BIOGRAFIA DEI 120 DOGI DI VENEZIA (5)

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 ANNI 1356 - 1485

LVII - GIOVANNI DOLFIN 1356-1361
Anche questa fu un' investitura lampo, Giovanni Dolfin fu eletto il 13 agosto 1356 anche se con il minimo del quorum ( 25 voti). La cronaca del tempo vuole che, appresa la notizia, mentre stava difendendo Treviso quale "Provveditore in campo" ( alta carica di nomina senatoriale preposta ai rifornimenti militari e vettovagliamenti, oltre al controllo dei comandanti militari, sui quali avevano poteri di sostituzione ), nonostante fosse cieco ad un occhio, fosse riuscito a forzare il blocco della lega ungherese , con l' ausilio di un centinaio di cavalieri e duecento fanti, cavalcando a briglia sciolta verso Mestre dove era atteso dagli ambasciatori per scortarlo in città e dove giunse il 25 agosto.
Nonostante le sue capacità militari ed il suo indiscusso coraggio però, Venezia fu nuovamente sconfitta nel febbraio del 1358 a Nervesa (nda: sulle pendici del Montello - oggi provincia di Treviso ) L' Ungheria prese Durazzo e tutta la Dalmazia da Spalato a Zara. L' Austria ottenne il suo sbocco al mare con Trieste, Padova e Gorizia si spartirono Asolo, Conegliano e Serravalle.
Nel trattato di pace con l ' Ungheria, stipulato a Zara, il Doge fu costretto a rinunciare al titolo di " Duca di Dalmazia e Croazia" accontentandosi del titolo beffardo di " Dux Venetiarum et coetera".
A giugno venne stipulata la pace anche con i Carrara di Padova che nel frattempo si erano anche largamente espansi sul Po come precedentemente avevano fatto gli scaligeri, impiantando saline e mulini.
Finirono male anche le trattative per l'intercessione di l' Imperatore Carlo IV di Lussemburgo e I Re di Boemia, al fine di mantenere la dignità feudale sulla marca trevigiana.
Mentre papa Innocenzo VI dal canto suo, nel 1359 emise una bolla nella quale veniva espresso il "sacrosanto divieto" di commerciare con il miscredente sultanato egiziano.
Giovanni Dolfin morì il 12 luglio 1361 e fu sepolto nella chiesa dei SS Giovanni e Paolo. 

LVIII - LORENZO CELSI 1361-1365
Il declino della Repubblica veneta era coinciso con la "serrata" del Maggior Consiglio del 1297, da allora troppo pochi i nomi con troppi interessi personali e famigliari da poter annotare sulle "cartelle" dopo l' estrazione delle "balote" , fosse stato questo il motivo per il quale Venezia si stava avviando al tramonto? Il Maggior Consiglio decise comunque di provar a cambiare.
Lorenzo Celsi sebbene ricco per essersi alacremente cimentato nell'arte della mercatura, non apparteneva ad una famiglia canonica ma aveva avuto una discreta carriera diplomatico-politico-militare: era stato podestà di Treviso, capitano generale in Dalmazia e ambasciatore presso Carlo IV, fu elevato al soglio dogale il 16 luglio 1361 dopo un concitato conclave con altri quattro nomi in contrapposizione.
Narcisista convinto e come tale molto pieno di se stesso (vestiva di bianco non di rosso e passeggiava a cavallo; sul corno dogale aveva fatto ricamare una croce perché anche chi non aveva berretto e togliendoselo potesse riverirlo, fosse costretto a inchinarsi per rispetto della croce).
Dopo una fugace vittoria ottenuta dalla flotta capitanata da Luchino dal Verme, nel maggio del 1364, sugli arconti cretesi che avevano deposto il veccio Duca Marco Gradenigo, issando le insegne di "San Tito" al posto del "Leone Alato", nonostante la crisi ed il decadimento (anche morale) imperversassero, il Doge proclamò una " festa granda".
I festeggiamenti ebbero quale cronista Francesco Petrarca il quale aveva preso dimora in uno dei palazzi Molin in "Riva degli Schiavoni " (nda: oggi sede di una società di navigazione), palazzo regalatogli dalla Repubblica in segno di riconoscimento per i libri donati alla biblioteca Marciana.
Giochi, spettacoli e giostra durarono quattro giorni con inviti estesi ai quattro angoli della terra e con un premio per il cavaliere vincitore costituito da una corona d' oro massiccio tempestata di pietre preziose. 
Considerata la congiuntura industriale, quella commerciale e l' esiguità delle casse erariali questi "sperperi" non potevano andar bene nè al Consiglio dei Dieci, ne a quello Ducale né tanto meno al Maggior Consiglio, soprattutto se vi si aggiunge il fatto che il Doge, vestito di bianco passeggiasse a cavallo, portando uno scettro, appositamente costruito, al posto del bastone e che si sussurrasse la sua simpatia nei confronti di un' eventuale signoria.
Il 18 luglio 1365 Lorenzo Celsi , fino ad allora sano di mente, morì di depressione psichica (avvelenato ?) e sepolto nella chiesa della Celestia ( nda: vicino alle mura dell' Arsenale).

LIX - MARCO CORNER 1365-1368
Fu eletto il 21 luglio 1365 con 25 voti, all' età di ottant'anni ed in concorrenza con Giovanni Foscarini e Andrea Contarini.
Appartenente ad una delle famiglie apostoliche di origine della "gens" romana. Non era ricco ma vantava un curricilum di tutto rispetto, sia militare che diplomatico .
Di carattere mite e modesto nei comportamenti, diversamente dal precedente dogado, ridusse gli sfarzi e gli sperperi, dedicando le risorse ai lavori pubblici di cui Venezia necessitava, come la costruzione della facciata del palazzo ducale esposta sul bacino San Marco e che guarda l' isola di San Giorgio.
Rinsaldò la pace con Aquileia, Gorizia e Austria ma fu fermo nel reprimere l'ennesima rivolta a Creta, questa volta aizzata dagli stessi governatori che Venezia aveva precedentemente insediato: i Kalergis. La repressione fu talmente violenta che alla fine Venezia fu costretta a ripopolare l' isola con profughi provenienti da altri territori, quali gli armeni della Cilicia e i fuggiaschi di Tenedo ( nda : attuale Bozcaada - isola turca all' imbocco dei Dardanelli) cacciati dagli ottomani, ma poi riconquistata.
Marco Corner morì il 13 gennaio 1368, il suo corpo fu deposto in un sarcofago marmoreo il cui coperchio scolpito lo ritrae in grandezza naturale, nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo. 

LX - ANDREA CONTARINI 1368-1382
Nonostante la sua ritrosia alla massima carica della Repubblica veneta, Andrea Contarini fu eletto il 20 gennaio 1368 quando aveva 63 anni e nonostante dopo la sua elezione avesse tentato di rinunciare, alla fine fu costretto ad accettare suo malgrado, pena la confisca di tutti i beni ed il bando perpetuo dai territori di Venezia.
Se in gioventù era stato dissoluto e libertino, nella maturità fu saggio probo e libertario.
Il dogado iniziò subito con qualche problema derivato da strascichi precedenti: poco dopo l'insediamento di Andrea Contarini, una galera veneziana fu abbordata dai triestini e depredata. A nulla valsero le scuse e le proposte di indennizzo da parte di Trieste.
Venezia, stanca di essere continuamente attaccata mise in movimento la flotta parzialmente ricostruita e un' esercito che assediarono la città protetta dal ducato d' Austria. Trieste si arrese nel novembre del 1369 e non fu umiliata, le fu consentito di mantenere il suo governo e le sue prerogative. Dopo un accordo con Leopoldo d' Austria fu acquistata per l'ingente somma di 75.000 ducati d'oro, nella speranza di stemperare i dissidi e fugare ulteriori pretese.
Nel 1372 il Consiglio dei Dieci fece arrestare tale frate Agostino quale mandante dei Carraresi per l'avvelenamento di pozzi e falde freatiche di acqua destinata al consumo della città. 
Forse fu inventata la scusa per procedere contro la signoria di Padova, ancora una volta appoggiata dalle truppe di Ludovico d ' Ungheria, che aveva spinto oltre il limite di sopportazione, per Venezia, la sua presenza fortificata fino a ridosso della gronda lagunare e stava impedendo i commerci e gli interscambi con l' entroterra. 
Essendo stato sconfitto, l' esercito ungherese si ritirò nel settembre del 1373. Non soddisfatto Francesco " il Vecchio" da Carrara chiese aiuto a Leopoldo d' Austria ma Venezia, avendo previsto tale mossa, aveva nel frattempo agito sul fratello Marsilio con la promessa di riconoscergli la signoria qualora fosse riuscito ad estromettere Francesco il quale, intuita la macchinazione si affrettò a mandare il figlio Novello accompagnato dal Petrarca a chiedere il perdono del doge, perdono che fu concesso dietro il corrispettivo di 60.000 ducati d' oro.
Mentre le questioni con Genova, nonostante la pace di Milano, rimanevano tutt'altro che risolte e fu sufficiente una scusa qualsiasi per riaccendere brace sopita sotto la cenere.
A dar fuoco alle polveri furono i rappresentanti ufficiali delle due fazioni: il console di Genova Paganino Doria e il "bailo" di Famagosta Marino Malipiero.
I due, invitati all' incoronazione a re di Antiochia e Cipro, Pietro II Lusignano (antica famiglia francese insediatasi nel levante con le crociate), avvenuta a Famagosta il 10 ottobre 1373, dopo un battibecco arrivarono agli insulti e da questi si passò alle vie di fatto che coinvolse tutto il seguito.
I genovesi furono scaraventati dalle finestre del palazzo e la lite si propagò per tutta la città, con il saccheggio del quartiere e la caccia all'ultimo uomo.
Genova reagì inviando un ingente formazione militare che riuscì ad occupare uno dopo l' altro tutti i punti strategici dell' isola per la restituzione dei quali, chiese a Pietro II il risarcimento di tutti i danni subiti dai concittadini di stanza nell' isola.
Inoltre la città ligure pose il blocco dell' isola di Tenedo, ritornata in mani veneziane quale pegno per un prestito di 30.000 ducati consegnati a Giovanni Paleologo II reisediatosi sul trono di Bisanzio che gli era stato usurpato dal figlio Andronico ed in previsione di uno scontro più ampio si era nuovamente coalizzata con l' Ungheria, Aquileia, Austria che rivoleva Trieste nonostante l'avesse venduta e i da Carrara che volevano rifarsi della sconfitta subita.
Venezia trovò supporto da parte di Cipro e di Bisanzio.
Le due flotte si scontrarono una prima volta il 30 maggio 1378, presso Azio ( promontorio e antico porto nel golfo dell'odierna Arta- Grecia-) con la vittoria del veneziano Vettor Pisani sul genovese Luigi Fieschi, dopo di che quella veneziana si diresse verso l' Adriatico dove effettuò per tutta l' estate "guerra di corsa". All'inizio dell'inverno si ritirò a Pola dove rimase fino al maggio del 1379 quando fu snidata da quella genovese capitanata da Luciano Doria che aveva risalito l' Adriatico.
Questa volta per Venezia finì male, Vettor Pisani colto di sorpresa riuscì solo a tentare una via di fuga verso Parenzo dove trovò rifugio con poche navi, perdendo 15 galere con centinaia di morti e migliaia di prigionieri.
Il 17 luglio 1379 il Capitano Generale da Mar fu processato, condannato a 6 mesi di carcere e a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici.
La flotta genovese nel frattempo prese Malamocco, Poneglia e il 6 agosto si insediò a Chioggia, i Carraresi dal canto loro si prodigarono nel blocco fluviale di tutti i rifornimenti alla città lagunare. Per Venezia sembrava la capitolazione definitiva, mai nessuno era riuscito ad insidiarla così da vicino, fino a mettere piede in laguna.
Il popolo però non si diede per vinto e reclamò a gran voce la liberazione di Vettor Pisani.
Pisani venne liberato e reintegrato nel suo comando della flotta, prontamente ricostituita ed armata anche con il contributo di privati cittadini ai quali fu concessa la possibilità di accedere al Maggior Consiglio ( con il decreto del 1° dicembre 30 nuove famiglie ottennero l' iscrizione nelle liste di accoglimento).
Grazie anche alla proscrizione volontaria, molto sentita, in breve tempo, si riuscirono a formare equipaggi e truppe per l' esercito ed in maniera molto febbrile a costituire ed occupare posizioni difensive strategiche.
Il 22 dicembre la flotta veneziana costituita da 40 navi tra galere e ciocche armate, capitanata da Pisani con a bordo lo stesso doge, raggiunta da altre 18 galere provenienti da levante, al comando di Carlo Zen, si parò davanti a Chioggia.
Non vi fu azione militare diretta ma solo un assedio in grande stile che si limitò all'affondamento o alla preda di tutti i carichi provenienti da mare, per via fluviale o da terra, diretti a Chioggia.
Il 24 giugno 1380 Pietro Doria fu centrato da una bombarda veneziana, il suo esercito costretto ad arrendersi con 5.000 uomini e 19 galee. Un disfatta umiliante per Genova.
Tuttavia da lì a pochi mesi la guerra continuò in Adriatico per un altro anno, ma la disfatta di Genova era ormai evidente.
L' 8 agosto dell' anno successivo, papa Urbano VI e AmedeoVI di Savoia costrinsero le due Repubbliche al tavolo della pace costituito a Torino.
Più che da vincitrice Venezia, dovette subire una pace alla pari o forse anche una mezza sconfitta: dovette rinunciare irrimediabilmente alla Dalmazia a favore dell' Ungheria, a Treviso e Conegliano a favore dell' Austria, i traffici sul Mar Nero divennero prerogativa di Genova, Trieste rimase indipendente contro un tributo annuo di olio e vino e l ' isola di Tenedo andò al "conte verde" Amedeo VI di Savoia, per la sua opera di intermediazione, per contro le furono garantiti i privilegi nel levante (per altro mai messi in discussione).
L'unica nota positiva di tutta la vicenda fu che dopo decenni di declino la popolazione aveva riscoperto la forza di coesione tra cittadini ed istituzioni, tra popolani ed aristocratici in nome di un comune senso patriottico.
Andrea Contarini morì il 5 giugno 1382 e fu sepolto nel chiostro della chiesa di Santo Stefano. 

LXI -  MICHELE MOROSINI  (10/6-16/10.1382)
Egli stesso uno dei 41 elettori della "Quarantia", fu elevato al soglio con il minimo del quorum, all'età di 74 anni.
Colto e soprattutto ricchissimo, aveva fatto le sue fortune con la mercatura, nell'ultimo periodo, durante la guerra di Chioggia era riuscito persino a speculare sulla vendita di case che i risparmiatori furono costretti ad attuare per far fronte alla "svalutazione" dei prestiti allo Stato ( nda: una sorta di Buoni del Tesoro che persero il loro controvalore di quasi il 75- 80%). 
La peste lo colse dopo appena quattro mesi di governo. Fu sepolto nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo in un sontuosissimo sarcofago

LXII ANTONIO VENIER  (1382-1400)
Era la seconda volta che Leonardo Dandolo entrava in competizione per la maggior carica della Repubblica, in quest' ultima occasione si trovò a contergli il soglio altri tre N.H. (nobil homini): Giovanni Gradenigo, Alvise Loredan e Carlo Zen, amareggiato e quasi per sfida suggerì alla Quarantia il nome quasi sconosciuto di un Capitano di stanza a Creta.
Antonio Venier fu eletto il 21 ottobre 1382, partì da Candia a bordo di una galera e giunse a Venezia il 13 gennaio 1383, la cronaca vuole che il suo insediamento sia stato festeggiato per un anno intero, nonostante fosse appena passata un' ondata di pestilenza, tanto era ben visto dal popolo e perchè dal popolo proveniva; il suo casato era stato accolto nelle liste di elezione al Maggior Consiglio solo durante la guerra di Chioggia, apparteneva perciò ad una famiglia "nuova".
La peste funestò ancora Venezia nello stesso anno quando ci fu una recrudescenza di infezioni e nel 1305, con una nuova ondata ma non riuscì a fermare l'ondata di rimonta della Repubblica che, uscita finalmente dalla crisi stava puntando nuovamente al proprio benessere economico ed alla difesa dello stesso: quello che non poteva essere conquistato, poteva essere comperato.
Con questa filosofia Comperò Napoli in Romania ed Argo in Morea nel levante; Scutari e Durazzo in Adriatico conquistando Corfù a difesa dei due territori contro i turchi e le loro mire espansionistiche.
Nell'entroterra padano le cose inizialmente si stavano rimettendo al peggio con i Carraresi, mai paghi delle battoste subite, che tentarono di isolare la città con l' acquisto dagli Asburgo di: Treviso, Conegliano, Ceneda, Serravalle, Feltre e Belluno e si allearono con Giangaleazzo Visconte duca di Milano per la spartizione degli ex territori scaligeri, ma alla fine la situazione volse a favore di Venezia.
I Visconti dopo aver preso Verona e Vicenza, con un repentino cambio di fronte presero subito Padova, poi Treviso, Conegliano e Ceneda che furono immediatamente cedute a Venezia.
Francesco "il Vecchio" da Carrara fu imprigionato e morì nelle carceri milanesi, il figlio Francesco Novello riuscito miracolosamente a fuggire e ricandidatosi alla signoria di Padova trovò inspiegabilmente alleata Venezia che lo rimise al suo posto ( nda: forse impensierivano di più i Visconti che i da Carrara alle porte della Serenissima).
Il 24 novembre 1392 Francesco Novello prostrato ai piedi del doge, come aveva fatto undici anni prima con Andrea Contarini, vide ascritto il proprio casato al patriziato veneziano.
Nel 1399 venne firmato un trattato di non belligeranza con i turchi, confinati ormai sui Balcani, attraverso una brillante operazione diplomatica con Alberto d' Este signore di Ferrara, Venezia nel mentre prese sotto tutela il figlio naturale Nicolò ( minorenne), concesse un prestito di 50.000 ducati al figlio legittimo Azzo con il patto che si trasferisse a Creta, garantendosi in pegno Polesine e Rovigo.
Ma Antonio Venier non era più lo stesso, il rimorso per la morte del figlio Alvise, avvenuta nel 1388 nei "pozzi" ( carceri) del Palazzo di Giustizia, non gli dava tregua.
Il suo alto senso dello Stato e della legge non gli concesse di intercedere nemmeno per il proprio figlio, che condannato a 6 mesi di carcere per aver disonorato una famiglia patrizia, non trovò scampo ( con un periodo di permanenza così lungo, dalle galere non si usciva vivi, d'inverno venivano usati i "pozzi" situati nel cantinato che si allagava ad ogni alta marea e era ricettacolo di ogni specie di insetti e ratti, d' estate venivano usati i "piombi", così chiamati perchè situati nel sottotetto ed erano lastricati di lamiere di piombo usate per l'impermeabilizzazione che con il sole diventava un forno.
"Antonazzo" ( Antonione - in senso bonario) morì il 23 novembre 1400 e sepolto nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo.

LXIII - MICHELE STENO (1400-1413)
Stessa situazione di diciotto anni prima, l' irriducibile Leonardo Dandolo propose un nome alternativo, Michele Steno venne eletto con 25 voti il 1° dicembre 1400, all'età di 69 anni.
Dopo una gioventù burrascosa che gli costò anche qualche breve periodo di carcere, Michele Steno mise la testa a posto ed il suo curriculum fu di tutto rispetto.
La sua investitura fu a lungo festeggiata con cacce di tori e giostre e con balli organizzati dalla "Compagnia della calza" ( associazione di giovani nobili che organizzava feste ogni qualvolta ci fosse qualcosa o qualcuno da festeggiare,così chiamata per via dei calzoni indossati dagli associati, sorta di calzemaglia di diversi colori per gamba).
All' inizio del suo dogado, dato il periodo di relativa tranquillità si dedicò ad ornare la Basilica e a compiere lavori di pubblica utilità, ma già dal 1404 fu costretto a ripigliare le armi.
Francesco Novello da Carrara era nuovamente in stato di agitazione agitazione ed aveva coinvolto gli scaligeri esiliati e Nicolò d'Este, figlio protetto di Venezia, in scorribande nei territori della Repubblica ed in quelle dei Visconti.
Venezia decise di stroncare una volta per tutte l'irriconoscenza dei carraresi più volte sopportati e perdonati.
La guerra aperta ebbe inizio il 31 marzo, con al fianco i Visconti. Nel novembre del 1405 era già finita dopo aver preso tutte le città venete ed imprigionato tutti i Carraresi : Francesco Novello e i due figli Jacopo e Francesco che furono processati per tradimento, sabotaggio e corruzione e strangolati dal boia nei "pozzi" la mattina del 16 gennaio 1406.
Implacabile fu la risposta di Michele Steno a Francesco Novello ormai avvezzato a giustificarsi e chiedere perdono: "Spergiuro alla Repubblica, fu opera vostra suscitarle de' nemici, al modo di vostro padre, che impetrava i nostri aiuti contro gli schiavoni, mentre che d'altra parte li aizzava contro di noi. Per la perfidia perdemmo Treviso... Dopo quest' offesa, dopo la guerra di Genova levataci contro e da quale uscimmo per miracolo, noi gli perdonammo tuttavia... il Duca di Milano vi toglie Padova: noi vi diamo una mano a ripigliarla. Indulgenza, aiuti, onori, benefizi di ogni cosa vi siamo stati larghi e voi ogni cosa metteste in non cale, nulla ha potuto cangiare in voi il natural vezzo: ma ormai ci giova ringraziar Dio, che abbia pure una volta messo modo alle perfidie vostre e posta la vostra sorte nelle nostre mani.
Il 30 novembre dello stesso anno venne eletto al soglio pontificio romano il cardinale veneziano Angelo Correr con il nome di Gregorio XII ma la chiesa è in stato di grave crisi e sull' orlo di uno scisma, in carica vi sono gia due papi Benedetto XIII ad Avignone, a Roma Gregorio XII e prima della fine dell' anno se ne aggiungerà un terzo : Alessandro V, eletto in un concilio di dissidenti a Pisa.
La laica Repubblica se da un lato rimase neutrale, dall' altra cercò di approfittare della situazione per allargare i suoi predomini sul Friuli, il 13 luglio del 1410, venne emesso un editto nel quale si stabiliva che i consiglieri ed i loro parenti, accreditati anche dalla corte papale di Roma, fossero allontanati da tutti i Consigli della Repubblica, quando fossero discussi rapporti con lo Stato Pontificio e con il decreto del 27 ottobre 1412 fu vietata la vendita dei beni ecclesiastici, in tutti i territori sotto la giurisdizione di Venezia, senza il consenso del Senato.
Michele Steno morì del "mal della pietra" (nda: di calcolosi) il 26 dicembre 1413 e fu sepolto in un mausoleo della chiesa di Santa Marina (nda: tra Rialto e SS Giovanni e Paolo) 

LXIV -TOMMASO MOCENIGO (1414-1423)
Fu eletto il 7 gennaio 1414 tra una ridda di nominativi, all'età di 71 anni.
Tommaso Mocenigo, detto "Tommasone" proveniva da una delle famiglie "nuove" era scapolo e con buoni trascorsi sia militari che diplomatici, la notizia della sua elezione gli giunse quando era ambasciatore a Cremona presso la corte di Sigismondo d' Ungheria , dove si trovava anche l' antipapa Giovanni XXIII, succeduto ad Alessandro quinto, ambedue reduci dal concilio di Costanza e dai quali si allontanò in incognito a discapito di qualsiasi eventuale attentato.
La cronaca vuole che con Tommasone iniziasse una nuova consuetudine: prima di dare inizio ai festeggiamenti, il neo eletto doge facesse un giro per la piazza San Marco in "pozeto" ( sorta di portantina a forma di pulpito sulla quale stava seduto il doge con al seguito un parente e il "balotin"- il ragazzino che estraeva le biglie per i sorteggi-) dal quale lanciava al popolo monete con la sua effige appena coniata. 
Naturalmente i festeggiamenti furono imponenti ed i "sestieri " (i quartieri o contrade di Venezia), si prodigarono a turno fino ad arrivare alla festa della "Sensa" (lo sposalizio con il mare).
Il clima di " carnevale permanente" non ostacolò comunque l'attività politico amministrativa di Venezia che, a fine anno , aveva già esteso la propria giurisdizione sul Friuli e sul Bellunese, compreso il Cadore e Feltre, mettendo prima sul tavolo l' alleanza con i Visconti e poi sottomettendo per sempre il patriarcato di Aquileia retto da Lodovico di Trek.
La guerra iniziata nel 1413, finì il 31 luglio 1420 con l' atto di sottomissione a Venezia del Cadore ( sottoposto al vassallaggio di Aquileia).
Quello stesso anno la flotta e l' armata veneziana, al comando del "Capitano del Golfo" Pietro Loredan riprendevano il dominio su Durazzo, Scutari e tutta la Dalmazia, snidando ad una ad una tutte le "feluche" e gli "sciabechi" dei pirati turchi.
Dopo una lunga malattia, il 4 aprile 1423, Tommaso Mocenigo si spense e sepolto nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo. 

LXV FRANCESCO FOSCARI ( 1423-1457)
Tommaso Mocenigo, fervido servitore della Repubblica, rinsaldati i capisaldi nell'entroterra veneto considerava ogni altra mira espansionistica, al di là di quanto non fosse già stato fatto, una rovina per Venezia perchè avrebbe rotto gli equilibri instaurati, con l' inevitabile conseguenza di infinite guerre.
In tal senso, eludendo il divieto della Promissione Ducale che non permetteva al doge di nominare un suo successore, lasciò un testamento morale, reso pubblico, anzi un testamento alla rovescia, ovvero un monito (per mettere in guardia la Quarantia, quando si sarebbe verificata la sua dipartita), non mirato alla nomina di qualcuno "che ne sarebbe stato comunque degno", quanto sulla eventuale elezione di Francesco Foscari, notoriamente bramoso di estendere ulteriormente i domini di Venezia.
Il quarantanovenne Francesco Foscari fu eletto il 15 aprile 1423.
Di famiglia già ricchissima, il suo patrimonio si rimpinguò ulteriormente grazie alle "doti" derivate da due matrimoni con nobildonne di casato altrettanto facoltoso.
La preveggenza di "Tommasone" non fu smentita, il dogado più lungo nella storia dei dogi veneziani, durato 34 anni 6 mesi ed 8 giorni, fu quasi interamente funestato non solo dalla guerra ma anche da sciagure e faide famigliari.
Essendo mutato l'indirizzo politico di Venezia e considerato il pensiero del nuovo doge, i Visconti con a capo Filippo Maria, pensarono di arginare le eventuali mire della Repubblica tentando di sconfinare ed occupare posizioni strategiche nei territori da questa controllati, la guerra inizio nel 1426.
L' esercito visconteo, capitanato da Carlo Malatesta, Francesco Sforza e Nicolò Piccinino, fu sconfitto il 17 ottobre 1427 a Maclodio (nda: oggi provincia di Brescia), dall'esercito nato sull' alleanza di Venezia con Firenze e dalle truppe di ventura di Francesco di Bussone detto "il Carmagnola" . Nel 1428 fu firmata la pace di Ferrara che assegnò alla città lagunare i territori di Brescia, Bergamo e Cremona.
Il 5 maggio 1432 il Carmagnola fu arrestato, processato per tradimento e decapitato sulla pubblica piazza (non avevano convinto i pochi morti nella battaglia di Maclodio, ma soprattutto non convinse il comportamento tenuto nei confronti di migliaia di prigionieri, quasi subito rilasciati) 
Tra il 1429 ed il 1433 Venezia fu costretta a battersi sul fronte orientale contro i turchi che però conquistarono Salonicco.
Nel 1434 ci fu una recrudescenza delle lotte tra Milano e Venezia che ancora una volta, grazie alla resistenza di Brescia definita in quell'occasione "la Leonessa", riuscì a contenere l'esercito visconteo, un ulteriore inutile spargimento di sangue da ambo le parti: sia quella veneziana capitanata da Erasmo da Narni detto " Gattamelata) e Francesco Sforza, sia in quella avversa comandata da Gianfrancesco Gonzaga e Nicolò Piccinino. 
La successiva pace di Cremona del 1441confermò quanto stabilito in quella di Ferrara. 
Tra il 1441 ed il 1447 la scena fu occupata da Francesco Sforza che in con un continuo balletto tra i due schieramenti riesce a tenere accesa la disputa tra i due casati. 
Nel 1447 morì Filippo Maria Visconti lasciando unica erede la figlia Bianca Maria, già sposa di Francesco Sforza. A Milano venne instaurata la Repubblica, Sforza ripassa dalla parte veneziana e nel 1450 diventa Duca e signore di Milano ma non trova accordo con Venezia su Cremona, l' intercessione delle altre signorie coinvolte ( Gonzaga, D' Aragona, Savoia e Firenze) pone fine alla disputa con la pace di Lodi stipulata il 19 aprile 1454; facendo allargare i possedimenti veneziani alla stessa Lodi, Piacenza, Crema, Caravaggio ed i territori di Ghiaradadda.
L' allargamento dei territori nell' entroterra avevano assunto una vastità che va ben oltre quella dell' odierno "Triveneto" : a nord tutto il Friuli, il Trentino fino a Rovereto; a est l' Istria; a Sud fino a Ravenna, a Ovest fino a Piacenza.
La situazione si era fatta nel frattempo molto grave nel levante: l' Impero di Bisanzio cadde definitivamente con la presa ed il sacco di Costantinopoli, avvenuto 20 maggio 1453 da parte di Maometto II.
Il quartiere veneziano viene distrutto e tutti i nobili giustiziati. A Venezia, non rimane che riconoscere il sultanato e con la pace del 18 aprile 1454, riesce a mantenere quasi tutti i possedimenti e le prerogative commerciali.
Oltre alle guerre a mietere vittime ci furono le calamità naturali: la grande siccità del 1424; "l' acqua granda" (maree eccezionali ) con cadenze molto frequenti; il grande gelo (si gelò anche la laguna) del 1431che paralizzò la vita della città per mesi, considerando che non c'erano mezzi alternativi alle imbarcazioni, per il trasporto di persone,merci e materiali; il terremoto del 1451 ed infine la peste che infuriò per diversi anni, ad ondate successive e che portò via quattro figli allo stesso doge.
Ed oltre alle guerre e alle calamità il dogado di Francesco Foscari fu anche minato da continue faide tra casati diversi che coinvolsero la sua famiglia, arrivando ad attentare alla sua stessa vita.
L' 11 marzo del 1430 Andrea Contarini sobillato dai Loredan tentò di pugnalarlo, fortunatamente il colpo fu deviato da un ambasciatore di Siena che riuscì a deviare il colpo, il Contarini fu arrestato processato ed impiccato tra le due colonne di Marco e Todaro, non senza prima avergli amputato la mano destra che gli fu appesa al collo.
Il 5 dicembre 1450 fu trovato morto Almorò Donà, un nobile del Cosiglio dei Dieci, del delitto, pur senza prove fu imputato Jacopo Foscari, l'unico figlio rimasto al doge.
Jacopo venne esiliato a Candia, ma nel 1456 complottò per tornare in patria e scrisse a Maometto II e a Francesco Sforza.
Il Consiglio dei Dieci ne venne a conoscenza, lo richiamò in patria, lo processò per aver ordito con ex nemici della Repubblica contro gli interessi della stessa, e lo condannò ad un anno di carcere da scontarsi nella prigione di Canea a Creta.
Come accadde con Tommaso Mocenigo, anche questa volta il padre non intercesse per il proprio figlio e Jacopo morì il 12 gennaio del 1457. 
L'accanimento nei confronti del doge ( nda: più probabilmente dettato dall'acrimonia di alcune famiglie, toccate negli interessi, in conseguenza alle lunghe guerre che avevano vuotato le casse ed inflazionato i titoli di prestito statali, che non da veri sentimenti patriottici ), non si esaurì comunque li, con la scusa che il doge presenziava sempre meno frequentemente le sedute di Consiglio, la mattina del 23 ottobre 1457 a casa sua si presentarono tre nobili del Consiglio dei Dieci che toltogli il corno ducale e spezzatogli l' anello gli intimarono di abdicare e di lasciare il Palazzo Ducale entro otto giorni, pena la confisca di tutti i beni.
Il vecchio doge, ormai affranto si ritirò nella sua casa a San Barnaba dove spirò il 1° novembre , due giorni prima era stato eletto Pasquale Malipiero.
Tra le famiglie fedeli al vecchio doge iniziò a serpeggiare un certo malcontento , perchè ritenevano che data ormai l' età ed il suo stato di salute, la grande umiliazione gli poteva essere risparmiata, anche perchè la sentenza dei Dieci non era stata valutata dal Maggior Consiglio.
Per tacitare gli animi , il Consiglio dei Dieci impose i funerali di stato, ma la moglie si oppose perchè riteneva questo un comportamento ipocrita, ma i Dieci all'umiliazione aggiunsero la protervia: la salma fu vestita con tutti i paramenti e le insegne dogali e dopo essere stata esposta fino al 3 novembre nella sala dei "Signori di Notte" fu trasportata per le calli della città , con al seguito il neo doge ancora in abiti senatoriali, tra due immense ali di folla fino alla chiesa dei Frari per la sepoltura.
Il dogado di Francesco Foscari fu senza dubbio un dogado sofferto ma anche probo: la città si arricchì con il nuovo Palazzo Ducale (quello che ancor oggi si vede), eretto sullo stesso posto del precedente, della biblioteca di San Giorgio Maggiore, nonchè del fondaco dei tedeschi (dall' arabo "funduq", sorta di albergo- bazar dove i mercanti stranieri, tedeschi in questo caso potevano alloggiare e ricoverare, scambiare, vendere o acquistare merci ) e non mancarono feste e giostre a dar lustro alla città. 

LXVI PASQUALE MALIPIERO ( 1457 - 1462 )
Il nuovo doge fu eletto il 30 ottobre del 1457, all' età di 65 anni. 
Non aveva avuto grandi trascorsi nè meriti particolari, l' unica cosa che possa far pensare alla sua elezione fu il fatto che era stato un accanito sostenitore della causa contro Francesco Foscari.
Ma il comportamento tenuto dal Consiglio dei Dieci, nei confronti del vecchio doge non passò tra indifferenza infatti, il 25 ottobre 1458 il Maggior Consiglio promulgò le leggi limitattrici dei poteri di quel Consiglio, vietando espressamente l' interferenza e l' ingerenza su questioni riguardanti il doge e la sua Promissione.
I Dieci furono anche ammoniti con pubblico rimprovero nel quale veniva ricordato loro che "l ' eccelso consiglio era stato creato, non per provocare scandali, ma per impedire che si verifichino"
L' unica intuizione di Pasquale Malipiero fu quella di assegnare il comando dell'armata terrestre al Capitano di ventura Bartolomeo Colleoni già più volte alternativamente a fianco dei tanti signori della guerra quali i Visconti, Carmagnola e Gattamelata. 
Non perchè vi fosse immediata necessità di difesa o offesa ma per toglierlo definitivamente dal " mercato", nell' eventualità che qualche papa o qualche signoria confinante, avesse intenzioni diverse dalla pace. Comunque non vi fu fortunatamente alcuna necessità di farlo intervenire ed il Colleoni visse tranquillamente da pensionato nel suo castello di Malpaga ( sulla riva sinistra del Serio a circa 12 km a sud di Bergamo).
L'indole del Doge Malipiero diversa a 180 gradi rispetto a quella del suo predecessore, mandò a monte anche la crociata indetta dalla Dieta di Mantova, insediata allo scopo da papa Pio II, per tali e tante le riserve poste nei confronti della spedizione.
Il "dux pacificus" come venne soprannominato si spense il 17 maggio 1462 e fu sepolto nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo.

LXVII CRISTOFORO MORO (1462-1471)
Savio, censore, consigliere decemviro (Consiglio dei Dieci), procuratore, promissore ducale, capitano a Brescia (sotto assedio dei Visconti), ambasciatore presso la Santa Sede di Eugenio IV e Niccolò V; ...bigotto.
Il settantaduenne Cristoforo Moro eletto con 30 voti il 12 maggio 1462, sul recto delle monete fece iscrivere: << Religionis et Iusticiae Cultor>>.
Dopo il fallimento della Dieta di Ferrara, prendendo spunto dalla conquista ottomana della Morea, sposò in pieno le tesi di Pio II.
Nel novembre del 1463 presentò la proposta al Maggior Consiglio di inviare la flotta per liberare i territori occupati dai turchi.
Il Maggior Consiglio approvò ponendo la condizione che fosse lo stesso doge a guidare l'impresa.
Il doge, della schiatta: "armiamoci e partite" tentò un'inversione di marcia adducendo scuse di salute ma, il Maggior Consiglio una volta deciso, difficilmente tornava sui propri passi ed il Consigliere Vettor Cappello gli intimò: << se la Serenissima vostra no' vorà andare co' le bone, lo faremo andar per forza, perchè gavemo più caro el ben e l'onor de 'sta tera che no xe la persona vostra.>>
Il 12 agosto 1464 la flotta veneziana formata da appena 12 galere arrivò ad Ancona, dove avrebbe dovuto incontrare l' armata e la flotta pontificia.
Considerato che: lo Stato Pontificio aveva messo a disposizione solo 8 galee, l' esercito non c'era perchè nessun'altra signoria aveva appoggiato la spedizione e Pio II già moribondo il 15 agosto si spense, la flotta veneziana ritornò sui propri passi.
Ma la minaccia turca si stava concretizzando in qualcosa di ben più grande e temerario che la conquista della sola Morea.
Maometto II aveva messo in piedi un'armata di 60.000 uomini e 300 navi armate.
Venezia tentò di arginare le invasioni costruendo 137 torri e mandando rinforzi sull'istmo di Corinto. Contemporaneamente l'Arsenale si prodigò nella costruzione di nuove navi.
Nel 1469 le scorrerie turche arrivarono in Istria ed il 12 luglio 1470 Maometto II saccheggiò e distrusse Negroponte (capitale) e tutta Eubea ( grande isola greca separata a est della penisola balcanica dal canale di Talanta); le popolazione massacrata ed il bailo veneziano (console o ambasciatore) Paolo Erizzo fu segato a metà.
La flotta veneziana, al comando del Capitano Generale da Mar " Nicolò da Canal" arrivò quando Maometto II si era già ritirato lasciando nell' isola solo dei presidi, ciò nonostante lo sbarco delle truppe venete avvenne in maniera talmente caotica che furono costrette a ripiegare, con ulteriore perdita di vite umane e lasciando in mano nemica numerosi prigionieri, trai quali i capitani d' arme Girolamo Longo che fu impalato e Giovanni Tron che fece la fine di Erizzo.
Al rientro in patria il da Canal fu processato e condannato all'esilio a Portogruaro (la lieve pena forse fu dovuta al fatto che tutti si fecero carico di una certa responsabilità personale nell'aver sottovalutato Maometto II).
Comunque la guerra proseguì, la flotta fu affidata a Pietro Mocenigo e fu accresciuta con l'invio di 10 navi da parte del nuovo papa Sisto IV. Ora si poteva far affidamneto su 85 tra galere e navi diverse, ancora poca cosa ma sufficiente a creare azioni di disturbo e corsa lungo le coste dell'Anatolia e medio orientali e la conquista di Smirne (la battaglia, successivamente dipinta dal Veronese rimane immortalata sul soffitto della sala del Maggior Consiglio).
Il 9 novembre 1471 Cristoforo Moro rese l'anima a Dio, non avendo eredi lasciò tutti i suoi averi a istituti religiosi e vestito da frate francescano, come espresso nelle sue ultime volontà, fu sepolto nella chiesa di San Giobbe. 

LXVIII NICOLO' TRON (1471-1473)
Non aveva avuto un gran passato se non la sua munificenza nei confronti dello Stato, mediante la quale lavava la propria coscienza per l' esercizio dell'usura e la perdita del figlio Giovanni nella battaglia di Negroponte. 
Dopo un dibattuto conclave, il 25 novembre 1471 Nicolò Tron fu eletto con il minimo del quorum; aveva 72 anni.
I festeggiamenti per il suo insediamento furono particolarmente fastosi con elargizione di monete non solo al popolo ma anche a chierici e canonici.
Il primo impegno del doge fu quello di rimettere in ordine, ancora una volta, il dissesto nelle finanze pubbliche dovute alle perdite contro i turchi. A tal riguardo la cronaca riportò molta soddisfazione sull' operato del doge che nel maneggio del denaro era sempre stato molto abile.
Non furono toccate le fasce di popolazione meno abbienti ma fu introdotta invece una imposta sui patrimoni più consistenti, furono ridotti gli stipendi pubblici più elevati e fu "svalutata" (forse per la prima volta nella sotoria) la moneta veneziana mediante l'introduzione della "lira" (chiamata Trono) - "mezza lira" d'argento e il "bagattino" di rame.
I turchi intanto, si fecero sempre più audaci con spedizioni sino in Friuli dove misero a ferro e fuoco interi comuni della Carnia.
L' anno successivo però, Venezia vedeva coronare un vecchio sogno: il rafforzamento ed della propria presenza a Cipro, a scapito delle mire dei Savoia e dei genovesi, attraverso l' insediamento della diciasettenne Caterina Corner accanto al re Giacomo II di Lusignano, sposato per procura del 1468, indifferentemente se Giacomo II morirà l'anno successivo, a soli 33 anni lasciando Caterina Corner vedova ed incinta.
Comunque non fu più un problema di Nicolò Tron che, il 28 luglio del 1473 ovvero 22 giorni dopo, seguì il re di Cipro.
Fu sepolto a Santa Maria dei Frari.

LIXX  NICOLO' MARCELLO (1473-1474)
Uomo pio e devoto, con una discreta carriere alle spalle: fu rettore a Brescia, Verona. Udine e capo del Consiglio dei Dieci. Nicolò Marcello fu eletto il 13 agosto 1473 a 74 anni.
La sua devozione, la dedizione e la curiosità per le reliquie e le cose sacre lo portò a scoprire una cassetta contenente un pezzo di legno ed un chiodo, tra l'enorme quantità di oggetti entrati a far parte del tesoro di San Marco durante i secoli, ritenuti reliquie della croce di Cristo, autentiche o meno furono spesso esposte e portate in processione.
Nel suo breve dogado, continuò l' opera risanatrice delle pubbliche finanze ed il nuovo conio della "mezza lira" fu chiamato "marcello". Anche dal punto di vista militare e strategico il suo operato fu un proseguimento di quanto precedentemente stabilito. 
L' improvvisa morte di Giacomo II di Lusignano aveva lasciato la giovanissima regina Caterina Cornaro in balia dell'arcivesvovo di Nicosia e di alcuni notabili dell'isola (appoggiati da Ferdinando I d' Aragona, re di Napoli), tanto che la notte del 14 novembre 1473 alcuni di questi entrarono nel palazzo reale, uccisero lo zio di Caterina, tagliarono, entrati nella camera della regina fecero a pezzi il suo medico ed un servitore quindi dopo averle rubato tutti i gioielli e l'anello con il sigillo reale la costrinsero ad abbandonare il palazzo.
Avuta notizia della rivolta, la flotta capitanata da Pietro Mocenigo ritornò a Famagosta, lasciata tempo prima ed ancor prima di avere il benestare del Senato i rivoltosi furono impiccati. A tutela della Regina furono nominati due consiglieri ed un governatore.
Mentre sul versante della guerra con i turchi, la pressione ottomana si faceva sentire sempre di più anche se le sconfitte e le vittorie avevano assunto un andamento alterno.
Valorosa fu la resistenza nel maggio 1474 di Scutari governata da Antonio Loredan, all'assedio degli 80.000 uomini di Seleiman Pascià che nonostante fosse allo stremo delle forze riuscì ad attendere l'arrivo delle navi di Pietro Mocenigo.
Nicolò Marcello morì il 1° dicembre 1474 e fu sepolto nella chiesa di Santa Marina. ( Nel 1818 le spoglie furono traslate a SS Giovanni e Paolo.) 

LXX PIETRO MOCENIGO (1474-1476)
Il nuovo doge fu eletto il 14 dicembre 1474 a 69 anni, dopo una vita spesa al servizio della Serenissima come uomo d'armi.
Le imprese che portarono il suo nome ebbero molta risonanza come la presa Antalia e Smirne e la difesa di Scutari così come fu stimato per aver riorganizzato la flotta.
Al suo insediamento la "lira" d'argento assunse il nome di "mocenigo" e fu coniata con il "marcello". 
L' unica cosa che riuscì a mettere in cantiere durante la sua breve permanenza fu l'avvio delle trattative di pace con il sultanato di Costantinopoli (chiamato la "sublime Porta"). Il primo incontro avvenne il 6 gennaio 1475 ma non portò ad alcun risultato.
Pietro Mocenigo morì di malaria, presa durante la campagna di Scutari, il 23 febbraio 1476 e sepolto a SS Giovanni e Paolo. 

LXXI ANDREA VENDRAMIN ( 1476 -1478)
Personaggio umile ed umano, discendente da una delle famiglie "nuove", quando il suo nome iniziò a prendere corpo nelle votazioni della Quarantia il notaio, più propenso all'elezione di un casato aristocratico tento un broglio elettorale a favore di Benedetto Venier, ma la cosa non passò inosservata e le schede furono annullate.
Andrea Vendramin fu eletto col minimo del quorum all'età di 83 anni senza aver fatto altro nella vita che esercitare il commercio, quando salì al soglio però i suoi capitali erano stimati intorno ai 160.000 ducati d'oro.
Durante il giro in "pozzetto" il neo doge non distribuì monete d'argento ma d'oro e poi durante il suo breve dogado fu prodigo e munifico con tutti i bisognosi e magnanimo nel somministrare la giustizia, tanto da meritarsi un riconoscimento ufficiale da papa Sisto IV che , per la sua bontà d'animo gli conferì la "rosa d'oro", da egli stesso depositata nel tesoro di San Marco.
Sul fronte turco però le cose non andarono bene: nel giro di poco tempo furono perse Tana e Soldaia, quindi Genova perse Caffa facendo saltare così tutto il commercio nel Mar Nero.
All' età di 85 anni, Andrea Vendramin morì il 6 maggio 1478 e fu sepolto nella chiesa dei Servi 8; nel 1815 le spoglie con tutto il monumento furono traslate a SS. Giovanni e Paolo).

LXXII GIOVANNI MOCENIGO (1478-1485) 
Nato nel 1409, l'unico merito di Giovanni Mocenigo fu di essere stato il fratello del doge Pietro. La sua fu un' elezione molto travagliata con ben elezione 9 scrutini e si concluse il 18 maggio 1478.
Dopo il suo insediamento fu subito alle prese con Maometto II che diresse personalmente il cannoneggiamento di Croja ( Attuale Kruje - ex capitale albanese) ed un nuovo assedio di Scutari, per non subire ulteriori danni Venezia ritentò la via della pace che fu firmata il 25 gennaio 1474 a durissime condizioni significò infati la perdita di Scutari e parte dell' Albania, Eubea l' Argolide e l ' isola di Lemno, oltre ad un indennizzo di 10.000 ducati per la libera circolazione commerciale nei territori governati dall'impero ottomano.
Terminata la guerra con i turchi Venezia fu colpita da una nuova ondata di pestilenza che portò via la stessa dogaressa Taddea Michiel.
Nel frattempo Sisto IV, a conferma del nepotismo imperversante, stava avanzando pretese sul ferrarese per poter donare un regno al nipote Girolamo Riario. Il duca di Ferrara Ercole d'Este, vassallo di Venezia e tributario dello Stato Pontificio, forte dell'alleanza con Ferdinando I d' Aragona re di Napoli, per averne sposato la figlia, intendeva rendersi indipendente ed aveva riassoggettato il Polesine.
Nel 1482 si arrivò allo scontro con Venezia e lo Stato Pontificio da una parte e Ferrara con Ferdinando I dall'altra. Napoletani e Ferraresi furono sconfitti prima a Campo Morto, nelle Paludi Pontine e poi ad Argenda, sulle sponde del Reno, nel giugno del 1483 però, Sisto IV con un repentino volta faccia, ruppe l'alleanza con Venezia, formulò una bolla di scomunica e lanciò una "santa alleanza" a tutti gli stati italiani contro la stessa, ritenendola un vicino troppo forte per il regno di Girolamo Riario.
La Serenissima riuscì a capovolgere la situazione con un' abile azione diplomatica: coinvolgendo le signorie nemiche contro lo strapotere papale e prescrivendo la bolla, rendendola inefficace con un appello steso da una commissione di giuristi che fu appeso alle porte della Basilica di San Pietro, il Papa rimasto isolato fu costretto alla pace di Bagnolo il 7 agosto 1484 che restituì il Polesine alla città lagunare.
Tra tante peripezie il doge fu costretto anche a dimorare fuori dal Palazzo Ducale che fu colpito da un grave incendio la mattina del 14 settembre 1483. L' alloggio provvisorio fu ricavato a palazzo Duodo (palazzo delle prigioni situato di lato al Palazzo Ducale e separato da un canale - oggi Rio Canonica di Palazzo-) e collegato al Palazzo Ducale stesso con una passerella in legno. I lavori di ripristino costarono 6.000 ducati e terminarono nove anni dopo.
Giovanni Mocenigo morì di peste il 14 settembre 1485 e frettolosamente sepolto, per paura del contagio nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo. 


Franco Prevato
Bibliografia
I Dogi  di Claudio Rendina
Venezia Ducale di Roberto Cessi
Altino meievale e moderna
di Ivano Sartor - Ed Com. Altino

Storia Universale di Cambridge
-  Rizzoli
Venezia è caduta, di Paolo Scandaletti, Neri Pozza Ed. 1997
Delle Arti e del Commercio, Antonio Zanon, 1764
Storie di Venezia di Fredric C. Lane - Einaudi
Mercanti, navi,monete nel cinquecento veneziano  di Ugo Tucci  - Il Mulino
I Veneti di  Loredana Capuis  - Longanesi
Pietre e legni dell'Arsenale di Venezia di U. Pizzarello & V. Fontana - Coop L'altra riva di VE
Encicopedie
"Treccani"  - "Britannica"
E le  innumerevoli pubblicazioni di Alvise Zorzi
"Dizionario del Dialetto Veneziano" - Giuseppe Boerio - ed. Giunti 

continua anni 1485 - 1606 > > 


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