* LA BALLATA DEL CARCERE DI READING

* LETTERE DAL CARCERE

 

PRESENTIAMO ORA QUI «La ballata del carcere di Reading» che fu scritta da Wilde subito dopo la liberazione. Il suggestivo poema fu da lui molto studiato e limato. Una tristezza senza speranza pare che sovrasti ogni pensiero, ogni frase, ogni parola della poesia. Forse questa Ballata fu composta da Wilde con la speranza di riprendere almeno in piccola parte il posto di prima nella stima pubblica. Non ebbe fortuna. Il poeta si rassegnò al suo destino.

Dopo la “Ballata” presentiamo pure le “Lettere dalla prigione” scritte all'amico Roberto Ross. Esse oltre a dare una dimostrazione della bontà d'animo di Wilde costituiscono un nuovo monumento elevato all'amicizia. È bene infatti dedicare un reverente omaggio a Roberto Ross ai cui buoni sentimenti si deve se l'opera di Wilde non é andata dispersa come gli sterili zelatori della morale avrebbero voluto. E’ segno di grande generosità e di gentilezza d'animo il non abbandonare quelli che cadono in basso. Generosità che al momento della condanna Wilde avrà di certo raggiunto l'eroismo.
Roberto Ross è stato meritatamente l'erede letterario di Wilde perché ha avuto fede nella sua arte meravigliosa. La sua figura è molto simpatica a noi italiani che siamo particolarmente ammiratori dei Cavalieri dell'Ideale.

(Prefazione dell’editore, al libro “De profundis”, Vallecchi, 1920).



LA BALLATA DEL CARCERE

DI READING

"Egli non indossava più la sua tunica dal colore scarlatto, poiché il sangue ed il vino sono rossi ed il sangue ed il vino erano sparsi sulle sue mani, quando lo trovarono assieme con la morta, quella povera donna ch'egli amava e che aveva uccisa nel suo letto.

Egli camminava in mezzo agl'imputati, vestito d'un abito grigio logoro; aveva in capo un berretto da sport e gaio e leggero pareva il suo passo ; - ma io non vidi mai un uomo fissare così intensamente la luce.

Mai io non vidi un uomo fissare con occhio così ardente quella esigua striscia d'azzurro che i prigionieri chiamano il cielo ed ogni nuvola che fluttuava e passava come vela d'argento.

Con altre anime in pena io camminavo in un altro recinto, domandandomi se quell'uomo avesse commesso un piccolo o un grande delitto, quando sentii qualcuno che mormorava a bassa voce dietro di me: quello sarà impiccato.

Ah! Cristo ! Le mura stesse della prigione parvero improvvisamente vacillare e il cielo sulla mia testa divenne come una volta d'acciaio; e, benché io pure fossi un'anima in pena, la mia pena io non la potevo sentire più.

Io seppi solamente quale ostinato pensiero affrettava il suo passo e perché egli guardava la tormentosa luce del giorno con un occhio così intenso : l'uomo aveva ucciso colei che amava : e per ciò egli doveva morire.

Eppure ogni uomo uccide ciò ch'egli ama, e tutti lo sappiamo: gli uni uccidono con uno sguardo di odio, gli altri con delle parole carezzevoli, il vigliacco con un bacio, l'eroe con una spada!

Gli uni uccidono il loro amore, quando sono ancor giovani ; gli altri, quando sono già vecchi ; certuni lo strangolano con le mani del Desiderio, certi altri con le mani dell'Oro; i migliori si servono d'un coltello, affinché i cadaveri più presto si gèlino.

Si ama eccessivamente o troppo poco; l'amore si vende o si compra ; talvolta si compie il delitto con infinite lagrime, tal'altra senza un sospiro, perché ognuno di noi uccide ciò ch'egli ama - eppure non é costretto a morirne.

Non é costretto a morire d'una morte infamante in un giorno di tetra jattura, non ha intorno al collo il nodo scorsoio, né la maschera sulla sua faccia ; non sente, attraverso il palco, i suoi piedi precipitare nel vuoto.

Non é costretto a vivere assieme a degli uomini taciturni che lo sorvegliano di giorno e di notte ; che lo spiano quando vorrebbe piangere o quando tenta di pregare; che lo spiano per la paura ch'egli stesso defraudi la prigione della sua preda.

Non é costretto a destarsi sul far dell'alba per scorgere delle spaventose figure raccolte nella sua cella; il Cappellano che trema, paludato di bianco, lo Sceriffo severo, in attitudine di compunzione e il Governatore tutto nero e cerimonioso - con una gialla faccia da Giudizio Universale.

Non é costretto a levarsi con una fretta che fa pietà, per indossare i suoi abiti di condannato, mentre il medico dalla bocca volgare lo cova cogli occhi e prende nota di ogni gesto grottesco e di ogni contrazione nervosa, maneggiando un orologio i cui deboli tic-tac somigliano ai colpi sordi di un orribile martello.

Non é costretto a conoscere la sete bruciante che strazia la gola, prima che il carnefice con i suoi guanti di ruvido cuoio entri per la porta ferrata e vi leghi con tre cinture, in modo che la vostra gola non abbia più sete.

Non è costretto ad inginocchiarsi per ascoltare il salmo dell'Ufficio dei Morti ; e, mentre il terrore della sua anima gli accerta che non é morto, non incontra la sua bara, entrando nell'orrida baracca.

Né é costretto a gettare un estremo sguardo al cielo attraverso un piccolo pertugio di vetro; e non prega con delle labbra argillose che la sua agonia termini presto; e non sente sulla sua guancia che rabbrividisce il bacio di Caifa.

Durante sei settimane il condannato a morte fece la sua passeggiata nel cortile, vestito del suo abito grigio logoro; e in capo aveva il berretto da sport e il suo passo pareva gaio e leggero, ma io non vidi mai un uomo fissare così intensamente la luce.

Mai vidi un uomo guardare con un occhio così intenso quell'esigua striscia d'azzurro che i prigionieri chiamano il cielo e ciascuna delle nuvole vagabonde che trascinava nell'aria la sua capigliatura scarmigliata.

Egli non torceva le sue mani, come fanno quegli insensati che osano tentare di far vivere la Speranza, questo figlio maledetto, nella tomba della cupa Disperazione: non guardava che il sole e respirava l'aria del mattino.

Non si torceva le mani e non piangeva e non si tormentava, ma respirava a grandi sorsi l'aria, come se avesse contenuto qualche ignota virtù; con tutta la bocca aperta egli beveva il sole come se fosse stato del vino !

E le altre anime in pena ed io, che passeggiavamo nell'altro cortile, dimenticammo ad un tratto che noi stessi avevamo commesso un piccolo o un grande delitto e osservavamo con uno sguardo di freddo stupore l'uomo che doveva essere impiccato.

Ed era strano il vederlo passare con un'andatura così leggera e disinvolta – ed era strano il vederlo fissare così intensamente la luce - ed era strano il pensare ch'egli aveva un così gran debito da assolvere.

Perché l'olmo e la quercia hanno delle gaie fronde che erompono in primavera; ma orrendo a vedersi é l'albero della forca con le sue radici morse dalle vipere e, sia pur verde o secco, un uomo deve morire prima ch'esso rechi il suo frutto !

La più alta vetta é quel trono di grazia verso il quale tendono tutti gli sforzi degli uomini ; ma chi vorrebbe trovarsi con una corda di canapa al collo, alto sul patibolo, e attraverso il collare dell'assassino, gettare l'ultimo sguardo al cielo?

Dolce é danzare al suono dei violini quando l'Amore e la Vita sono propizi : delicato e rarissimo é il danzare al suono dei flauti e dei liuti; ma non é troppo dolce danzare per aria con agile piede.

Così, con curiosi occhi e con paurose ipotesi, noi l'osservavamo di giorno in giorno e ci domandavamo se ognuno di noi non sarebbe finito nella stessa maniera - perché nessuno può dire in quale rovente inferno la sua animasi si può perdere.

Infine - l'uomo morto non passeggiò più con gl'imputati e seppi ch'egli si teneva in piedi nell'orribile e nera tana in cui compaiono gli accusati e che mai più in questo mondo soave del Signore io avrei veduto la stia faccia.

Come due bastimenti in pericolo che passano nella tempesta, noi ci siamo incontrati in cammino ; ma non abbiamo fatto nessun segnale, non abbiamo detto la più piccola parola; non avevamo nulla da dirci; perché non ci siamo incontrati nella notte santa, ma nel giorno di vergogna.

Il muro di una prigione ci rinserrava entrambi; due diseredati eravamo : il mondo ci aveva rigettato dal suo cuore e Dio dalle sue cure : e l'insidia di ferro che attende il peccato ci aveva colti nella sua trappola.

Nella Corte degl'Indebitati ruvido é il lastrico e alte le mura fuligginose, ed era là ch'egli prendeva l'aria sotto il plumbeo cielo e da ogni lato un Guardiano gli camminava accanto per timore che l'uomo morisse.

Oppure egli si poneva a sedere con coloro che spiavano la sua angoscia di giorno e di notte; che lo sorvegliavano, quando s'alzava per piangere o quando s'inginocchiava a pregare; che lo spiavano per la paura che da sé medesimo si sottraesse al capestro.

Il Governatore era forte negli Articoli del Regolamento ; il Medico diceva che la Morte non era che un fatto scientifico e due volte al giorno il Cappellano giungeva, lasciando un piccolo trattato.

E due volte al giorno egli fumava la sua pipa e beveva la sua tazza di birra; la sua anima era pronta e in nessun angolo avrebbe potuto insinuarsi la paura; spesso diceva ch'era contento del supplizio prossimo.

Ma per quale ragione egli dicesse una così strana cosa, nessun Guardiano osava di chiederglielo; perché colui che ha ricevuto dalla sorte il compito di custode deve sigillare le sue labbra e portare sul volto una maschera.

Altrimenti potrebbe commuoversi e che dovrebbe dunque fare la Pietà Umana chiusa nell'Antro degli Assassini? Quale parola di grazia in un tal luogo potrebbe confortare l'anima d'un fratello ?

Con un'andatura pesante e cadenzata, intorno al cortile, noi formavamo la Parata dei Pazzi! Che importava a noi! Sapevamo d'essere la Brigata del Diavolo e le teste rase e i piedi di piombo facevano invero un'allegra mascherata.

A filo a filo laceravamo la corda incatramata con le nostre unghie logore e sanguinanti ; strofinavamo le porte e lavavamo i pavimenti, e forbivamo le lucide sbarre e, a gruppi, insaponavamo le intelaiature, urtando con frastuono le secchie.

Si cucivano i sacchi, si spezzavano le pietre, e si girava il trapano polveroso; si urtavano le carrette e si sbraitavano gl'inni e si sudava al mulino ; ma nel cuore d'ognuno il terrore era nascosto e tranquillo.

Tanto tranquillo esso era che ogni giorno si trascinava come un'onda carica d'àlighe ; e noi dimenticavamo il crudo destino che attende la vittima e il birbante, sino a che, una volta, ritornando da una « corvée » passammo accanto ad una tomba aperta.

Con la bocca, spalancata la fossa giallastra sbadigliava nell'attesa del suo vivente pascolo ; perfino il fango chiedeva del sangue al cortile d'asfalto e sapemmo che prima della bionda alba uno di noi penderebbe dal capestro.

Direttamente rientrammo, con l'anima assorta nell'idea della Morte, dello Spavento e del Destino ; il carnefice passò, recando il suo piccolo sacco, con i piedi strascicanti nella tenebra e ciascun prigioniero tremava, entrando nella sua tomba numerata.

Quella notte i corridoi deserti furono ingombri di paurose immagini e dall'alto al basso della Città di Ferro s'indovinavano dei passi furtivi che non si potevano distinguere e attraverso le sbarre che nascondono le stelle, delle facce livide sembravano guardare con curiosità.

Egli riposava come qualcuno che dorme e sogna sulla dolce erba d'un prato ; i custodi esaminavano il suo sonno e non riuscivano a spiegarsi come si possa dormire d'un sonno così quieto con il boia alla porta.

Ma non esiste sonno, quando é giunto il momento di piangere per coloro che non hanno mai versato delle lagrime : così noi - le vittime, i farabutti e i malfattori - interminabilmente vegliammo e attraverso ogni cervello, strisciando sulle sue mani di Dolore, filtrò la pena dell'altro.

Ahimé ! é una spaventevole cosa il provare il delitto di un altro ! Infatti, diritta all'anima, la spada del Male penetrava dentro di noi sino alla sua impugnatura avvelenata e come del piombo fuso furono le lagrime che spandemmo per il sangue che non avevamo versato.

I custodi con le loro calzature di feltro scivolavano dinanzi ad ogni porta sbarrata; osservavano e scorgevano, attraverso gli sportelli, con occhi di stupore e di paura, delle forme indistinte al suolo; e si domandavano perché mai s'inginocchiassero per pregare coloro che non avevano mai pregato.

Durante l'intera notte, inginocchiati noi pregammo, come dei folli che portano il lutto d'un cadavere. Le ali agitate di mezzanotte erano simili ai pennacchi d'un carro funebre e come un aceto di cui s'imbeve una spugna era il sapore del Rimorso.

Il gallo grigio cantò e cantò il gallo rosso, ma non si fece mai giorno : e delle forme stravolte di Terrore si accucciarono negli angoli dove noi stavamo ; ed ogni spirito maligno che volteggia nella notte sembrava giocare con la nostra paura.

Scivolavano essi e passavano, scivolavano rapidi, come trascorrenti nella nebbia imitavano la luna in una serie di figure, di contorsioni delicate ; e con delle movenze cerimoniose e delle grazie di odiosa smanceria i fantasmi arrivavano al loro convegno.

Li vedemmo passare, labili ombre, stretti per mano, con smorfie e con buffonate; intorno intorno con una ridda fantastica essi ballarono una sarabanda ; e i dannati grotteschi disegnavano degli arabeschi come fa il vento sulla sabbia !

Con piroette da burattini danzavano leggermente sulla punta dei piedi; ma coi flauti della Paura assordavano le orecchie, guidando la folle mascherata e rumorosamente cantavano e cantavano assai lungamente - poiché essi cantavano per destare colui che era morto.

« Oh! - essi gridavano - il mondo è grande, ma le membra impacciate barcollano - e lanciare i dadi una volta o due volte è un gioco corretto e comme-il-faut, ma colui che gioca col Peccato nella misteriosa Casa della Vergogna non vincerà mai ».

Ma non erano affatto immagini aeree quegli esseri grotteschi che se la sgambettavano con tanta allegria davanti a coloro che restavano incatenati ed immobili. Ahi Piaghe di Cristo ! Erano purtroppo vivi e terribili a vedersi.

Intorno intorno - essi ballavano il valzer e turbinavano ; alcuni giravano avvinti in coppie leziose; altri con passi affettati di mezze virtù sfioravano le scalee e con sarcasmi sottili e occhiate languide ciascuno di loro ci assisteva nelle nostre orazioni.

Cominciò a gemere il vento del mattino, ma la notte continuò : sul gigantesco telaio la trama delle tenebre scivolò fino a che ogni filo non fu tessuto;. e, mentre stavamo pregando, fummo presi dalla paura della Giustizia del Sole.

Il vento con i suoi gemiti venne ad errare intorno alle mura della prigione ; fino a quando, come una ruota d'acciaio che giri, noi sentimmo i minuti che penetravano nelle nostre carni: O vento lamentoso ! Che avevamo dunque fatto per avere un tal compagno d'insonnia?

E infine io vidi l'ombra delle sbarre, simile ad un traliccio di piombo ben tornito, proiettarsi sulla parete bianca di calce in faccia al mio letto di tavole e seppi che in qualche parte del mondo la terribile alba di Dio sorgeva color di sangue.

Alle sei ciascuno spazzò la sua cella, alle sette tutto era in calma, ma il soffio fremente d'una potentissima ala parve riempire la prigione, poiché il Signore della Morte dall'anelito di ghiaccio vi era penetrato - per uccidere.

Egli non passo adorno d'una fastosa porpora e non cavalcava un destriero dal candore lunare. Tre metri di corda e un palco scanalato - ecco tutto ciò che occorre alla forca : così con la sua corda d'obbrobrio l'Araldo venne a compiere la sua opera segreta.

Noi eravamo come gente che proceda a tastoni in uno stagno d'oscurità immonda ; non osavamo sospirare una prece, né abbandonarci alla nostra angoscia; qualcosa era morto in ognuno di noi e ciò che era morto era la Speranza.

La Giustizia selvaggia dell'Uomo va diritta per la sua via, senza permettersi la minima deviazione ; essa colpisce il debole, essa colpisce il forte; il suo cammino é implacabile: con un tallone di ferro schiaccia il forte, la mostruosa parricida !

Attendemmo che battessero le otto. Le nostre lingue erano rosse e inaridite ; perché il suono delle otto é il colpo del Destino che rende maledetto un uomo e il Destino adopera un nodo scorsoio tanto per l'uomo migliore, quanto per quello pessimo.

Non avevamo altro da fare che attendere il segnale; così, simili a pietre in una valle solitaria, eravamo seduti, immobili e silenziosi; ma il cuor di ciascuno batteva forte e rapido, come un pazzo sopra un tamburo.

Con un urlo improvviso l'orologio della prigione scosse l'atmosfera con un lungo fremito e da tutto il carcere s'innalzò un lamento d'impotente disperazione - simile al grido di qualche lebbroso nella sua tana, che già dovettero udire le paludi spaventate.

E come si vedono i più paurosi spettacoli nel cristallo d'un sogno, noi vedemmo la saponosa corda di canapa appesa al trave nerastro e afferrammo la preghiera che il laccio del boia mozzò in un grido di spasimo.

E tutto il dolore che lo scosse talmente da farlo erompere in quel grido spaventoso e il suo lancinante rimorso e i suoi sudori di sangue - nessuno li conobbe al pari di me, perché colui che vive più di una vita deve morire anche più d'una morte.

Non si recita l'officio il giorno in cui si impicca un condannato : il cuore del Cappellano é troppo malato o il suo volto é troppo pallido o c'è scritto ne' suoi occhi ciò che nessuno, deve leggere mai.

Perciò fummo tenuti chiusi fin quasi a mezzogiorno e allora venne suonata la campana e i custodi colle loro tintinnanti chiavi aprirono ogni cella e scendemmo pesantemente la scala di ferro, liberi alfine dal nostro ben distinto inferno.

E - fuori - camminammo immersi nella viva aria di Dio, ma non secondo l'usata maniera, perché il viso dell'uno era bianco e quello dell'altro era cupo - e mai io non vidi degli uomini tristi guardare così intensamente la luce.

Mai io non vidi degli uomini tristi fissare con un occhio così intenso quella piccola striscia d'azzurro che noi, prigionieri, chiamavamo il cielo e ogni nuvola indifferente che navigava libera e felice.

Ma ce n'erano alcuni tra noi che camminavano colla testa bassa, perché sapevano che, se a ciascuno fosse data la parte che gli spetta, essi avrebbero pur dovuto morire: quell'altro non aveva ucciso che una cosa viva, mentre essi avevano assassinato una cosa morta.

Colui, infatti, che pecca una seconda volta richiama al mondo della sofferenza un'anima morta e la trae dal suo maculato sudario e la fa sanguinare di nuovo, e la fa sanguinare di larghe gocce di sangue - e la fa sanguinare invano !

Come delle scimmie o dei pagliacci, in mostruosa parata, tatuati di frecce in irregolari disegni, silenziosamente noi andavamo lungo il cortile di lubrico asfalto; silenziosamente andavamo intorno intorno e nessuno faceva motto.

Silenziosamente andavamo intorno intorno, e dentro ad ogni cervello vuoto, la Memoria di terribili cose s'ingolfava come un vento terribile e l'Orrore caracollava davanti a ciascuno e il Terrore assaliva ciascuno alle spalle.

Si pavoneggiavano, i Custodi, qua e là, sorvegliando il loro armento di bruti; le loro divise erano nuove di fiamma - ed era la tenuta dei giorni di festa; - ma noi ben sapevamo quale compito avevano assolto, guardando la calce viva delle loro scarpe.

La, infatti, dov'era stata scavata una tomba non c'era più tomba alcuna ; soltanto un po' di terra e di sabbia accanto all'orrido muro della prigione e un mucchietto di calce bollente - per dare un sudario a quell'uomo.

Ed ha un sudario, l'infelice ! come non tutti ne possono avere: in fondo in fondo, al limite estremo d'un cortile di prigione, e ignudo per massima vergogna, egli giace, con delle catene strette ad ogni piede, ravvolto in un drappo di fiamma !

E per l'eternità la calce viva divora la carne e le ossa, corrode le fragili ossa durante la notte, corrode la tenera carne durante il giorno, avida a volta a volta di carne e di ossa, ma il cuore se lo mangia senza tregua.

Durante tre lunghi anni la sopra non semineranno e non pianteranno : durante tre lunghi anni l'angolo maledetto rimarrà sterile e ignudo e si rivolgerà al cielo meravigliato con uno sguardo senza rimproveri.

Essi credono che il cuore d'un assassino corromperebbe la buona semente che seminano. Oh, non è vero! La benevola terra di Dio é più generosa di quel che non pensino gli uomini - e la rosa rossa vi sboccerebbe più rossa e la rosa. bianca più bianca ancora.

Dalla sua bocca una rosa, una rossa rosa di porpora ! Dal suo cuore - una rosa bianca ! Chi può dire in quale strana maniera Cristo esprima la sua volontà, poiché l'arido bordone del pellegrino si coperse di fiori alla presenza del grande Papa.

Ma né la rosa candida come il latte, né la rosa rossa di porpora possono fiorire nell'aere d'una prigione ; frantumi, ciottoli e selci - ecco tutto quel che ci danno qui; poiché lo sanno bene che talvolta i fiori hanno calmato la disperazione dell'uomo semplice.

Perciò la rosa rossa come il vino, e la rosa bianca non si sfoglieranno mai, a petalo a petalo, su quel po' di terra e di sabbia, accanto all'orrido muro della prigione - per dire agli uomini che passano nel cortile che il Figlio di Dio é pur morto per tutti.

Eppure, benché l'orrido muro della prigione lo serri ancora tutto intorno, benché non possa errare la notte uno spirito carico di catene e benché uno spirito che giace in una terra così empia non possa fare altro che piangere, egli é in pace.

Egli é in pace - lo sventurato ! - egli è in pace o lo sarà tra poco: là non v'é nulla che lo possa impaurire e il Terrore non gli si mostra di pieno giorno, perché la Terra senza luce nella quale egli giace non ha né Sole, né Luna.

Lo impiccarono come s'impicca una bestia : non suonarono nemmeno un rintocco per confortare un poco la sua anima spaventata, ma precipitosamente lo trascinarono via e lo nascosero in una fossa.

Gli tolsero gli abiti di tela e lo lasciarono in pasto alle mosche; si beffarono della sua gola rossa e gonfia e de' suoi occhi puri ed assorti e con delle sghignazzanti risate fecero un mucchio del sudario nel quale il condannato riposa.

Il Cappellano non s'inginocchierebbe mai su quella tomba disonorata, né vi metterebbe la Croce benedetta che il Cristo santificò per i peccatori -- perché quell'uomo era di coloro che Cristo venne a salvare.

Ma tutto é bene ; egli non ha varcato che i limiti conosciuti della Vita ; e - per lui - delle lagrime di estranei riempiranno l'urna della Pietà spezzata da molto tempo, perché coloro che lo piangeranno saranno i reietti, e i reietti sanno piangere sempre.

Io non so se le Leggi hanno ragione o se le Leggi hanno torto : tutto ciò che sappiamo - noi, i prigionieri del carcere - si é che il muro é ben solido e che ogni giornata equivale ad un anno, un anno i cui giorni sono molto lunghi.

Ma questo io so: che ogni Legge fatta dagli uomini per l'Uomo da quando un Uomo per la prima volta troncò la vita del suo fratello e da quando ebbe origine il mondo della sofferenza - ogni Legge disperde il grano buono e conserva la crusca, col peggiore crivello.

Ed anche questo io so - e quanto sarebbe saggio, se ciascuno lo potesse ugualmente sapere! - che ogni prigione edificata dagli uomini é costrutta con i mattoni dell'infamia ed é chiusa con le sbarre - per paura che Cristo veda come gli uomini straziano i loro fratelli.

Con delle sbarre essi sfigurano la graziosa luna e accecano il buon sole ; e bene fanno a nascondere il loro Inferno, perché vi accadono delle cose che non dovrebbero mai esser viste né dal Figlio di Dio, né dal Figlio dell'Uomo.

Le azioni le più vili, simili ad erbe avvelenate, vigoreggiano nell'atmosfera del carcere; là dentro s'esaurisce e si sciupa soltanto ciò che é buono nell'Uomo ; la pallida Angoscia vigila alla pesante barriera e la Disperazione ne è la Custode.

Vi si affanna il piccolo fanciullo spaventato sino a farlo piangere giorno e notte ; vi si flagella il debole, vi si frusta l'idiota, vi si scherniscono i vecchi dai capelli bianchi e alcuni diventano folli e tutti diventano peggiori - e nessuno può aprir bocca.

Ogni angusta cella che noi abitiamo é un'infetta e cupa latrina, e il fetido, soffio della Morte vivente soffoca ogni abbaino sbarrato e tutto - tranne il desiderio - é ridotto in polvere nella macchina Umanità.

L'acqua salmastra che noi beviamo, filtra con una melma nauseabonda e il pane amaro che pesano con precauzione é pieno di calce e di gesso e il sonno mai non s'addorme, ma cammina con dilatati occhi - implorando grazia dal Tempo.

Ma quantunque la Fame sfinita e la livida Sete combattano tra di loro come l'aspide e la vipera, poco ci si preoccupa del cibo della prigione, perché ciò che estenua e uccide interamente si è che ogni pietra sollevata durante il giorno diviene il vostro stesso cuore durante la notte.

Sempre con la mezzanotte fosca nel cuore e col crepuscolo dentro la cella noi giriamo la manovella e sfilacciamo la fune, ciascuno nel suo separato inferno, e il silenzio é più terribile che il rintocco delle campane di bronzo.

E mai una voce umana si approssima per pronunciare una dolce parola e l'occhio che scruta attraverso gli sportelli e inesorabile e duro, e, dimenticati da tutti, noi imputridiamo e imputridiamo con l'anima e il corpo marciti.

Così arrugginiamo la catena di ferro della Vita, avviliti e solitari, e alcuni rompono in maledizioni e altri piangono - ed altri ancora non si lasciano sfuggire il minimo lamento ; ma le eterne Leggi di Dio sono elementi e spezzano il cuore di pietra.

Ed ogni cuore umano che si spezza in un cortile o in una cella della prigione è simile a quel cofano spezzato che offerse ilproprio tesoro al Signore e riempì dell'aroma del più ricco nardo l'impuro tugurio del lebbroso.

Ah ! beati coloro i cuori dei quali si possono spezzare e guadagnar la pace del perdono! Altrimenti come potrebbe l'uomo purificare la sua anima dal peccato? Dove, dunque, se non in un cuore infranto, potrebbe entrare il Cristo Signore'"?

E l'uomo dalla gola rossa e gonfia, dagli occhi puri ed assorti, aspetta le mani sante che trasportarono il Ladro in Paradiso - perché il Signore non disprezza un cuore infranto e contrito.

L'uomo paludato di rosso che interpreta la Legge gli concesse tre settimane di vita per mettere la sua anima in armonia con la sua anima, e per purificare dalla più piccola goccia di sangue la mano che aveva impugnato il coltello.

E con delle lagrime di sangue egli purificò la sua mano, la mano che brandì l'acciaio ; perché solamente il sangue può lavare il sangue e soltanto le lagrime possono guarire e la macchia vermiglia di Caino divenne il sigillo di Cristo candido come la neve.

Nel carcere di Reading, accanto alla città, c'é una tomba d'infamia e vi giace un miserabile divorato da denti di fiamma - in un sudario ardente egli giace e la sua tomba non ha nome.

E là, fino al giorno in cui Cristo chiamerà i morti al Giudizio, egli riposa in pace; non c'é nessun bisogno di piangere e di sospirare: egli aveva ucciso colei che amava ; e per questo ha dovuto morire.

Ma ognuno uccide la cosa che ama; lo sappiano tutti; gli uni uccidono con uno sguardo di odio, gli altri con delle parole carezzevoli, il vigliacco con un bacio, l'eroe con una spada!


 



LETTERE DAL CARCERE


10 Marzo 1890.

Mio caro Robbie, Desidero che voi scriviate subito una lettera a Mister ... il procuratore, dicendogli che, siccome mia moglie ha promesso di lasciarmi erede d'un terzo se essa morisse prima di me, io non voglio fare opposizione alcuna a che essa acquisti la mia parte d'usufrutto. Ho fatto precipitare su di lei una sventura sì grande e sui miei figli una sì grande rovina che non ho diritto d'oppormi in nulla ai suoi desideri. Essa fu nobile e buona per me, quando mi venne a visitare qui. Ho piena fiducia in Lei. Vi prego di scrivere questa lettera senza indugio e di ringraziare i miei amici per la loro bontà. Sono persuaso d'essere nel giusto concedendo questo a mia moglie. Vi prego pure di scrivere a Stuart Merril, a Parigi, o a Robert Sherard per dir loro come io sia stato felice della rappresentazione della mia opera e ringraziate pure Lugné Poe ; é pur qualche cosa che in tempo di sventura e di vergogna, io sia ancor considerato come artista. Vorrei provarne più gioia; mi sembra d'esser morto ad ogni sentimento fuorché l'angoscia e la disperazione. Ad ogni modo fate sapere a Lugné Poe che io sono commosso dell'onore che mi ha fatto. Temo che voi avrete qualche difficoltà nel leggere questo foglio, ma, poiché non mi permettono di tenere presso di me né inchiostro, né penna, credo d'aver disimparato a scrivere. Vogliate scusarmi.

Ringraziate More della fatica, a cui si assoggetta, per farmi avere dei libri; sventuratamente, quando io leggo i miei poeti Greci e Latini, mi fa male il capo; sono stati dunque molto utili, ad ogni modo la sua bontà nel procurarmeli fu grande. Pregatelo di esprimere la mia gratitudine alla signora che abita in Wimbledon. Scrivetemi, vi prego, rispondendomi a ciò e parlatemi di letteratura, di libri nuovi, ecc., ed anche dell'opera teatrale di Jones, del modo con cui ForbesRobertson dirige il suo teatro e d'ogni nuova tendenza nei teatri di Parigi e di Londra. Cercate pure di vedere che cosa hanno detto di Salome, Lemaitre, Bauer e Sarcey, e datemene un piccolo riassunto. Scrivete a Henri Bauer e ditegli che le belle cose che dice di me m'hanno commosso. Robert Sherard lo conosce. Fu gran gentilezza la vostra d'essermi venuto a trovare.
Dovete venire ancora la volta prossima; qui io sento l'orrore della morte, con l'orrore più grande ancora di vivere in silenzio e in miseria.
Penso sempre a voi con affetto profondo. Vorrei che Ernesto andasse a ricercare a Oakley la mia valigia, la mia pelliccia e un esemplare delle mie opere, che ho dato alla mia cara mamma. Domandatelo a Leverson in cui nome fu acquistato il terreno per la sepoltura di mia madre.

Sempre vostro amico - OSCAR WILDE.
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5 Gennaio 1897

Mio caro Robbie, esaminate ora la mia proposta.
Io credo che mia moglie, che in fatto di danaro ha un animo assolutamente retto ed elevato, rimborserà le settantacinque lire sterline pagate per conto mio. Non dubito che essa lo farà, ma credo che dovrei offrire questo da parte mia e non accettare nulla da Lei, come reddito. Io posso accettare quanto mi é offerto per amore ed affetto, ma non ciò che mi è accordato di mala voglia o condizionatamente. Preferirei lasciare mia moglie del tutto libera. Essa può rimettersi. Ad ogni modo io penso che se essa fosse libera mi permetterebbe di vedere i miei figli di tanto in tanto. Questo é quanto desidero. Ma occorre prima che io le renda la sua libertà e va meglio che lo faccia da gentiluomo, abbassando il capo ed accondiscendendo a tutto. Occorre che esaminiate la questione da ogni lato, perché la difficoltà é nata appunto per causa vostra e per il vostro sconsigliato procedere. Fatemi sapere ciò che ne pensate voi e gli altri. Certo, voi avete operato per il meglio, ma partivate da un falso giudizio; posso dire con ogni sincerità che io giungo grado a grado all'equilibrio dell'anima mia quando penso che tutto procede per il meglio. Questa può essere filosofia, o cuore infranto, o religione, o tetra indifferenza d'animo disperato. Ad ogni modo, qualunque ne sia l'origine, un tal sentimento può molto su di me. Avrei torto di tenere legata mia moglie a me contro suo volere. Ha pieno diritto alla sua libertà e non esserle di peso sarà per me una gioia. Essere pensionato da lei é una condizione d'egemonia. Parlatene con More Adey. Ditegli che vi faccia vedere la lettera che io gli ho scritto, domandate a vostro fratello Aleck di dirmi che ne pensa. I suoi pareri sono eccellenti.

Ora passiamo ad altro. Non ho ancora avuto occasione di ringraziarvi per i libri. Mi giunsero graditissimi. L'interdizione delle riviste mi fu oltremodo penosa, ma il romanzo di Meredith mi ha deliziato. Che artista di sana tempra ! Egli ha perfettamente ragione, quando afferma che un sano equilibrio deve essere la virtù essenziale del romanzo. Tuttavia, sinora solo l'animale é riuscito ad avere espressione nella vita e nella letteratura. Le lettere di Rossetti sono abominevoli; non vi é dubbio che sono falsità scritte da suo fratello. M'interessai, tuttavia, vedendo che Melmoth di mio zio e Sidonia di mia madre sono stati due libri che hanno dilettata la sua giovinezza. Per quanto riguarda la cospirazione contro di lui negli ultimi anni della sua vita, credo che ci sia stata certamente, e che il danaro sia stato fornito dalla Banca -Hake. Quella scorta d'un tordo in Cheyne Walk mi pare assai sospetta, benchè William Rossetti dica « Io non veggo nulla di singolare nel canto di un tordo ».

Le lettere di Stevenson danno pure una grande delusione, e comprendo che un ambiente romanzesco è il peggiore ambiente possibile per uno scrittore di romanzi. In Gower Street, Stevenson avrebbe potuto scrivere un nuovo Trois illousquetaires. A Samoa egli scrisse le lettere al Times sui Tedeschi. Vi scorgo pure le tracce d'un terribile sforzo per condurre una vita naturale. Per spaccar legna in modo utile a noi stessi e profittevole agli altri dovremmo essere incapaci di descriverne il processo. In verità vita naturale é vita incosciente. Stevenson estese soltanto il dominio dell'artificio dilettandosi ad arare. Se io passerò la mia vita futura leggendo Baudelaire in un caffé condurrò una vita più naturale, che se mi mettessi a tosare le siepi, od a piantar cacao nelle paludi.

En route é assai artificioso; é semplice giornalismo. Non comprendiamo mai una nota della musica descritta. L'argomento é delizioso, ma lo stile è naturalmente senza valore, in pantofole e blando. È un francese peggiore di quello di Ohnet. Ohnet fa degli sforzi per essere banale e vi riesce. Huysmans si sforza di non essere tale, e lo é ... Il romanzo di Hardey è piacevole e quello di Harold Frédéric assai interessante per il suo soggetto. In seguito - poiché non vi è nella biblioteca della prigione alcun romanzo destinato ai poveri compagni di catena con i quali io vivo - penso d'offrire alla biblioteca una dozzina di romanzi; quelli di Stevenson (qui non c'é se non La Freccia Nera) qualcuno di Thackeray (non ve n'é alcuno) di Jane Austen (di cui pure ve n'è nessuno) e qualche buon libro alla Dumas Pére, di Stanley Weyman, per esempio, o di qualche altro giovane scrittore. M'avete detto che Henley progettava qualcosa, così pure il denominato Anthony Hope. Dopo Pasqua potrete fare una nota di quasi quattordici volumi e chiedere che mi siano consegnati. Piacerebbero molto ad alcuni che non si curano del Journal des Goncourt,
Non dimenticatevi che li pagherò io.

Inorridisco a ritornare nel mondo senza possedere un solo volume mio proprio. Mi chiedo se alcuno dei miei amici come Cosmo Lennox, Reggie Turner, Gilbert Burgess, Max ed altri volessero regalarmi qualche libro. Voi sapete quale sorta di libri io desideri: Flaubert, Stevenson, Baudelaire, Maeterlinck, Dumas padre, Keats, Marlowe, Chatterton, Coleridge, Anatole France, Théofile Gautier, Dante e tutta la letteratura dantesca, Goethe e la letteratura goethiana, ecc Sarebbe una gran cortesia per me il farmi giungere dei libri - e forse vi é qualche amico che vorrà mostrarmi la sua bontà. Sono di animo veramente assai grato, benché spesso, io temo, non sembri. Ricordatevi però che ho avuto continui tormenti, a parte la vita di prigione.
Rispondendomi - potrete scrivermi una lunga lettera sul teatro e i libri. La calligrafia, nell'ultima vostra, era così spaventevole che si sarebbe detto voi foste in procinto di scrivere un romanzo in tre volumi sulla terribile propagazione delle idee comuniste tra i ricchi, o di guastare in qualche altro modo una giovinezza che é sempre stata e resterà sempre piena di promesse. Se vi accuso a torto attribuendo la vostra cattiva calligrafia ad una tale causa, vi prego di tener conto dello stato morboso prodotto da una lunga prigionia ; ma scrivete sinceramente, ve ne prego, altrimenti si potrebbe credere che non abbiate nulla da nascondere. Vi sono, io credo, in questa lettera, molte cose orribili. Leggete la mia lettera a More. Verrà a visitarmi sabato. Lo spero. Richiamatemi alla memoria d'Arthur Clifton e di sua moglie che a mio parere, rassomiglia singolarmente alla moglie di Rossetti - la stessa meravigliosa capigliatura - ma certo di carattere più prezioso, quantunque Miss Siddall sia affascinante e i suoi versi assolutamente di prim'ordine. -

Sempre vostro - OSCAR WILDE.
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2 Dicembre 1896

Caro Robbie. Su questi punti che trattano solamente d'affari More Adey sarà forse disposto a rispondermi. Mi permetteranno bene di ricevere la sua lettera che tratterà esclusivamente d'affari. E non ne sarà impedita la vostra missiva letteraria, che il direttore m'ha ora comunicato.
Mio caro Robbie, io poco ho da dirvi. Il rifiuto di commutare la mia pena, fu per me come un colpo assestato con una spada di piombo. Sono stordito da una pesante sensazione di dolore. Mi ero nutrito di speranza ed ora l'angoscia, affamata, si nutre ingordamente di me come se la sua voracità l'avesse spossata.
Tuttavia vi sono ora delle condizioni migliori d'una volta in questa mefitica aria di prigione : mi hanno dimostrato qualche simpatia ed io non mi sento più del tutto isolato dagli uomini, cosa che prima era per me un motivo di terrore e tormento. Leggo Dante, faccio riassunti e annotazioni per la gioia d'usare la penna e l'inchiostro ; sembra ch'io vada migliorando in più sensi e sto per mettermi a studiare il tedesco. La prigione mi par veramente il luogo adatto ad un tale studio.

V'é pur tuttavia una spina assai differente, ma non meno dolorosa, di quella di S. Paolo, che io debbo con questa lettera strappare colle mie carni. Ne é causa un messaggio che voi avete scritto su un pezzo di carta perché io lo vedessi. Sento che se lo mantenessi segreto il male s'estenderebbe nel mio spirito, come le cose velenose crescono nell'oscurità e prenderebbe luogo fra altri orribili pensieri dolorosi che mi rodono.... Il pensiero - per coloro che sono soli e silenziosi e in ceppi - non é una « viva cosa ed alata » come fingeva di credere Platone, ma una cosa morta, generatrice dell'orribile, come un fango che esibisca i suoi mostri alla luna.
Voglio parlare naturalmente di quanto voi dite intorno alle simpatie degli altri che s'allontanano da me o minacciano di allontanarsi per la profonda amarezza dei miei sentimenti, e credo che la mia lettera sia stata prestata e fatta vedere ad altri.... Ora io non voglio che le mie lettere siano poste in giro come curiosità : è cosa questa per me infinitamente spiacevole. Io vi scrivo liberamente, come ad uno dei miei migliori amici, e fatte poche eccezioni, la simpatia degli altri, pure se dovessi perderla, m'importa assai poco. Nessun uomo della mia sfera può cadere nel fango della vita senza trovare molta pietà da parte de' suoi inferiori, ed io so che quando una commedia dura troppo a lungo, gli spettatori si stancano. La mia tragedia é durata troppo lungamente: il culmine della situazione è superato, lo scioglimento é meschino ed io sono assolutamente conscio che, quando giungerà il finale, io ritornerò come un ospite importuno in un mondo che non ha bisogno di me : un revenant, come dicono i francesi, uno spirito che ritorna, incanutito il capo dalla lunga prigionia e sfigurato dal dolore. Per quanto orribili siano i morti che escono dalla loro tomba, i vivi che sorgono dai loro sepolcri sono più orribili ancora.
Questo lo so troppo bene. Quando si é da diciotto terribili mesi in una cella di prigione si vedono le cose e gli uomini quali sono in realtà. Lo `spettacolo fa impietrire.

Non pensate che io voglia biasimare chicchessia per i miei vizii. I miei amici n'avevano così poca parte, come io con i loro. La natura in ciò fu a noi tutti matrigna. Li biasimo perché non apprezzano l'uomo che hanno rovinato. Finché la mia tavola fu rossa di vino e di rose, che importava a loro? Il mio genio, la mia vita d'artista, la mia opera e la tranquillità che mi era necessaria per compirla non erano nulla per loro ...

Ammetto di aver perduto la testa ... Ero abbagliato, sperduto, incapace di giudicare. Feci un passo fatale, ed ora ... sono seduto su una panca di legno in una cella di prigione. In ogni tragedia v'é una parte grottesca. Voi conoscete il grottesco della mia tragedia e non crediate che io non mi riprovi; maledico notte e giorno d'aver concesso a qualche cosa di dominare la mia vita. Se. questi muri avessero un'eco ripeterebbero all'infinito: « stolto ! ». Son colmo di vergogna per le mie amicizie ... perché sono le amicizie che possono far giudicare un uomo. Sono la prova secondo cui l'uomo si misura.

Ed io sento una pungente umiliazione per alcune mie amicizie …. di cui voi potete leggere un resoconto completo nel mio processo. Questo é per me una fonte quotidiana di umiliazione mentale. Ad alcuni non penso mai. Non mi tormentano, non hanno valore alcuno ... A dir vero la mia tragedia sembra essere grottesca e null'altro. Perché, per essermi lasciato adescare ... e nel più infetto fango di Malebolgie, sto tra Gilles de Retz e il marchese di Sade. Vi sono dei luoghi in cui a nessuno, se non ai folli, é concesso di ridere, ed anche per i folli il ridere é infrangere la disciplina; se ciò non fosse, credo che potrei ridere. Quanto al resto non fate credere ad alcuno che io attribuisca agli altri dei motivi indegni. In verità, nella vita, essi non ebbero motivi di sorta. I motivi sono cose dell'intelligenza. Essi avevano solamente delle passioni e tali passioni sono falsi déi che richiedono ad ogni costo delle vittime.

Nel caso nostro n'ebbero una, coronata d'alloro. Ora ho strappato la spina. Quella frase che avevate scarabocchiato mi straziava orribilmente. Ora non penso più se non che voi vi ristabiliate, vi mettiate a scrivere finalmente la meravigliosa storia di ...

Richiamatemi, vi prego, al ricordo di vostra madre ed anche di Alek; « La sfinge dorata » é, credo, mirabile quanto mai. Mandate da parte mia il meglio dei miei pensieri e dei miei sentimenti e tutto quanto vorrà accogliere di ricordi e di rispetto alla signora di Wimbledon la cui anima é un santuario per coloro che sono in pena.
Non mostrate questa lettera a nessuno e rispondendomi non discutete su ciò che vi scrivo. Parlatemi di quel mondo delle ombre che ho tanto amato, parlatemi pure della vita dell'anima. Mi incuriosiscono i pungoli che m'hanno ferito e nel dolore c'é della pietà.

Vostro OSCAR WILDE.


Prigioni di Sua Maestà. Heading, 1.° Aprile 1897.

Mio caro Robbie, Vi mando separatamente insieme a questa un manoscritto che vi giungerà sano e salvo, io spero. Appena l'avrete letto, desidero che me lo facciate copiare accuratamente e lo desidero per molte ragioni. Basterà una. Voglio che, nel caso ch'io morissi, voi siate il mio erede letterario ed abbiate il controllo assoluto dei miei drammi, dei miei libri e delle mie carte. Appena avrò legalmente diritto di testare, scriverò il mio testamento. Mia moglie non comprende l'arte mia, né v'é probabilità che se n'interessi. Cirillo é un bimbo. Così io mi volgo naturalmente a voi, come a dir vero, in ogni cosa, e voglio che abbiate tutti i miei scritti. Il danaro ottenuto dalla loro vendita potrà essere messo a frutto per Cirillo e Viviano.

Orbene, se voi siete il mio erede letterario, dovete possedere il solo documento che spieghi la mia singolare condotta.... Quando avrete letta questa lettera troverete la spiegazione psicologica d'un ambito di condotta che - esternamente - sembra un accozzo di assoluta idiozia e di ostentazione volgare. Un giorno la verità dovrà ben esser conosciuta; non é necessario che lo sia mentre sono vivo. Ma non intendo rimanere perpetuamente appollaiato sulla berlina grottesca dove mi hanno posto, e questo per la semplice ragione che mio padre e mia madre mi hanno legato un nobile nome, ed io non posso permettere che esso sia avvilito per sempre...

Non difendo il mio operato : la mia lettera contiene ancora dei brani che trattano del mio svolgimento intellettivo in francese e dell'inevitabile evoluzione prodottasi nel mio carattere e nell'attitudine mentale verso la vita. Voglio che voi o gli altri che siete rimasti presso di me e m'avete conservato il vostro affetto sappiate in qual modo e con quale disposizione spero di affrontare il mondo. Sotto un certo rispetto io so certamente che il giorno che verrò liberato, passerò da un carcere ad un altro e vi sono momenti in cui il mondo intiero non mi sembra più vasto della mia cella e non mi pare meno colmo di terrore. Tuttavia in origine Dio creò un mondo per ogni singolo uomo, ed é in questo mondo intimo a noi che dobbiamo cercare di vivere. Ad ogni modo leggerete questi passi della mia lettera con minor pena che gli altri. Non mi occorre ricordarmi come fluida é per me - per noi tutti - una cosa pensata e di quale evanescente sostanza sono plasmate le nostre emozioni. Io scorgo tuttavia una specie di scopo verso cui, per l'arte, posso dirigermi e c'è molta probabilità che voi possiate aiutarmi.

Quanto al genere di trascrizione, ecco cosa desidero : il manoscritto é troppo lungo naturalmente perché un segretario vi si provi, e la vostra calligrafia, caro Robbie, nella vostra ultima lettera, pare ricordarmi in modo singolare che questo compito non potrebbe essere affidato a voi.

Penso dunque che la sola cosa da fare del tutto moderna sia di dattilografare il manoscritto che, assolutamente, non deve uscire dalle vostre mani. Ma non potreste ottenere da Mrs. Marshall ch'essa v'invii una delle sue dattilografe - appunto sulle donne possiamo meglio contare, perché esse non hanno memoria affatto per ciò che é importante - e che essa ve la mandi ad Hornton Street od a Phillimore Gardens, per fare tale copia, sotto la vostra sorveglianza?
Vi assicuro che la macchina da scrivere quando sia toccata con espressione non é più noiosa di un piano, quando é una sorella od una parente prossima che lo suona. In verità buon numero di coloro che sono più legati al focolare domestico la preferiscono.

Desidero che la trascrizione sia non su carta sottile, ma buona carta, come quella in uso per copiare le parti di un dramma, e che vi sia lasciato un largo margine per le correzioni... Se la copia é fatta a Hornton Street, la signora dattilografa potrebbe ricevere i suoi pasti per mezzo di un'apertura con inferriata praticata nella porta, come i cardinali quando eleggono un papa, e tutto ciò sino a quando essa appaia al balcone e annunzi al mondo Habet Mundus Epistulam perché é appunto un'enciclica e come le bolle papali sono indicate dalle parole dell'inizio si potrà parlare della mia lettera come dell'Epistola: in carcere et vinculis

A dir vero, Robbie, la vita di prigione vi fa vedere persone e cose come sono in realtà e per questo essa impietrisce. Vi sono esseri del mondo di fuori ingannati dalle illusioni di una vita in continuo moto. Volteggiano con la vita e contribuiscono alla sua irrealtà. Noi che siamo immobili vediamo e comprendiamo.

Che la lettera sia buona o no per le nature anguste e i cervelli superficiali; a me pare fatta bene. Ho nettato « il mio seno d'una congerie pericolosa » per togliere a prestito un detto al poeta che voi ed io abbiamo pensato un tempo di strappare ai filistei. Non ho bisogno di ricordarmi che l'espressione é per sé sola (per un artista) il supremo e solo modo di vivere.
Viviamo perché ci esprimiamo. Tra le molte e molte cose di cui io debbo grazie al direttore, non ve n'é alcuna di cui io gli sia più grato del permesso di scrivere a mio piacere e tanto quanto desidero. Durante quasi due anni chiusi in me un cumulo crescente d'amarezze di cui sono ora in gran parte libero: al di là del muro della prigione vi sono alcuni poveri alberi neri di fuliggine che stanno per coprirsi di gemme d'un verde quasi acuto. So con certezza quel che accade a loro: trovano la loro espressione.

- Sempre vostro OSCAR WILDE.

 

 

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