VENEZIA  IN CRONOLOGIA


20.000 - 193 d.C. 238-567 568-803
804-1172 1175-1284 1284- 1364
1364 - 1501 1501-2000 CRONO-BIOGRAFIA DEI DOGI

( pagine sempre in costruzione, in aggiornamento e miglioramento)

ANNO 568 d.C. - Siamo all'anno fatidico per le Venezie oltre che per il resto d'Italia. I Longobardi di Alboino invadono l'Italia (anno 568) (non per fare una razzia - come Attila - ma questa volta per insediarsi, ponendo poi a Pavia la capitale del loro regno. Alboino vi giunse con 300.000 uomini (altri storici dicono 500.000) e subito dietro seguivano migliaia di carri con donne, bambini, anziani; circa 100.000 individui, con tutte le masserizie e mandrie di bestiame nel numero di 30.000 capi di bovini, 10.000 maiali, 10,000 pecore.
Come sono organizzati militarmente? Sono 35 tribù (farae = famiglie, clan). Seguendo la loro arcaica tradizione, ogni capo banda, capo di una farae  (poi "duca") -cioè ogni capo guerriero- aveva il diritto a una parte del bottino razziato o del territorio conquistato, dove poi si insediava. E dato che in Italia non erano scesi solo per razziare, ma per rimanerci, questo poi fecero. L'intera penisola  percorsa in lungo e in largo, diventò tutta terra di conquista.


 Narra Paolo Diacono: Habitaverunt autem in Pannonia annis quadraginta duobus. De qua egressi sunt mense Aprili, per indictionem primam alio die post sanctum pascha, cuius festivitas eo anno iuxta calculi rationem ipsis Kalendis Aprilibus fuit, cum iam a Domini incarnatione anni quingenti sexaginta octo essent evoluti. ("Erano rimasti in Pannonia per quarantadue anni. La lasciarono il giorno dopo la Pasqua, che in quell'anno, secondo il calcolo, era caduta il 1 aprile, nell'anno 568 dall'incarnazione del Signore, indizione prima"). Giunsero in Italia lungo la Via Postumia, attraverso la Valle del Vipacco; la leggenda narra che ALBOINO si sia soffermato a guardare il panorama del territorio che si accingeva a conquistare dalla vetta di un monte che da allora, fino alla metà del XX secolo fu chiamato Monte del Re, o Monte Re, oggi noto come Nanos, nella accezione slovena.
Giunti alle pendici meridionali delle Alpi
passato il Passo Predil a Cividale  costituì il primo Ducato con il nipote GISULFO uno dei suoi migliori capi tribù, a Forum Julii, Cividale, dove si acquartierò a Forum Julii con un nucleo di soldati proteggendo così le spalle di ALBOINO (quella di Gisulfo fu la prima dinastia ducale longobarda in Italia). Alboino poi proseguì l'avanzata verso Aquileia,  male presidiata dalle truppe che (il deposto) Narsete vi aveva lasciate - se ne impadronirono senza difficoltà, e così tutti i maggiori centri, ma trascurando le città  ben difese e le zone costiere. Dell'acqua i Longobardi ebbero sempre la fobia. Con la loro dominazione scomparvero nella penisola quasi tutti i cantieri marittimi. 
Avendo ancora negli occhi le distruzioni provocate da Attila e negli orecchi i racconti delle sue violenze e dei suoi saccheggi, Paolino (si era dato lui stesso in nome di patriarca di Aquileia) pensando che l'antica Aquileia fosse ormai finita per sempre  avrebbe raccolto le reliquie e il tesoro della propria chiesa per fuggire a Grado. Paolino abbandona la città per l'Isola, ma  sono troppo pochi i tesori che egli può portare in salvo. 

 Furono poi occupate: Altino, Codroipo, Ceneda, Treviso, Vicenza, Verona, Brescia, Bergamo, Milano (il 4 settembre 569).
Nei successivi tre anni conquistarono anche Pavia dopo averla assediata tre anni, quando finalmente ci riuscirono, in questo potente baluardo ci  misero la capitale. (I Longobardi domineranno l'Italia fino al 774 quando subentrò l'impero Carolingio).
(vedi qui LA STORIA DEI LONGOBARDI IN ITALIA)

Il territorio dei Veneti fu con Alboino sconvolto un'altra volta da questo traumatico evento: nobili, proprietari e popolani abitanti nella zona costiera della regione si rifugiarono nei dintorni. 
Inizia ad essere popolata l'intera fascia più vicina alla costa, e alcune isole. Quell'anno ad Aquileia c'era l'arcivescovo Paolino; sotto la minaccia di un'altra invasione-distruzione, il prelato prese le reliquie dei santi e dei martiri, emblema della civiltà veneto-romana, e si trasferì a Grado, che in passato per due volte era già servita a questo scopo.
Grado è comunque come una seconda patria. Da sempre è legata ad Aquileia ed è soprattutto nell'età tardo-antica che ne è divenuta (essendo allora ancora un'isola) il principale sbocco sul mare. Aquileia, soffocata dall'interramento del suo porto, trova infatti in canali artificiali nuove strade verso il mare su cui Grado si affaccia. Lo stesso nome della città ne incarna la vocazione di importante approdo marittimo.
(Gradus equivale a scalo). L'arrivo di Paolino suggella così per questa città un periodo di crescita e rinnovamento. Il suo porto è sempre più frequentato e, dopo la venuta del patriarca, Grado può a ragione essere chiamata Nova Aquileia. Le reliquie ed i tesori portati dalla terraferma saranno venerati nella chiesa di S. Eufemia, anch'essa impreziosita da splendidi mosaici policromi, i quali, come ad Aquileia, non mancano di riprodurre l'incessante moto delle onde.

Per gli stessi motivi, alcuni abitanti di Altino scelsero come rifugio la più vicina isola: l'isola di Torcello, poi subito dopo altri insediamenti compaiono nelle altre isole, che vanno a prendere il nome proprio dai sette rioni di Altino (i nomi delle sue sette porte). Cioè la già menzionata, Torcello, poi Burano, Murano, Giudecca, e infine Rivoalto (poi Rialto) e Olivolo.

Vi si rifugiarono e crearono su queste due ultime isole in capo a pochi decenni quella che noi oggi conosciamo come VENEZIA. Da questa Venetia, e da questi grandi sovvertimenti che abbiamo visto fino al 569, e in seguito anche con la distruzione di Oderzo fatta dal re dei Longobardi Gromoaldo nel 666, si sarebbe enucleata una non ancora "città VENEZIA" lagunare fra Grado e Chioggia; trasformandosi (unite dal pericolo) in una specie di confederazione di isole. Inizialmente queste isole erano solo delle modeste appendici periferiche della terraferma, ma subito dopo - unendosi nel comune interesse difensivo - si trasformano in una autonoma entità diciamo "geopolitica", caratterizzata da forme economiche, sociali e istituzionali molto tipiche; quelle che daranno vita in seguito alla Serenissima Repubblica Marinara, inossidabile ad ogni altro evento europeo (non pochi) per oltre un millennio. Una forma di governo che non ha inventato né goduto (pur con tanti difetti) nessuna altra popolazione nel mondo.

Nucleo e corpo dove poi sorgerà la futura città sono le due isole di Rivoalto e Olivolo. Da ricordare infine che anche l'arcivescovo di Aquileia (divenuta poi con i Longobardi ariana) fuggì e si trasferì a Grado (con grandi conseguenze successive) mentre il duca bizantino più avanti (624) prese la sua residenza a Cittanova, sull'allora isola lagunare denominata da questo momento Eraclea, in onore dell'allora imperatore bizantino Eraclio.

ANNO 569 d.C. - LA NASCITA DI VENEZIA - Il fenomeno migratorio messo in moto a partire da questo 569, dopo l'invasione longobarda e con il trasferimento di consistenti gruppi di profughi in direzioni delle aree prima costiere lagunari e poi successivamente nelle adiacenti isole (come Torcello - il vero primo insediamento umano a "residenza fissa"; mentre prima erano solo permanenze sporadiche per lo più solo stagionali) diede avvio a un processo di profondo mutamento degli equilibri esistenti nella ex provincia romano-bizantina Venetia-Istria.
Con questi esodi, si infittivano nelle isole le abitazioni e si espandevano le attività poichè i profughi erano dotati già di mezzi e di sperimentate capacità.
La tradizione vuole e sostiene, di una partenza dal nulla, su aree vergini, libere da ogni preesistente insediamento e indipendenti dalla terraferma da ogni autorita' superiore, politica o ecclesiastica: in realta' la laguna conosceva gia' prima dell'eta' longobarda forme insediative piu' o meno evolute, particolarmente sviluppate nel settore orientale (Cassiodoro, ministro romano a metà del V secolo, lasciava come scrittore una minuziosa rappresentazione di questo popolo veneto, gente in piena attività lungo i fiumi, le coste e i mari; in quella chiostra innervata da imponenti strade, fiumi e porti;  quindi quando le popolazioni per fuggire da chi stava saccheggiando la terraferma, cercarono rifugio in queste isole meglio protette dalla natura, sapevano come muoversi, cosa fare, e dove farlo per stare tranquilli.  (i longobardi avevano quasi paura del mare - comunque nessuna vocazione, tanto che con loro si estinsero tutti i cantieri navali in Italia).
Queste genti in fuga  trovarono in qualche modo nelle isole delle aree che erano gia' abbastanza strutturate per viverci e operare in pace (come l'isola di Grado). Questo non significa che tagliarono del tutto i ponti con la terraferma. Nonostante in questa ci fossero ancora gli ultimi bizantini e i primi longobardi che scorazzavano dal Friuli fino alla pianura Padana lombarda, mantennero i contatti con il parentado o con le varie attività economiche che nella terraferma esistevano ancora, ivi compresi i vari strati sociali, e che forse, quelli più in alto (premunendosi in in tempo in caso di un abbandono definitivo) intervennero con  capitali per bonificare il territorio lagunare. Divenuti poi proprietari di fatto, quando queste isole iniziarono a popolarsi e le attività delle arti e mestieri e i commerci si erano moltiplicati, vi si trasferirono del tutto insediandosi definitivamente, fuori così da ogni pericolo.

ANNO 579 d.C. - Dopo che Paolino si era rifugiato a Grado,  nominandosi lui stesso patriarca (s'intende di Aquileia)  ebbe inizio la serie di patriarchi. Elia che pontificò dal 571 al 586, uomo energico e dinamico, ottenne il riconoscimento giuridico della traslazione del metropolita a Grado e il sinodo dei vescovi suffraganei tenuto nel 579  confermò questo passaggio, abbandonando Aquileia al suo destino. E' questo il momento più glorioso dell'isola di Grado, assurta d'un tratto a potenza e splendore (di Elia  il duomo, molto simile nell'architettura interna e perfino nei mosaici, a quello che era stato da poco ricostruito ad Aquileia). Cosicchè Grado iniziò a rappresentare il potere bizantino opposto a quello dei Longobardi ad Aquileia.
 In questo sostrato politico e religioso inizia così l'antagonismo delle due città, che diventò insanabile anche quando Roma riconobbe la legittimità di ambedue i patriarchi determinando per ciascuno la propria giurisdizione.

ANNO 606 d.C. - Con la morte a Grado del patriarca scismatico Severo, l'esarca bizantino Smaragdo elegge il cattolico Candidiano di Rimini, mentre Gisulfo duca longobardo ariano del Friuli elegge Giovanni di Aquileia: da allora ci saranno due patriarchi, una a Grado e l'altro ad Aquileia.
Anche se ci fu in questi anni (periodo di re Agilulfo e Teodolinda) la conversione dei Longobardi al cattolicesimo, lo scisma dei "tre capitoli" ebbe fine nel 698, in un sinodo convocato presso  il palazzo reale di Pavia dal re Cuniberto.
Ebbe fine nel cozzo degli interessi territoriali-politici fra l'impero d'oriente da un lato e quello d'occidente dall'altro, ma sia Grado che Aquileia nella loro agitata vita iniziarono il proprio tramonto dal 627 in poi. Ciò perchè i due patriarchi erano costretti a parteggiare per i due dominatori in dipendenza appunto del contrasto di interessi, cioè della loro competenza giurisdizionale. A guadagnarci fu alla fine la nascente Venezia.
Mons. Celso Costantini sintetizzo bene le vicende nell'isola di Grado, che era sì diventata una pedina, ma senza una propria fisionomia, senza mai giungere a solida potenza. "La storia di Grado è intrecciata con la storia di Aquileia e di Venezia, Grado brilla tra il tramonto di Aquileia e l'alba di Venezia; in questo periodo (579-628) vive di vita propria; prima e dopo vive di vita riflessa. Raccoglie l'eredità romana di Aquileia, la custodisce per un po' di tempo con amore e fierezza, poi la trasmette a Venezia".

ANNO 628 d.C. - Morto a Grado il patriarca Candidiano, venne eletto lo scismatico (e ambiguo) Fortunato, che però si rese responsabile di un indegno comportamento: si impossessò di tutto il tesoro patriarcale e fuggì a Cormons mettendosi sotto la protezione longobarda-ariana. Papa Onorio I  e l'Imperatore Eraclio ridettero immediatamente prestigio alla fedele sede di Grado, mandandovi un nuovo Patriarca Primigenio e un nuovo tesoro, seguitando così anche  Grado a fregiarsi del titolo patriarcale.
Tutto questo mentre quello di Aquileia alle dipendenza dei rozzi duchi ariani del Ducato del Friuli perdeva importanza e si conoscono a malapena i nomi dei Patriarchi fino al 699, quando ci fu poi la fine dello scisma aquileiese. Da quel momento si ebbero la netta divisione dei "due Patriarchi" (Paolo Diacono). Grado rimase staccata dal resto, mantenendo le sue proiezioni verso il Mediterraneo. Aquileia, con Cividale, ne rimase estranea e, nel corso del medioevo, tutta la sua regione verrà a far parte di altre unità longobarde. L'unità regionale non sarà più ricostituita. Da questo momento, Aquileia inizia un tramonto senza fine: la città si spopola sempre di più; le campagne vengono trascurate. A guadagnarci e a popolarsi sono le isole della futura Venezia.

ANNO 640 d.C. - I profughi di Altino sull'isola di Torcello,  edificano la chiesa di Santa Maria Assunta. 
Intensa attività dei profughi anche nella vicina isola di Burano, indi  Murano, Giudecca, Rivoalto, Olivolo che sopravanzano Torcello, progressivamente emancipandosi, e  creandosi una autonomia di fatto rispetto a quella dell'esarcato bizantino di Ravenna, ma anche  una frattura con la terraferma (Padova, Vicenza, Verona, Treviso, Cividale,  dove già si sono creati dei centri comitali (o di marca, come Treviso), e sedi di ducati longobardi.

ANNO 662 d.C. - Narra ancora Paolo Diacono: "Morto Agone, fu fatto duca Lupo (662). Questi, per una strada che in antico era stata costruita attraverso il mare (doveva essere una "sopraelevata" che univa Aquileia a Grado Ndr.), entrò con la cavalleria nell'isola di Grado; mise a sacco la città e recuperò e portò via i tesori che erano stati trasferiti da Aquileia.
" Amaramente, quindi, i romani-venedi avevano sperimentato come nessun rifugio fosse abbastanza sicuro dinanzi ai barbari, ma mentre i discendenti dei primi fuggiaschi continuavano la propria esistenza sull'isola, Aquileia, per lungo tempo ridotta a "speco di villici, tugurio di pezzenti", sarebbe risorta a nuova bellezza. Pochi fra i turisti che oggi si aggirano tra i reperti del Parco Archeologico o osservano gli oggetti, conservati nelle teche del Museo civico o di quello di Monastero, sono consapevoli di come all'arrivo dei Longobardi Aquileia abbia rischiato di cessare di esistere. Lo splendore della Basilica, ricostruita durante il Medioevo, parla loro di una continuità malgrado i cambiamenti storici e morfologici. In realtà è stato il prestigio del proprio passato a salvare questa città, abbandonata persino dal proprio presule. Davanti ad essa anche i Longobardi barbari si sono inchinati e ne hanno fatto uno dei cardini del proprio potere.


ANNO 666 d.C. - Il colpo decisivo per una massiccia e definitiva emigrazione (dalla terraferma) dovette essere quello che seguì la caduta e la distruzione totale di Oderzo (nel 666). Un importantissimo nodo commerciale abitato da famiglie signorili di notevoli capacita' e risorse economiche, imprenditoriali e commerciali, che già avevano contribuito (nel 624) a far nascere Cittanova  (Eraclea, quasi alla foce del Piave) come importante città satellite,  economica e nello stesso tempo trasformata in nuovo fulcro del sistema difensivo bizantino.
La fondazione di questa città fu dovuta indirettamente all'opera di un franco.
L'imperatore  Eraclio prima di partire per la lunga campagna in Persia (per non averli alle spalle) aveva (offrendo oro) sollecitato in Pannonia gli Slavi a tenere impegnati gli Avari a nord con qualche scaramuccia; non immaginava di certo di aver trovato in un capo franco un vero e proprio condottiero degli Slavi, che lascerà la sua firma nella Storia di questo popolo.
Era l'energico SAMO di origine franca quindi non slavo. Impegnandosi a fondo e ottenendo ripetuti successi sul territorio contro gli invasori, ottenne in breve tempo la rinuncia definitiva degli Avari ad attaccare in futuro i confini dei territori sotto protezione bizantina. Con l'abilità politica, il coraggio e il carisma  riuscì a costituire  la prima unione delle tribù Slave occidentali. Samo riunendo popolazioni dei principati-tribù, dei moravi, boemi, slovacchi, andò a creare  la futura "CECOSLOVACCHIA".
Ma indirettamente permise di rafforzare anche il sistema bizantino sulla fascia costiera delle Venezie, dove poi infatti in una zona meglio protetta (rispetto ad Aquileia) sorse Eraclea (nome dato in onore di Eraclio). Qui si trasferì anche in duca bizantino dell'esarcato di Ravenna..


 L'impero d'Oriente - bloccate le pericolose strade dell'entroterra dai Longobardi -  continuò lucrosamente gli scambi via mare non più con la terraferma ma con queste  isole, organizzando la spola oltre che con Costantinopoli, con la non lontana sede imperiale bizantina in Italia: Ravenna. Questa con Adria  era del resto - già da quasi un millennio-  il principale approdo dei mercantili provenienti dall'Oriente. Nella zona c'erano famiglie patrizie formatisi e consolidatisi in quasi sei secoli, che si erano trasformate ben presto e nel tempo in quella organizzazione aristocratica che ebbe fin dal primo momento una grande influenza su tutto il territorio lagunare ravennate,  in continua formazione, trasformazione ed evoluzione politica ed economica. Non di meno quella mondana, come sfarzo simile a Bisanzio; vita che fu poi mutuata fin dal primo momento dalla nascente Venezia.

La caduta definitiva di Oderzo, era solo il seguito di un processo di depauperamento  di questa nobiltà sulla terraferma, che era cominciato con le cadute di Padova nel 601, Monselice nel 603, Concordia nel 615, ed infine Altino che con tutto il suo passato scompare del tutto. Questa erosione porto' sempre di piu' ad interessarsi della zona lagunare, tenendo sempre presente un fatto, che i longobardi avevano una vera e propria fobia e avversione per l'acqua. Quindi in laguna erano più che sicuri, meglio che in un isola a mare aperto; infatti la via per arrivare sulle isole era (ed é ancora) disseminata di insidie per le imbarcazioni che (anche se in mano ad esperti marinai) volevano avventurarsi nelle secche; del tutto impossibile l'accesso alle grosse navi. Solo la perizia dei marinai locali potevano (e possono ancora oggi) solcare le acque della laguna; loro sanno dove passare e soprattutto in quale ora del giorno muoversi, e non sempre queste ore in certi punti sono  favorevoli alla navigazione  a causa delle alte e basse maree, che per gli invasori che non le conoscono, sono delle vere e proprie trappole senza scampo. Figuriamoci i longobardi che erano montanari.

Fu poi anche decisivo lo scisma religioso (dei Tre Capitoli) che abbiamo letto, di Grado e Aquileia (divenuta quest'ultima longobarda-ariana), che portò molti ecclesiastici di Padova, Altino, Oderzo e Concordia a rifugiarsi (oltre che a Grado) a Malamocco, Torcello, Eraclea e Caorle, pur mantenendo formalmente la titolarita' delle diocesi sulla terraferma. Nella stessa Eraclea si stabili' il centro del residuo potere bizantino, ma l'amministrazione civile finì tutta nelle mani dei vescovi, che pur operando con un certo lealismo verso Costantinopoli spingevano nella direzione di una forte e sempre più crescente autonomia (suggerita dagli aristocratici pur non ancora  fortemente uniti).

Per realizzare questa autonomia, era necessario coalizzarsi; ma non bastava solo unirsi  ma bisognava aspettare il momento piu' favorevole per mettere definitivamente fine al dominio di Bisanzio sul territorio; un dominio-protezione  che però al momento di intervenire per contenere le invasioni non si era proprio visto (salvo Samo, indirettamente però), i Veneti si erano dovuti difendere da soli e per salvare la pelle dovettero  abbandonare le proprie città. 
Con la situazioni critica dell'impero bizantino di questo periodo e il clima non proprio conflittuale che si era instaurato con i longobardi (invece di guerreggiare i veneziani iniziarono a usare la diplomazia) con una pace che non ostacolava ai veneziani una libertà  civile (di uomini liberi) e religiosa, cominciarono a pensare che era venuto il momento di gestirsi da soli, con delle istituzioni che già un "governo ombra" aveva preparato, definito la struttura di uno stato, e che attendeva più solo una crisi bizantina per dare la "spallata" e dar  vita a un vero e proprio governo autonomo. 

ANNO 697 - Nomina del I Doge   PAULICIO ANAFESTO (697-717) - La leggenda vuole che fu Anafesto il primo DOGE eletto quest'anno  a Eraclea. 
Chiamato anche Paoluccio fu, probabilmente eletto DOGE dai "venetici", a seguito di situazioni politiche e belliche in atto nei territori limitrofi alla gronda lagunare veneziana.
Da Anafesto Paulicio (forse tra i primi secondi nomi o cognomi qual dir si voglia), sembra sia discesa la famiglia Falier, ma questo viene riportato nella "cronaca" del diacono Giovanni, solamente nell' anno 1000. Non si conosce il luogo reale dove questo "primo" DOGE insediò il suo enclave.
Sicuramente fu segreto, e Paulicio non fu eletto con le solite modalità; perchè  per diventare  "magister militum" il consenso doveva venire da Ravenna.  Sempre secondo la leggenda fu eletto dalle dodici potenti famiglie di allora, chiamate "apostoliche" dalla tradizione veneziana: Badoer, Barozzi, Contarini, Dandolo, Falier, Gradenigo, Memmo, Michiel, Morosini, Polani, Sanudo, Tiepolo - gli stessi nomi che diedero poi vita con i discendenti ai Dogadi successivi per oltre 1000 anni).
 Come abbiamo già letto erano già sorte da molti secoli città peninsulari e insulari (nei limiti della gronda lagunare) dominate dai vari governi, prima romano e l'ultimo bizantino.
 Tuttavia appena questa dominazione bizantina viene meno (da Giustiniano in poi ci fu decadenza a Bisanzio), questo unione delle sette importanti isole diventa quasi uno "Stato" indipendente.
Fu lui, Paoluccio, assieme al suo successore Marcello Tegalliano, a firmare (autonomamente da Ravenna, e forse perché i bizantini  non erano  più in grado di contrastarlo) un trattato di pace con il re dei Longobardi Liutprando. E fu lui a stabilire i confini di questo stato veneto che ancora non c'era.
Anche perchè Paolino era ancora un Dux bizantino, un "magister militum", cioè un condottiero imposto (ma in questi ultimi anni accettato) da Bisanzio tramite Ravenna; e tale rimase anche dopo dal....

ANNO 717 al 726 - Nomina del  Doge  MARCELLO TEGALLIANO secondo Dux di Venezia. Anche qui la leggenda vuole che sia succeduto a Paoluccio Anafesto, ovvero, lo stesso "magister militum" che firmò con lui il trattato con LIUTPRANDO.  Probabilmente, come Anafesto, Marcello è solo un frutto postumo della "serenissima" macchina propagandistica. C'è chi sostiene che sia morto ad Eraclea nel 726 avendo dato origine alle famiglie Fonicalli e Marcello, chi invece, non sia mai esistito. Una cosa è certa che il "dux" romano, in questi tempi si stava trasformando in - "doge"- "duca" secondo l'etimologia fin qui adottata. Sull'etimologia però sorge un dubbio, come dire, se invece fosse derivato da un latino più tardo "doga"? il significato sarebbe diverso perché deriverebbe dal greco "doxi" che significa ricevere un incarico.  Doxi e "Dux" era il condottiero imposto dall'imperatore, il "doge" invece veniva eletto dopo aver ricevuto il consenso della popolazione o di una parte di essa (dunque nulla a che fare con il "condottiero" romano, semmai a che fare con la democrazia ateniese)

ANNO 726 -  E' l'anno della svolta. Clero e rappresentanti delle famiglie aristocratiche creano un ordinamento repubblicano-oligarchico. E' contrastato dai funzionari bizantini (che hanno pure loro un seguito), ma per il clima ostile che c'è in questo periodo fra Costantinopoli e Roma (è scoppiata quest'anno la lotta sull'iconoclastia fra l'imperatore Leone III e papa Gregorio II, che ha invitato gli italiani a non osservarla) anche i funzionari bizantini diventano meno ostili e fanno buon viso a cattiva sorte. Del resto né a Eraclea né sulle isole venete  l'esarcato di Ravenna può imporsi, non ha la forza. Da questo nuovo ordinamento - che caratterizzerà lo Stato veneziano in tutta la sua storia -  viene eletto il Doge Orso (non ancora con il nome "Ipato").

ANNO 726 - Nomina del III Doge ORSO IPATO - Nel clima di rivolta esploso in varie zone della penisola italica, a seguito degli editti iconoclastici emanati dall'imperatore Leone III, tra i venetici prendono sopravvento forze antagoniste. Tra tumulti, guerriglie e scorribande non poteva certamente regolarizzare la situazione da solo il popolo senza una guida; infatti furono degli uomini locali armati  guidati dal Doge Orso ad intervenire, confermando anche di fatto la sua autorità, "quasi" autonoma da Bisanzio e da Ravenna
Fu poi anche rotto il "trattato Anafesto" di pacifica convivenza con i longobardi, firmato dall'omonimo doge. E' il primo passo nell'esprimere con il proprio orgoglio e con la propria forza  una indipendenza. Che fu poi utile anche ai bizantini. Infatti nell'....

ANNO 729  - ....Ravenna occupata dai longobardi, dopo l'assalto a tutto l'Esarcato e la Pentapoli, venne liberata proprio dalle forze del Doge veneziano con i suoi uomini. L'azione bellica trovò l'ammirazione di Bisanzio, ed ORSO ricevette la nomina di "IPATO" (console). Un riconoscimento formale di autorità su una situazione già di fatto autorevole e indipendente. E proprio per questo con gli anni le cose cambiano, mutano le alleanze e la crescita d'immagine del doge. Nello stesso tempo in parallelo aumenta l'indipendenza.

Ma questo governo indipendente progettuale, non é del tutto operante con la piena autonomia, nè agisce allo scoperto; sono quasi leggi esoteriche, poche sono scritte e molte non sono neppure divulgate, ma ha gia' una compagine, quella potente e singolare ossatura di quel governo che si formerà quando Ravenna verrà definitivamente cancellata. Solo allora terminati del tutto i rapporti di subordinazione con la corte bizantina ravennate, gli abitanti andranno ad eleggere il primo doge che esprimerà con la volontà autonoma anche l'ufficialità della sua nomina. E' fatta "tutta in casa" insomma.

ANNO 732 - Il Concilio di Laterano stabilisce che le due giurisdizioni di Grado e Aquilei siano canonicamente separate, dichiarando suffraganei del patriarca grandense i vescovi d'Istria e delle Venete lagune (Caorle, Malamocco, Torcello; più tardi Iesolo o Equilio, ora Lido Cavallino, e OLivoro o Castello), mentre quelli della veneta terraferma, fino al Mincio, dovevano dipendere dal prelato aquileiese.

ANNO 737 - Discordie civili provocano la soppresione dell'autorità ducale, cui è sostituito un annuale bizantino "Maestro dei militi".("magister militum")

ANNO 742 - Abbiamo detto sopra leggi esoteriche, infatti la morte di Orso è piuttosto misteriosa. L'assassinio forse fu voluto dal regime del ""magister militum" bizantino che torna a premere per riprendersi l'autorità che aveva prima, oppure dalla stessa aristocrazia, divisa in fazioni, che nell'intero anno crea qualche problema nella elezione di un nuovo doge. 
Evidentemente i venetici dopo le prime affermazioni, non erano ancora pronti al totale controllo del territorio. Lo sbando è significato dall'alternarsi annuo al comando del potere: Leone Domenico, Felice Corniola, Orso Diodato e Gioviano. La storia, non più leggenda, è ingarbugliata perchè il popolo venetico, l'impero occidentale e quello bizantino, vennero continuamente sottoposti a scorribande, saccheggi ed imposizioni da parte delle orde provenienti dai quattro angoli della terra. Non ultimi arrivarono i franchi di Pipino. Ravenna fu più volte presa e saccheggiata, resa dimora poi abbandonata dai longobardi del regno di Astolfo. Così come molteplici furono le alleanze e le ripudie dei venetici. Finchè non emerse una figura risolutiva nei confronti della politica del IV Doge DIODATO IPATO (il significato di ipato è console di Bisanzio... e quindi si possono trarre le dovute conseguenze sul tipo di alleanze e contrapposizioni) , e quella del successore fu più propenso verso i nuovi "franchi" invasori. 
 Diodato Orso Ipato, fra scorrerie di franchi e longobardi, con Ravenna più volte saccheggiata,  sempre temendo una invasione fece molteplici alleanze ma anche tante ripudie. Forse  non gradite né le prime e neppure le seconde, il doge fu deposto e "abbacinato" (accecato) (*) sulla pubblica piazza nel 756.
Forse l'accusa di tradimento era falsa, fatta da un condottiero, che nominato poi doge, si rivelò subito un "voltabaròsso" (un voltagabbana) e, come leggeremo più avanti, fu cacciato da Venezia.
(*) il martirio dell'abbacinatura spettava ai traditori ai quali veniva consentito il diritto alla vita ma non ai beni terreni dei quali venivano privati , ivi compreso quello della vista. Consisteva in due modi diversi di "operare" sulla pubblica piazza: il primo a "valve chiuse", ovvero sulle palpebre abbassate veniva posta una lama resa incandescente e, a secondo del tempo impiegato, avveniva l'incollatura delle palpebre stesse con opacizzazione totale o parziale del cristallino; il secondo a "valve aperte", dove poteva accadere anche l'esplosione del bulbo).


Con questa esperienza, i veneziani aboliscono la magistratura annuale, eleggono il doge circoscrivendo progressivamente la sua autorità. 


Nei confronti di Bisanzio l'ultimo passo tanto atteso lo fecero in una forma politica non traumatica, quasi indolore, mantenendo (dopo la caduta di Ravenna) sempre cordiali rapporti con la capitale; rapporti quasi affettivi, e perfino molto dipendenti nei confronti della cultura e delle tradizioni bizantine che in questo periodo era ricca e diffusa in tutto il Mediterraneo orientale. Del resto quella dei Longobardi erano tradizioni di popolazioni barbare, erano rozzi e illetterati, privi non solo di formalismi ma anche privi di un certo garbo, che era invece apprezzato dall'aristocrazia, di quell'aristocrazia formatasi fin dal periodo romano e ancor di più durante il periodo bizantino ravennate.

Era dunque questa una autonomia voluta e conquistata, che però non escludeva (anche se opportunistici) buoni rapporti  politici con longobardi e con i bizantini. Un atteggiamento mentale questo che si rivelò estremamente molto utile e prezioso, quando i Carolingi (Pipino e Carlo Magno) intenzionati a prendersi anche quest'area, ricca e prosperosa, furono impediti proprio da un intervento di Costantinopoli, che i veneziani chiamarono per difendersi. Fu questa la mossa che impedì un passaggio di campo di portata storica; una mossa che se non fatta, avrebbe radicalmente mutato tutte le linee dello sviluppo politico, economico, sociale e culturale veneziano nei successivi secoli. Venezia pur vicina alle orde nemiche, e pur lontana da Bisanzio riesce non solo a sopravvivere ma a incamminarsi verso la creazione di uno stato molto forte e indipendente.


ANNO 756 -  Nomina del V Doge Dopo aver tradito "deusdeit (Diodato) Ipato" e dopo averlo fatto abbacinare, si impone alla volontà del popolo venetico, con una elezione pilotata, GALLIO LUPANIO (o Galla Gaulo). Ma rivelatosi un "voltabaròsso" anch'egli finisce accecato e condannato all'esilio. Di questo "condottiero" poco si sà, qualche storico lo vuole come fondatore della famiglia "Barozzi". Ancora oggi esiste il detto popolare sinonimo di "voltagabbana": cioè "voltabaròssi". 

ANNO 757 - Nomina del V DOGE - Dopo la breve parentesi di Gallio Lupanio, viene eletto doge DOMENICO MONEGARIO, ma il clima politico dell'epoca non deve essere stato dei migliori e, le verità tornano ad ingarbugliarsi. L'impero romano è ormai diviso da due secoli. Tuttavia i legami con le terre orientali del mediterraneo continuano a permeare la vita di tutti i giorni. Si creano fazioni in appoggio alla "nuova " realtà, quella dell'indipendenza dagli uni e dagli altri e, come è nella natura dell'uomo altre fazioni sorgono in contrapposizione. Sono anni..., che diventeranno secoli, durante i quali si discuterà molto della questione "iconoclasta". Per mascherare, come spesso accade le rivendicazioni di chi non possiede nulla, rispetto a chi ha già il superfluo. Il dogado di Domenico Monegario è anch'esso permeato da una sorta di contraddizioni pro e contro Bisanzio. Così come subisce l'influenza di Desiderio (re dei longobardi, salito al trono con l'appoggio del papa Stefano II , che lo preferì a Rachi, altro nobile longobardo. Astolfo morì senza avere eredi).
Venezia con i suoi mercanti, nel frattempo cominciava ad espandersi, al di là delle beghe e delle questioni di corte, fossero esse laiche od ecclesiastiche; insomma Venezia badava al sodo.
Ma anche la vita di questo doge  non finisce bene. Domenico Monegario finirà abbacinato e deposto nel 764 come i suoi ultimi predecessori.

 Eleggono così un valido doge, MAURIZIO GALBAIO. Il suo dogado ( VI DOGE) sarà uno dei più lunghi nella storia della Serenissima "Repubblica" Veneta, durerà ben 23 anni che per quei tempi non era poco.
Fra le dispute di Desiderio e Carlo Magno, c'è non solo un colpo di coda bizantino che vorrebbe nuovamente imporre un suo Ipato e Magister Militum su Venezia, ma a inserirsi nella disputa c'è anche  papa Adriano I, che non vedendo l'ora di mettere le mani sulle terre ravennate e venetiche, in nome della "Eclesia Defensor" sprona il re dei longobardi ad allearsi con lui. Desiderio metterà a ferro e fuoco mezza Italia, poi non onorerà i patti e il papa gli metterà contro Carlo Magno che sceso in Italia, si scatena, lo assedia a Pavia, lo depone, e fa terminare per sempre il regno Longobardo sull'Italia.
Carlo Magno diviene re dei franchi e dei longobardi e si auto-nomina esarca di Bisanzio, quindi imperatore.
A barcamenarsi bene fra tutte queste turbolenze è Maurizio Galbaio che riesce a mantenere salde le redini oltre che della politica anche quelle del commercio con Bisanzio. Favorito anche dal fatto che i Franchi non possedevano una flotta navale.
Maurizio Galbaio con questi successi guiderà il dogato fino al 787 e morirà nel suo letto.

ANNO 787 - Nomina del VII Doge  - Data la buona fama del padre, assume con facilità il dogato il figlio GIOVANNI  GALBAIO . Ci resta anche lui per molti anni, 17, ma non otterrà gli stessi risultati del padre, anzi alla fine fu cacciato.
Giovanni aveva tentato in qualche maniera di mantenere gli equilibri con i franchi, il papato e l' impero d'oriente e forse ci era anche riuscito come il padre, ma quello che fa supporre la fine del suo potere non derivò da fatti politici esterni ma da fatti interni; i veneziani preferivano guardare solo più  alle questioni di casa, inoltre si allarmarono molto quando a Giovanni gli venne la malaugurata idea di farsi affiancare dal figlio MAURIZIO (II).
Dopo Maurizio e Giovanni, ancora un Maurizio Galbajo avrebbe potuto significare una monarchia anziché una repubblica, ancorché oligarchica.  GIOVANNI ed il figlio MAURIZIO nell'804 furono deposti e esiliati. 
Ma i problemi non erano ancora finiti.

ANNO 787 d.C. -  Intanto cosa accade nella terra ferma, soprattutto alla grande Aquileia? Dopo la scissione religiosa, la città è ormai decaduta, Carlo Magno ha fondato il potere temporale dei Patriarchi di Aquileia che divengono feudatari dell'impero e infine Principi. Si spengono le iniziative dell'uomo, la popolazione prega invece di agire, aspetta la provvidenza dal cielo (cioè l'elemosina), cultura, arte, feste, tradizioni, seppellite nella polvere. Aquileia diventa un semplice villaggio.
Il Patriarca Paolino (787-802) ricostruttore del Friuli, Poeta e Vescovo, è l'animatore dei valori spirituali e religiosi della Chiesa aquileiese. Scrive poi il carme De destructione Aquilegiæ numquam restituendæ, in cui lamenta lo stato di abbandono della città e la vendita perfino dei bellissimi  sarcofagi, senza rispetto dei corpi sepoltivi. Portano via ad Aquileia perfino le pietre".
Nel 789 indifesa e passiva com'è diventata registra una invasione e un saccheggio di orde di Ungari.
Nel 827 Il Concilio di Mantova favorirà  Aquileia nella disputa con Grado, ma l'importanza crescente di Venezia che ormai domina il territorio  impedisce questa  riunificazione del Patriarcato.
Nel 1019- 1045 - l Patriarcato di  Poppone, fa rinascere un po' Aquileia con alcune opere edilizie, le nuove mura,  la nuova basilica, la fa ritornare una potenza, una città florida. 
Nel 1236 I Patriarchi lasciano Aquileia per Udine. Abbandonata definitivamente la città, quasi tutti gli edifici sacri e profani divengono preda delle più vergognose distruzioni e degenerano lentamente, sia per l'inclemenza dei tempi, sia per l'incuria dei pochi abitanti ancora rimasti.
Nel 1348  un terremoto distrugge Aquileia.  Il patriarcato però in qualche modo sopravvive pregando Iddio.
Nel 1445, passata sotto la dominazione della Repubblica di Venezia, ad Aquileia gli viene tolta la sovranità civile e con essa cessa anche  l'indipendenza del Friuli. Aquileia conta più nulla, gli resta solo il patriarcato.
Nel 1509 Aquileia cade in mano all'Austria già in possesso delle Contee di Gorizia. Solo una parte del territorio patriarcale resta sotto la dominazione della Repubblica di Venezia.
Nel 1751 Il Patriarcato è soppresso ed in sua vece vengono istituiti due Arcivescovadi di Udine e di Gorizia. Aquileia ora dipende da quello di Gorizia.
Nel 1797 I Francesi del Generale Bernadotte entrano, a nome di Napoleone a Udine: il Friuli passa sotto la Francia. Con il Trattato di Campoformio, stipulato fra Napoleone e l'Austria, vengono riassegnate a quest'ultima le terre fino all'Adige e con esso il Friuli. Nel 1805 Napoleone riconquista il Friuli, che sarà incluso nel Regno d'Italia. Poi "svende" tutto all'Austria e il Friuli  segue le sorti di Venezia anche nella Restaurazione.
Nel 1866 Il Friuli, ma non Aquileia, con il Goriziano, Trento e Trieste - che rimangono all'Austria - viene annesso all'Italia.
Nel 1918 Aquileia, con la fine della Prima guerra Mondiale, ritorna italiana. Della gloriosa città, del capoluogo della X regione "Venetia et Histria", restano le rovine, l'anfiteatro romano, gli impianti portuali, il foro, le terme, il sepolcreto, la via sacra, i mosaici, un mausoleo alto 17 metri,  i resti paleocristiani, la Basilica eretta da Poppone. E per fortuna -oggi- nel Museo Archeologico, un ricco materiale con paziente cura scavato .


FINE 803 - Prosegui ANNO 804 FINO AL 1172

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804-1172 1175-1284 1284- 1364
1364 - 1501 1501-2000 CRONO-BIOGRAFIA DEI DOGI

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