi e Masuri. Nell'introdurci in questa storia, che è poi la storia della Polonia, anticipiamo una breve sintesi. Secondo la leggenda, solo nel IX secolo sorse il primo reame; il primo sovrano fu un contadino di nome Piast (842-861) che dopo essersi fatto riconoscere capo della tribù dei Polani estese il suo dominio anche alle altre tribù su un primo territorio che poi prese il nome di Grande Polonia (regione del medio Oder, della Warta e della media Vistola). Morto Piast la sua discendenza, o meglio la dinastia che prese il suo nome - dei Piasti - regnò sulla Polonia fino al 1370. Primo evento documetato (963) è uno scontro tra guerrieri tedeschi e le tribù del duca Mieszko (960-992 - quarto o quinto sovrano piastide) che si trovava alla testa di una forte federazione di tribù slave e disponeva di un di un esercito permanente di 3000 uomini pagati in moneta sonante da questa primitiva organizzazione statale il cui centro era Gniezno. Questo stesso Mieszko prese in moglie Dabrowka, figlia del duca cristiano di Boemia Bolelslao I (929-967).
Detto questo riprendiamo la narrazione dalla prima comparsa di questi slavi su questo territorio.

Fra le varie stirpi slave occidentali quella polacca fu la più tarda ad apparire sulla scena della storia e come abbiamo appena letto, ci si presenta subito assai meno disgregata delle altre. Il nome di Polani o Polacchi (cioè «gente della pianura») spettava propriamente soltanto alla tribù stanziata sulla Varta con i villaggi-capoluoghi Posen, Gnesen e Kruschwiza. Più ad oriente sulla Vistola dimoravano i Masovi (Masuri; uno dei capoluoghi di cantone di questa tribù era Varsavia); a sud verso il corso superiore del fiume abitava «la gente della Vistola» con i villaggi-capoluoghi Cracovia e Sendomir; a nord-ovest confinava con la regione che in seguito prese il nome di Slesia, nome che in origine spettava alla sola parte centrale corrispondente all'attuale distretto di Breslavia.

A questo punto gli Slavi di cui ora parliamo venivano a contatto coi loro connazionali del Lausitz e coi Lutizi, con i quali vissero in rapporti perennemente ostili, specialmente con i Lutizi, fieri nemici dei polacchi anche prima che questi ultimi si convertissero al cristianesimo.
L'organizzazione della nazione polacca ebbe il suo primo focolare nella parte nordoccidentale del paese, la quale perciò fu in seguito chiamata «Grande Polonia » (rispetto al territorio di Cracovia e di Sendomir incorporato in epoca più recente e quindi detto «Piccola Polonia»), e gli organizzatori furono i «Piasti» di Gnesen, città cui torna perciò veramente appropriato questo nome che significa «nido » rifugio.
Che i Piasti - come narra la leggenda - fossero una dinastia di origine agricola è meno sicuro che per i Przemyslidi; certo che se fossero vere simili umili origini appare singolare il contrasto di un potere illimitato di cui era investito il primo re e i suoi successori, e che sorprende doppiamente se si guarda alle ben diverse condizioni politiche degli Slavi vicini, ad esempio dei Lutizi sempre in continue inimicizie e contese fra di loro o con le tribù confinanti, senza una autorità superiore coordinatrice, quindi in uno stato di completa disgregazione. Questi alla fine furono soggiogati senza fatica dagli eserciti franchi, quelli invece iniziarono un lungo cammino con l'autorità del loro primo sovrano.

In seguito tuttavia gran parte di questi poteri del sovrano passò nelle mani della nobiltà. La nobiltà polacca presenta delle caratteristiche che la differenziano profondamente dalla nobiltà europea. Essa si riteneva tutta di uno stesso sangue e quindi non ammetteva distinzioni di nobiltà alta e bassa, nè una gerarchia (baroni, ecc.), nè differenza di titoli, ordini, ecc., nè ereditarietà di uffici e di dignità.
Questa nobiltà sembra provenire da una classe professionale di guerrieri cui furono assegnati come appannaggio determinati territori (insieme con la rispettiva popolazione agricola); anche il potere assoluto di quelli che saranno principi deve ritenersi sorto e cresciuto in grazia delle esigenze militari.
La prima vera personalità storica della dinastia dei Piasti è il già citato all'inizio, Mieschka (l'«Orso») che dovette adattarsi a pagare un tributo all'imperatore Ottone I per conservare il territorio fino alla Varta.

Nel 966 Mieschka prese il battesimo cristiano, indottovi dalla moglie che era una boema, Dabrowka, figlia del duca cristiano di Boemia Bolelslao I (909-967); venne istituito a Posen il primo vescovado alla dipendenza dell'arcidiocesi di Magdeburgo ed il primo vescovo fu tedesco. Il figlio e successore di questo principe, portava come il suo suocero boemo il nome di Boleslao. Boleslao I (967-1025) fu a buon diritto soprannominato il "Grande" (più propriamente «il prode»). Fu lui ad ampliare i confini della Polonia ed è considerato il fondatore dello Stato Polacco.

Per compiere questa impresa egli riuscì a giovarsi di due circostanze: anzitutto dell'amicizia di Ottone III, per i cui progetti di monarchia universale era opportuno tenersi caro questo amico e patrizio del popolo romano con il suo popolo cristiano. E anche a Ottone non dispiaceva questa (utile) amicizia.
Ottone si recò perfino nell'anno 1000 a Gnesen in pellegrinaggio alla tomba del recente martire Voitec-Adalberto, esonerò il principe polacco Boleslavo dal tributo ed acconsentì a rendere autonoma la sua chiesa che venne staccata dalla giurisdizione arcivescovile di Magdeburgo; sorse quindi un arcivescovado (il primo arcivescovado slavo dopo i tempi di Metodio) a Gnesen con i suoi vescovadi suffraganei di Breslavia e Cracovia (quest'ultima città era stata da poco tolta da Boleslavo ai Boemi, completando così la conquista della Piccola Polonia); arcivescovo, ma non a caso, fu nominato il fratello del martire Adalberto, Radim.

La seconda circostanza da cui Boleslavo trasse profitto anche maggiore furono le discordie scoppiate in Germania dopo la prematura morte di Ottone III. Egli si schierò con gli avversari di Enrico II. La lotta che il principe polacco dovette sostenere per l'indipendenza degli Slavi occidentali fu lunga e sofferta, tuttavia la sostenne con determinazione; quando la pace di Bautzen (1018) pose fine a queste guerre Boleslavo aveva in sostanza ottenuto tutto quello che voleva, essendo rimasto nelle sue mani il Lausitz, il territorio che era l'oggetto immediato della contesa.

Subito dopo egli rivolse le sue armi dalla parte opposta, verso est, ed entrò vittorioso a Kiew per la porta d'oro; non poté in seguito mantenere questa conquista, ma in compenso ampliò la Piccola Polonia riprendendo le località sul San e sul Bug di cui si era impadronito il russo Vladimiro (980-1015) l' altro astro nascente degli slavi orientali, morto qualche anno prima e prima della pace di Bautzen.

La voce di Boleslao I, si fece sentire fino alla corte di Costantinopoli, ed un suo inviato comparve a Roma per chiedere dal papa a favore di lui il conferimento della corona reale. Visto però che a questo suo desiderio si frapponevano ostacoli, egli si fece- incoronare dal vescovo locale (1025) rompendo ogni vincolo di vassallaggio verso l'impero germanico.
Ma pochi mesi dopo morì all'età di 58 anni. Suo figlio Mieschka II non si mostrò pari al suo compito. Il padre all'atto di assumere il governo si era sbarazzato senza misericordia di tutti i fratellastri e parenti; invece in questo caso i fratelli dell'erede al trono, ambiziosi e litigiosi, furono la rovina di Mieschka.

I tedeschi che presero la sua incoronazione, che pure Mieschka II si fece da solo sull'esempio del padre, come una sfida riuscirono a sobillare contro di lui i fratelli; ne seguirono scissioni e lotte intestine, e non solo andarono perdute tutte le conquiste del «Chrobry», ma dopo la fuga in Germania cui fu costretta la sua vedova, la tedesca Richeza, insieme col figlio minore Casimiro, sembrò che il paese dovesse cadere in preda all'anarchia completa.

Si trattò di un moto popolare d'indole sociale; i contadini, che come dappertutto si incamminavano verso la vera e propria servitù, ebbero un ultimo scatto di ribellione e abbatterono il giogo oppressivo dei funzionari regi, della nobiltà e delle decime. Vi si mescolò persino la reazione di residui di paganesimo, dell'antica religione non ancora completamente estirpata. Vecchi nemici, i Boemi, condotti dal bellicoso Brezislavo, approfittarono dell'occasione per saccheggiare senza misericordia la Polonia.
Ma alla fine il giovane Casimiro erede al trono con l'appoggio straniero, cioè con l'appoggio principalmente morale dell'imperatore e con l'aiuto di suo suocero, un russo, riuscì a dominare l'anarchia ed in particolare a domare l'aperta ribellione della Masovia.

Casimiro tuttavia non riuscì a ripristinare del tutto lo stato di cose antecedente nè a cingere la corona reale; le sue forze si esaurirono in una serie di guerre con i Pomerani e con i Boemi. Soltanto suo figlio Boleslavo II (1039-1081) sembrò avere ereditato col nome l'energia e la fortuna del suo grande antenato; anch'egli fu straordinariamente favorito dalle discordie intestine della Germania; la lotta dei Sassoni contro Enrico IV gli lasciò libere le mani.
Egli riportò sotto la sua autorità la Pomerania e la Boemia, si ingerì nelle questioni interne dell'Ungheria, arrivò vittorioso fin sotto Kiew, ed ancora una volta i vescovi del suo paese lo incoronarono re senza autorizzazione del papa. Tuttavia un vago consenso gli giunse da Gregorio VII.

L'insubordinazione però dei grandi del suo regno gli riuscì fatale. Avendo il re fatto squartare il vescovo Stanislao di Cracovia complice delle loro macchinazioni, costoro gli si misero tutti contro ed elevarono al trono suo fratello Vladislavo-Ermanno.
Solo Boleslavo III «bocca storta» (1086-1138), un prode ed instancabile guerriero, rialzò il prestigio della Polonia; ma già la fortuna cominciava ad abbandonare i Piasti, perché i risultati definitivi non furono affatto proporzionati alle sue splendide vittorie. Boleslavo III dovette rinunziare a farsi incoronare re ed alla fine del suo governo umilmente si riconobbe vassallo della Germania. Verso oriente egli indebolì la sua posizione chiamando l'Ungheria a partecipare alle lotte per i principati russi occidentali; ma la massima sfortuna per il suo paese furono i numerosi figli ch'egli lasciò.

Secondo il diritto ereditario slavo, che non conosceva il maggiorascato e l'esclusione dei cadetti, tutti i suoi figli avevano pari diritti di successione; il paese dovette quindi essere diviso in parti più che possibile uguali fra i suoi figli. In aggiunta alla sua porzione il primogenito ebbe Cracovia e la Pomerania di recente conquistata, ma che occorreva conservare con l'aiuto della spada. Al possesso di Cracovia andava unito il «seniorato» ; esso però non fu per l'avvenire riservato ad una sola linea, il che equivalse a decretare a priori la permanente discordia in famiglia.
Inoltre questa creazione di una serie di province indipendenti aumentò straordinariamente la potenza della nobiltà e del clero, mettendo i principi alla mercé dei loro funzionari; e ben presto se ne videro gli effetti perché il clero per primo si assicurò l'esenzione delle imposte ( e varie immunità) e la nobiltà in seguito seguì l'esempio.

Le discordie in famiglia, che erano prevedibili e che Boleslavo III avrebbe dovuto evitare, scoppiarono infatti dopo breve tempo.
Sempre nuove divisioni e nuove lotte riempirono, come altrove, anche le pagine della storia di Polonia nel XII e XIII secolo; ma durante questo periodo maturò lentamente un processo di trasformazione che diede una impronta nuova alla vita esteriore e spirituale del paese.

L'introduzione del cristianesimo con Mieschka nel 966, aveva all'inizio ben poco modificato il quadro tradizionale della vita di questi Slavi. Le circoscrizioni ecclesiastiche in Polonia erano più vaste che altrove, erano e agivano come intere monarchie (ad es. la circoscrizione del vescovado di Cracovia) mentre invece era assai scarso il numero degli ecclesiastici destinati a svolgerne i compiti; l'elemento nazionale vi concorse molto tardi ed in modo piuttosto lento; inoltre i primi vescovi, abati e persino monaci furono per lo più stranieri.

Quanto questo clero fosse poco animato da spirito cristiano lo dimostrò la sua astensione dal partecipare all'opera di conversione dei popoli tuttora pagani che pure avevano lì accanto a portata di mano; questo suo peccato di omissione verso i Pomerani e i Prussiani fu scontato a caro prezzo dal popolo e dalla nazione polacca; allora ma anche in seguito.

Alla Polonia in primo luogo riuscì fatale l'intervento straniero nella conversione della Prussia. I Prussiani erano pagani e più ostinati dei Pomerani. Essi vivevano disgregati in una serie di gruppi territoriali, composti a loro volta di altri minori gruppi non coordinati fra loro, in cui dominavano dei capi autonomi, che spesso erano dei semplici anziani di villaggio; tuttavia il popolo si distingueva per il suo valore e anche per una certa disposizione dell'animo all'umanità (i Prussiani erano l'unico popolo europeo che non praticasse il così detto «diritto di naufragio» - che era il barbaro diritto di prendere ogni cosa a chi aveva la disgrazia di un naufragio).

Non molestavano i vicini, e del resto la mancanza di qualsiasi organizzazione li metteva nell'impossibilità di assumere attitudini aggressive. D'altro canto però la cristianità europea non poteva tollerare che accanto a sé, anzi nel suo seno continuassero a sussistere delle popolazioni pagane; di qui le missioni che si rivolsero alla conversione della Prussia fin dal 997 (Adarberto, che in seguito divenne il santo protettore del duomo di Kònigsberg) e dal 1009 (Bruno di Querfurt). I due secoli successivi non offrono che qualche spedizione militare in Prussia da parte dei Polacchi.

A questo punto però il duca Corrado di Masovia concepì l'idea, che doveva riuscir fatale a lui stesso ed alla Polonia, di insediare ai suoi confini verso la Prussia un ordine monastico-cavalleresco, dotandolo di territorio e di diritti sovrani, un ordine con la missione di continuare a oltranza la guerra contro i pagani e di costringerli alla conversione.

Perché - si disse costui - non avrebbe dovuto egli pure possedere nel suo paese una "militia Christi", di cui andava tanto orgogliosa la cristianità occidentale? Un esempio a lui molto vicino l'offriva la Livonia. A dire il vero nessun pericolo minacciava la Polonia da parte dei Prussiani, ma per giustificare l'impresa non si mancò di inventare o esagerare le angherie e le molestie che la cristianità soffriva ad opera di fantomatici feroci pagani. Come sappiamo le minoranze anche le più minute sono sempre un buon pretesto per far intervenire in un altro paese eserciti stranieri, che sotto il vessillo degli aiuti agli oppressi, hanno poi tutte le giustificazione di questo mondo.

Così Corrado per attuare la sua idea si rivolse all'Ordine Teutonico ed al suo accorto ed energico gran maestro Ermanno di Salza. Così facendo egli mostrò di non aver saputo trarre nessun insegnamento dal pericolo che già l'Ungheria aveva corso per aver voluto servirsi dell'Ordine Teutonico; anche gli Ungheresi avevano infatti chiamato quest'Ordine a stabilirsi in paese per combattere i Cumani, tuttora pagani; ma quando si accorsero che l'Ordine non mirava ad altro che a costituirsi una signoria territoriale autonoma nelle regioni tolte ai Cumani, che cioè essi si stavano allevando una serpe in seno, lo avevano messo in tempo alla porta senza tante cerimonie.
Ora se l'energico e previdente re d'Ungheria riuscì a liberarsi di questa spina che si era conficcata da solo con le proprie mani, non vi poteva invece riuscire l'imprevidente e debole principe polacco che non aveva pensato a prendere alcuna cautela per salvaguardare i propri interessi.

Come era da attendersi l'Ordine Teutonico perseguì sin dal primo momento, anche rispetto alla Prussia, un unico scopo, quello di crearsi uno stato indipendente sotto l'alta sovranità nominale dell'imperatore e del papa; la Polonia non doveva che servirgli d'aiuto a superare le prime difficoltà, fornirgli la base d'operazione per l'impresa. Questa cominciò con degli inizi assai modesti; la Prussia fu conquistata prendendo le mosse dal castello di Neschau sulla Vistola e da un'alta quercia situata al di là del fiume, tra i cui rami furono erette delle torricelle merlate; sette cavalieri dell'Ordine costituivano all'inizio tutta la guarnigione.
All'Ordine Teutonico fu facile, data la sua arte militare superiore, impadronirsi l'una dopo l'altra delle «pile» prussiane; gli Slavi riportarono qualche successo, ma non poté avere che un efficacia temporanea, perché mentre loro si assottigliavano e non avevano rincalzi, i vuoti che invece si formavano nelle file dei cavalieri venivano continuamente colmati da contingenti freschi di crociati che affluivano dalla Germania.
La partecipazione a queste crociate divenne di moda ed in una occasione simile re Ottocaro di Boemia pose la prima pietra della futura Konigsberg. L'Ordine procedette con terribile durezza; il suo maggior impegno non fu certo la conversione ma lo sterminio.

Ben presto la stirpe prussiana sparì completamente dalla quasi totalità del territorio invaso; al principio del XVI secolo questi Slavi erano già ridotti ad un pugno di persone viventi nel Samland; gli ultimi morirono nel XVII secolo. Lo stesso Ordine si trovò costretto a favorire in alcune contrade del paese interamente spopolato l'immigrazione di Polacchi dalla Masuria. Per eliminare le pretese sui territori conquistati di Corrado di Masovia e dei Polacchi, che oltre ad aver aiutato l'Ordine a superare le prime difficoltà lo avevano assistito in momenti assai critici, ad es. alla battaglia decisiva sulla Sirgune (1236), l'Ordine ricorse ad una vasta costruzione di documenti falsi che avrebbero dovuto provare i suoi titoli di legittima sovranità, e più tardi alla corruzione (presso la Curia e presso gli arbitri chiamati a decidere della contesa).

Ed i deboli principotti polacchi non osarono ulteriormente reagire contro la S. Sede e contro i cavalieri di S. Maria da questa protetti e favoriti. E l'Ordine con accorta previdenza aveva già preparate le stesse armi per l'esecuzione di più vasti progetti ; nelle sue mire cioè vi era, dopo la conquista della Prussia, anche la conquista di tutta la Lituania; e a tale scopo iniziò a preparare donazioni e documenti falsi.
Ai successi militari si accoppiò tuttavia una energica, saggia amministrazione, una serie di ottimi provvedimenti economici, specialmente quello di favorire l'immigrazione tedesca che ben presto fece fiorire le città prussiane di Kulm, Thorn, Elbing, ecc.

Anno per anno aumentò d'importanza la colonia fondata dall'Ordine, il che servì di compenso al suo forzato ritiro dall'Oriente, dove la caduta di Acri gli aveva fatto perdere l'ultimo punto d'appoggio; le altre sue commende gli davano dei redditi ma non il vantaggio massimo dell'autonomia. Logicamente il provinciale di Prussia divenne gran mastro dell'Ordine e finalmente nel 1309 la sede del comando supremo dell'Ordine fu trasferita nella sontuosa MARIENBURG (sotto nell'immagine) , la quale per grandezza, solidità di difese e comodità superava tutti i castelli del tempo, e non solo quelli orientali.


I rapporti ecclesiastici interni furono regolati a tutto vantaggio dell'Ordine; esso non tollerò nel suo dominio nessun'altra autorità ecclesiastica indipendente, per non dire superiore, quindi anche lo stesso papato; il primo missionario e vescovo in Prussia, il monaco cistercense Cristiano, che vi aveva portato la sua opera di conversione molto prima dell'intervento dell'Ordine, scontò con la vita la sua resistenza a sottomettersi.

Così la situazione etnografica dei paesi slavi settentrionali adiacenti alla Germania verso est si era venuta lentamente ma completamente trasformando; ed il processo di germanizzazione cominciato nel 1150 nell'Holstein si estese ora sino al Pregel. Nella stessa Polonia l'immigrazione tedesca è un tratto saliente del XIII secolo (in seguito poi il movimento è cessato).
La corrente d'immigrazione dei contadini e borghesi tedeschi si diresse a tutta prima verso la Slesia settentrionale che ben presto fu completamente germanizzata, i Piasti della Slesia favorirono con tutte le loro forze questa trasformazione e poco passò che essi medesimi si considerarono tedeschi. I primi centri di questa colonizzazione si formarono attorno a conventi tedeschi di monaci cistercensi (Leubus nel 1175; Heinrichau nel 1222, ecc.); in seguito le diede un poderoso impulso principalmente il principe di Breslavia Enrico I il Barbuto, procedendo alla fondazione di numerosi centri cittadini. Eventi esterni affrettarono poi questo processo già avviato.

Nel 1241 i Tartari erano comparsi sotto Cracovia e l'avevano data alle fiamme; di qui essi avanzarono nella Slesia su Oppeln e Breslavia che furono incendiate dagli stessi cittadini e giunsero a Liegnitz, dove in una battaglia decisiva, impegnatasi ancor prima che avessero potuto arrivare gli aiuti boemi, il figlio di Enrico I, il duca Enrico II, rimase ucciso ed il suo esercito sterminato.
Nel corso del secolo poi i Tartari tornarono più volte a devastare orribilmente la Polonia. Queste devastazioni e lo spopolamento delle regioni non poterono che rendere ancor più favorevoli i principi polacchi alla colonizzazione tedesca, la quale infatti nella seconda metà del secolo raggiunse il suo massimo di intensità.

Le istituzioni municipali dell'Europa occidentale furono di esempio in Polonia. Le città vi si organizzarono sul modello degli statuti del Magdeburgo, ebbero un consiglio per il governo e l'amministrazione, giudici e scabini per la giurisdizione; l'assegnazione di aree da costruzione con un periodo di esenzione da ogni onere, dopo il quale si doveva pagare un moderato canone, queste ed altre imposte che costituirono una copiosa fonte di entrate per il principe: tutto fu regolato metodicamente, e ben presto fiorirono Posen, Cracovia e Breslavia; l'elemento slavo fu dovunque soppiantato dall'elemento tedesco nelle città.

Nella campagna fu invece molto più scarso il numero di coloni tedeschi, tuttavia anche il villaggio polacco si modellò sull'organizzazione del villaggio tedesco. Ben presto i tedeschi esercitarono una influenza persino come partito politico, ad es. a Cracovia, la quale perciò parteggiò costantemente per i principi di Slesia che erano divenuti principi tedeschi da quando Enrico IV si era fatto vassallo di Rodolfo trasmettendogli i suoi domini per riceverli in feudo.
Da questo momento la Slesia cessò per sempre di appartenere politicamente alla Polonia. Nel resto fu piuttosto varia l'efficacia di una ulteriore penetrazione germanica; la Slesia meridionale rimase prevalentemente polacca; quanto alla Polonia vera e propria non poteva esservi un serio pericolo di vera e propria germanizzazione, perché l'immigrazione tedesca si limitò quasi esclusivamente alle città e restò completamente sparpagliata, e soprattutto perché il clero cominciò a dimostrare maggior zelo per la difesa degli interessi nazionali.

Solo nel XIII secolo questo clero si sollevò all'altezza della sua missione. Le invasioni dei Tartari e le pestilenze misero in allarme le coscienze, i «flagellanti» penetrarono anche in Polonia. Già prima domenicani e francescani, dediti a differenza degli altri ordini monastici più antichi alla predicazione, avevano portato la loro parola in mezzo al popolo polacco, anzi si erano spinti anche più in là in Lituania, Russia e Valacchia, mirando col loro zelo alla conquista anche degli ortodossi che venivano considerati poco meno che pagani.
Fu questo in Polonia il secolo dei santi, e persino i principi si impegnarono a condurre una vita ascetica, come indicano i soprannomi di «pio», «casto» a loro attribuiti. La tradizione perpetuatasi nel clero della cattedrale di Cracovia aveva da tempo fatto un martire il vescovo Stanislao sopra ricordato, il quale fu poi santificato nel 1253; mentre nella coscienza collettiva il re (Boleslavo II) che lo aveva mandato al supplizio divenne il più feroce tiranno, e una vendetta di Dio lo smembramento del regno seguito alla sua morte.

Il culto di S. Stanislao e la subordinazione di tutti i piccoli stati polacchi all'autorità diocesana di Gnesen fu un elemento unificatore; era convinzione che il corpo dilaniato del santo si era ricomposto per un miracolo voluto da Dio, e così con un altro miracolo, le sparse membra della Polonia si sarebbero un giorno riunite. In Polonia quindi, come in Russia, il clero rappresentò l'idea dell'unità nazionale.

Per il momento tuttavia questa meta si delineò assai lontana, anzi si camminò addirittura verso il completo smembramento della Polonia. Se qualche principe riuscì ad iniziare una parziale opera di unificazione, questa tornò a crollare con la sua morte; da ultimo poi si aggiunse l'inconveniente della graduale estinzione della stirpe dei Piasti. Così Przemysl II riuscì non solo a riunire sotto il suo scettro tutta la Grande Polonia, ma ad estendere il proprio dominio anche sulla parte orientale della Pomerania (Pomerellen con Danzica), da lungo tempo staccata dalla Polonia e divenuta indipendente; egli, perseguendo il suo ideale unitario, si fece incoronare nel 1295 a Gnesen re di Polonia e duca di Pomerania, ma nello stesso anno cadde vittima di un attentato: in tutto ciò l'opinione pubblica vide la mano dei margravi di Brandeburgo che avevano voluto liberarsi da un vicino incomodo; essi infatti avevano già ampliato la Neumark a spese della Polonia e miravano ad impadronirsi della Pomerania, dove potevano contare sulle città tedesche, specialmente su Danzica.

Contemporaneamente l'unificazione della Polonia fu tentata da un'altra parte: la nobiltà della Piccola Polonia e la borghesia di Cracovia offrirono la corona, dopo l'estinzione del ramo dei Piasti dominante nella Piccola Polonia, al re di Boemia loro parente, e la morte di Przemysl II eliminò ogni ostacolo.
Venceslao II di Boemia si fece così incoronare re di Polonia nel 1300. L'influenza boema divenne predominante in Polonia, questa fu invasa dalle istituzioni politiche, dalla lingua e dalla letteratura boeme, dalle monete boeme, ecc.; ma la rapida estinzione della stirpe dei Przemyslidi (1306) impedì l'unificazione dei due popoli, tentata nel X secolo ed ora soltanto arrivata per un momento quasi a realizzarsi.

Ma l'ideale unitario rimase sempre vivo in Polonia; a questo progetto si dedicò con tenace energia uno dei Piasti, Vladislavo il Nano, signore di un piccolo dominio. Dal 1288 egli lottò per questa idea senza lasciarsi scoraggiare da nessun insuccesso ma con una forte determinazione. All'inizio infatti fu sopraffatto dal re di Boemia, dovette sottomettersi ed alla fine perfino fuggire dalla Polonia, peregrinando fino a Roma. Ma poi con l'aiuto dell'Ungheria (Carlo Roberto d'Angiò era nemico giurato del re di Boemia, giacché questi elevava pretese sull'Ungheria) riuscì ad insediarsi saldamente nella Piccola Polonia e la sua costanza fu premiata.

A poco a poco dal 1306 caddero nelle sue mani tutta la Piccola Polonia, la Pomerania orientale (Pomerellen) e la Grande Polonia.
La borghesia tedesca di Posen gli si ribellò invano; assai più pericolosa fu invece la rivolta del ricco e potente governatore di Cracovia, Alberto, il quale, alleandosi col vescovo locale anch'esso ribelle, chiamò in aiuto Boleslavo di Slesia e invitò a defezionare le città ed i monasteri della Piccola Polonia. Tuttavia anche in questo caso trionfò l'energia e la detrminazione di Vladislavo il Nano, il quale fu così abile da seminare la discordia tra i suoi avversari e nel 1312 inflisse una terribile punizione a Cracovia.

Da questa catastrofe la borghesia non si sollevò più; essa rinunziò da allora ad ogni partecipazione alla vita politica, limitandosi a badare ai suoi commerci ed alla propria opulenza. Ciò non servì che ad accrescere, come in Boemia, gli antagonismi sociali; la nobiltà, povera di censo e che aveva sopportato e sopportava da sola il peso della guerra, guardò con occhio invidioso il grasso borghese e la sua pacifica agiatezza. Del resto questo assenteismo della borghesia dalla vita pubblica doveva col tempo tornare a grave pregiudizio della stessa classe e della stessa Polonia.

Intanto le condizioni economiche della nazione, almeno fuori delle città, erano tutt'altro che rosee; il paese apparve completamente dissanguato, e per soprappiù si delinearono ben presto all'orizzonte nuove e più gravi lotte. Vladislavo si era comunque fatto incoronare nel 1319 a Cracovia re di Polonia. Ma poco dopo cominciarono le defezioni; prima si staccò la Slesia che si rese vassalla del re di Boemia, poi la Masovia che anch'essa riconobbe a suo signore feudale Giovanni di Lussemburgo, il quale non invano (in attesa del crollo) elevò pretese alla corona di Polonia: in ultimo andò pure perduta la Pomerania orientale (Pomerellen).

I signori del Brandeburgo, approfittando della debolezza di Vladislao e della donazione di Venceslao III, avevano già conquistato quest'ultimo territorio, ad eccezione di Danzica, quando il re polacco, ridotto alle strette, chiese pure lui aiuto all'Ordine Teutonico.
L'Ordine non aspettava altro; esso occupò Danzica come alleato di Vladislavo, poi una volta insediatosi cacciò pure lui per sempre dalla città e da tutta la regione; mise a tacere le pretese dei Brandeburgo con una somma di denaro, un'altra ne offrì anche al re in cambio della cessione del territorio; ma il re non volle accettarla.
Ma la partita era troppo impari, perché l'Ordine disponeva di risorse inesauribili e di un esercito sempre pronto, agguerrito ed alimentato continuamente da nuove reclute provenienti dalla Germania cristiana. Una oculata politica mercantile gli aveva inoltre assicurato una quantita enorme di introiti doganali e altrettanto enormi erano le entrate alle sue città (Thorn, Elbing, in seguito Danzica); quindi esso disponeva di grandi mezzi finanziari.

La Polonia, non avendo uno sbocco sul mare, aveva come unica via di comunicazione e di traffico la Vistola ed i suoi prodotti dovevano convergere forzatamente sul mercato di Thorn; le città prussiane, entrando nella lega anseatica, parteciparono al suo attivo commercio con i paesi nordici ed il paese si elevò ad un grado di cultura, ordine e benessere tale che di fronte ad esso era stridente il contrasto la povertà e la barbarie della Polonia.

L'Ordine ora prese piede anche sull'altra sponda della Vistola senza che la minima ragione o pretesto ve lo chiamasse e minacciò apertamente la Polonia. In questa lotta impostagli dal procedere di quei monaci il re mise in moto la curia e cercò di procurarsi da ogni parte degli alleati; ma l'Ordine non si curò delle condanne e degli anatemi di Roma e nel 1331 volle portare il colpo decisivo; i suoi eserciti avanzarono fino a Kalisch, distruggendo ed incendiando tutto così radicalmente e sistematicamente che nemmeno i Prussiani pagani non avrebbero potuto in due secoli arrecare danni uguali.

Ma la battaglia di Plowze arrestò l'avanzata dell'Ordine e la Polonia per il momento fu salva. Essa ottenne a gravi condizioni un armistizio. Poi subito dopo seguì nel 1333 la morte del re.
Il suo unico figlio sul trono col nome di Casimiro III (1310-1370) non invano aveva per molto tempo dimorato nella splendida corte degli Angiò in Ungheria; la sua ambizione fu di portare la Polonia allo stesso grado di progresso e di ricchezza dell'Ungheria. Ma per riuscirci occorreva ristabilire anzitutto la pace rinunziando alle vane lotte contro l'Ordine Teutonico.
Casimiro quindi liquidò d'un colpo tutta la politica occidentale del suo paese; i Lussemburgo rinunziarono alle loro immaginarie pretese sulla Polonia ed in compenso Casimiro rinunziò alla Slesia ed alla Masovia. Rafforzò la sua posizione mediante alleanze con la Boemia e con l'Ungheria (sin dal 1336 Casimiro manifestò al figlio del re d'Ungheria, Luigi - dov'era stato per molti anni della sua gioventù ospite - il suo proposito di designarlo alla successione al trono polacco).

All'Ordine Teutonico cedette la parte orientale della Pomerania (Pomerellen) ed in compenso ottenne la restituzione di altri territori occupati dall'Ordine; sebbene con ritardo (nel 1343), la nobiltà polacca ratificò questo trattato di Wyschehrad del 1336 ed il solo clero elevò contro di esso una solenne protesta.
A queste gravi perdite subite dal lato occidentale Casimiro cercò un compenso ad est; essendo morto (nel 1340) senza discendenti il principe di Halicz (e di Lemberg) suo parente, egli anticipo sul tempo tutti gli altri aspiranti, respinse i Tartari, tacitò con denaro le pretese dell'Ungheria, ed annesse alla corona polacca Halicz e la Volinia.

Il ristabilimento della disciplina e dell'ordine, l'intensificazione dell'industria e dei commerci, la creazione di un centro di studi scientifici e scuole di ogni genere; questi furono i compiti che egli si propose per la rinnovazione interna della Polonia e che per lo più assolse felicemente nei suoi 34 anni di regno. Difatti codificò il diritto consuetudinario polacco, tuttora non scritto, riordinò l'organizzazione burocratica e curò l'introduzione di un sistema che rendesse possibile una energica azione governativa in tutte le parti del regno, creando ad imitazione della Boemia gli starosti, che mise a capo nelle varie province con la facoltà di disporre delle forze armate e con l'incarico di garantire la pace e la sicurezza pubblica.

Verso la borghesia tedesca delle città Casimiro III si mostrò ben disposto, e abolì soltanto il loro diritto di appellarsi all'estero dopo le sentenze emanate dagli scabini in Polonia. Alle sue città concesse il diritto di scalo, di modo che esse si arricchirono rapidamente con il commercio di transito e di mediazione; il capitale poi affluì in paese anche con gli ebrei, che, perseguitati duramente in Germania, furono invece accolti e presi sotto la propria protezione dal re, il quale accordò anzi altri rilevanti privilegi.

Anche le forze militari del paese vennero riorganizzate e migliorate. L'obbligo di servizio militare non fu più personale, cioè legato alla nobiltà di nascita, ma fu fatto dipendere dalla proprietà terriera; quindi i proprietari ecclesiastici, che prima ne erano esenti a causa del loro ufficio, dovettero ora fornire dei sostituti.
Consiglieri del re furono tuttavia gli stessi ecclesiastici, che erano degli ottimi giuristi per lo più usciti dall'università di Bologna. Il re tentò pure di organizzare in Polonia una scuola analoga con professori stranieri allo scopo di deviare da Praga e dall'Italia la corrente della gioventù polacca, ma non raggiunse il suo intento. Egli ottenne fin dal 1365 l'approvazione del papa alla fondazione di uno studio generale a Cracovia (ad esclusione però degli studi teologici, per non danneggiare Parigi e Praga); ma questa specie di Università non fece progressi; istituita com'era per rimpiazzare in sostanza le scuole di diritto italiane, questa esclusività di intenti e di indirizzo forse fu una delle cause che gli impedirono di funzionare bene e la fecero sparire durante i successivi sconvolgimenti politici.

L'aspetto esteriore della Polonia si trasformò completamente sotto Casimiro III (definito poi "il Grande"; egli aveva trovato delle città di legno e le lasciò di pietra. Al lusso della borghesia tentò invano di far argine con leggi suntuarie; quando Casimiro nel 1364 ospitò a Cracovia l'imperatore, tre re ed una quantità di principi, un cittadino di Cracovia, Wirsing, fece stupire gli ospiti del suo sovrano per la sontuosità della sua tavola e per la ricchezza dei suoi doni.

Così Casimiro introdusse la Polonia nel consesso delle nazioni ed alla sua scuola si formarono degli uomini che furono in grado di concepire ed attuare grandi progetti, che seppero maneggiare magistralmente la politica estera e servirsi abilmente per i loro scopi di alleanze remote, come ad es. quella con la Danimarca, per tacere delle alleanze con la Pomerania, col Brandeburgo, ecc.
I magnati del regno tutti insieme anche se con egoismo, spesso il più intransigente, rivelarono tuttavia una energia non minore a Casimiro; contro la loro tenace resistenza fallirono le combinazioni meglio architettate degli avversari.
Come il loro re questi magnati non avevano neppure per un momento dimenticato dopo la pace di Kalisch la spoliazione subita ad opera dell'Ordine Teutonico e non aspettavano che l'ora della definitiva resa dei conti che non doveva mancare di venire, salvo che occorreva prepararsi bene.
Intanto fu subito necessario pensare alla successione di Casimiro che era morto (1370) senza lasciare figli maschi.

L'elevazione al trono di uno dei Piasti di Masovia che si erano svincolati dal vassallaggio verso la Boemia per passare sotto l'alta sovranità feudale della corona polacca non sarebbe stata in armonia con i vasti progetti che la nuova accorta nobiltà aveva concepiti per l'avvenire, e quindi specialmente i magnati della Piccola Polonia accettarono ben volentieri la designazione che fin da giovane il defunto re aveva fatto del suo successore nella persona di Luigi d'Angiò, ora diventato re d'Ungheria, dal quale si aspettavano la riconquista della Pomerania orientale (Pomerellen) usurpata dall'Ordine Teutonico.
Ma ancor meglio li decise la prospettiva di più immediati vantaggi.

Il nuovo re, tuttavia, benché nipote di Casimiro (per parte di madre), era uno straniero, e con uno straniero si poteva patteggiare. E difatti nel 1355 Luigi d'Angiò dovette come primo cosa impegnarsi solennemente a rispettare tutti i diritti della nobiltà, a non mettere imposte straordinarie ed a fare a sue spese le eventuali guerre che si volevano compiere fuori del territorio.
Anche re Luigi d'Angiò non aveva che figlie femmine, e per ottenere che fosse loro riconosciuto alla nobiltà polacca il diritto di succedere al trono (il diritto pubblico slavo escludeva dall' antichità nelle donne la capacità di regnare) fu costretto a fare nuove concessioni a questi nobili.

Ma ben presto la signoria ungherese si sentì deufradata, sperava di partecipare al banchetto polacco. Luigi del resto si tenne lontano dalla Polonia, il cui clima gli riusciva dannoso, fece occupare il principato di Halicz, il recente acquisto di Casimiro, dai suoi ungheresi per annetterlo all'Ungheria, ed affidò il governo della Polonia da Cracovia a sua madre (che era la sorella del defunto Casimiro III), in qualità di reggente; in realtà essendo la donna anziana, il governo rimase abbandonato nelle mani dei magnati, i quali ne abusarono così vergognosamente che ben presto scoppiarono guerre civili.

Malgrado questi disillusioni della signoria ungherese, i magnati si impegnarono a riconoscere come erede della corona polacca una figlia di Luigi (Maria, che aveva sposato Sigismondo di Lussemburgo) in compenso del privilegio di Kassa (1373), il quale esentò la nobiltà da ogni imposta e da ogni prestazione di servizi personali, salvo l'obbligo di difendere il territorio dalle invasioni straniere, di mantenere in assetto i castelli e di pagare un piccolo contributo annuale; a questo stesso piccolo onere vennero ridotti pure quelli del clero secolare.
Ne risultò che, all'infuori dei redditi del demanio della corona, dei dazi, ecc., il re non poté disporre di altre entrate, e che in avvenire, se occorrevano spese rilevanti, sarebbe stato costretto a dipendere dal benestare della nobiltà per procurarsi le necessarie risorse finanziarie, cosa che certamente non avrebbe potuto ottenere senza fare altre concessioni in contropartita.

Intanto il malgoverno del paese ingigantì in maniera che Luigi nel 1382 si decise a mandare in Polonia Maria e Sigismondo per mettervi riparo; ma morì nell'anno stesso e l'odiato Lussemburgo incontrò resistenza armata. La candidatura di Maria al trono polacco poteva già dirsi tramontata e già guadagnava terreno quella del Piaste di Masovia, quando la regina madre prosciolse i Polacchi dall'impegno preso verso Maria e annunziò loro l'arrivo della sua figlia minore Edvige, giacché la nobiltà dichiarò vincolante che la futura regina dovesse risiedere stabilmente in Polonia. Dopo molti indugi, la giovane e bellissima Edvige giunse finalmente a Cracovia e vi fu incoronata nel 1384.

Essa era stata fin da bambina fidanzata dal padre a Guglielmo d'Austria. Questi si recò ora subito a Cracovia e le nozze furono celebrate, ma in segreto, perché questo matrimonio non era ben visto nè conveniva ai magnati polacchi, ai quali Guglielmo d'Austria non poteva offrire nulla in compenso, mentre il suo braccio valeva poco per i vasti progetti che i nobili polacchi intendevano realizzare in avvenire.
Invece del leggiadro e cavalleresco austriaco, che Edvige amava, essi pretesero che la giovane porgesse la sua mano al vecchio «pagano» principe di Lituania, Jagellone; l'intento era di arrivare all'unione tra lituani e polacchi per poi muovere guerra a oltranza all'odiato Ordine Teutonico.

A lungo e con ogni mezzo Edvige tentò di evitare questo sacrificio della sua esistenza alla ragion di stato; invocò l'aiuto della madre, sollecitò l'appoggio del papa; ma questi si limitò ad annullare il matrimonio di lei con Guglielmo d'Austria; ed alla fine essa dovette piegarsi alla irremovibile volontà dei magnati.
Con un segreto invito di questi ultimi, Jagellone chiese nel 1385 la sua mano; i magnati acconsentirono al matrimonio; il 15 febbraio 1386 il principe lituano (già cristiano ortodosso) fu ribattezzato nella religione cattolica, ed il successivo 4 marzo ebbe luogo la sua solenne incoronazione.

Non era stato un gran sacrificio per una corona e una bella donna (Edvige era dai suoi contemporanei per la sua bellezza chiamata «delizia del genere umano») "lasciarsi spruzzare un po' d'acqua sul capo", scrisse ironicamente il gran mastro dell'Ordine Teutonico, il quale naturalmente declinò l'invito ad assistere alle feste di Cracovia.

Il regno polacco alla fine del XIV secolo si presentava come rappresentato nella cartina messa all'inizio. Polonia e Lituania formano un grande regno

e visto che abbiamo appena ora accennato alla Lituania
narriamo la genesi di questo regno...

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