ANNO 1797

LA REPUBBLICA CISALPINA 


Il giuramento di fedeltà alla Repubblica Cisalpina, il 9 luglio 1797
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IL BONAPARTE LASCIA L' ITALIA. -- IL TRATTATO D'ALLEANZA TRA LA FRANCIA E LA REPUBBLICA CISALPINA - IL CONSIGLIO DEI SENIORI LO APPROVA, QUELLO DEI SENIORI SI RIFIUTA DI RATIFICARLO - MINACCE DEL GENERALE BERTHIER - CONDIZIONI ECONOMICHE DELLA CISALPINA. - IL GENERALE BRUNE IN ITALIA - APPROVAZIONE DEL TRATTATO - TUMULTI NELLA CISALPINA CONTRO L'AMBASCATORE FRANCESE TROUVÉ - IL TROUVÉ IMPONE UNA NUOVA COSTITUZIONE - IL FOUCHÉ A MILANO - IL DIRETTORIO FRANCESE SCONFESSA ED ANNULLA L'OPERA DEL FOUCHÉ E DEL BRUNE - IL COMMISSARIO RIVAUD E IL GENERALE JOUBERT - TRISTI CONDIZIONI FINANZIARIE DELLA REPUBBLICA CISALPINA

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IL BONAPARTE LASCIA L'ITALIA IL TRATTATO D'ALLEANZA TRA LA FRANCIA E LA REPUBBLICA CISALPINA OPPOSIZIONE DEL CONSIGLIO DEI SENIORI VIOLENZE DEL GENERALE BRUNE

Circa un mese dopo il trattato di Campoformio, Napoleone Bonaparte lasciò l'Italia, accomiatandosi dalla popolazione della Repubblica Cisalpina con un manifesto recante la data dell'11 novembre.
Nel manifesto-proclama il generalissimo diceva:

"…Siete il primo esempio nella storia, di una gente fatta libera senza fazioni, senza rivoluzione, senza stragi. Vi abbiamo dato la libertà; sappiate conservarla..".
E continuava esortando quelli che erano al governo a fare buone leggi e la popolazione ad eseguirle, a rispettare la religione, a formare un esercito nazionale e ad aver consapevolezza della propria forza e della dignità che si addice agli uomini liberi.


Ma che libertà fosse "quella" di cui dovevano godere, i popoli della Cisalpina la conobbero quando furono note le norme che a Parigi il Bonaparte aveva dettato per il trattato d'alleanza da stipularsi tra la nuova repubblica e la Francia. Questa, infatti, riservandosi l'esercizio dell'alta polizia e il diritto di tener presidii nelle piazzeforti, s'impegnava a garantire l'integrità territoriale della Cisalpina a patto che fornisse l'alloggio e pagasse le spese per venticinquemila soldati francesi; fortificasse varie città e castelli; armasse trentamila uomini e seguisse la repubblica madre in ogni impresa militare.

Invano i dirigenti del governo cisalpino cercarono di indurre il Direttorio di Parigi a mitigare quelle condizioni; riuscirono soltanto a farsi apportare modifiche formali e il trattato d'alleanza sostanzialmente lasciò invariati i patti con i contenuti consigliati dal Bonaparte. Per salvare la dignità della Cisalpina si finse che questa avesse chiesto alla Francia un presidio di venticinquemila uomini per il cui mantenimento si obbligava a sborsare diciotto milioni l'anno; dal canto suo la Francia si impegnava a garantire e difendere la libertà e l'indipendenza del nuovo stato e a comprenderlo in tutti gli accordi.
Contemporaneamente fu sottoscritto a Parigi un trattato di commercio in cui le due potenze stabilivano che le loro merci non potevano esser colpite da proibizioni o da dazio superiore al sei per cento sul valore.

Il 4 marzo del 1798 i Direttori della Cisalpina presentarono i trattati per la ratifica al Consiglio dei "Giuniori", di cui era presidente ANTONIO ALDINI. Il Consiglio avrebbe voluto non ratificare il trattato d'alleanza considerandolo a ragione umiliante, ma, sollecitato minacciosamente dal generale BERTHIER, che era stato lasciato dal Bonaparte al supremo comando dell'esercito francese in Italia, dopo alcuni giorni di titubanza, lo approvò il 14 marzo.

Il Consiglio dei "Seniori", invece, di cui era presidente il bolognese VINCENZO BRUNETTI, ratificò il solo trattato di commercio. Quanto all'altro dichiarò che, pur manifestando sensi di gratitudine e devozione verso la Francia, non poteva approvarlo perché la Cisalpina non era in grado di eseguire tutti i patti nel trattato contenuti.

Grande fu l'indignazione del Direttorio parigino e del generale LE CLERK che sostituiva il BERTHIER assente. Il primo, accusando d'illegalità la deliberazione dei Seniori, consigliò i Giuniori ad annullarla, e pronunciò gravi minacce contro la Cisalpina, affermando che rischiava di perdere l'indipendenza se i Seniori persistevano nel loro atteggiamento; il secondo minacciò a sua volta di porre sotto il governo militare tutte le piazzeforti della repubblica adducendo come pretesto che nel Consiglio dei Seniori sarebbero stati pronunciati discorsi tendenti a fare insorgere il popolo contro i Francesi.

I Seniori non si lasciarono intimorire dalle minacce, ma vollero dissipare gli equivoci precisando il proprio punto di vista e la loro condotta. Pertanto, il 16 marzo dichiararono che con la loro deliberazione non avevano inteso di respingere l'alleanza e l'amicizia della Francia, ma solo alcune "clausole onerose" del trattato e sottoscrissero un solenne giuramento in cui attestavano di non aver mai pronunziate parole contro la repubblica francese.

Pronunciate o no parole tendenziose, i Seniori tuttavia non avevano torto quando affermavano che le forze del nuovo stato non erano tali da sostenere gli oneri imposti dal trattato, specialmente la spesa dei diciotto milioni per il mantenimento del presidio francese. La repubblica era esausta: nonostante si fosse il 14 novembre del 1797 stabilito tra il conte MELZI e il commissario HALLER che non ci sarebbero state più requisizioni militari, queste non erano finite e la sola Mantova aveva dovuto dare al generale MIOLLIS l'11 febbraio del 1798 quattrocentomila lire, cinquemila camicie e seimila paia di scarpe; venti milioni annui oltre le spese previste erano stati assegnati al nuovo esercito cisalpino; tasse del sei per cento erano state imposte sugli utili del commercio e del sei sui capitali a mutuo e ciò nonostante si era dovuto imporre un prestito forzoso su coloro che godevano una rendita non minore alle duemila lire per colmare il deficit di trentasei milioni; inoltre delle grosse somme costava l'amministrazione statale e ne fanno fede i lauti stipendi di seimila lire che erano assegnati ai Giuniori e quelli di cinquantamila e di venticinquemila dati rispettivamente ai ministri e ai segretari. (insomma per "qualche italiano" la cosa andava più che bene).

Ma la Francia non voleva sentire ragioni. Il BERTHIER fu sostituito con il generale BRUNE e questi trattò la Cisalpina come paese di conquista, come una colonia. Anzitutto impose un tributo per il mantenimento delle sue truppe, poi tolse dal loro ufficio quei "Seniori" che più degli altri avevano contrastato o solo criticato o semplicemente discusso alcune clausole il trattato fra cui l' ALDINI il MARLIANI e il BUCALOSSI, proscrisse tre "Giuniori" e parecchi cittadini, fra i quali MELCHIORRE GIOIA, infine riorganizzò il Direttorio, lasciandovi il COSTABILI come presidente, il SAVOLDI e l'ALESSANDRI e sostituendo il conte PARADISI e il dottor MOSCATI con GIACOMO LAMBERTI e CARLO TESTI., più ubbidienti e servili.

"Così una medesima condanna colpì alla pari gli oppositori e i sostenitori del trattato; così tra gli ordini emanati da Parigi e gli arbitrii militareschi di chi doveva eseguirli era malmenata e conculcata la giovane Repubblica: della quale in simile forma -parlava il Melzi scrivendo al Marescalchi: "… Da Milano .... nulla d'importante; qui calma simile a quella della tomba; più i "rimossi" che i "promossi" contenti; somma l'angustia pecuniaria; nessuna l'attività dei compensi; impossibile la durata simultanea di un potere militare illimitato nei bisogni come nelle voglie, e di un potere civile, per paralisi confermata, a carico solo e gravissimo, non a difesa e protezione ".

Lo stesso Bonaparte (il quale, abbandonato il suo primo disegno d'invadere l'Inghilterra, stava allora preparandosi per la sua impresa d'Egitto, fu turbato da quell'avventato procedere del Direttorio: e dal "Foglio universale" francese essendosi sparsa la notizia, smentita di poi, che molti membri dei due Consigli erano stati incarcerati o banditi e che le stesse misure minacciavano il Moscati e il Paradisi, scrisse al Direttorio il 17 marzo 1798 per difendere l'onore di quei due suoi amici, e concluse dicendo: "…L'avvilimento del governo cisalpino fin dalla sua origine e la perdita dei migliori cittadini sarebbero una vera sciagura per la Francia, un argomento di trionfo per l'Imperatore e per i suoi seguaci..". Saggia sentenza; la quale serve peraltro di giusta condanna non solo al contegno del governo francese ma anche per i moltissimi atti che aveva già compiuto e che poi doveva compiere in Italia colui che li dettava.." (Franchetti) ".

Sul finire di maggio, il Consiglio dei Seniori fu costretto a cedere ed approvò il trattato d'alleanza. Inoltre fu stabilito di comprare e donare alla Francia un palazzo, di murarvi una lapide e di dare alla via in cui sorgeva, il nome significativo di "Contrada della Riconoscenza".
Lo scambio delle ratifiche, infine, che accadde l'8 giugno del 1798, diede occasione alle solite feste con cui si voleva dimostrare che la concordia e l'affetto - e non era vero - erano tornati a regnare tra le due repubbliche.
Una "concordia" non esisterà mai se uno ordina con delle intimazioni e l'altro è costretto a ubbidire.


SOLLEVAZIONI NELLA CISALPINA IN DIFESA DELLA COSTITUZIONE
IMPOSIZIONE DI UNA NUOVA COSTITUZIONE - IL FOUCHÉ -
IL COMMISSARIO RIVAUD E IL GENERALE JOUBERT
CONDIZIONI ECONOMICHE DELLA CISALPINA

Il malcontento serpeggiava nella Repubblica Cisalpina quando da Parigi fu mandato a Milano, nel giugno del 1798, il TROUVÉ, in qualità di ambasciatore e con l'incarico di riformare lo statuto della Cisalpina coadiuvato dal FAYPOULT, già ministro francese a Genova.

La notizia che il Trouvé era venuto per mutare la costituzione provocò un grave fermento fra i patrioti milanesi ma anche fra gli agnostici. La mattina del 26 luglio, in piazza dei Mercanti, ai piedi della statua di Filippo II, alla cui testa l'anno prima era stata sostituita quella di Marco Bruto, furono trovate molte copie di un rovente manifesto che terminava con queste parole: "…Stringiamo il ferro di Bruto nostro antico proconsole e stiamo pronti a scannare qualunque Cisalpino che ardisse fare il minimo insulto alla Costituzione..".

A quel punto nel piccolo assembramento che si era formato attorno alla statua, tutta l'ira da qualche tempo repressa, salì in crescendo, poi scoppiò e si ebbero i primi tumulti. A Milano, nelle strade si iniziò a gridare e a inveire contro il Trouvé e gli aristocratici, la plebe si accanì contro le statue nelle piazze, gli stemmi dei nobili palazzi, e perfino contro i dipinti sacri; dalle province giunsero numerose petizioni al Gran Consiglio perché non lasciasse toccare la costituzione; per persuadere il Direttorio francese a revocare l'ordine di riformare lo statuto furono inviati a Parigi il generale LAHOZ e il luogotenente generale TEULLIÉ dell'esercito cisalpino.

Il 15 agosto il Gran Consiglio invitò il Direttorio ad "..assicurare il popolo che la Rappresentanza nazionale e tutte le primarie autorità costituite, fedeli al proprio giuramento, conservarono inviolabile quel sacro deposito..". Essendo nel frattempo tornato da Parigi il generale BRUNE, i Milanesi furono quasi sicuri che fosse venuto per opporsi ai disegni del Trouvé. Il 18 agosto gli tributarono una calorosa dimostrazione che però in breve -cadute le speranze- si mutarono in una manifestazione ostile all'ambasciatore, con una pronta risposta di repressione e di severi provvedimenti. Furono chiusi i circoli e i ritrovi politici, furono imprigionate alcune diecine di scalmanati e infine fu messo lo stato d'assedio alla città.

Il Gran Consiglio, riunitosi la mattina del 30 agosto, inviò un'interpellanza al Direttorio, in cui gli si chiedevano precisi e pronti ragguagli intorno alle gravi notizie che correvano. Il Direttorio esecutivo rispose che la chiusura dei circoli e la perquisizione di alcune case erano state, per desiderio del Brune, ordinate dal Ministro di Polizia, ed erano giustificate dal sospetto di una congiura ordita dai fuorusciti francesi da qualche tempo in Italia. In quanto alle altre notizie che correvano non aveva elementi sufficienti per fornire informazioni o delle spiegazioni.

Mentre continuava la seduta giunsero settantotto lettere, sottoscritte dal TROUVÈ e dal BRUNE, con le quali s'invitavano altrettanti Giuniori a recarsi quella stessa sera al Palazzo Castiglioni, sede dell'ambasciatore francese. Trentotto uguali inviti erano stati mandati ai Seniori. Dei centonovantuno membri dei due Consigli soltanto centosedici ricevettero dunque l'invito, ma -diffidando- solo due terzi circa degli invitati si presentarono all'adunanza.

Questa era presieduta dal Trouvé, che aveva accanto il generale Brune e il Faypoult. L'ambasciatore, dopo avere enumerato i mali che affliggevano la repubblica, affermò che occorreva una nuova costituzione. Lui, insieme con il FAYPOULT, con il DUMONT, con il GARAT e con il GINGUENÉ, n'aveva già preparata una e comunicò all'assemblea il contenuto, quindi dichiarò che i presenti dovevano sancirla e promulgarla ed eleggere inoltre una "Commissione di Salute Pubblica" e un nuovo "Direttorio".

Nonostante i rappresentanti adunati fossero uomini devoti alla Francia, ma piuttosto timidi - e appunto per questo motivo il Trouvé aveva invitato soltanto loro e non gli altri - non mancarono le proteste. Il MAZZUCHELLI affermò che avendo giurata una costituzione non poteva accettarne un'altra, e che se si voleva proporre, non imporre, una riforma, era illegale escludere gli altri settantacinque membri dei due Consigli. Su per giù le medesime cose dissero i deputati VERTEMATI FRANCHI, LUPI, CONTI, MAZZINI e POLFRANCESCHI.

Il Trouvé e il Faypoult parlarono difendendo quanto avevano disposto e circa il giuramento assicurarono che il Direttorio francese, autore della prima costituzione, li scioglieva dal medesimo. Finalmente si giunse alla votazione, che -però- non fu segreta, e la proposta dell'ambasciatore ebbe così sessantadue voti favorevoli e ventitré contrari.

Il giorno dopo nelle sale dei due Consigli si riunirono in assemblea costituente i Giuniori e i Seniori che avevano votato in favore della proposta: quelli che avevano dato il voto contrario e quelli che non erano stati invitati alla riunione della sera precedente o non si presentarono o non furono fatti entrare dai soldati francesi messi di sentinella alle porte. Fu letta una lunga lettera del Trouvé, quindi fu costituito il nuovo Direttorio, che, secondo la lista già preparata dall'ambasciatore, fu formato dall'ADELASIO, dal LAMBERTI, dal LUOSI, e dal SOPRANSI.

Inoltre la costituente decretò di ridurre ad undici i dipartimenti, di mettere per un anno sotto la vigilanza della polizia, la stampa e le tipografie e di chiudere quei circoli politici che professavano opinioni contrarie alle leggi. E della nuova costituzione si diede annuncio al popolo con un manifesto, preparato in precedenza, in cui si affermava che la Cisalpina era stata salvata dal pericolo di ".. ricadere sotto il giogo degli stranieri o di perire vittima del furore anarchico ..". Si temeva che sorgessero tumulti; ma nessuno si mosse. Soltanto il RANZA volle protestare e lo fece in una maniera che aveva del carnevalesco: vestitosi a lutto, percorse la città con un esemplare della prima costituzione sotto il braccio, che, piangendo e seguito da uno stuolo di curiosi, andò a seppellire al Campo di Marte, dove un anno prima era stata solennemente inaugurata. La sua protesta gli costò il bando che colpì il GIOJA, il GALDI, il LATTANZI e il REINA; i perfino generali LAHOZ e TEULLIÉ furono destituiti. Anche tra francesi non correva buon sangue.

Qualche mese dopo, il TROUVÉ, che anche lui non andava d'accordo col BRUNE, fu richiamato e al suo posto fu inviato il FOUCHÉ. (una discreta biografia di questo singolare e ambiguo personaggio, onnipresente a tutti gli eventi, sempre a galla, prima, durante e dopo la Rivoluzione, oltre che prima, durante e dopo il periodo napoleonico, la trovate qui).

FOUCHÉ, accordatosi con il BRUNE, dichiarò guerra ai partigiani del suo predecessore TROUVÉ. Al SOPRANSI, all'ADELASIO e al LUOSI furono sostituiti il BRUNETTI, il SABBATI e lo SMANCINI, una quarantina di deputati furono privati del loro ufficio e sostituiti con quelli che erano stati vittime del Trouvé, infine si riaprirono i circoli e si convocarono le assemblee primarie che approvarono i nuovi ordinamenti.

L'operato del Fouché e del Brune fu però sconfessato (25 ottobre) dal Direttorio francese, che li rimosse dai loro uffici, sostituendoli col commissario RIVAUD e col generalissimo JOUBERT.
Il Rivaud giunse a Milano il 6 dicembre e subito rimise le cose nei termini in cui le aveva lasciate il Trouvé: furono chiusi ancora i circoli politici, i deputati riammessi dal Fouché furono ricacciati, furono soppressi alcuni giornali, fra cui il "Termometro", carcerate alcune persone e ricomposto il Direttorio con l'ADELASIO, il BUOSI, il LAMBERTI e il SOPRANSI, cui fu aggiunto il MARESCALCHI; quindi fu promulgata la nuova costituzione (gennaio del 1793) e gli impiegati furono obbligati a giurare: "..odio alla monarchia, all'aristocrazia ed all'anarchia, fedeltà ed attaccamento alla Repubblica ed alla Costituzione Cisalpina .."

"…Fra tanti e sì contrari arbitri, - scrive il più volte citato Franchetti - una sola parte rimaneva invariabile nel contegno dei Capi francesi, cioè l'imperiosa richiesta del pubblico danaro. Nel giro di sedici mesi (dal settembre del 1797 al dicembre del 1798) il debito della Cisalpina "figlia" verso la Repubblica "madre", era montato a 52 milioni e 650.258 lire, così ripartiti: 31 milioni in forza del trattato d'alleanza, 18 milioni per le successive convenzioni del 29 settembre e del 5 ottobre 1798, 1.438.304 per l'approvvigionamento d'assedio e 3.211.911 per l'aumento ai soldati; e alla fine del 1798 rimaneva tuttavia debitrice di 14 milioni e 820,612 lire. Dissanguato da tali spese e ridotto anche a peggior partito dalla sregolata amministrazione, il bilancio dell'anno VI repubblicano, che si chiudeva il 21 di settembre del 1798, aveva lasciato un disavanzo di 33 milioni e 326.722; per provvedere al quale si dovette imporre un nuovo prestito forzoso di 30 milioni, diviso in azioni di mille lire, garantite sui beni nazionali: andavano sotto questo nome i patrimoni dei Capitoli, delle Collegiate, delle Confraternite, dei Conventi e degli altri enti morali aboliti; e vi si aggiunsero ancora quelli delle mense vescovili (giugno 1798).

Quando poi a causa della guerra fu necessario trovare altre maggiori entrate, sia per lo Stato sia per la Repubblica madre (poiché il Commissario Amelot esigeva, con la minaccia di saccheggio, ventisei milioni che furono ridotti ad otto dal Rivaud), si misero in vendita 15 milioni di beni nazionali e s'impose una contribuzione di 22 denari e 1/4 per ogni scudo di stima catastale, un testatico di 7 lire e mezza per ogni mille lire di vendita (7x1000) che però cresceva progressivamente, fino a 3 mila lire per una vendita di 50 mila (6 X 100), ed una tassa di una lira per ogni finestra sulla strada; si chiesero pure anticipatamente dei tributi futuri, ed un nuovo prestito forzoso di sei milioni (gennaio e marzo 1799).

Tormentati da questi "straordinari" e molteplici aggravi non desta meraviglia se la maggior parte degli abbienti inizierà ad esprimere odio contro i francesi, contro i progressisti e le istituzioni repubblicane, le quali non garantivano né la quiete pubblica, né l'indipendenza dello Stato chiamato "libero", ma che più schiavo di così non poteva essere.

Accusavano inoltre il Direttorio di aver dilapidato molta parte delle pubbliche sostanze e di non aver dato conto (come prescriveva la Costituzione) di oltre 238 milioni che il corpo legislativo aveva messo a sua disposizione dal 19 settembre 1797 al dicembre del 1798, non compresi i 16 milioni versati per le "straordinarie" tasse di guerre.

Infuriato e con cifre dettagliate in mano, il Rappresentante POZZI in un'energica relazione (scritta per lui da MELCHIORRE GIOIA) affermava che di 91 milioni soltanto, sopra quei 238, era giustificata l'erogazione e chiedeva fossero arrestati i Commissari del Tesoro, i quali già avevano presentato le proprie dimissioni.
Inoltre, ricchi e poveri (ormai tutti dentro nella stessa pentola) erano angosciosamente colpiti, sebbene in diversa misura, da un'altra specie di tributo al quale non erano abituati dal tempo dei romani, vale a dire la leva forzata che (difettando i volontari) era stata decretata nel gennaio del 1799, per arruolare novemila giovani dai 18 ai 27 anni, sopra 3 milioni e 584.343 abitanti che contava allora la Cisalpina.

In vari luoghi nacquero ribellioni che furono soffocati con la forza. Non bastavano di certo a rinfocolare l'ardore repubblicano i pomposi e violenti manifesti e le pubbliche festose celebrazioni ordinate dall'autorità (francesi), ultima delle quali fu la festa del 21 gennaio del 1799, anniversario del supplizio di Luigi XVI, la quale si celebrò con la rappresentazione delle due tragedie "Bruto e Virginia" nel "Teatro Patriottico" e con il canto di un inno del MONTI, messo in musica dal maestro MINOIA, al Teatro della Scala, sfarzosamente illuminato..".

Una Repubblica, quella Cisalpina che, dopo quella manifestazione, aveva le ore contate. Crollò con il ritorno della reazione Austro-Russa il 24 aprile dello stesso anno, quando gli austriaci sconfissero il Moureau a Cassano d'Adda ed entrarono a Milano. Dopo Marengo, furono però nuovamente cacciati; la Repubblica Cisalpina fu ripristinata, ma nel 1802 fu trasformata in Repubblica Italiana, poi il 26 maggio 1805 in "REGNO D'ITALIA", quando Napoleone "si" incoronò a Milano.

Se tutto questo nell'anno 1797 accadeva a Genova, Venezia e a Milano,
il Piemonte neutrale circondato ora da tre repubbliche cosa stava tramando?
Diventa un Paese democratico o assolutista?
Deve allearsi con l'odiato vincitore o con gli avversari che si stanno coalizzando?

lo scopriamo nel prossimo periodo che per il momento
va dal 1797 al 1799 > > >  

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
+ VARIE OPERE DELLA BIBLIOTECA DELL'AUTORE 
 

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