RELAZIONE DEL GENERALE HENRY A. ARNOLD
Comandante in Capo dell'Aviazione dell'Esercito degli Stati Uniti e Capo delle Operazioni Aeree


LE OPERAZIONI BELLICHE

IL PACIFICO - IL MEDITERRANEO

Una storia dettagliata delle operazioni belliche compiute dall'aviazione militare non rientra negli scopi della presente relazione. Accenneremo soltanto ad alcune operazioni, perchè sono caratteristiche; ometteremo invece altre campagne, di importanza uguale od anche maggiore. Alcuni episodi, meno importanti dal punto di vista della prospettiva storica, saranno menzionati, perchè illustrano i nostri essenziali problemi.

Il 7 dicembre 1941 (l'8 dicembre, secondo l'ora delle Hawaii) la nostra aeronautica era ricca di progetti, ma non di aeroplani: quando i Giapponesi attaccarono, la nostra potenza aerea consisteva in tutto di circa 3000 apparecchi; e di questi, soltanto 1157 erano veramente idonei a prestar servizio di guerra.
Avevamo 159 bombardieri quadrimotori: nelle varie basi fuori degli Stati Uniti avevamo soltanto 61 bombardieri pesanti, 157 medi e 59 leggeri più 636 apparecchi di caccia: un totale di 913 apparecchi da combattimento. Questi erano distribuiti in Alaska, alle Hawaii, nelle Filippine, a Porto Rico, a Panamà, a Trinidad, a Terranova, in Islanda, in Groenlandia, nelle Isole Vergini, nella Guiana Britannica e nelle Isole Windward.

Dei nostri 1157 aeroplani da combattimento, 536 erano in posizione strategica tale, da poter opporsi a possibili attacchi alle Hawaii ed alle Filippine: in termine di poche ore il numero fu ridotto a 176.
I Giapponesi avevano elaborato il loro progetto nei più minuti particolari: il danno arrecato agli aerodromi di Hickam e di Wheeler a Oahu fu altrettanto grave come quello arrecato a Pearl Harbor. I nemici si abbatterono sui nostri aerodromi, colsero quasi tutti i nostri apparecchi sul terreno e ci tolsero ogni speranza di poter continuare a rinforzare l'aviazione nelle Filippine via Hawaii. Sull'Isola di Luzon avevano distrutto due terzi della nostra forza aerea, prima che fossimo rinvenuti dall'attacco di sorpresa ed avessimo potuto ricostituire la nostra forza aerea.

A Luzon, bisogna dirlo, l'allarme aereo era in vigore fin dal 15 novembre; ma, ciò nonostante, il generale MacArthur dichiarò che alla fine della prima giornata di guerra non erano rimasti che 17 bombardieri pesanti e circa 7 apparecchi da caccia di un contingente complessivo di 35 B-17, 30 bombardieri medi ed otto leggeri, 220 caccia e 23 aeroplani di vario tipo. Nei giorni che seguirono, 14 dei 17 B-17 riuscirono a raggiungere l'Australia, ma i caccia furono distrutti uno dopo l'altro.
I nostri ultimi due P-40, già molto malandati, affondarono due navi giapponesi con bombe da 250 kg., che erano state appese alle ali: e questa fu l'origine dei nostri caccia-bombardieri.

In gennaio, 10 dei 14 B-17, più 38 altri bombardieri pesanti, scortati dà alcuni A-24 e P-40, furono impegnati a Giava nelle condizioni consuete in quel periodo, cioè con dieci probabilità contro una di essere abbattuti. Essi si unirono alle forze olandesi, australiane ed inglesi in un altro tentativo, destinato immancabilmente a fallire, di fermare l'irresistibile avanzata giapponese verso sud.

Diedero buona prova anche nella Battaglia dello Stretto di Macassar. Il giorno prima di partire per l'Australia (nella prima settimana di marzo) i 14 bombardieri superstiti eseguirono 10 missioni, affondando cinque navi nemiche e danneggiandone quattro. Ma con tutta la buona volontà del mondo, non si poteva dire che quella fosse un'aviazione.

Quegli stessi 14 bombardieri formarono il nucleo della Quinta Armata Aerea. E la Quinta è ora una di quindici armate. L'aviazione, che l'Asse immaginava avrebbe costituito la nostra massima debolezza, è diventata invece la nostra più grande forza, ed è proprio l'aviazione che ci ha dato fino ad ora i nostri maggiori successi. La guerra non è ancora vinta, ma certamente le offensive aeree su tutti i fronti hanno eliminato la possibilità di perderla. L'aeronautica è stata sempre in contatto col nemico su tutti i continenti e su tutti gli oceani: da quel tragico 7 dicembre 1941 in poi, abbiamo combattuto giorno e notte su tutti i terreni possibili e immaginabili.

Per mancanza di apparecchi da ricognizione che possedessero una sufficiente autonomia di volo, nonchè la necessaria velocità e potenza offensiva, gli apparecchi del Primo Comando di Bombardieri furono adibiti a servizio di pattuglia costiera: questi apparecchi formarono il nucleo di quello cha poi fu il Comando Anti-Sommergibili, che svolse un'opera meravigliosa, fino a quando le sue funzioni ad il suo equipaggiamento passarono alla marina nell'autunno del 1943.

E stato dimostrato che i nostri disegni di apparecchi ad i nostri concetti di prima della guerra sulla strategia e sulla tattica dalla guerra aerea, erano perfettamente sani. Dai resti della distruzione di una ventina di aeroporti nel Pacifico ebbe origine un'aviazione di 2.385.000 uomini, tra ufficiali e soldati; a la cifra è ancora in aumento. Al 1° ottobre 1943 questi aviatori avevano già compiuto più di 250.000 missioni di battaglia, consumato in combattimento più di quaranta milioni di colpi e quasi 7 miliardi di litri di benzina, distrutti in combattimento aereo 8478 apparecchi nemici, probabilmente distrutti 2555 e danneggiati 2834. Queste cifre non comprendono gli apparecchi distrutti sul terreno, nè la cifra, veramente straordinaria, di apparecchi abbattuti e danneggiati dalla squadra americana di aviatori volontari in Cina.

Nel Pacifico abbiamo attaccato dovunque i giapponesi ad abbiamo certamente contribuito a scacciarli dalla Aleutine; abbiamo istituito e mantenuto un flusso costante di aerei e rifornimenti all'Australia; abbiamo contribuito moltissimo a salvare le sorti di tutto il continente australiano, mediante operazioni senza precedenti di trasporto di truppa a di materiale. Adesso portiamo il nostro contributo all'eliminazione del nemico dalla Nuova Guinea e dalle isola circostanti; stiamo tenendo aperta una linea di comunicazione, cha è vitale par permettere alla Cina di continuare a combattere.

In tutta la regione dai Mediterraneo eravamo all'avanguardia di quell'offensiva, che cacciò il nemico da El Alamein fino alla Tunisia e poi alla Sicilia e poi su per la penisola italiana. Neppure la più abile e più menzognera propaganda del signor Goebbels è stata capace di spiegare come mai la nostra Ottava Armata Aerea abbia potuto abbattersi con tutto la sua forza distruttrice sulla cittadella della fortezza europea. La promessa del maresciallo Goering che la Germania non sarebbe mai stata bombardata è andata a raggiungere quella dell'ammiraglio Yamamoto, che diceva che il Giappone avrebbe dettato le condizioni di pace dalla Casa Bianca.

IL PACIFICO

Tranne che nella premessa fondamentale quella cioè che gli Stati Uniti avrebbero finito per cedere, perchè stanchi della guerra, il piano ideato dai giapponesi era ottimo.
L'economia giapponese era organizzata attorno ad una zona centrale, che comprendeva l'impero insulare propriamente detto, e ad una zona esterna, che si estendeva a tutte le regioni conquistate.

La zona centrale era concepita come un'organizzazione economica per sè stante, con una specie di monopolio sulle industrie di tutto il paese. L'anello di colonie, secondo le teorie razziali comuni ai Giapponesi ed ai Tedeschi, doveva essere formato di stati vassalli agricoli; le industrie vi dovevano essere sviluppate soltanto per soddisfare alle esigenze locali e per fornire al Giappone le materie prime più importanti; prima fra tutte il petrolio.

Dopo un certo tempo, la prima serie di rapide conquiste giapponesi avrebbe potuto essere convertita in modo da diventare parte di una invidiabile unità economica autonoma: il Giappone si impadronì nella Penisola Malese e nelle Indie Orientali Olandesi, di una straordinaria ricchezza e varietà di materie prime; cioè nickel, stagno, manganese, bauxite, gomma e petrolio. Queste sono le materie prime con cui si domina il mondo. Nessuna tecnica tradizionale di guerra, nè terrestre, nè navale, avrebbe mai potuto penetrare l'anello difensivo su cui il Giappone contava, per consolidare la sua posizione. A dir la verità, l'anello difensivo è ancora in gran parte intatto.

Il Giappone ebbe su di noi un vantaggio iniziale: la sua grande offensiva gli aveva assicurato un potente sistema di basi aeree tutte collegate fra loro, che si estendevano da Formosa alla Birmania, alla Penisola Malese, alle Indie Orientali Olandesi e giù per la Nuova Guinea fino alle Salomone ed alle Marshall. Questa rete di aerodromi diede al Giappone la possibilità di concentrare in qualsiasi punto da un momento all'altro, apparecchi da caccia anche a corta autonomia di volo, e servirsene per scopi sia offensivi, che difensivi. Il Giappone, come era avvenuto per la Germania, si rese conto immediatamente che nessuna operazione, nè terrestre, nè navale poteva avere speranza di successo senza una sufficiente protezione aerea.

Nella prima fase della guerra nel Pacifico non potevamo far altro che isolare il saliente giapponese nelle Aleutine, proteggere le nostre linee di comunicazione con l'Australia ed arginare la possibile avanzata giapponese verso l'Australia. Bisogna dire che il generale Ralph Joyce fece un'incursione sulle Filippine con degli apparecchi B-25 specialmente attrezzati, ed alcuni giorni dopo il generale Doolittle ed il suo gruppo di ardimentosi si levarono dalla nave porta-aerei Hornet e per la prima volta (18 aprile 1942) bombardarono il territorio giapponese; ma questi non furono se non episodi eroici di una guerra, in cui dovevamo ancora limitarci alla difensiva.

Invece, l'offensiva è il compito essenziale dell'aviazione. Questo principio della guerra moderna fu dimostrato ad oltranza nelle azioni del Mare dei Coralli e di Midway, rispettivamente nei mesi di maggio a giugno 1942. In entrambi quegli scontri, i bombardieri dell'aviazione dell'esercito, in collaborazione con l'aviazione navale e con le navi di superficie, servirono a confermare in modo inequivocabile la convinzione di tutti i comandanti dell'aviazione americana, che cioè la forza aerea, impiegata a tempo e luogo opportuni, può far indietreggiare una squadra navale. Nel Mare dei Coralli, diciannove navi nemiche furono affondate o danneggiate. A Midway, le forze americane affondarono almeno dieci navi, tra cui 4 navi porta aerei e 2 incrociatori pesanti; ne danneggiarono parecchie altre e distrussero circa 275 aeroplani.

Benchè le navi avversarie, durante tutta la Battaglia del Mare dei Coralli, non avessero mai preso contatto, pur tuttavia si trattò in gran parte d'una operazione navale. L'efficienza dei nostri aeroplani di base terrestre, che furono chiamati ad attaccare da soli una grossa squadra navale, fu definitivamente dimostrata dieci mesi più tardi, nel Mare di Bismarck.

L'equipaggio di uno dei bombardieri del generale Kenney avvistò un grosso convoglio giapponese, diretto verso la Nuova Guinea, il 1° marzo 1943. Così incominciò la Battaglia del Mare di Bismarck: durante i tre giorni successivi gli equipaggi di 162 apparecchi alleati attaccarono ripetutamente il convoglio ed i caccia di base terrestre, che facevano funzione di copertura. I bombardieri pesanti alleati distrussero molti caccia giapponesi sul terreno alle basi di Lae, Finschhafen, e Gasmata. Altri bombardieri, medi e leggeri, oltre che pesanti, sferrarono un attacco dopo l'altro contro il convoglio con voli perfettamente coordinati e bombardamenti a volo radente. Questo genere di tecnica era stata sviluppata durante lunghi mesi di dure e faticose prove. Ma il 4 marzo il convoglio era stato distrutto.

Tanto dal punto di vista tattico, quanto da quello strategico, questa fu un'operazione di prim'ordine: oltre alle navi affondate, erano stati abbattuti tra 57 e 83 apparecchi, ed almeno altri 9 erano stati danneggiati. Noi invece perdemmo in combattimento un B-17 e tre P-38, mentre un B-25 ed un Beaufighter andarono perduti per altre cause; il numero complessivo di vittime dalla nostra parte fu di 13 uomini, mentre i giapponesi perdettero circa 12.700 uomini, tra ufficiali e soldati. Senza alcun aiuto, la Quinta Armata Aerea, oltre ad uccidere un gran numero di aviatori e di marinai nemici, aveva distrutto un'intera divisione di truppe terrestri.

In tal modo la Quinta Armata Aerea, in collaborazione con le nostre forze anfibie, navali e terrestri nella zona delle Salomone e della Nuova Guinea, aveva preso l'iniziativa nel Pacifico sudoccidentale. Per la prima volta in quella zona fummo in grado di prendere l'iniziativa dove e quando lo ritenessimo opportuno.
Il primo obiettivo delle forze alleate nel Pacifico sud-occidentale è quello di penetrare con le nostre basi aeree avanzate fin dentro il perimetro giapponese; ma, prima di poter iniziare in modo efficace la campagna, che attualmente stiamo svolgendo, occorreva rimuovere la minaccia a Port Moresby. Questo scopo fu raggiunto con l'offensiva della Papausia attraverso Buna e Gona.

Tutti i tentativi giapponesi di rinforzare la regione di Buna e Gona furono frustrati dai nostri bombardieri pesanti a lunga autonomia di volo. Il nostro Comando dei Trasporti di Truppe portò in volo in quella regione una completa unità di combattimento: uomini, equipaggiamento e viveri; 3600 uomini furono trasportati in un solo movimento di truppa dall'Australia a Port Moresby, e 15.000 da Port Moresby, attraverso la catena di montagne Owen Stanley alle piste d'atterraggio nei pressi di Buna. Queste truppe non solo furono trasportate, ma rifornite per via aerea in ragione di più di mille tonnellate di materiale alla settimana. Materiale da costruzione, griglie d'acciaio per aerodromi, grandi quantità di asfalto furono trasportate nello stesso modo. Una batteria, su quattro pezzi, di obici da 105 mm. fu trasportata da un B-17; i feriti ed i malati venivano evacuati nel viaggio di ritorno. Tutta l'operazione si dimostrò di grande importanza strategica per gli avvenimenti futuri.

In Papuasia raccogliemmo delle esperienze preziose: sulle carte non si trovavano segnate nè le giungle, nè le paludi, nè i tiratori nemici in agguato, nè le zanzare. Nell'attraversare le Montagne Owen Stanley dovemmo affrontare queste e molte altre difficoltà; l'unico modo sicuro di rifornire le nostre truppe terrestri era quello di gettar loro i materiali dall'aria. In principio non avevamo paracadute: bisognava gettar giù senz'altro la roba, e così se ne perdeva sempre più dell'ottanta per cento.
Gli aerodromi che dovevano fare da avanguardia della nostra avanzata e proteggerla al tempo stesso, dovevano essere tagliati nel cuore della giungla della Nuova Guinea: normalmente, la cosa più sicura è di avere degli aerodromi qualche chilometro dietro le linee; non così in Nuova Guinea: in quel terreno infatti pochi chilometri possono voler dire un viaggio di una giornata. I campi d'aviazione quindi dovevano spesso essere costruiti entro il raggio di tiro delle armi nemiche. Gli indigeni ed i soldati lavoravano insieme, esposti a costante pericolo, a tagliare l'altissima erba Kunai ed a preparare le piste. Quando un aerodromo era terminato, si trasportavano per via aerea truppe e rifornimenti; e quando cambiavano le linee del fronte, bisognava preparare nuovi campi d'atterraggio, livellarli, stendere le griglie d'acciaio: tutto un lavoro estremamente faticoso.

Durante l'offensiva su Lae fummo costretti a costruire tre piste d'atterraggio nelle montagne entro il raggio giapponese. Scegliemmo una località in base a fotografie aeree, ed un gruppo di ingegneri aeronautici americani fece un lungo viaggio per raggiungerlo per via di terra. Con l'aiuto degl'indigeni livellammo una superficie sufficiente di terreno per permettere ai nostri aeroplani da trasporto di atterrare; poi i C-47 trasportarono un battaglione del genio aeronautico. Ma occorsero più di cento viaggi del C-47 per effettuare il trasferimento di tutto il battaglione col minimo indispensabile di equipaggiamento. Oltre a ciò, fu necessario portarvi anche una compagnia anti-aerea, per la protezione del campo. Costruimmo così, in un solo mese, il nostro aerodromo di Marilinan.

Marilinan, tuttavia, ci fu in seguito utilissimo per una serie di fulminee sortite: da esso infatti decollarono gli apparecchi che tra Il 17 ed il 21 agosto distrussero e misero fuori combattimento 309 aeroplani nemici a Wewak. Fu anche una delle basi da cui decollarono i caccia di copertura per il grande sbarco effettuato dai paracadutisti a Nadzab: azione davvero importante, che cominciò a delineare, almeno in parte, quello che doveva essere la nostra tattica vittoriosa nel Pacifico.

Lo sbarco a Nadzab pose fine alle critiche rivolte contro la nostra cosiddetta avanzata "di palmo in palmo;" si trattava infatti di un'avanzata a 320 km. all'ora: in men che non si dica la nostra Quinta Armata Aerea sbarcò 1700 paracadutisti americani, pienamente equipaggiati e riforniti, oltre a 36 artiglieri australiani armati di cannoni.
Queste operazioni nella vallata del Markhem sono note. Prima di tutto, 48 B-25 iniziarono la battaglia, attaccando posizioni giapponesi e lanciando bombe dirompenti; essi furono seguiti da 6 A-20 che stesero una cortina di fumo per coprire la discesa dei paracadutisti da 96 apparecchi C-47. Sopra a questi, c'erano 5 B-17 carichi di materiale e 3 B-17 coi generali MacArthur e Kenney ed il loro stato maggiore. Una scorta di 146 caccia P-38 e P-47 copriva la formazione a varie altitudini, mentre a Heath's Plantation, a mezza strada tra Nadzab e Lae 4 B-17 e 24 B-24 attaccavano e bombardavano le posizioni giapponesi. Cinque apparecchi del servizio metereologico operavano lunga la rotta e sui passi, per comunicare alle varie unità i bollettini del tempo. C'era una bella differenza dall'epoca in cui le nostre squadriglie, già decimate, venivano a poco a poco eliminate dal cielo di Luzon!

Il giorno dopo lo sbarco a Nadzab, l'ingegnere aeronautico che aveva costruito l'aerodromo di Marilinan, atterrò con un apparecchio Cub nella giungla e diede tutte le disposizioni occorrenti, perché un gruppo di indigeni e di australiani preparassero una pista di atterraggio per gli apparecchi da trasporto. Questo rese possibile l'arrivo per via aerea di due battaglioni del genio aeronautico che partirono da Marilinan e da Port Moresby, e costituì anche il primo passo per la rapida costruzione di nuovi aerodromi nella valle del Markham, dietro la posizione giapponese di Lae, che resistè altri dieci giorni.
Cinque settimane dopo lo sbarco a Nadzab nella valle del Markham, facemmo un'incursione sulla piazzaforte giapponese di Rabaul: in quella sortita furono affondati o distrutti 3 cacciatorpediniere, 3 piroscafi mercantili di media grandezza e 32 piccoli, 68 battelli portuari, barche e vela e due navi da pattuglia: furono gravemente danneggiati un sottomarino, una nave ausiliaria per sottomarini ed una per cacciatorpediniere, ed una nave mercantile di media grandezza; furono infine distrutti o danneggiati 184 apparecchi nemici. Noi perdemmo in tutto due B-24, un B-25 ed un Beaufighter. Da allora in poi la nostra superiorità aerea nel Pacifico sud-occidentale è stata definitivamente affermata.

La facilità con cui riuscimmo ad effettuare le operazioni finali nella Valle di Markham potrebbe condurre a conclusioni sbagliate: prima di poter compiere delle imprese di questa importanza ci vuole un lungo periodo di preparazione, studio accurato dei piani, infinito addestramento, ripetute prove, laboriosa fatica e grandissimo spirito d'iniziativa. Le semplici cifre statistiche delle perdite subite dal nemico nel Mare di Basmarck, a Wewak ed a Rabaul non menzionano, ad esempio, il nome del tenente colonnello William Benn, che tanto si adoperò per perfezionare la tecnica del bombardamento a volo radente, non parlano delle bombe dirompenti a paracadute, adoperate con tanto successo in questa zona di operazioni per la distruzione sul terreno degli apparecchi nemici; non narrano le gesta del maggiore (ora tenente colonnello) Bill Gunn, che fece stupire tutti gli esperti adattando otto mitragliatrici di 12.7 mm. sulla testata ricostruita di un B-25; nè del maggiore Ed Larner, che contribuì anche lui a sviluppare la tecnica del bombardamento a volo radente.

A proposito del maggiore Larner, si racconta che una volta volò a quota così bassa, che quando un proiettile nemico esplose a poca distanza, il suo apparecchio entrò, quasi barcollando, tra le cime degli alberi in fondo al campo e che ne uscì con la fusoliera acciaccata, delle ammaccature alle ali, la parte inferiore danneggiata ed uno dei motori fermi. "A questo punto," disse Larner, come per scusarsi, quando tornò alla base, "non ho fatto più che due attacchi al campo, perchè il mio apparecchio non funzionava più tanto bene."

La tattica del generale Kenney, fondata sull'elemento della sorpresa e dell'attacco improvviso, ha scombussolato i nostri nemici: quando avviene qualche cosa che li scuota dalle loro abitudini, i Giapponesi rimangono sconcertati, e, sconcertati che siano, non combattono più troppo bene. Questo non vuol dire cha i giapponesi cederanno di fronte alla minaccia d'invasione, come hanno fatto i fascisti in Italia; non c'è dubbio che bisognerà sistematicamente distruggere le industrie e le navi nipponiche, prima che l'esercito giapponese si sfasci. Il nostro Comandante in Capo ha detto: "Sono più d'una le vie che portano direttamante a Tokio, e noi non ne tralasceremo nessuna."

I nostri bombardieri hanno cominciato a far sentire la loro presenza in Cina, benchè in quella zona non abbiamo ancora preso l'offensiva. Sul continente asiatico il fattore tempo, in un certo senso, ha favorito il Celeste Impero; ma il tempo è un alleato incostante. Potenzialmente, la Cina rimane la nostra base più adatta per le operazioni aerea contro il Giappone.

Il nostro grande problema in Cina è quello dei rifornimenti: il servizio di rifornimenti necessario alla nostra crescente forza aerea in quella regione costituisce forse una delle prove più difficili per la nostra aeronautica: ogni singolo articolo necessario alla manutenzione ed all'attività della nostra Quattordicesima Armata Aerea deve essere trasportato in Cina per via aerea; e ciò rappresenta la massima difficoltà che le nostre operazioni in Cina si trovino a dover affrontare.

Può essere interessante considerarla per il momento dal solo punto di vista della benzina: nel viaggio di andata e ritorno sulla montagne tra Assam e Kunming, l'aeroplano da trasporto C-87 ora in servizio può consegnare a destinazione quattro tonnellate di benzina da 100 ottani; ma, per far questo, deve consumare asso stesso tre tonnellate e mezzo dalla medesima preziosa benzina.
Gli equipaggi di un gruppo di bombardieri pesanti in Cina debbono trasportare da loro benzina, pezzi di ricambio e tutto il resto, adoperando i loro apparecchi B-24 (il tipo C-87 è un B-24 convertito). Prima che questo gruppo di bombardieri possa prender parte ad una operazione di guerra, deve fare ben quattro viaggi attraverso le montagne; insomma, per effettuare una missione estremamente pericolosa, gli equipaggi debbono eseguire quattro voli sul
terreno montuoso più arduo di tutto il mondo. Fino al momento in cui non avremo conquistato il territorio per congiungerci colla Cina e non ci avremo costruito una strada, o fino a quando non avremo conquistato un porto, dovremo seguire questo stesso sistema, che si tratti di quaranta o di quattromila apparecchi.

Ed il nostro problema dei trasporti per via aerea in Cina non incomincia nell'Assam. Quando il maggior generale Lewis H. Brereton ed il suo gruppo arrivarono in India da Giava trovarono un totale di dieci aerodromi in tutta quella parte dei continente. Fino ad allora, la difesa inglese dell'India era stata fondata sulla premessa che l'unica minaccia potesse provenire della frontiera nord-occidentale, cioè dal Passo Kyber; ma l'improvvisa conquista della Birmania da parte del Giappone faceva temere un attacco non da nord-ovest, ma dall'est.

Sarebbe stata necessaria una completa e rapida riorganizzazione di tutte le difese, ciò che avrebbe costituito un compito formidabile in qualsiasi paese, e più che mai in India. In quella regione il caldo snervante, l'apatia degli indigeni, l'assoluta mancanza di metodi di equipaggiamento moderni facevano apparire gli ostacoli quasi insormontabili.
L'Assam è separato del resto dell'India dal Bramaputra, uno dei fiumi più lunghi del mondo, ma senza neppure un ponte; in quella regione il livello medio cambia secondo le stagioni: in certe stagioni dell'anno, un rialzo ed un abbassamento del livello, che può raggiungere gli 8 metri di variazione, rende inservibili i porti fluviali durante i periodi di piena e di magra.

Non c'è strada tra l'Assam e Calcutta; il trasporto per ferrovia è complicato dagli scartamenti diversi e da antiquati sistemi di traghetti per ferrovie. La potenzialità delle vie di comunicazioni fluviali per molto tempo era stata anche inferiore al normale, perchè i battelli a motore e le barche erano stati trasferiti nell'Iraq. Oltre a ciò, durante la stagione dei monsoni, quasi tutti i trasporti non fluviali cessano, perchè l'intera zona è inondata.
La stagione dei monsoni dura, nell'Assam, dalla metà di maggio alla metà di novembre: la precipitazione pluviale è di circa 380 cm. mentre nello stesso periodo in una regione qual'è, per esempio, la Virginia, si ha una media di 50 cm. La malaria è una minaccia costante.

La vita e la mano d'opera in India sono a buon mercato: intere piantagioni di thè furono spianate per farci degli aerodromi; le piste di decollaggio furono faticosamente costruite, togliendo i sassi dal letto dei fiume; i coolies poi li mettevano in ceste, trasportandoli sul capo. Dei rulli compressori antidiluviani, spinti da altri coolies, servivano a consolidare la massicciata.

Le nostre operazioni di trasporto aereo sono altrettanto complicate: i piloti degli aeroplani da trasporto in quelle condizioni atmosferiche sono esposti a pericoli altrettanto gravi quanto quelli di combattimento: debbono attraversare delle montagne alte più di 5000 metri, in volo cieco, col solo aiuto degli strumenti di volo; se deviano un pò verso nord, incontrano delle cime alte quasi 7000 metri, mentre a sud rischiano di finire in Birmania, cioè in territorio nemico. Non è paese da atterraggi di fortuna; ma è la rotta che i nostri rifornimenti debbono necessariamente seguire, dopo essere stati già trasportati per oltre 16.000 km.: e sono rifornimenti destinati non solo alla nostra Quattordicesima Armata Aerea, ma anche ad equipaggiare l'esercito ed a costruire e difendere gli aerodromi cinesi.

Nonostante tutte queste difficoltà, la Quattordicesima Armata opera nei cieli della Cina, al comando del generale Claire L. Chennault, che è un vero maestro di tattica; gli aviatori americani della 14.ma, tra il 2 febbraio 1942 ed il 31 ottobre 1943 hanno abbattuto 351 aeroplani giapponesi, perdendone soltanto 68 dei loro: è questo un primato senza precedenti, tanto più che la suddetta cifra non tiene conto degli apparecchi nemici probabilmente distrutti o danneggiati.
Un'impresa di questa complessità è tanto più impressionante, in quanto fu eseguita in condizioni che potrebbero dirsi di guerriglia aerea. La condizione necessaria ad ogni guerriglia, che abbia probabilità di successo, è data da un paese in cui la popolazione sia amica e disposta a collaborare coi guerriglieri: ebbene, questa condizione esiste in Cina, e la nostra Quattordicesima Armata ne ha approfittato, insegnando ai cinesi a creare uno dei più efficaci sistemi di allarme aereo oggi esistenti: le nostre basi vengono informate dell'avvicinarsi di una formazione aerea giapponese quasi allo stesso momento in cui essa si leva in aria. Grazie a questo sistema di allarme aereo, la nostra 14.ma Armata fu in grado di
contribuire all'arresto dell'avanzata giapponese nell'offensiva del Lago Tungting (maggio e giugno 1943).

La Quattordicesima Armata Aerea ha adempiuto con successo alla funzione principale di proteggere e capilinea dei trasporti aerei. Ma non basta: ci rendiamo conto che dobbiamo assolutamente organizzare i trasporti aerei per le nostre basi cinesi; chè non abbiamo davvero l'intenzione di limitare le nostre operazioni aeree nel contenente asiatico ad una guerriglia. Nè le navi, nè le industrie giapponesi potranno sopravvivere ai bombardamenti che loro riserva l'avvenire.

IL MEDITERRANEO

Gl'italiani ce diedero una buona lezione in Africa nell'estate ormai lontana del 1940: essi iniziarono le operazioni in Libia con un'aviazione numerosa, forte e moderna. Questa potente arma, che avrebbe potuto essere strumento de vittoria in quella campagna, era alle dirette dipendenze delle forzi terrestri italiane: e comandante locali dell'esercito, tuttavia, dispersero la loro potenza aerea in operazioni insignificanti, per proteggere i propri settori o per coprire l'avanzata di piccoli distaccamenti. Fu così che l'aviazione britannica, consistente di poche apparecchi antiquati, ma adoperata come si conveniva, in azioni concentrate di massa, distrusse completamente circa 1100 apparecchi italiani.

Per la campagna del 1941-42, gli inglesi avevano nel deserto un'aviazione numerosa e ben attrezzata: questa, nonostante la continua avanzata di Rommel, dominava praticamente i cieli del deserto occidentale. Fu la RAF che impedì a Rommel di annientare l'esercito britannico e che contribuì poi ad arrestarlo a El Alamein.
Molte delle nostre moderne teorie sull'aviazione tattica furono sviluppate durante quelle campagne nel deserto. Non c'è dubbio che l'esperienza e le mutate circostanze modificano molte delle nostre nozioni, ma il concetto moderno di aviazione tattica si può dire ormai messo alla prova nell'Africa settentrionale, in Italia, ed in Nuova Guinea.

L'aviazione tattica opera in collaborazione con tutti gli altri rami della forza aerea. Nell'Africa settentrionale essa operò in collaborazione con l'aviazione strategica, che concentrava i suoi sforzi sulla distruzione di obiettivi distanti, quali fabbriche di munizioni e porti di rifornimento; ma operò anche con l'aviazione costiera, le cui funzioni consistevano nel tagliare le linee di comunicazione marittime del nemico e nel proteggere le nostre. L'aviazione tattica opera anche efficacemente sul campo di battaglia.
Non è esatto dire semplicemente che l'aviazione tattica provvede un appoggio per le nostre truppe terrestri: la parola "appoggio" fa pensare sempre all'aeronautica come ad un'arma subordinata all'esercito od alla marina nelle operazioni terrestri o navali, quasi si trattasse di tiri d'artiglieria a lunga portata diretti da comandanti terrestri di second'ordine. Questa concezione ristretta è ancora condivisa da molta gente, come lo è dal soldato inesperto, quando si trova soggetto al primo attacco nemico. Fortunatamente per noi, la stessa concezione era condivisa anche da espertissimi strateghi dell'Asse.

Il cosiddetto "appoggio" aereo fu più che sufficiente per i tedeschi all'epoca del "Blitzkrieg" in Francia, quando il loro dominio dell'aria era ancora quasi assoluto. Ma i tedeschi e gli italiani trovarono le cose cambiate in Africa: prima furono eliminati addirittura dai cieli, e poi si trovarono di fronte all'alternativa di arrendersi o di essere rigettati in mare. Le nostre forze aeree e navali insieme evitarono una Dunkerque tedesca.

La RAF e l'aviazione americana funzionarono in Africa come un'unica organizzazione. Durante la campagna di Tunisia, il maresciallo dell'aria Tedder, alle dipendenze del generale Eisenhower, comandava l'aviazione anglo-americana nel Levante, a Malta e nell'Africa nord-occidentale. Il tenente generale Spaatz comandava tutta l'aviazione dell'Africa nord-occidentale, composta della nostra 12.ma Armata Aerea e di una parte della RAF, e precisamente delle seguenti unità: la Squadra di Aviazione Strategica al comando del maggior generale Doolittle, la Squadra di Aviazione Costiera al comando del vice maresciallo dell'aria Lloyd, la Squadra del Deserto Occidentale al comando del vice maresciallo dell'aria Broadhurst, un Reparto aereo da ricognizione fotografica, e la Squadra di Aviazione Tattica dell'Africa nord-occidentale agli ordini dei maresciallo dell'aria Cunningham. Per giudicare del successo di questa organizzazione, basti pensare che la Luftwaffe è stata eliminata dai cieli mediterranei.

La collaborazione dei comandi aerei e terrestri anglo-americani era anch'essa cordialissima: il comandante aereo e quello terrestre vivevano insieme nello stesso campo, mangiavano alla stessa mensa, facevano i loro piani ed eseguivano le operazioni in perfetta parità gerarchica ed in assoluta armonia. Sapevano entrambi che soltanto le operazioni aeree, grazie al loro grande raggio d'azione, potevano darci una fulminea vittoria in Tunisia. Così la campagna tunisina divenne un'altra palese dimostrazione della bontà del sistema, per cui un ufficiale aviatore comanda la guerra aerea ed un ufficiale di terra comanda quella terrestre, ma entrambi operano in perfetta collaborazione.

La battaglia per le posizioni del Mareth cominciò con ripetuti e violenti bombardamenti sugli aerodromi nemici: prima dell'offensiva dell'Ottava Armata britannica, tutta la nostra forza aerea si concentrò in attacchi su quegli aerodromi. Quando la forza della Luftwaffe fu notevolmente ridotta, le nostre unità aeree al nord ed al centro cominciarono ad operare esclusivamente contro l'aviazione tedesca, permettendo alla Squadra del Deserto Occidentale ed all'Ottava Armata di operare senza preoccuparsi di opposizione aerea tedesca. Ciò mise la Squadra del Deserto Occidentale in grado di adoperare centinaia di bombardieri e di apparecchi da caccia per scoprire i concentramenti di truppe nemici e per operare con grande efficacia e davanti alle prime linee dell'Ottava Armata britannica.

Nel momento culminante della battaglia dinanzi ad El Hamma, entrarono in azione i nostri cannoni anti-carro; il fronte nemico si infranse ed i tedeschi furono costretti a ritirarsi. In questa operazione, la 146.ma Divisione Corazzata di Granatieri tedeschi fu presa alla sprovvista mentre avanzava per una strada e messa fuori combattimento da un attacco aereo.
Dopo una breve sosta, l'Ottava Armata britannica attaccò all'Uadi Akarit. Ancora una volta le unità aeree del nord e del centro concentrarono gli attacchi sulle basi aeree tedesche, ed ancora una volta la Squadra del Deserto Occidentale potè concentrare tutta l'intensità dei suoi attacchi sulle forze tedesche spiegate intorno all'Uadi Akarit. Ancora una volta il nemico si ritirò, questa volta più presto di quel che non ci si aspettasse, e si fermò su un semicerchio da Biserta ad Enfidaville.

A questo punto, toccò alla Squadra del Deserto Occidentale distornare la forza aerea nemica superstite, mentre i bombardieri dell'Aviazione Tattica appoggiavano l'attacco della Prima Armata e del Secondo Corpo d'Armata americano.
La battaglia che terminò con la sconfitta delle forze tedesche in Tunisia cominciò non già il 22 aprile, quando le forze di terra iniziarono il movimento, ma quattro giorni prima, quando noi inviammo 90 bombardieri notturni contro gli aerodromi tedeschi. Avevamo promesso di ridurre la Luftwaffe ad uno stato di relativa impotenza per l'alba del 22 aprile, e ci riuscimmo: in due giorni. distruggemmo 512 apparecchi tedeschi.

La distruzione di 20 apparecchi tedeschi da trasporto a sei motori, tipo ME-323, effettuata il 22 aprile, faceva parte del nostro progetto di dare un colpo mortale alla Luftwaffe e di non lasciarla riaversi durante il periodo dell'avanzata delle nostre truppe sul terreno. Quei ME-323 trasportavano in Tunisia gli effettivi di tutto un reggimento tedesco.
Tuttavia, azioni a grande effetto di questo genere non furono decisive quanto la continuità degli attacchi aerei che l'Aviazione Tattica lanciava contro le truppe nemiche fronteggianti la Prima Armata. Dal 22 in poi, tenemmo in continua azione delle squadriglie di caccia sugli aerodromi nemici, sfidando i tedeschi ad alzarsi; quando finalmente essi si alzarono, furono abbattuti da un numero relativamente esiguo di nostri caccia. La superiorità delle nostre forze aeree stava spianando la via alla nostra offensiva terrestre.

La violenza dei quotidiani attacchi durante quel periodo superò in intensità qualsiasi attacco che fosse mai stato sferrato da alcuna aviazione in collaborazione con un esercito all'offensiva. Il 6 maggio, durante l'ultima fase dell'avanzata da Mejez-el-Bab a Tunisi, facemmo 2146 sortite, di cui la gran maggioranza erano di bombardieri, di caccia bombardieri o di mitragliamento e spezzonamento su un fronte di meno di 6 km. A forza di bombe aprimmo un corridoio tra Mejez-el-Bab e Tunisi.

La precisione e l'efficacia del nostro bombardamento si videro in pieno quando le nostre forze terrestri ebbero occupato Ferryville, Biserta e Tunisi. Tutta la città ed il porto di Biserta erano pieni di stabilimenti tedeschi, ed i nostri apparecchi avevano attaccato con l'intenzione di livellare la città. Ebbene, l'automobile del generale Laurence S. Kuter entrò in città il 9 maggio e girò la città per tutta un'ora senza incontrare un solo abitante e senza vedere un solo edificio che non fosse stato danneggiato.
Ferryville, invece, era piena di rifugiati: quando i nostri primi reparti entrarono in città, non si scopriva traccia di guerra: la popolazione civile era felice di vederci prender possesso della città. La zona del porto, tuttavia, era un ammasso di acciaio contorto, di costruzioni rovinate, di navi affondate. Similmente, i settori commerciali e residenziali di Tunisi rimasero intatti, mentre gl'impianti militari erano stati ridotti in macerie.

Il generale Kuter fece un'altra interessante osservazione durante questa fase della campagna tunisina: osservazione che potrebbe aver molto valore in un avvenire non troppo lontano. I primi 25.000 prigionieri tedeschi che egli vide il 9 maggio provenivano in parte da due divisioni tedesche di SS, la Manteuffel e la Hermann Goering, ed in parte da una espertissima divisione corazzata composta di veterani di varie battaglie. I soldati avevano avuto l'ordine di combattere fino all'ultimo, finchè avessero avuto una galletta e una cartuccia. Ebbene, essi combatterono bene ed aspramente; ma, quando si avvidero senza ombra di dubbio che avrebbero perduto la battaglia, si arresero immediatamente.

L'aviazione flessibile e ben coordinata che avevamo organizzato in Africa ci servì bene in Sicilia e negli stadi successivi della campagna su per la penisola italiana. Gli antichi saraceni avevano una volta assediato la città di Enna, in Sicilia, per 3 anni, ed i Normanni ci misero un quarto di secolo per conquistare quella piazzaforte: le nostre truppe terrestri sbarcarono in Sicilia il 7 luglio 1943 ed il 17 agosto l'ultimo soldato dell'Asse si era arreso o era scappato attraverso lo Stretto di Messina.

Appena fu fissata la data del nostro sbarco a Salerno, la nostra forza aerea entrò in azione con tutta la sua potenza. Il primo obiettivo era di scompigliare il flusso di rifornimenti e di rinforzi tedeschi e di isolare le divisioni ferroviarie e stradali. A questo fine abbiamo bombardato l'Italia dalla punta della Calabria sino al Passo del Brennero, effettuando 4419 sortite e sganciando 6230 tonnellate di bombe fra il 17 agosto ed il 6 settembre.

I danni arrecati ai principali nodi ferroviari, al materiale rotabile ed alle officine di riparazione stanno ancora paralizzando la resistenza nazista nella penisola. In questa prima fase abbiamo concentrato i nostri sforzi anche sulla distruzione sia di aerodromi sia di velivoli nemici nell'aria e sul terreno.
Dal 9 all'11 settembre ci prefigemmo di isolare la zona di battaglia: in questa fase effettuammo 1006 sortite e sganciammo 1679 tonnellate di bombe, interrompendo praticamente il traffico sulle arterie principali che convergevano sul fronte di battaglia.

Il 12 settembre la nostra Aviazione Strategica si unì alle operazioni. Il giorno dopo quasi tutti i nostri bombardieri effettuarono due sortite per ciascuno. Il 14 settembre interi paesi in tutta la zona erano stati livellati, concentramenti di trasporti nemici erano stati annientati e gravi perdite erano state inflitte alle truppe nemiche. Durante quei quattro giorni effettuammo complessivamente 2407 sortite e sganciammo 3122 tonnellate di bombe. La mattina del 13 settembre i comandanti delle nostre truppe aereo-trasportate ricevettero notizia che la Quinta Armata americana aveva bisogno di rinforzi aerei entro 24 ore.

Alle 20.45 di quello stesso giorno, alcuni apparecchi battistrada con reparti di truppe aereo-trasportate partirono dalla loro base siciliana e raggiunsero il punto preparato per la discesa dei paracadutisti nel settore di Salerno alle 23.14. Venticinque minuti dopo arrivarono i primi reparti di paracadutisti ed il relativo equipaggiamento in una zona di circa 1100 x 700 metri. Alle 2 a.m. del 14 settembre i paracadutisti erano completamente inquadrati e marciavano verso le posizioni in prima linea. Molte unità avevano avuto meno di due ore di tempo per fare un'ultima revisione dei loro apparecchi, organizzare la partenza e caricare gli uomini e l'equipaggiamento.

II 14 settembre l'operazione fu ripetuta, questa volta con 131 aeroplani C-47, che lanciarono 1900 paracadutisti nella stessa zona, mentre 40 apparecchi C-47 trasportavano un battaglione di fanteria ed una compagnia dei genio in un punto situato a 8 km, a sud-est di Avellino, dietro le linee nemiche. Esattamente 24 ore dopo aver compiuto queste tre missioni senza neppure una vittima, gli apparecchi da trasporto avevano ripreso le loro funzioni normali, recando rifornimenti essenziali alla Quinta Armata ed evacuando feriti.

Il nemico non aveva modo di controbattere uno sforzo di tale entità; l'aviazione contribuì moltissimo a salvare l'impresa di Salerno e la breccia che praticammo quel giorno nella fortezza europea non potrà mai più essere richiusa.

Durante un anno di operazioni (dall'8 novembre 1942 al 7 novembre 1943) nel teatro mediterraneo, l'aviazione alleata dell'Africa nord-occidentale sganciò in tutto 92.333 tonnellate di bombe su impianti e vie di comunicazione nemiche: di questa cifra complessiva, 65.377 tonnellate furono lanciate dall'aviazione americana. Colpimmo obiettivi in Austria, in Jugoslavia, in Grecia, in Albania ed in Francia, oltre che nell'Africa settentrionale ed in Italia.

In questo teatro di operazioni distruggemmo in combattimento aereo e sul terreno 5511 apparecchi nemici, oltre a 750 probabilmente distrutti e 1903 danneggiati. Si calcola che di tutti gli apparecchi distrutti 4100 fossero tedeschi, gli altri italiani. Il numero degli apparecchi trovati abbandonati nel territorio nemico in Tunisia, a Pantelleria, in Sicilia, in Corsica e nella penisola italiana è di 3491; di questi 1986 erano tedeschi e 1505 italiani. Non abbiamo ancora ricevuto statistiche precise circa la Sardegna. Altri 231 apparecchi erano stati trovati all'aerodromo di Castel Benito vicino a Tripoli, ma questi non sono compresi nelle suddette cifre, perchè erano stati già inclusi nelle statistiche del Comando del Levante (Middle East Command).

Durante lo stesso anno, cioè fino al 7 novembre 1943, l'aviazione dell'Africa nord-occidentale affondò in tutto 185 navi mercantili, per un tonnellaggio complessivo di 113.000 tonnellate; ne affondò probabilmente 110, per un tonnellaggio di 187.000 tonnellate e ne danneggiò 243, per tonnellaggio di 373.000 tonnellate.

Nel frattempo l'aviazione di base a Malta e nel Levante e la Nona Armata Aerea americana abbattevano o danneggiavano almeno altri 2500 apparecchi nemici e sganciavano 45.000 tonnellate di bombe.
Oggi, il Mediterraneo si può dire veramente Mare Nostrum.

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