-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

06. LE MINORI CORTI ITALIANE - LA CULTURA A VENEZIA


Comuni, Signorie, Regni intorno agli anni 1300-1400 (quelli dell'Italia centrale a fondo pagina)

Se non tra i fenomeni più elevati, certo fra le caratteristiche più importanti e singolari del rinascimento é da porre lo sviluppo in esso assunto dalla vita di società. La società cittadina, come imitò all'inizio quasi sotto ogni aspetto la cavalleria, così ne prese in prestito anche le sue forme ricercate.
Ma essa si liberò presto da tali pastoie e al più tardi nel XIV secolo, acquistò quell'impronta propria che mantenne da allora immutata. In questo ambiente cittadino si trovarono precocemente mescolati nobili ed industriali, mercanti, medici e notari, come ben presto vi circolarono senza distinzione ecclesiastici e laici, cittadini e stranieri.

E se è lecito ritenere che le novelle del Decamerone del Boccaccio ritraggono i costumi e il modo di pensare dei suoi tempi, dobbiamo dire che già allora (1348) le signore e le fanciulle ambivano di apparire in società colte e disinvolte.

Un po' crudamente, ma in modo assai significativo il Boccaccio fa dire dalla regina della prima giornata alle sue amiche: È una vergogna « che quella virtù che fu già nell'anime delle passate, hanno le moderne rivolta in ornamenti del corpo; e colei la quale si vede indosso li panni più screziati e più vergati e con più fregi, si crede dovere essere da molto più tenuta e più che l'altra onorata, non pensando che se fosse chi addosso glieli ponesse, uno asino ne porterebbe troppo più che alcuna di loro».

Non molto tempo dopo (1389) un altro fiorentino rivestì la sua facile sapienza della forma di dialoghi che si sarebbero svolti a Villa Paradiso alle porte di Firenze. Essi ci consentono di osservare anche più da vicino le maniere piene di disinvoltura e di gentilezza che regnavano in questi convegni di gente di ogni età. Si disputava, si cantava, si giocava talora sui prati, talora sotto gli ombrosi porticati o nelle fresche sale della villa.
Da questo momento in poi diventano sempre più frequenti le notizie di analoghi trattenimenti tra amici od anche tra dotti. La mondanità imperversava.
Quella che é stata chiamata l'accademia platonica che si adunava in casa di Cosimo e di Lorenzo dei Medici non era anch'essa altro che una conversazione tra amici destinata unicamente ad argomenti dottrinali.

Si sa che la vita di società ha impronta artistica più che non l'abbiano i comuni rapporti tra singole persone. La buona società impone certe forme e un certo contegno e modera le passioni, essa dà ai rapporti umani un certo ritmo e una certa grazia, essa produce un effetto musicale come le cerimonie pubbliche o le funzioni della chiesa. Indubbiamente la rinascenza andò debitrice dei suoi massimi contributi alle individualità forti e ambiziose; ma costoro trovarono esse medesime solo nelle forme obbligate della buona società il necessario equilibrio e la sicura tradizione.
Tutte le esigenze della buona società assumono poi un carattere più spiccato nell'ambiente delle corti; qui le regole del contegno decoroso e il senso della misura sono e debbono essere osservati più che altrove rigorosamente.

Ora nel XV secolo avanzato quasi ovunque in Italia fiorì la vita di corte; anche a Firenze in casa dei Medici, ma soprattutto nei piccoli stati che si ressero sino all'ultimo, a Mantova ed a Ferrara, ovvero ad Urbino nello Stato della chiesa. Per un certo tempo il numero di queste piccole corti fu anche superiore, giacché se ne ebbero ad esempio a Rimini ed a Camerino e nel castello della Mirandola. Più d'un nipote o rampollo dei papi poi tenne corte per un breve periodo, come ad esempio Lucrezia Borgia a Nepi durante una delle prime vedovanze.

L'ideale e i metodi di governo di questi signori furono assai diversi. In alcuni dominò precocemente l'ideale del «buon governo». A poco a poco si sentì pure l'interesse di allevare per il servizio del principe non solo degli abili uomini di guerra, ma anche dei gentiluomini, dotati di larga e varia cultura. Già nella prima metà del XV secolo, agli albori dell'umanesimo, il mirabile Vittorino da Feltre attivò a Mantova sotto gli occhi del suo principe la famosa sua scuola «la Giocosa» per i figli dell'aristocrazia.
Vittorino ci é descritto come un uomo religiosissimo e osservante rigoroso delle pratiche del culto, di severa disciplina personale, ma tuttavia intento ad acquistare e diffondere con l'opera educativa una svariatissima cultura.
I giovani nobili usciti da questa scuola non prestavano più il loro servizio alle corti di Mantova e Ferrara nelle tetre torri dei vecchi massicci castelli; essi animavano accanto ai loro principi ed alle dame le gaie sale, i portici e i giardini dei nuovi palazzi principeschi.

Per lo meno la gran sala del Palazzo Schifanoja a Ferrara ci ha conservato ancora una immagine di questa vita di corte; le sue pareti sono tutt'intorno coperte di attraentissimi affreschi di soggetto storico e allegorico: le stagioni dell'anno e i segni dello zodiaco, e scene allegoriche dei vari mesi intercalate vagamente con scene della vita del duca Borso e della sua corte. In queste sale crebbe la più amabile principessa del rinascimento, Isabella d'Este, moglie del marchese Francesco Gonzaga; ed il piccolo mondo che essa si creò nel nuovo castello di Mantova, il suo Paradiso, adorno della più scelta collana dei migliori artisti, difficilmente deve aver avuto qualcosa che potesse stargli a fronte per dovizia ed intimità.

Sui modo di pensare e di sentire che dominava in queste sale come in quelle del castello ducale di Urbino ci ha lasciate complete informazioni uno dei più eminenti membri di questa società cortigiana, il conte Baldassarre Castiglione. Il suo libro del perfetto gentiluomo (il Cortegiano) sviluppa, sotto forma di dialoghi, l'ideale della persona colta e distinta. Si esige già innanzitutto che essa sia di buona famiglia e fornita di tutte le doti cavalleresche, non escluso il bel tratto e il bel conversare; s'intende che deve possedere cultura umanistica ed avere amore e gusto per le arti figurative; il conte Canossa decanta soprattutto i pittori, ed il fatto che accanto a Raffaello ed a Michelangelo sono menzionati fra i più grandi pittori anche Leonardo, Mantegna e Giorgione, e che si ammirano particolarmente i begli occhi e i capelli d'oro, ci rivela chiaramente quanto già il gusto generale propendesse a prediligere la pittura veneziana.

Inoltre per gli uomini si esige in tutto più distinzione e meno parata. L'abito del gentiluomo non deve essere nè esagerato come era d'uso presso i francesi, né meschino come fra i tedeschi; preferibile su ogni altro l'abito nero e dignitoso alla maniera degli spagnoli. Meno rigorose e più elastiche sono le esigenze in materia di gusto letterario e di morale; tuttavia le idee espresse in questo libro che rispecchia le vedute d'una società circa l'amore ed i falli d'amore sono d'una delicatezza sorprendente, ed a leggerle si dimentica che da questi uomini ci separano già quattro secoli pieni di ingenerosità e di licenza.

A modo dei platonici fiorentini si vuole in materia religiosa raggiungere l'equilibrio e la perfezione di tutte le facoltà spirituali. Con ciò in sostanza si ritorna a quello che era lo spirito della poesia cavalleresca, ed é significativo che appunto nell'epoca in cui il clero torna a ricordarsi della sua antica missione, anche le tendenze della società cortigiana, sia per gli argomenti, sia per la forma, si volgono nuovamente alla romantica medioevale.

Alla corte di Borso d'Este il Bojardo (1434-94) compose il suo «Orlando innamorato», riproducendo le affettate ampollosità cavalleresche della leggenda francese sui paladini di Carlo Magno, e l'Ariosto, poeta molto più grande, vi aggiunse l'assai più famoso pandant del suo «Orlando furioso». Anche Ludovico Ariosto trovò i suoi protettori ed ammiratori nei gentiluomini e nelle dame della corte di Ferrara, che egli talvolta fu costretto a intrattenere con composizioncelle per feste, per teatro e mascherate.

Precedentemente l'Ariosto aveva puntato il suo interesse, alla vita politica con irosi sonetti, ma poi col tempo tutto si era risolto in una pace generale, e l'Ariosto stesso poco prima della sua morte (1533) offrì a Carlo V a Mantova la sua edizione definitiva dell'«Orlando Furioso».
Molto più avanti nel tempo ci conduce la «Gerusalemme liberata» di Torquato Tasso (1581), ma proprio questo poema con la sua seria glorificazione delle crociate ci trasporta in pieno Medio-Evo.

 

Di una intensa partecipazione delle accennate corti principesche alla vita del rinascimento nel suo vero senso non si può parlare. Gli elementi che ne costituiscono l'essenza, antica libertà e cultura cittadina, non si riscontrano da ultimo più che a Venezia, e, sebbene anche la sua aristocrazia non sia affatto rimasta immune da maniere cortigiane, pure é soltanto a Venezia che si riscontra un ulteriore sviluppo progressivo della cultura senza il sopra notato ritorno al Medio-Evo.
Venezia non aveva conosciuto le lotte comunali, aveva vissuto per lungo tempo completamente isolata, in tutt'altre condizioni e subendo tutt'altre influenze culturali che il resto d'Italia. Le sue famiglie patrizie, mediante leggi e ben congegnati ordinamenti - i migliori d'Europa in assoluto - avevano gelosamente tutelato le prerogative del consiglio cittadino, e tutti i tentativi fatti da alcuni dogi per rendere ereditaria la loro dignità e fondare una vera signoria erano stati duramente e sanguinosamente repressi.
Nel 1367 si contavano a Venezia 204 case nobili, i cosiddetti "patrizi" che vantavano la progenitura dei primi fondatori di Venezia.

Fallirono i tentavi dei dogi, tuttavia l'aristocrazia ereditaria ebbe la sua vera sanzione con la legge 31 agosto 1506, che istituiva il cosidetto "Libro d'oro" (da non confondersi con il "Libro della Nobiltà" pura - la prima classe, che guardava le altre con disprezzo perchè essa proveniva dal mondo degli affari).

La protezione del traffico mercantile e il raggiungimento di obiettivi commerciali fece fiorire una diplomazia abilissima e priva di scrupoli e, come il veneziano Marco Polo (m. 1324) seppe rendersi indispensabile ai Tartari, così anche gli altri suoi concittadini in generale dimostrarono una impareggiabile abilità nel trattamento degli uomini e nel farsi una giusta idea dell'indole loro e delle loro istituzioni.
Nel resto i veneziani non ebbero tendenze letterarie, non manifestarono interesse per gli studi filosofici e sulle lagune non si udì risuonare né il canto epico né la lirica amorosa dei toscani. Essi eressero su pali, come esigeva la natura del suolo, edifici leggeri e traforati; e i pesanti palazzi e chiese sullo stile del pieno rinascimento che si osò più tardi farvi immigrare dal di fuori, suonano come una offesa al delicato ideale e sentimento artistico della vecchia Venezia.

Quello che non mancava a Venezia era l'allegria. "Cantano (così l'immortale commediografo veneziano) i mercatanti spacciando le loro mercanzie, cantano gli operai abbandonando il loro lavoro, cantano i barcaioli aspettando i loro padroni. Il fondo del carattere della nazione é l'allegria, ed il fondo del linguaggio veneto é la lepidezza" (Memorie del sig. Goldoni, Ediz. Zatta, vol. 1, p, 254).
Il capo dell'aristocrazia e quello dell'infima classe s'avvicinavano in certe occasioni solenni, simboleggiando, se non l'eguaglianza che più non esisteva, un'armonia sociale, una comunanza di patriottici sentimenti tra popolo ed ottimati, per cui solo Venezia poté salire a tanta fama.

 

Come poi non ricordare le "Scuole". Le scuole pie, come i collegi delle arti, erano utili istituzioni che diffondevano nel popolo l'arte, la musica, il sentimento della moralità, la mutua benevolenza, e ne ingentilivano l'anima per mezzo di quegli stessi esercizi religiosi che, sotto governi meno indipendenti della Repubblica Veneta, si sarebbero considerati fomiti d'oscurantismo.» (Cecchetti , La Repubblica di Venezia e la Corte di ROm, pag. 256).
Ancora nel 1708 le Scuole grandi ebbero sovvenzioni dal Governo con ben trecentomila ducati e centottomila nel 1796, nel quale anno anche i minori sodalizi (Scuole dette Arti) ne diedero in dono alla Serenissima 42.581, come si trae dai registri dell'Archivio di Stato.(Mutinelli - direttore del patrio archivio) Lessico Veneto", pagg. 364 e 365)
Nel 1732 il numero delle confraternite era salito nientemeno che a duecento e novanta.

Anche i pittori e scultori forestieri di cui Venezia si decise alla fine a servirsi della loro opera vi portarono lo stile e la maniera propria di altre regioni della terra ferma, o addirittura l'arte toscana, come fecero il Verocchio e il fiorentino Sansovino, la cui deliziosa loggetta che ornava la base del campanile di San Marco (oggi ricostruita dopo il crollo del 1902).
Solo a poco a poco, all'inizio del XVI secolo, Venezia acquistò una importanza sempre maggiore come centro autonomo di cultura accanto a Roma. Nella ricca città convennero le migliori capacità artistiche dell'Italia settentrionale; anzi a Venezia si espressero e giunsero alla perfezione le caratteristiche e i pregi personali di ciascuno di questi artisti.
Quest'arte milanese, parmense, padovana e veronese si allontanava molto, per il suo schietto indirizzo pittorico, dalla maniera monumentale e plastica dei fiorentini e dei romani.

A Roma l'architettura del rinascimento sboccò da ultimo nel barocco; dappertutto peso e masse, anche in pittura. Venezia cercò invece di raggiungere la perfezione nella dolce morbidezza delle forme, nello splendore dei colori, nel fascino della luce, nella profondità delle prospettive aeree; ed è perciò che questa arte fu la prima, anche in Italia, a conquistare realmente il paesaggio.
Essa tuttavia non cercò i suoi soggetti nella vasta distesa del mare, ma nell'amena intimità dei colli, negli azzurri contrafforti delle Alpi, sulle rive del Brenta sulle quali si snodavano le deliziose ville di patrizi veneziani o di ricchi cittadini della regione veneta pacificata sotto il dominio di San Marco.
Il primo grande rappresentante della fase matura di questa maniera d'arte é Giorgione da Castelfranco; chi la portò al culmine della perfezione fu Tiziano (1477-1576). In una vita quasi centenaria questo dominatore della natura fece le più meravigliose conquiste, e non si può dire in quale ramo speciale della pittura egli sia riuscito più grandi. Lo storico non conosce caratterizzazioni di personaggi più profonde e perfette dei ritratti di Carlo V ovvero di Paolo III con i suoi nipoti.
La fiducia in Dio e la beatitudini eterna non trovarono mai una espressione così splendida come nel quadro dell'Assunta e tutta la misteriosa bellezza del mondo é concentrata in quell'enigmatico poema della Galleria Borghese che va sotto il nome di "amor sacro e amor profano", ma in realtà si fa gioco d'ogni tentativo di interpretazione.

Il solo Leonardo aveva con pari acutezza scrutato la natura, ma essa si arrese molto più di buon grado al pennello del veneziano.
Da questo momento si ebbe un'arte schiettamente veneziana. Dopo Tiziano i pennelli di Paolo Veronese, del Tintoretto, ed ancor due secoli dopo del Tiepolo, evocarono come per incantesimo un baccanale dopo l'altro sulle tele o sulle vaste pareti dei saloni di gala.

A datare dal secondo quarto del secolo XVI si concentrò in Venezia tutta la vita mondana e artistica espulsa dal resto d'Italia. Nel 1527 vi si recò da Roma il letterato Pietro Aretino e vi rimase quasi trent'anni a godersi la vita in compagnia di amici, cortigiane e burloni. La sua impertinente divisa fu: «Vivere risolutamente».

Nessuno ha mai descritto fin nell'intimo e con pari assenza di veli l'ambiente dei piaceri sensuali, del vizio e della depravazione come questo uomo, che pure poté vantarsi dell'amicizia di nobili dame e dei massimi artisti. Si ammira in lui l'abbagliante splendore dello stile, cui si dava grande importanza, e la copia delle immagini; e veramente questo pericoloso letterato nella sua esistenza grossolanamente sensuale manifestò uno spiccato gusto per le arti figurative.
Ognuno può immaginare quale vita magnifica e sontuosa abbia fiorito in questo ambiente ove dominavano figure come quelle del Tiziano e dell'Aretino. E i pittori, dipingessero storie bibliche o storie profane, con gli occhi saturi dello spettacolo di questi splendori, glorificarono sempre nei loro quadri al massimo grado la vita di piaceri e di godimenti che brillava nelle feste della fora bella e ricca Venezia: palazzi fantastici e scene immaginarie, ma ripiene di vita reale e studiata dal vero.

Ma in seguito le gravi perdite subite da Venezia in Levante fecero diminuire la ricchezza; il vecchio patriziato veneziano si trovò alle corde e gli spettacoli divennero più meschini. Tuttavia anche nel XVII e XVIII secolo Venezia con i suoi ridotti e casini continua ad essere la città più ricercata dal gran mondo per gli svaghi che offre.


Nessuno vi andò più per amor di studio, mentre innumerevoli furono quelli che vi accorsero per le numersoe grandi feste e non solo di carnevale, per riposarsi o per godersi Venezia facendosi cullare nelle eleganti gondole.
Le così di un tempo tanto solenni dame veneziane divennero signore e fanciulle spigliate e impertinenti ed attorno ad esse aleggiarono le ultime grazie della vecchia società veneziana, che, come la dipinse Tiepolo, aveva un tempo dal mare ricevuto tante opulenti ricchezze.

FINE

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Diamo ora uno...

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Caratteristica della Rinascenza é di aver avuto coscienza di quel che voleva e di avere essa stessa proclamato quale eia la propria indole e i fini cui tendeva. Già il Petrarca si compiacque di mettere bene in luce quanto v'era di nuovo e di straordinario nelle sue scoperte; da questo momento, per quanto da principio solo in una ristretta cerchia di letterati, servì ad indicare la natura e i fini del nuovo movimento intellettuale il concetto e il termine di umanesimo, la formazione della cultura umana sugli « antichi », l'humanitas. Siccome poi si dovettero scoprire nuovamente questi antichi attraverso manoscritti abbandonati all'oblio e monumenti sepolti sotterra, se ne concluse che v'era stata una età intermedia barbarica, deleteria per le arti e per le scienze; ed appena gli studi storici, retrocedendo sempre più nel tempo, presero a considerare ulteriori periodi, si tentò di delimitare le varie epoche e di dar loro un come. Flavio Biondo scrisse una storia d'Italia dalla caduta dell'impero romano, cominciando dall'anno 410, quello cioè del primo saccheggio di Roma ad opera dei Visigoti. L'aver preso le mosse da questo punto fu dovuto alla sua convinzione che l'epoca intermedia, in cui era andato distrutto il mondo antico, fosse l'epoca dei Goti; e ciò ebbe per conseguenza che ben tosto si designò generalmente col titolo di « gotica » tutta l'età franca e tedesca. L'abbaglio andò sino al punto che la scrittura nazionale fu ritenuta gotica, mentre quella dei manoscritti più vecchi, che in realtà era carolingia, fu considerata la scrittura antica e si riprese ad usarla quale scrittura « latina ».
Gli studi umanistici nel XV secolo si allargarono dal campo letterario a sempre più numerosi altri rami dello scibile, portandovi lo stesso rinnovamento di metodo nel senso storico; cioè dall'umanesimo letterario si svolse un umanesimo storico. Il Poliziano restituì alla luce l'antico manoscritto pisano delle Pandette, la parte più nobile del diritto romano. Furono scoperte e stampate fonti storiche dimenticate e con ciò la conoscenza della storia antica e nazion
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vale fu posta su basi completamente nuove. Lo studio del testo ebraico e greco delle Sacre Scritture dide luogo alla critica della Vulgata; che anzi i teologi, eccitati contemporaneamente dal desiderio di riforma della chiesa e da studi storico-filologici, accarezzano la « speranza di una rinascita del cristianesimo »; sul volgere del 15.0 secolo questa espressione si incontra di frequente. In séguito il movimento, nel quale erano sinora rimaste mescolate le più diverse correnti, si -separò in due netti indirizzi: nel Nord vinse la Riforma che aveva attirato a sé una parte della dottrina umanistica; nel Sud continuò a dominare l'indirizzo formale ab antiquo il più forte. 1 Quando poi, dopo la metà del z6.° secolo, vennero fondate in Italia le prime accademie di belle arti e l'erudizione accademica in materia d'arte si incarnò per la prima volta a Firenze nella persona di Giorgio Vasari, aretino, si rinsaldarono le vecchie idee di una rinnovazione della cultura. Nelle sue vite degli artisti illustri il Vasari disse che lo stile architettonico francese era stato « inventato dai goti »; e che la maniera « moderna » era una rinnovazione, « meglio un rinascimento » dell'arte, dovuto da ultimo in sostanza all'imitazione dell'antichità. Da allora dominano nelle scuole e nelle accademie, principalmente dei paesi latini ma anche in quelle tedesche che ne subiscono le influenze, i testi umanistici e i nodelli classici, sinché nel 18.0 secolo lo studio dell'antichità si approfondì infinitamente, si constatò che il vero ambiente creatore nelle scienze e nelle arti era stato il mondo ellenico e un nuovo orizzonte si aprì ad tino studio realmente storico. Per la seconda volta accanto all'umanesimo formale sorse un umanesimo storico; il suo interesse ben tosto si estese dall'antichità al mondo medioevale e dalle più varie parti si ritornò sul periodo del Rinascimento, cui tre secoli prima si era andati debitori della rievocazione dell'antichità e della rinnovazione degli studi storici. Ma non i soli storici vi ritornarono. Il periodo rivoluzionario della letteratura tedesca (1770-1781) dipinse nell'Ardinghello di Heinse il superuomo e la vita nelle isole della felicità con colori desunti dalla rinascenza; il liberalismo politico dello svizzero francese Simonde de Sismondi rievocò il ricordo dei liberi comuni italiani e delle « infamie dei loro oppressori »; il romanticismo esaltò la fede di Dante .e la semplicità dei vecchi pittori; intere scuole in Inghilterra e in Germania ne imitarono la maniera, e dietro gli artisti gli amatori d'arte peregrinarono verso l'allora ancor romantica Italia.
Ma i fondatori dello studio scientifico del nostro periodo furono Giorgio Voigt per gli inizi dell'« umanesimo » (1859) e Giacomo Burckhardt con la sua Kultur der « Renaissance » (1859). Le due parole umanesimo e rinascimento solo adesso acquistarono un valore generico, diretto a designare la fase intera d'incivilimento da noi trattata. In séguito si é cercato precipuamente di delimitare questo periodo di fronte al Medio-Evo, ovvero (il che é lo stesso) di valutare quanta
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parte abbia avuto il mondo medioevale e quanta il mondo antico nei grandi contributi di questa cultura. Gli apprezzamenti in proposito hanno variato spesso, ed oggi gli umori non sono affatto, favorevoli all'umanesimo ed alla Rinascenza.
Ma la storia dovrebbe essere sottratta alle influenze dei preconcetti moderni; in essa non si hanno mai antitesi semplici, ma un concorso ed incrocio di elementi svariati e spesso contraddittori accompagnati da incalcolabili influssi e ripercussioni; essa resta pur sempre, e mai così interessante come nel rinascimento, un immenso divenire.

fine

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