ANNO 1799 - 1800

LE REPUBBLICA ROMANA - LA FINE
ELEZIONE DI PAPA PIO VII


 LA REAZIONE NELLA REPUBBLICA ROMANA - LE BANDE E LA GUERRIGLIA - L'ARMATA AUSTRO-RUSSO-ARETINA NELLO STATO ROMANO - IL CAPOBANDA RODIO E IL GENERATE GARNIER - CAPITOLAZIONE DI CIVITAVECCHIA E ROMA - L'INSURREZIONE NELLE MARCHE - IL GENERALE GIUSEPPE LA HOZ SI RIBELLA AI FRANCESI ED È NOMINATO CAPO DEGLI INSORTI - VICENDE DELLA GUERRA NELLE MARCHE - ASSEDIO DI ANCONA - MORTE DEL LA HOZ - CAPITOLAZIONE DI ANCONA IL CONCLAVE DI VENEZIA - ELEZIONE DI PIO VII
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LA REAZIONE NELLA REPUBBLICA ROMANA - LE BANDE E LA GUERRIGLIA - L'ARMATA AUSTRO-RUSSO-ARETINA NELLO STATO ROMANO - IL CAPOBANDA RODIO E IL GENERALE GARNIER - CAPITOLAZIONE DI CIVITAVECCHIA E ROMA


Molto prima che in Toscana nella Repubblica Romana era già scoppiata l'insurrezione. Abbiamo letto nei precedenti riassunti della sollevazione dei Transteverini e di quella ancora più grave dei paesi della Campagna e della Marittima. I ribelli furono domati con le armi, ma tornarono ad insorgere quando, nel dicembre del 1798, i Napoletani invasero lo Stato, né tornarono all'obbedienza dopo la vergognosa fuga del generale MACK; anzi bande minacciose - spesso inalberando la croce- si formarono qua e là; come quelle capeggiate ad Ascoli da GIUSEPPE COSTANTINO soprannominato "SCIABOLONE", o a Cattanello dall'arciprete ANDREA TIBURZI, e in altri luoghi da frati o da ex-militari; che assalivano presidi francesi, abbattevano gli alberi della libertà, incitavano le popolazioni alla rivolta e perseguitavano ferocemente i repubblicani.

Fu una guerriglia accanita, che si spostava da un luogo all'altro e trovava alimento ed aiuto nel vicino Abruzzo e nel territorio del Garigliano; la rivolta si propagava rapidamente: domata in un luogo scoppiava in un altro; i Francesi mandavano le famigerate colonne mobili dove l'incendio assumeva proporzioni più vaste e presentava pericoli maggiori, ma non riuscivano a spegnerlo e se riuscivano a battere il Tiburzi da una parte, erano poi costretti a scendere a patti con i Costantini; e mentre Rieti e Civitavecchia capitolavano, i dipartimenti del Trasimeno e del Tronto venivano travolti dall'insurrezione.

Peggiore divenne la situazione dei Francesi dopo la partenza del MACDONALD (che abbiamo già conosciuto, presente un po' dappertutto) e dopo la vittoria completa degli insorti toscani e napoletani, che dal nord e dal sud penetrarono negli Stati Pontifici già in rivolta, sui quali quasi contemporaneamente poi da ogni parte piombarono Austriaci, Inglesi, Russi e Turchi per dare il colpo di grazia alla Repubblica e ai suoi difensori sia nostrani sia stranieri.

Nel mese di giugno del 1799, Cortonesi ed Aretini occuparono Città di Castello, il 13 luglio s'impadronirono del forte di S. Leo e subito dopo, capitanati dal maggiore PASSERINI, assediarono Perugia. La città resistette, ma andata poi sotto il comando del generale austriaco SCHNEIDER, l'"Armata russo-austro-aretina", formatasi in Toscana con soldati austriaci, russi, piemontesi, romagnoli ed aretini, Perugia capitolò il 2 agosto.

Nello stesso tempo gli Aretini occuparono Todi, Assisi, Foligno, Spoleto, Terni, Narni, Orvieto, Acquapendente, Viterbo, Nepi, Civitacastellana, Bracciano, Rieti ed altre terre e si spinsero fin sotto Roma; ma da questa città dovettero ritirarsi per ordine del Senato fiorentino, del governo provvisorio di Arezzo e dei generali austriaci, desiderosi di porre fine ai saccheggi di quelle bande indisciplinate.

Mentre la Repubblica romana era invasa dalla parte della Toscana, il capobanda RODIO, mandato dal cardinale RUFFO, vi penetrava dal Sud. Alla testa di un minuscolo esercito formato da alcune compagnie di calabresi, da uno squadrone di cavalli e da quattro cannoni, nei primi di agosto Rodio scacciò i presidi repubblicani di Anagni, Palestrina e Zagarolo, sbaragliò a Frascati il giorno 10 il generale GARNIER e, rinforzato da un nucleo di cavalleria condottogli dal colonnello LUCIO CARACCIOLO s'impadronì di Marino di Albano e marciò su Roma.

Nella capitale, ridotta alla miseria dal malgoverno del ministro francese BERTOLIO, fin dall'11 luglio era stato proclamato lo stato d'assedio. Aveva il comando della forte guarnigione francese il generale GARNIER, il quale depose, il 24 di quel mese, i consoli, i senatori e i tribuni, creò un comitato provvisorio di cinque membri ed organizzò militarmente settecento patrioti.

Battuto a Frascati, il GARNIER cercò, attraverso il generale TEUILLET, di intavolare negoziati con il Rodio; ma essendo falliti tutti i suoi tentativi, iniziò ad avanzare con le sue truppe contro il nemico e, riuscito a scacciarlo il 20 agosto da Marino, da Albano e da Frascati, lo costrinse a ritirarsi fino al Liri. Ma alcuni giorni dopo, avendo saputo che gli Aretini erano giunti a Civitacastellana, e che per la via Cassia avanzava un corpo di millecinquecento Austriaci inviato dal FROHLICH e che FRA DIAVOLO con le sue bande aveva toccato Velletri, il GARNIER decise di portare tutte le suo truppe a Roma e a Civitavecchia e di mettere dei posti di osservazione a Tolfa e a Corneto.

Allora il cerchio nemico si restrinse intorno agli ultimi piccoli gruppi di francesi ancora nel Lazio; nella Sabina comparvero le bande di GIOVANNI SALOMONE; a Frascati si presentò nuovamente il RODIO e l'11 settembre una squadra inglese pose il blocco a Civitavecchia, mettendo in critica situazione il presidio comandato dal generale BELAIS.
Stretto da tante forze, il Garnier entrò in trattative con il commodoro inglese TROUBRIDGE e il 27 settembre firmò con lui una convenzione, impegnandosi a sgomberare lo stato romano ed ottenendo che i Francesi e i patrioti romani con le loro armi e i loro averi si imbarcassero a Civitavecchia.

Il 29 settembre Civitavecchia e Corneto furono consegnate agli Inglesi, e il 30 Roma aprì le porte ai Napoletani. Questi, appena entrati nella capitale, innalzarono la bandiera borbonica su Castel Sant'Angelo, rimisero sugli edifici pubblici lo stemma pontificio, trascinarono per le vie il busto di Bruto e bruciarono l'albero della libertà fra l'entusiasmo del popolo.
Tre giorni dopo fu formato il governo della città con una giunta suprema di tre membri, e il 15 ottobre giunse con l'incarico di comandante militare e politico dello stato romano il generale DIEGO NASELLI, il quale annullò tutte le leggi repubblicane, abrogò le vendite di beni nazionali, scacciò da Roma tutti gli stranieri, esiliò alcuni cittadini che sotto il regime della repubblica avevano ricoperto pubbliche cariche, bandì dallo stato i notai che avevano redatto l'atto di deposizione di Pio VI, ordinò numerosi arresti e la confisca dei beni dei fuggiaschi e istituì un Tribunale di Stato che doveva sommariamente giudicare i politici e i loro sostenitori arrestati.

L'INSURREZIONE NELLE MARCHE - RIBELLIONE DEL GENERALE LA HOZ
VICENDE DELLA GUERRA NELLE MARCHE - ASSEDIO DI ANCONA
MORTE DEL LA HOZ - CAPITOLAZIONE DI ANCONA

Caduta Roma, la lotta si concentrò tutta nelle Marche dove gli insorti delle bande del CELLINI, di DONATO De DONATIS, di SCIABOLONE e dei VANNI avevano trovato un capo nobile e valorosissimo, il generale cisalpino GIUSEPPE LA HOZ.
Questi, fin dal 1796 aveva militato, infiammato dall'amor di patria che voleva libera ed indipendente, aveva prima capeggiato, insieme con il cremonese BIRAGO, con il milanese PARIBELLI e coi generali cisalpini TEUILLET e PINO, la società segreta dei "Raggi", poi, approfittando delle sconfitte francesi in Lombardia, aveva spodestato le autorità civili del dipartimento del Rubicone, instaurandovi un governo militare sotto la direzione del PINO.
La fortuna non lo aveva favorito. Venuto in sospetto del MONTRICHARD, che aveva ordinato ai suoi due ex colleghi di costituirsi prigionieri, e abbandonato dal Pino, che si era recato ad Ancona dal generale MONNIER, comandante di quella piazza e ne era divenuto suo aiutante, il La Hoz si era rifugiato nel Piceno, e gli insorti, che ne ammiravano il valore lo nominarono loro capo.

Sotto la sapiente oltre che professionale direzione del La Hoz, l'insurrezione delle Marche aveva l'aspetto di una guerra regolare e resa molto difficile la situazione del Monnier, minacciato, oltre che da terra, anche dalla parte del mare da una flotta russo-turca giunta il 17 maggio del 1799 nelle acque di Ancona.

Varie e complesse le vicende della guerra nelle Marche. Il 23 maggio le bande del De DONATIS occupavano Ascoli; il 4 giugno i Francesi la riconquistavano e la saccheggiavano; tre giorni dopo Pesaro cadeva in potere delle bande del prete SEBASTIANO GRANDI che il 9 giugno la difendevano ostinatamente dagli assalti del Monnier e del Pino; il 12 giugno Fano cadeva in mano degli insorti; il 15 il capobanda GENTILI si impadroniva di Recanati; il 16 il VANNI conquistava Macerata; il 18 una schiera turco-russa occupava per qualche giorno Senigaglia; dal 24 al 28 i Francesi rioccupavano Fabriano, Recanati, Senigaglia, Jesi e Fano, ma quest'ultima il 2 luglio veniva nuovamente riconquistata dai Pesaresi; il 5 il MONNIER si impadroniva e saccheggiava barbaramente Macerata; il 6 SCIABOLONE prendeva e incendiava Acquaviva; il 12 luglio i Francesi riprendevano Fano, ma poi dopo tre giorni di lotta, furono costretti, il 28 luglio, a cederla a un corpo di truppe russe, ungheresi, turche e pesaresi, lasciando nelle loro mani millecinquecento prigionieri.

Intanto il La HOZ faceva convergere per diverse vie novemila insorti su Ancona e con duemila uomini si impadroniva poi di Recanati e si congiungeva a Loreto con il VANNI, mentre SCIABOLONE cacciava il nemico da Montegranaro e i russo-turchi occupavano Fiumicino. Ai primi di Agosto ai Francesi, oltre Ancona, non rimanevano che Montesicuro, Osimo, Castelfidardo e Camurano, ma il PINO, il LUVOTTE e il COQUEREL che difendevano queste posizioni, premuti dal La Hoz furono costretti il 6 agosto a ritirarsi alla Montagnola, presso Ancona, e due giorni dopo, sconfitti dal generale cisalpino, dovettero arretrare e rifugiarsi nella città, che fu messa subito sotto assedio.

Le forze del generale MONNIER non erano molte, tremila uomini, ma in compenso la città era munita di tali opere di difesa da potere resistere validamente; artiglierie in buon numero guarnivano il forte dei Cappuccini, e i monti Gardetto e Santo Stefano che dominavano la piazza, erano stati rafforzati con trinceramenti e protetti dalle fortificazione erette sui monti Pelago e Galeazzo; anche il monte a difesa del Molo e del Lazzeretto era stato abbondantemente fortificato.
Il generale La Roz aveva con sé seimila insorti e un migliaio di russo-turchi, ed era coadiuvato dalla flotta del Woinowitsch. Le operazioni di assedio cominciarono dopo la presa della Montagnola e furono condotte con molta energia. Bombardati incessantemente dalle batterie degli assedianti furono il Molo, il Lazzeretto, il Forte dei Cappuccini e i monti Gardetto e Santo Stefano; monte Pelago cadde nelle mani degli insorti, mentre monte Galeazzo, pur assalito due volte, non riuscirono ad espugnarlo.

La resistenza dei Franco-Cisalpini e le fatiche dell'assedio che durava da un mese cominciavano intanto a stancare gli insorti, i quali avrebbero preferito imprese più facili; la severità poi del La Hoz, che esigeva la massima disciplina tanto dai capi quanto dai gregari, era la causa non lieve di malcontento. Il Monnier cercò di trarne profitto per sbarazzarci del La Hoz.
Incominciò ad avvicinare alcuni insorti, e tramò con loro un venale complotto con lo scopo di fare uccidere il generale cisalpino e fare assalire dalle bande i russo-turchi. La trama però non riuscì, perché il La Hoz intercettata una lettera del Monnier diretta al segretario di Sciabolone fece impiccare il destinatario.

Il 29 settembre giunse l'avanguardia dell'esercito del Froelich, composta di millecinquecento Austriaci, sotto il comando del generale SKAL. Il Monnier pensò di rompere il blocco prima che giungesse l'intero esercito austriaco e per il 10 ottobre ordinò una sortita generale. In piena notte, alle due del mattino di quel giorno, i Francesi quatti quatti uscirono dalla città divisi in tre colonne: quella di destra capitanata dal LUCOTTE, quella del centro agli ordini dello stesso MONNIER e quella di sinistra comandata dal PINO. Gli assedianti, sorpresi nel sonno, presi dal panico si sbandarono e i Francesi riuscirono facilmente ad occupare i trinceramenti della prima e della seconda linea.

La fortuna degli insorti fu di avere un uomo e un capo valoroso qual era il La Hoz. Questi, corso subito in aiuto al campo già allo sbando, rianimò con la sua presenza i fuggiaschi, li ricompose come meglio poteva poi li spinse a iniziare la battaglia. Lui stesso a cavallo, in testa a tutti, compiendo prodigi di valore, scacciò il nemico dalla prima trincea e lo respinse sulla seconda.
Aveva davanti a sé la colonna del Pino e poteva - se dobbiamo prestar fede a qualche storico - uccidere lo stesso comandante; ma il ricordo dell'antica amicizia gli trattenne il braccio; ma un granatiere cisalpino che lo aveva riconosciuto e che non aveva i suoi scrupoli, gli sparò a bruciapelo e lo stese al suolo gravemente ferito.

Dicono, ma non è provato, anzi è smentito dai fatti, che il generale Domenico si rifiutasse di abbracciare il La Hoz, che morente gli tendeva le braccia e lo chiamava, dandogli però l'ordine di finirlo. Si sa invece che il ferito fu trasportato nel vicino paese di Varano e lì dopo qualche ora spirò. A battaglia finita ebbe sepoltura a Loreto.
Così morì, a ventisei anni, il La Hoz, "..Giovane e valoroso soldato, - "scrivono il Fiorini e il Lemmi" - combatté per l'indipendenza e cadde per essa in un tempo in cui non era né compresa, né forse desiderata dalla maggior parte dei patrioti. Questi lo giudicarono un traditore e un ambizioso, e lo confusero con i Vanni, i Cellini, gli Sciabolone. In realtà egli rappresenta il sentimento comune dell'indipendenza, che nell'animo di molti incominciava a farsi strada attraverso quella filosofia cosmopolita del secolo XVIII: nel tradurla in azione fu un illuso e andò a gettarsi in mezzo alle "bande", fra i fanatici ignoranti del "Viva Maria!". Ma si poteva fare altrimenti ? La storia deve ricordare il nome di questo precursore del risorgimento e compiangere che troppo presto sia sceso a combattere per una causa che, come non era certamente matura nella coscienza nazionale (e questo lo diceva lo stesso Napoleone, che era un Corso, quindi "italiano come stirpe, fin dal tempo del diluvio universale"), così appare in lui stesso incerta e confusa. Purtroppo all'Italia mancò allora, né forse poteva essere diversamente, un capo illuminato e autorevole che, nelle lotte tra Francia ed Austria, raccogliesse (come in un lontano passato, nella Roma dittatoriale, tuttavia "imperiale") le forze vive di tutta la Penisola, e tentasse di affermare l'indipendenza nazionale…".

In questa battaglia anconetana, i Francesi, vittoriosi sulle prime, furono ricacciati dalla città e l'assedio continuò più energico quando arrivarono gli ottomila Austriaci comandati dal Froelich. Questi come il più elevato in grado di tutti i generali alleati, prese la direzione delle operazioni contro Ancona. Assalti e sortite si avvicendavano e nella seconda quindicina del mese di ottobre i monti Galeazzo e Santo Stefano caddero in mano degli assedianti. Ma il tentativo di espugnare il Gardetto, azzardato il 2 novembre, fallì specialmente per il valore della legione romana del PALOMBINI. In questo combattimento gli alleati ebbero quasi un migliaio di morti.
Oramai la resistenza del Monnier era diventata impossibile. Con la guarnigione decimata, privo quasi di viveri e di munizioni, il generale francese domandò al Froelich di capitolare a condizione che le trattative per la resa si facessero senza l'intervento dei Russi e dei Turchi. Il FROELICH, seguendo le precise istruzioni di Vienna, che voleva impossessarsi di Ancona, accettò e il 13 novembre firmò una convenzione con la quale il presidio francese pur prigioniero di guerra poteva ritornare in Francia, e i repubblicani ribelli erano liberi o di seguirli o rimanere indisturbati nella città.

I punti strategici di Ancona furono subito occupati dalle truppe austriache, e malgrado le proteste e le vivaci opposizioni dei Russi e dei Turchi (il che dopo si ebbe un lungo strascico diplomatico), il 15 novembre i Francesi, sgombrata la città, uscirono dalla fortezza e attraversarono la città portandosi perfino dietro numerosi carri carichi di bottino.

IL CONCLAVE DI VENEZIA - ELEZIONE DI PIO VII

Il FROELICH, occupata AnconA, sciolse le truppe degli insorti, e in tutte le città delle Marche e dell'Umbria, cadute in mano degli Austriaci, istituì governi provvisori, che FURONO messi sotto l'alta direzione del commissario imperiale CAVALLAR.

Diciassette giorni dopo la capitolazione di Ancona e tre mesi dopo la morte di PIO VI, si riuniva a Venezia, nel chiostro di S. Giorgio Maggiore il Conclave per l'elezione del nuovo Pontefice. Il conclave, al quale parteciparono trentasei cardinali e in cui ebbe l'ufficio di segretario Monsignor ERCOLE CONSALVI, fu lungo e laborioso. La fazione austriaca, capitanata dal cardinale HERTZAN, voleva convergere la maggioranza dei voti sul cardinale MATTEI, perché questi, come firmatario del trattato di Tolentino, che cedeva alla Francia le Legazioni, non si sarebbe certamente opposto alle mire che su di esse aveva l'Austria. A sua volta il cardinale MAURY, che rappresentava Luigi XVIII desiderava che venisse eletto un avversario della rivoluzione, mentre la maggioranza dei cardinali italiani voleva che la scelta cadesse su uno dei loro colleghi che non fosse disposto a favorire le mire di FRANCESCO II (che era poi quello che temevano tutte le altre grandi potenze, anche quelle che si erano alleate con l'Austria nella coalizione anti-francese; vedi Russia e Inghilterra).

La lotta s'imperniò su due nomi, su quello del cardinal BELLISONI, che ebbe diciotto suffragi, e su quello del MATTEI che ne riscosse tredici; ma il Sacro Collegio non riuscì ad accordarsi né sull'uno né sull'altro. Si propose allora di eleggere il savoiardo GERDIL, già precettore di CARLO EMANUELE IV, ma l'Austria si dichiarò recisamente contraria all'elezione di un suddito del re di Sardegna (temendo poi favoritismi).
Chi sa quanto tempo ancora sarebbe durato il conclave se il segretario monsignor CONSALVI, d'accordo con il Mattei, non avesse proposto la candidatura del cardinale BARNABA CHIARAMONTI di Cesena, prelato di costumi puri, di indole dolce, di grande dottrina e di vedute molto larghe.
Il Maury e l'Hertzan non si opposero e così il 14 marzo del 1800 dopo tre mesi e mezzo di conclave con trentaquattro voti fu eletto il Chiaramonti che con il nome di PIO VII venne incoronato il giorno 21 dello stesso mese di marzo.

Il 22 maggio i cardinali ALBANI, Della SOMAGLIA e ROVERBELLA si recarono a Roma per prendere possesso della città che FERDINANDO IV (re di Napoli che l'aveva occupata, strappandola ai francesi e ai repubblicani) aveva dichiarato di voler restituire per costringere l'Austria a sgombrare le terre pontificie da essa occupate arbitrariamente; ma questa si rifiutò di consegnare le Legazioni.

L'11 giugno del 1800 PIO VII, imbarcatosi sulla fregata austriaca La Bellona, lasciò Venezia e dopo una tempestosa navigazione prese terra il 17 a Pesaro. Il 3 luglio giungeva a Roma e, ristabilito l'antico regime, emanava, alcuni mesi dopo, un generale perdono alle popolazioni del suo Stato, il quale, come dopo la pace di Tolentino, rimase privo delle Legazioni che, tenute prima dagli Austriaci, furono l'anno successivo di nuovo rioccupate dalla Francia dopo la strepitosa vittoria del Bonaparte a Marengo, che fece mutare nuovamente tutta la politica europea, e in particolare tutta quella italiana; cosicché il tentativo di questi mesi dell'Austria di instaurare una sua egemonia sulla penisola, andò a vuoto, e nuovamente fu ristabilita duramente dai francesi.

Finita del tutto la Repubblica Romana, negli ultimi mesi di questo fatidico anno e nei primi mesi del successivo, dove l'Italia, sta esprimendo tanta volontà di ricrearsi una coscienza nazionale, latente nelle sue storiche radici ma purtroppo "dormiente" e non esente negli spazzi di lucidità e nelle iniziative, da tante contraddizioni, forse dovute proprio a quel lungo sonno di inattività, anche Napoli precipita nel "comune caos" delle incoerenze, come a Venezia prima, in Lombardia poi, e di seguito in Piemonte, in Toscana, nella Liguria, nelle Marche, e come abbiamo qui visto nella stessa Roma una volta "imperiale".


Dobbiamo quindi in questa fine anno ritornare nel regno borbonico,
dopo la partenza dei Francesi, tornare alle gesta del cardinale Ruffo, ai martiri napoletani, e al ritorno della sovranità di Re Ferdinando IV
(che sarà anche questa come gli altri, di brevissima durata)

vedi dunque la "Fine della Repubblica Partenopea"

il periodo appunto dell'anno 1799-1800 > > >

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
+ VARIE OPERE DELLA BIBLIOTECA DELL'AUTORE 
 

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