ANNI 1799

GLI AUSTRIACI E I RUSSI IN PIEMONTE
E GLI ECCIDI DEI FRANCESI


Dopo l'invasione di Milano e la cacciata dei Francesi nella Battaglia di Lecco (nell'immagine), i Russi guidati da Suwaroff, attraverso il Lago Maggiore, le Valli del Sesia e la discesa su Novara, tentano di penetrare in Piemonte per cacciarvi i Francesi.
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RIVOLTE E REPRESSIONI NEL PIEMONTE - AVANZATA DEGLI AUSTRO-RUSSI - PRESA DI TORTONA - COMBATTIMENTO DI BASSIGNANA - BATTAGLIA DI S. GIULIANO - L'INSURREZIONE PIEMONTESE - SPEDIZIONI PUNITIVE FRANCESI - L'ECCIDIO DI ASTI - IL MOREAU A CUNEO - PRESA E SACCHEGGIO DI MONDOVI - I FRANCESI LASCIANO IL PIEMONTE - IL VUKASSEWICH IN PIEMONTE - LA "MASSA CRISTIANA" DEL BRANDALUCCIONI - GLI AUSTRO-RUSSI ENTRANO A TORINO - IL CONSIGLIO INTERINALE SUPREMO - RESA DELLA CITTADELLA DI TORINO

RIVOLTE E REPRESSIONI IN PIEMONTE
AVANZATA DEGLI AUSTRO-RUSSI
PRESA DI TORTONA
COMBATTIMENTO DI BASSIGNANA E DI S. GIULIANO


Non minore, di quello che covava in Lombardia - come abbiamo visto nella precedente puntata- era il malcontento nel Piemonte quando in Italia scoppiò nuovamente la guerra.
Alcuni dei motivi di questo malcontento ce li riferisce una persona non sospetta, il cittadino CARLO BOSSI, membro a Torino del Governo provvisorio repubblicano, che così diceva all'agente diplomatico della Cisalpina. "…Il Piemonte si trova in condizioni affatto eccezionali dagli altri paesi italiani. Non vi è stata una vera rivoluzione. I Generali francesi rimasti padroni del paese vi hanno costituito un Governo provvisorio, ma lo hanno guidato in un modo così personale da renderlo una vera amministrazione francese. Anche le Municipalità sono di creazione francese, anche l'ex esercito piemontese fu dichiarato francese, e privato della coccarda e della bandiera nazionale, e fu aggregato alla schiera della Repubblica. Mentre a Roma e negli altri paesi liberati dai vecchi Governi, si lasciò al popolo costituirsi in Repubblica indipendente, nulla di ciò è avvenuto in Piemonte. Al contrario, il Direttorio esecutivo, in non pochi dei suoi atti, ha dimostrato di considerare e reggere il Piemonte come un paese di conquista.."

In un paese come il Piemonte, devoto alla secolare monarchia sabauda, ligio agli antichi ordinamenti, tenacemente e quasi inconsciamente avvinto alla tradizione (un ceto perché ricavava privilegi, l'altro perché zotico), profondamente religioso, amante della tranquillità, poco desideroso di novità e di rivolgimenti, nemico da quasi sempre (lo abbiamo visto nei secoli già trattati) del nome francese, non poteva essere accettato di buon grado un mutamento di regime che non solo contrastava con i sentimenti della totalità quasi della popolazione ma ne ledeva gl'interessi materiali (soprattutto nel clero e nella nobiltà feudale secolare)

Da qualche tempo quindi erano sorte le agitazioni e le rivolte. Degna di menzione, fra le altre, quella detta del "Ventoso", che da Strevi si estese ad Acqui, ad Asti, a Costigliole; altre a Montalto, ad Oviglio, a Castelferro, a Fresonara, a Castellazzo, a Solero e portò ottomila insorti sotto le mura di Alessandria. L'insurrezione fu facilmente domata dalle milizie, e stroncate allo stesso modo furono quelle che poco dopo scoppiarono nei territori di Fossano, di Cuneo ed altrove; ma quando giunse la notizia della rotta di Cassano in Lombardia, confermata dal rifugiarsi in Piemonte di molti Francesi e Cisalpini fuggenti, la ribellione così incoraggiata tornò a scoppiare più furiosa in tutto il Piemonte e si videro nelle province di Novara, di Vercelli, di Cuneo, Val d'Aosta, nel Canavese e nella campagna di Alba, di Asti, di Mondovì numerose bande armate, che ormai senza timore abbattevano le insegne repubblicane e davano la caccia ai democratici.

Per dare un salutare esempio, il 30 aprile, GIUSEPPE MUSSET, commissario politico civile del Piemonte, fece arrestare cinquantasette nobili e li mandò sotto scorta a Grenoble. Fu questo l'ultimo suo atto di commissario: il 2 maggio, per ordine del MOREAU, lasciò nelle mani del generale GROUCHY il potere e lasciò pure la capitale.
Oramai in Piemonte non vi poteva essere che un governo: quello militare, e questo era sotto la suprema direzione del Moreau. Il quale, venuto in Torino, sciolse le quattro Amministrazioni dipartimentali, nominò un'Amministrazione generale, investita soltanto di poteri amministrativi e giudiziari, fece trasportare nella cittadella tutte le armi, le munizioni e le copiose vettovaglie, ne affidò la difesa al generale FIORELLA con tremila e quattrocento uomini, quindi si recò ad Alessandria e concentrò alla confluenza del Po con il Tanaro i ventiseimila uomini di cui disponeva.

Erano i giorni del nemico che avanzava rapidamente. Desiderio del SUWAROFF era di battere il MOREAU prima di essere soccorso dai rinforzi che l'AUGERAU doveva portargli dalla Francia e di tagliargli le comunicazioni con gli eserciti del MASSENA e del MACDONALD.
Per raggiungere questi scopi mandò il principe di ROHAM e il colonnello STRAUCH verso il nord del Lago Maggiore. Il VUKASSEWICH con la sua brigata verso Novara con l'ordine d'impadronirsi di questa città, penetrare nelle valli della Sesia e della Dora Baltea, aiutare l'insurrezione e chiudere gli sbocchi delle valli che conducono nella Svizzera, e l'OTT con la sua divisione nel Modenese e nel Reggiano con il compito di aiutare le operazioni del KLENAU e con lui far fronte al MONTRICHARD e sorvegliare i passi dell'Appennino da dove doveva venire il Macdonald; quindi egli stesso, da Pavia, dove aveva il 4 maggio messo il suo quartier generale, si mise in movimento con il grosso dell'esercito contro il MOREAU.

Le sue forze avanzarono divise in due corpi: uno composto dai Russi del Rosemberg, risalì la sinistra del Po sino a Lomello; l'altro, formato dalle divisioni dello Zoph e del Fróhlich, per Stradella e Voghera puntò su Tortona. Questa piazza fu investita la sera del 9 maggio e subito espugnata; quindi gli Austriaci avanzarono verso Alessandria e si accamparono a Torre Garofoli; da dove il Bragation con un forte distaccamento fu mandato verso il sud per occupare Novi Ligure, Gavi e Serravalle e tagliare le comunicazioni dei Francesi con Genova.
Il 12 maggio il Rosenberg attaccava la sinistra del Moreau. Durante la notte, settemila Russi comandati dal generale Zubaroff si portarono sopra un'isola del Po presso Bassignana e al mattino, passato il fiume, attaccarono al villaggio di Pescetto la brigata Quesnel. COLLI successo al QUESNEL che già all'inizio del combattimento era rimasto gravemente ferito, e stava per cedere sopraffatto dall'arrivo del Rosenberg e del Granduca Costantino, quando in suo soccorso venne prima la brigata Gardanne che scacciò i Russi dal villaggio, poi la divisione Victor che dopo un aspro scontro, respinse il nemico a Bassignana e lo costrinse a ritirarsi disordinatamente sull'isola, perdendo ottocento uomini fatti prigionieri e lasciando sul campo altrettanti morti fra cui il generale Zubaroff. Imbaldanzito da questo successo e preoccupato dalla presenza a Torre Garofoli del nemico che era stato rafforzato dalle truppe del Kraim, il Moreau tentò un audace colpo contro gli Austro-Russi.

La mattina del 16 maggio fece passare sopra un ponte di barche alla destra della Bormida le divisione Victor e la spinse contro gli avamposti nemici che erano a Marengo. Questi, colti alla sprovvista, ripiegarono sul villaggio di S. Giuliano, ma furono inseguiti dai Francesi e sarebbero stati sbaragliati se a sostenerli non fosse giunto il corpo del Bragation reduce da Novi Ligure da dove era stato richiamato. Per parecchie ore infuriò indecisa la battaglia; alla fine, poiché nuove colonne nemiche sopraggiungevano, il Moreau impartì l'ordine della ritirata che proprio perché data non in un momento critico, fu effettuata in un modo molto ordinata e senza affanno.

L'INSURREZIONE PIEMONTESE - SPEDIZIONI PUNITIVE FRANCESI
L'ECCIDIO DI ASTI - IL MOREAU A CUNEO
IL SACCHEGGIO DI MONDOVÌ - I FRANCESI LASCIANO IL PIEMONTE

Mentre l'esercito del Suwaroff e quello del Moreau si fronteggiavano, avvampava nel Piemonte la rivoluzione, specie nelle province meridionali, quasi a sfida delle truppe francesi che vi erano concentrate. Dovunque, ma in modo particolare nei territori di Cuneo, di Mondovì, di Cherasco, di Fossano, di Alba e di Asti, gente di ogni condizione levava il grido della rivolta, impugnava le armi, si raccoglieva in bande numerose e audaci, percorreva le campagne abbatteva le municipalità, dava la caccia ai democratici e ai Francesi, sfogando sopra gli uni e gli altri il furore sanguinario.

Prelati, preti e frati aizzavano le popolazioni e sovente erano loro a capitanare le bande. Monsignor PIO VITALE, vescovo di Alba, si era messo alla testa dei contadini insorti (ovviamente manipolati, del resto con i preti la plebe lavorava, mangiava (poco), moriva), aveva abbattuto la municipalità e l'albero della libertà, imprigionato i patrioti, e si era dato a percorrere le campagne della sua diocesi per liberarla dai democratici e dai soldati francesi; il vescovo di Acqui aveva messo a disposizione dei ribelli i sotterranei dei seminari per metterci dentro i repubblicani catturati, e il vescovo di Asti aveva consegnato nelle mani degli insorti addirittura il suo stesso vicario generale sospetto di giacobinismo.

I preti e i frati predicavano nelle chiese e nelle piazze lo sterminio dei francesi e non erano pochi quelli che brandite le armi, si mettevano alla testa di bande fanatiche, come il curato di Primeglio che, con un suo gruppo di ribelli, appostato in un crocevia, massacrava tutti i francesi che passavano; e come alcuni cappuccini di Asti, che percorrendo anche loro le campagne, davano la caccia a drappelli di soldati repubblicani.
Opera più utile di quella degli ecclesiastici prestavano alla causa della rivolta, parecchi ex-ufficiali piemontesi che caduta la monarchia non erano entrati nell'esercito francese. Uno di questi ufficiali, PIETRO CORDERO di Vonzo detto il SANTO, radunato nell'Appennino ligure una schiera di montanari, assalì il 3 maggio il forte di Ceva, costrinse il presidio francese ad arrendersi e mantenne poi nelle sue mani l'importante fortezza mandando a vuoto -come vedremo più avanti- tutti i tentativi fatti dal Moreau per ricuperarla.

Un altro ex-ufficiale piemontese, il CIRAVEGNA, raccolte parecchie centinaia di contadini, si presentò il 12 maggio a Cherasco e s'impadronì della città dopo averne cacciato il battaglione francese che vi stava di presidio. Altri ufficiali piemontesi: GIACINTO di MONTEZEMOLO, il conte di GERMAGNANO e il generale FRANCESCO VITALE, alla testa della popolazione insorta, espulsero la guarnigione francese Mondovì e con molto valore difesero la città dal generale DELAUNAY, che piombato a Cuneo con dei reparti per ricuperarla, non solo fu respinto ma vi lasciò la vita.

Di fronte al divampare dell'insurrezione, i Francesi naturalmente non se ne stavano inoperosi. II generale FIORELLA, da Torino, emanava proclami pieni di minacce; il Moreau dal suo quartier generale, dava ordine ad un bel "trio", i generali Flavigny, Freyssinet e Serassi di formare colonne mobili, di punire le città ribelle e di disperdere con ogni mezzo le bande degli insorti.
Piscina, che aveva accolto a fucilate le truppe francesi, fu assalita il 10 maggio e poi incendiata da un reparto comandato dal colonnello MARANDA BUSCA, che aveva abbattuto la municipalità, fu poi presa d'assalto dal SERASSI il quale impose agli abitanti una forte taglia; Carmagnola fu assalita dal FREYSSENET, che con seimila uomini sconfisse, il 13 maggio al ponte di Carignano, alcune bande d'insorti capitanate dal canonico FILIPPONE, poi penetrato in città, la mise al sacco, incendiò il borgo della Madonna di Salsasio, fucilò due dozzine di persone e impose taglie sui nobili, sul clero, sulle corporazioni e sulla parte (colpevole o innocente) più ricca della borghesia.

Asti invece, che il 9 maggio era stata invasa da una banda di contadini
guidati da battista MO, fu punita dal FLAVIGNY.

"…Questi - "narra il Carutti" - fece arrestare novantacinque persone, alcune delle quali, come il Mo, colpevoli, le altre innocenti, che non erano neppure scese in città in quel famoso 9 maggio accennato sopra. Ordinò all'avv. MARCO ANTONIO DOGLIO di fare il processo e presto. Era il 14 di maggio. Nello stesso giorno il Doglio interrogò i detenuti; 46 "gli parvero" di aver partecipato ai tumulti, gli altri no. La mattina seguente il Flavigny, parendogli troppe le ventiquattro ore spese per investigare, sollecitato da esaltati giacobini astigiani, sentenziò lui stesso la condanna: a 86 la fucilazione, ne risparmiò solo 9.

Alle 5 1/2 pomeridiane i condannati ebbero l'ordine di partire per Alessandria dicendo loro che sarebbero stati giudicati in quella città, ed ebbero perfino due razioni di pane per il viaggio. Ma poi giunti in piazza d'armi, furono circondati dalle truppe già schierate, poi fatti muovere verso il muro in fondo. Presenti c'erano anche alcuni parenti delle vittime giunte per salutarli. Il Flavigny avvinazzato, com'era sua abitudine, gridò ai condannati che si raccomandassero a Dio. Quelli levarono urli di disperazione, alcuni chiesero misericordia, rivolgendosi ai soldati, altri si buttarono a terra. Partì una scarica di moschetti, poi altri colpi sparsi verso quelli che si muovevano. Ma i più vicini in prima fila caddero su quelli che stavano indietro e che rimasero o ancora vivi o solo feriti. Ma il Flavigny fece un cenno alla cavalleria di spingere i cavalli sulle vittime, e quelli passandoci e ripassandoci sopra con le sciabole li fecero a pezzi più volte. Un sanguinoso mucchio di brandelli di cadaveri pestati dai cavalli e ridotti in poltiglia sanguinolenta disonorò l'antica piazza d'armi, su cui oggi sorge la statua di Vittorio Alfìeri. E questa città vive ancora nella memoria quella scellerata mattanza".

Le repressioni pronte e feroci delle colonne mobili non ottennero i risultati che il Moreau si riprometteva, anzi inasprirono maggiormente le popolazioni, incoraggiate dalla vicinanza degli Austro-Russi. Allora il Moreau, temendo che le sue comunicazioni con la Liguria, difese dal generale Pérignon che con le sue truppe occupava il colle della Bocchetta, fossero tagliate, decise di mandare il Victor da quella parte e di spostare l'esercito verso l'Appennino non senza aver prima compiuto le rappresaglie iniziate contro gli insorti.
Il Victor si mosse, e dopo due giorni di faticosa marcia ostacolato dalle bande partigiane dei ribelli e durante i quali diede alle fiamme il villaggio di Dego, raggiunse il Pérignon alla Bocchetta. Lo stesso giorno il Moreau, lasciato ad Alessandria con tremila uomini il Gardanne, partì con gli ottomila soldati della divisione Grenier alla volta di Asti; quindi, avviati in Francia i grossi bagagli e le artiglierie, si diresse a Cuneo.
Giunto qui, il Moreau volle tentare di strappare agli insorti Cherasco e Mondovì. Contro di quella mandò il generale Partoneaux, ma questi il 23 maggio vi trovò una tale resistenza (n'era anima il Ciravegna) che fu costretto a ritirarsi. Contro Mondovì inviò i generali Garrau, Serassi e Freyssinet, che, il 22 maggio, trovarono anche loro una tenace resistenza degli insorti appostati sul torrente Pesto per impedire il passaggio al nemico.

Quattro ore durò il combattimento tra le bande e i Francesi, infine, quelle, essendo state prese alle spalle dalla cavalleria nemica che in un altro punto era riuscita a passare il torrente, furono annientate. Allora il Freyssinet intimò la resa alla città, ma gli abitanti accolsero a fucilate il messo francese e, chiuse le porte, si prepararono alla difesa. Da tre parti i Francesi assalirono Mondovì e dopo un feroce combattimento da entrambe le parti, verso sera i francesi la espugnarono. L'infelice città per vendetta fu abbandonata al saccheggio: per tutta la notte i soldati irritati dalla resistenza, desiderosi di vendicare l'uccisione del Delaunay e avidi di preda, sfogarono alla luce sinistra degli incendi, la loro ira su uomini e cose; le chiese i monasteri e i palazzi furono saccheggiati e devastati; quasi mille persone furono trucidate, le donne nei monasteri, nelle case e nelle vie furono violentate ed uccise; e dei patrioti non ne fu risparmiato nemmeno uno.

Dopo questa notte infernale, all'alba, i "barbari" (detti "liberatori") abbandonarono Mondovì fumante e piena di cadaveri e fecero ritorno a Cuneo. Il Garreau ricevette l'ordine di assalire la fortezza della Ceva, ma già sapendo di non poterla espugnare, sfornito com'era di artiglieria nemmeno si mosse. Vi fu mandato in sua vece il Grouchy ma quando accertò di persona di non avere i mezzi sufficienti per costringere il forte alla resa, dovette tornarsene indietro.

Non avendo più nulla da fare a Cuneo, il generale MOREAU vi lasciò il Musnier con tremila uomini e si portò a Garessio; quindi fece aprire una via per il colle di S. Bernardo e attraverso questa nei primi di giugno fece passare in Liguria le artiglierie. Nel frattempo in quei giorni le sue truppe avevano di nuovo invaso non più Mondovì ormai spoglia, ma i dintorni, devastando le campagne, i villaggi della Margherita, della Rocca de'Baldi e di Morozzo, e appiccarono il fuoco a centocinquanta casolari.

IL VUKASSEWICH IN PIEMONTE
LA "MASSA CRISTIANA" DEL BRANDALUCCIONI
GLI AUSTRO-RUSSI ENTRANO A TORINO
IL CONSIGLIO INTERINALE SUPREMO
LA RESA DELLA CITTADELLA DI TORINO

Il giorno medesimo che il Moreau, levato il campo, si allontanava dal Tanaro e dal Po alla volta di Asti, il Suwaroff, lasciate alcuni reparti davanti ad Alessandria e all'assedio della cittadella di Tortona, passava il fiume a Cambio e andava ad accamparsi a Candia con il proposito di impadronirsi di Torino e liberare del tutto dai Francesi le province settentrionali del Piemonte.
Qui già il Vukassewich con la sua brigata aveva ottenuto dei rapidi successi. Favorito dalle popolazioni avverse ai Francesi, e dalla "Massa Cristiana" (un insieme di grosse bande di insorti, radunate e guidate da un feroce avventuriero chiamato BRANDALUCCIONI, che si resero famose per i saccheggi, gli incendi, le taglie e le stragi), aveva occupato Novara, Vercelli, Oleggio, Ivrea e molte altre terre del Novarese e del Canavese, poi si era spinto nella valle d'Aosta, fino al forte di Bard, si era impadronito degli sbocchi delle Alpi e per tutti i luoghi dov'era era passato aveva cancellato ogni traccia di regime democratico.

Appena, da Candia, seppe che il Moreau si era allontanato dal Po, il Suwaroff mandò il generale Schweikowsky con un distaccamento ad impadronirsi di Valenza e ad investire Alessandria, quindi si mise in marcia verso Torino. Lo precedeva il Vukassewich, che, occupando nella sua avanzata Casale, Verrua, Pontestura, il 24 maggio giunse sulle alture di Superga e si spinse con gli avamposti a Chieri, a Villanova e a Moncalieri, mentre le bande del Brandaluccioni atterrivano con la loro presenza i dintorni di Torino e un corpo di Russi, guidato dal Bragation, per Chivasso e S. Maurizio giungeva fino a Rivoli.

Cominciava così l'assalto della capitale, da dove già da parecchi giorni i membri dell'Amministrazione Generale (Pietro Geymet, Giovanni Alberto Rossignoli e gli avvocati Domenico Capriati e Maurizio Pelisseri) si erano allontanati trasferendosi a Pinerolo. Il giorno 25 gli Austro-Russi strinsero ancor di più la città e il Vukassewich intimò la resa al generale Fiorella, che oppose un deciso rifiuto e dichiarò che si sarebbe difeso fino all'ultimo.
Ma dello stesso parere non erano i membri (camaleonti) della Municipalità e quelli del Consiglio d'Amministrazione della Guardia Nazionale, che già avevano avviate segrete trattative con il Brandaluccioni. La notte dal 25 al 26 il conte GIUSEPPE ADAMI di BERGOLO in rappresentanza della Municipalità, e gli avvocati VITTORIO BERTA e FELICE SETTIMI, rappresentanti della Guardia Nazionale, si recarono segretamente nel campo nemico e convennero con il Vukassewich che, ai primi colpi di cannone sparati dalle batterie austro-russe dal monte dei Cappuccini, avrebbero fatto trovare aperta la Porta Po.

All'alba del giorno dopo un corpo di usseri comandati dal Mesko si appostò nelle vicinanze della porta fissata: quando i cannoni imperiali cominciarono a tuonare, la Guardia Nazionale, secondo i patti, abbassò i ponti e aprì i battenti, lasciando passare gli usseri che a briglia sciolta penetrarono nella città.
II generale Fiorella, avvertito del fatto, si rifugiò nella cittadella e per vendicarsi del tradimento cominciò a bombardare furiosamente la città, dove intanto da Porta Nuova entrava il Kaim con la sua divisione e da Porta Po il Brandaluccioni con le sue bande, che si spargevano nelle vie gridando: "morte ai giacobini !".

Nel pomeriggio dello stesso giorno entrò in Torino, accolto da una folla plaudente il generalissimo Suwaroff, il quale per prima cosa si recò subito nella chiesa di San Giovanni e qui ossequiato dall'arcivescovo e dal clero, si inginocchiò e pregò con molta devozione il Signore, quindi annunciò pubblicamente che avrebbe fatto fucilare chiunque avesse osato recare offesa alle persone e ai beni dei cittadini e poiché la presenza delle bande del Brandaluccioni faceva temere disordini, ingiunse loro di uscire dalla città e di ritirarsi a Pecetto.

Provveduto al mantenimento dell'ordine, il Suwaroff pensò di far cessare il furioso bombardamento dei francesi della cittadella, che già aveva causato l'incendio di parecchie case. Al Fiorella, che aveva minacciato di volere ridurre in cenere Torino, scrisse "Se voi, contro tutte le costumanze delle nazioni civili, continuate a bombardare la città, io vi prevengo, signor generale, così ne soffriranno i francesi fatti prigionieri. Io li schiererò tutti di fronte allo spianato della cittadella, e ve li lascerò per tutto il tempo che voi continuerete a far fuoco sopra innocenti cittadini. Lascio al vostro giudizio di valutare l'impressione che il vostro contegno produrrà sui popoli ai quali i Francesi promettono protezione e fraternità". La minaccia fece subito il suo effetto: il giorno dopo il Fiorella s'impegnò a non bombardare più Torino; dal canto suo il Suwaroff si obbligò a non attaccare la fortezza dal lato della città.

Il generalissimo russo si trattenne in Torino fino al 10 giugno e in questo periodo di tempo dichiarò ristabilito il regime monarchico, invitò Carlo Emanuele IV a tornare nella sua capitale e creò un "Consiglio interinale supremo" con ampi poteri militari, politici, giudiziari ed economici. Fu chiamato a presiederlo CARLO FRANCESCO THAON di REVEL, conte di Sant'Andrea, antico governatore di Torino, e con lui formarono il Consiglio i capi delle principali amministrazioni civili e giudiziarie ristabilite: il conte Carlo Giuseppe Cerruti, l'avv. Francesco Mussa, il conte Villa, Francesco Brea di Rivera, Pietro Francesco Bergese, il conte Vincenzo Serra, il conte Felice Pateri, e il marchese Dalla Valle.
La Municipalità e la Guardia Nazionale furono abolite e alla prima fu sostituito l'antico Decurionato, alla seconda il Corpo Reale dei Volontari.

Partendo da Torino, il Suwaroff aveva affidato l'incarico di espugnare la cittadella al generale Kaim, il quale si giovò dell'opera dei cittadini e degli artiglieri piemontesi e in una settimana riuscì a costruir trincee e terrapieni e ad iniziare un infernale tiro d'artiglierie contro la fortezza. La cittadella fu bombardata notte e giorno e il generale Fiorella, vedendo inutile ogni resistenza, il giorno 20 giugno si arrese, ricevendo gli onori di guerra. Lui e gli ufficiali superiori, dichiarati prigionieri di guerra, furono mandati in una fortezza a Petervaradino, in Ungheria; gli altri ufficiali e i soldati, dopo aver promesso che durante la guerra non avrebbero combattuto più contro le potenze coalizzate, furono con cavalli e bagagli mandati liberi in Francia.

Con la capitolazione della cittadella, ai Francesi non rimanevano in Piemonte che Fenestrelle, Cuneo e le fortezze di Tortona e di Alessandria.

Poca cosa, ma saranno queste per i francesi importanti il prossimo anno, quando in Italia ritornerà il ciclone Napoleone: quando per i francesi ormai sembrava tutto perso. Marengo cambierà la storia dei prossimi 15 anni.

Per il momento sempre in questo scorcio di anno
dobbiamo ritornare a Napoli, dove anche qui si sta producendo
un periodo difficile e molto complesso, quello...

della Repubblica Partenopea in questo stesso anno 1799 > > >

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
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