ANNO 1800

NAPOLEONE - BATTAGLIA DI MONTEBELLO E DI MARENGO


La battaglia di Montebello (9 giugno 1800), alla vigilia di Marengo


I FRANCESI ALLA DESTRA DEL PO - IL MURAT A PIACENZA - BATTAGLIA DI MONTEBELLO -
BATTAGLIA DI MARENGO - MORTE DEL GENERALE DESAIX - LA CONVENZIONE DI ALESSANDRIA



Il generale dell'esercito austriaco MELAS - come il Bonaparte giustamente pensava- non aveva che uno scampo per uscire fuori dalla difficile situazione in cui si trovava: ritirarsi lungo la destra del Po con tutte le sue forze, che, eccettuati i presidi lasciati nelle principali piazze della Liguria e del Piemonte, assommavano ad oltre cinquantamila uomini, e raggiungere Mantova e poi il Veneto.
Poiché, prima di iniziare la marcia di ripiegamento, era necessario concentrare le sue truppe, ordinò a quelle che con il KAIN erano nella valle della Dora Riparia e con l''HADDICK sull'Orco, di riunirsi ad Alessandria, dove comandò di portarsi anche all' ELSNITZ, e ingiunse al maresciallo OTT, al generale GOTTSHEIM e a un piccolo corpo che si trovava in Toscana di dirigersi verso Piacenza, il primo per la Bocchetta e Tortona, il secondo per la via di Bobbio, il terzo per Parma e Fiorenzuola. A Piacenza dovevano pure recarsi, dopo di essersi riunite ad Alessandria, le truppe del Kaim, dell' Haddick e dell'Elsnitz, precedute, prima del loro concentramento, da un corpo di cavalleria comandato dal generale O' REILLY.

Il Melas sperava che tutti questi movimenti sarebbero stati compiuti prima che l'esercito francese passasse sulla destra del Po e gli tagliasse la ritirata. Ma il Bonaparte già fin dal 4 giugno aveva ordinato alla sua avanguardia il passaggio del gran fiume: il Duhesme con la 1a divisione Loison doveva passarlo a Cremona, dopo aver lasciato truppe ad Orzinovi e al blocco di Pizzighettone; il Lannes presso Pavia, di fronte a Stradella; il Murat a Piacenza.
Il 6 giugno il Lannes, giunto tra Belgioioso e S. Cipriano, iniziò il passaggio; il primo ad attraversare il Po con un drappello fu il Watrin, il quale, pervenuto alla sponda destra, dovette sostenere un vivace combattimento con gli Austriaci che, usciti da Alessandria e da Valenza, si dirigevano a Piacenza. Sostenuto dal Lannes, il Watrin respinse il nemico e andò a prender posizione presso la strada Alessandria-Piacenza.

Quel medesimo giorno MURAT tentò di passare il Po a Piacenza, ma ne fu impedito dalla guarnigione della città che prima fece resistenza sul ponte di chiatte, poi tagliò lo stesso ponte e si chiuse nella piazza dove l'indomani mattina giungeva l' O'Reilly con la sua cavalleria. Il Murat ritentò il passaggio il 7 e riuscì a far traghettare presso Nocetto la divisione Baudet, la quale, dopo un vivo combattimento, occupò Piacenza, cacciandone il presidio. L'O'Reilly, non potendo sostenersi, indietreggiò e incalzato per qualche tempo dal Lannes, giunse il giorno 8 a Casteggio.
Giungevano intanto presso Piacenza le truppe provenienti da Parma e la fanteria del Gottsheim, ma, appena preso contatto con il nemico, dovettero ritirarsi precipitosamente, quelle verso Firenzuola, questa su per l'Appennino, verso Tortona.

Il giorno 8 giugno il Duhesme passava il Po a Cremona, il Lannes giungeva sul torrente Scuropasso, oltre Stradella, con seimila uomini, il generale Chambarlhac con quattromila a S. Cipriano. Con l'occupazione di Stradella, avvenuta quel giorno, il piano del Bonaparte, che aveva lo scopo di tagliare al Melas la via di Mantova, era completamente riuscito.

Ora, poiché, essendo caduti in mano del Murat dei dispacci del Melas riguardanti il concentramento delle forze nemiche, si conoscevano le intenzioni degli Austriaci, occorreva assalirli vigorosamente prima che la loro riunione si compisse. Da Milano, dove dirigeva queste prime operazioni di guerra, il Bonaparte, l' 8 giugno, ordinò che le divisioni Watrin, Chambarlhac, Monnier e Gardanne muovessero da Stradella, per Voghera, verso Alessandria, e che le seguissero il Murat con la divisione Baudet e il Duhesme con la divisione Loison. Scopo di tutti questi movimenti era di impedire al maresciallo Ott di avanzare su Piacenza e di sbaragliare le sue truppe.

L'Ott, infatti, partito da Genova dopo la capitolazione, marciava alla volta di Piacenza. Il giorno 7, giunto a Novi, seppe che i Francesi avevano passato il Po e decise di dare loro battaglia. Perso un po' di tempo nel passaggio dello Scrivia ingrossata dalle piogge, arrivò l' 8 a Voghera e il 9 a Casteggio, dove il giorno prima era giunto l'O'Reilly con la sua cavalleria; e, senza indugiare troppo, diede le disposizioni per la battaglia.

Gli Austriaci disponevano di diciottomila uomini; appena tredicimila i Francesi. Gli imperiali oltre che la superiorità numerica avevano anche quella delle artiglierie. La battaglia, ingaggiatasi verso le 11 del mattino del giorno 9, si fece piuttosto vivace. Primo a sostenere l'urto dei Francesi fu l'O'Reilly, il quale, attaccato dal Watrin, fu costretto a ripiegare sino a Rivetta. Allora l' Ott, mandò a Casteggio metà della divisione Schellenberg, e quella del Vogeslang sulle alture a destra, tenendo il resto delle sue truppe di riserva a Montebello.
Gli sforzi maggiori dei Francesi erano diretti contro le alture su cui poggiava la sinistra del nemico e al centro contro Carteggio. Rivetta, difesa dall'O'Reilly fu occupata dal Lannes, ma qui i progressi dei Francesi furono arrestati dal sopraggiungere di sei battaglioni della divisione Vogeslang; anche gli sforzi di impadronirsi di Carteggio riuscirono vani, anzi, contrattaccato dal nemico, ben presto si trovò in una situazione difficile.

La battaglia sembrava perduta per Francesi, quando alle 3 del pomeriggio giunse sul campo, comandata dal Victor, la divisione Chambarlhac. Il generale Rivaud si lanciò contro le truppe del Vogesland, sloggiandole dopo aspra lotta dalle posizioni occupate, e il Watrin si precipitò su Carteggio che prese e riperdette due volte. Avendo l'Ott spinto la sua riserva nella battaglia, questa divenne più furiosa, alimentata anche dall'arrivo di nuove truppe francesi della divisione Gardanne.
Una mossa del Rivaud, che, spintosi su Montebello, minacciava di avvolgere la destra dell'Ott, decise le sorti della battaglia. Gli Austriaci dovettero ritirarsi e a stento l'O'Reilly riuscì a salvarsi da Carteggio. L'Ott, inseguito dai vincitori, ripiegò su Tortona, dove lasciò un migliaio di uomini, quindi si diresse verso S. Giuliano. In questa battaglia che prese il nome di MONTEBELLO del 9 giugno, e dalle 11 della mattina durò fino alle otto della sera, aveva perduto duemila uomini tra morti e feriti, cinquemila prigionieri e sei cannoni, mentre i Francesi non avevano perduto che mezzo migliaio di uomini appena.

Alla sera dopo la battaglia, giungeva a Stradella il Bonaparte; il giorno dopo già cinque divisioni francesi erano concentrate a Carteggio ed una, quella del Lapoype, era a Pavia per costituire il primo ostacolo ad un eventuale movimento del Melas sul Ticino; l' 11 il Bonaparte inviava il Murat a Voghera con la divisione Gardanne e un forte corpo di cavalleria, spediva ordini al Suchet di portarsi, attraverso il passo di Codibona, nella valle della Bormida, e vedeva giungere al suo quartier generale, reduce dall' Egitto, il valorosissimo generale DESAIX.

Poiché del Melas non si avevano notizie, il Bonaparte decise, la sera del 12, di portarsi sulla Scrivia: al Desaix fu dato il comando delle divisioni Boudet e Monnier destinate alla riserva, che presero stanza a Pontecurone; il Victor con le divisioni Gardanne e Chambarlhac si mise in marcia verso Tortona; il Lannes con la divisione Watrin e la brigata Mainoni puntò su Castelnuovo, il quartier generale fu trasferito da Stradella a Voghera; la divisione Lapoype passò sulla destra del Po lasciando la sinistra in custodia al generale Chabran.
Dopo questi movimenti il maresciallo Ott si ritirò oltre la Bormida.

La mattina del 13 giugno, non avendo ancora avuto notizie del Melas, il Bonaparte passò la Scrivia e per diverse strade inviò il Lannes con la divisione Watrin e il Victor con le divisioni Gardanne e Chambarlhac a S. Giuliano perché esplorassero il terreno. I due generali si congiunsero a S. Giuliano senza avere incontrato il nemico, per questo il Bonaparte, convinto che il Melas si ritirasse verso Genova, mandò il Desaix con una delle due divisioni di riserva e quella del Boudet, verso Serravalle per ostacolare la ritirata austriaca, quindi ordinò al Victor di eseguire una ricognizione in forze.
Il Victor, presa con sé la divisione Gardanne, si spinse verso il villaggio di Marengo, che trovò occupato da tremila austriaci comandati dal generale O' Reilly. Questi, attaccati, opposero breve resistenza, poi abbandonarono il villaggio e, inseguiti dai Francesi, si ritirarono verso la Bormida.

La sera del 13 giugno, vigilia della celebre battaglia di Marengo, le truppe francesi erano così dislocate: il Gardanne a Pedrabona, il Victor con lo Chambarlhac a Marengo, il Watrin a S. Giuliano, il Monnier a Torre Garofoli, il Lapoype a Pontecurone, il Desaix in marcia verso Rivalta. La mattina del 14 però il Bonaparte. Temendo sempre che il Melas gli sfuggisse, ordinava al Desaix di portarsi da Rivalta a Novi e al Lapoype di lasciare Pontecurone e ritornare alla sinistra del Po per rinforzare lo Chabran.
Il Melas fin dal giorno 10 si trovava ad Alessandria. Qui seppe della sconfitta di Montebello e subito inviò un messo all'ammiraglio KEITH informandolo che avrebbe dato battaglia al nemico e pregandolo di prepararsi a Genova in cui si sarebbe ritirato se la fortuna non lo avesse favorito.
Il 12 il Melas riunì il consiglio di guerra e fece accettare il suo piano di battaglia che era quello di muovere incontro al nemico. L'esercito austriaco non era superiore per numero a quello francese, ma poteva mettere in campo una fortissima cavalleria e circa duecento bocche da fuoco contro quindici o venti quante erano quelle del Bonaparte.

Alla sera del 13, anche il generalissimo austriaco diede le disposizioni per la battaglia che doveva avvenire il giorno dopo. Un corpo di fanti e cavalli sotto il comando del maresciallo Ott dovevano costituire l'ala sinistra e marciare, per Castelceriolo, verso Sale; il centro, composto delle truppe dei marescialli Raddick, Kaim e Morzin, in tutto ventimila uomini, sotto l'alto comando del Melas, doveva investire Marengo e quindi S. Giuliano, prendere il nemico di fianco e spingerlo verso il Po; l'ala destra, infine, doveva, sotto l'O'Reilly, proteggere la colonna centrale e puntare su Novi, forse per assicurare all'esercito la ritirata su Genova in caso di sconfitta.

All'alba del 14 giugno gli Austriaci cominciarono a passare la Bormida e verso le otto del mattino presero contatto con il nemico. La divisione Gardanne, che era all'avanguardia, impetuosamente investita, fu costretta a ripiegare su Marengo e congiungersi alla divisione Chambarlhac. Le due divisioni, sotto il comando del Victor, erano decise a difendere fino all'ultimo la posizione e potevano arrestare la marcia nemica favorite com'erano dal Fontanone, corso d'acqua largo tre o quattro metri e fiancheggiato d'alberi, che passa davanti a Marengo e sbocca nella Bormida.
Protetto da venticinque pezzi d'artiglieria che fulminavano la sponda opposta, l'Haddick, alla testa della divisione Bellegarde, assalì la fortissima posizione del Fontanone e l'avrebbe superata se il Rivaud, uscito dal villaggio, non avesse ricacciato gli Austriaci ferendo mortalmente lo stesso generale. Allora il Melas mandò contro il Fontanone il Kaim e contemporaneamente ordinò all'O'Reilly di passare più a destra il corso d'acqua e di prendere di fianco i Francesi; ma da un canto le divisioni Gardanne e Chambarlhac sostennero con molta bravura l'attacco frontale del Kaim, dall'altro il generale Kellérmann con la cavalleria francese ributtò gli squadroni austriaci che erano riusciti a guadare il Fontanone.

Deciso a superar l'ostacolo ad ogni costo, il Melas fece tornare le truppe dell'Haddick, del Kaim e dell'O'Reilly, mentre l'Ott con la sua colonna occupava senza resistenza Castelceriolo. La mischia si riaccese furiosissima; protetti dal tiro incessante dell'artiglieria riuscirono a gettare un ponte sul Fontanone e su questo passarono alcuni battaglioni di granatieri comandati dal Lattermann, che si sarebbero impadroniti del villaggio se contro di loro non fosse uscito impetuosamente il Rivaud. Però il valore di questo generale non fu fortunato: stava già per ributtare nel corso d'acqua i granatieri, quando le sue truppe furono fermate dal fuoco micidiale dei cannoni e lui stesso fu colpito da una scheggia; sebbene ferito, si oppose accanitamente ad un contrattacco sferrato dal nemico, ma, dopo una carica furiosa alla baionetta, cadde spossato e dovette farsi trasportare lontano dal campo, lasciando che i granatieri rimanessero padroni del terreno posto tra il corso d'acqua ed il villaggio.

Intanto la divisione Chambarlhac, decimata dall'artiglieria austriaca, cedeva. Fu allora che il Lannes corse in aiuto con la divisione Watrin a sostenere la destra francese, sopraffatta dalle truppe del Kaim, e il suo intervento rialzò da quella parte le sorti dei Francesi. Parve anzi per un momento che questi dovevano avere il sopravvento, e in verità stavano per ricacciare indietro gli Austriaci quando l'Ott, minacciando di avvolgere il Lannes, lo costrinse a rivolgersi contro il nuovo nemico, mentre i granatieri di Lattermann penetravano a Marengo, nonostante l'ostinata difesa del Grardanne.

Alle 11 di quel giorno il Bonaparte era stato informato che tutto l'esercito del Melas aveva passato la Bormida ed assaliva vigorosamente i Francesi. Mandato ordine da Torre Garofoli al Desaix e al Lapoype di tornar subito indietro, si recò prontamente sul campo di battaglia con le truppe di riserva per tentare di rialzar le sorti dei suoi. Accortosi che il punto maggiormente in pericolo del suo schieramento era la destra spinse all'estremo fianco destro del Lannes gli ottocento granatieri della sua terribile Guardia Consolare, che dispostisi in quadrato, sostennero il poderoso urto dei dragoni del Labkowitz; quindi lanciò parte della divisione Monnier su Castelceriolo, che fu riconquistata, e lui stesso con il resto della medesima divisione si pose tra il Lannes e lo Chambarlhac, mentre il capo di stato maggiore Dupont andava a riordinare gli avanzi delle truppe del Victor tormentati dalla cavalleria dell'O'Reilly, ma sostenuti dagli squadroni del Murat.

L'intervento della riserva e la presenza del Bonaparte rianimarono i Francesi piuttosto scoraggiati: il Watrin ricacciò alla baionetta le truppe del Kaim nel Fontanone, il Gardanne cercò di riprendere Marengo, il Lannes, coi suoi, si prodigò per ritogliere al nemico il terreno conquistato; ma tutti gli eroici sforzi dei francesi furono destinati a fallire sotto il tremendo fuoco delle artiglierie avversarie e davanti ad un ultimo, generale assalto degli Austriaci.
La battaglia di Marengo era ormai perduta per i francesi alle ore due di quel pomeriggio e al Bonaparte non rimaneva che di ordinare la ritirata. Si ritirarono in S. Giuliano prima le divisioni Gardanne, e Chambarlhac, poi, sebbene spossate decimate, e senza artiglierie, con ordine e sempre resistendo, quella del Lannes e la Guardia Consolare; invece il Monnier abbandonò, Castelceriolo, ma continuò a tenere la via che conduceva a Sale. Alle cinque la ritirata era compiuta sotto il fuoco tambureggiante dei cannoni austriaci.

Il Melas avrebbe potuto mutare in disastro con un vigoroso inseguimento la ritirata francese; ma anche gli Austriaci erano stanchi dalla lunga battaglia e si temeva forse che sopraggiungesse il corpo del generale Suchet. Il generalissimo, vecchio di settant'anni, che aveva avuto due cavalli uccisi nel combattimento ed era stato leggermente ferito, quando vide il nemico completamente in ritirata, era convinto, a quell'ora poi, che la giornata era ormai finita, lasciò il comando dell'esercito ad un suo luogotenente e si recò ad Alessandria per passarvi la notte, mentre al campo austriaco, buona parte degli uomini, lasciati da parte le armi, iniziarono la festa in una gran confusione come può essere quella della fine di una battaglia vittoriosa.

Melas arrivato ad Alessandria, era così convinto di aver vinto che inviò a Vienna un messo con la notizia della disfatta di Napoleone; "domani gli daremo il colpo di grazia".

Ma anche per Parigi erano già partite le stesse notizie, le ottime spie messe alle calcagne del "dittatore" fecero bene e con tempestività il loro lavoro, cavalcarono tutta la notte e il mattino erano già a Parigi. Il diabolico Fouché (di cui raccontiamo a parte la sua biografia - vedi Rivoluzione Francese) con il suo controspionaggio, riuscì così addirittura il giorno dopo a far arrivare a Napoleone, il "clima" pesante che si respirava a Parigi nei suoi confronti. I suoi nemici non aspettavano altro che una sua disfatta per "liquidarlo".

La lettera che ricevette il giorno dopo, ma dopo però aver vinto la battaglia- era di questo tenore:
"Telleyrand all'ora di pranzo ha adunato i suoi fidi amici per discutere cosa fare qualora a Napoleone tocchi la sorte di esser battuto". Napoleone lo leggerà con un sorriso di scherno, poi con un'amara piega di tristezza sulla sua bocca commenterà  "Questi sono gli amici, questi sono i fidi! Si sono spaventati. La loro preoccupazione è già quella di liberarsi del "tiranno".
Insomma a Parigi
a lo considerano ancora solo un militare, e molti erano già pronti o a pasteggiare sul suo cadavere o a silurarlo.

Forse il destino di Napoleone era unicamente legato a questa battaglia di Marengo.
E a Marengo il suo destino indugiò alcune ore.
Sulla spianata di Marengo, tra gli avviliti francesi e gli esultanti austriaci, in mezzo al campo, trascorsero tanti inavvertibili istanti. La Storia vista da un immaginario spettatore, nell'indugiare sul campo già disseminato di cadaveri, sembrò di proposito volesse ignorare il tempo, che trascurasse lo scorrere dei minuti, come se volesse ritardare a battere la sua "ora storica".

E come nelle cronache dei tempi passati, sul campo di battaglia di Marengo, la Storia che stava già scrivendo la pagina dei posteri, in questi minuti rallentò vistosamente, come se esitasse a proseguire o volesse mutar direzione.
A Marengo il destino ricomparve sul campo di Battaglia quando per Napoleone non c'era quasi più nessuna speranza di modificare la sua vita e nemmeno quella pagina di storia che era quasi già tutta scritta dalla Storia stessa.
Di minuti n'erano passati sessanta, ma allo scoccare dell'ora, la Storia aveva deciso quale direzione prendere: di andare incontro a Napoleone.

Sulla "scena della Storia", sul campo di Marengo, alla 6 di sera, ad andare incontro a Napoleone, giungeva a S. Giuliano il Desaix ripartito da Rivalta dove non è che l'aveva già raggiunto l'ordine del Bonaparte, ma sentendo in lontananza le artiglierie, aveva intuito dove era stata sferrata la battaglia, e già si era organizzato e si era messo in marcia verso Marengo. All'approssimarsi dell'arrivo sui campi di battaglia, la sua prima cura fu quella di coprire con le sue truppe fresche da un eventuale attacco nemico l'esercito che aveva combattuto e perciò mise una parte della divisione Boudet con il generale Musnier, sulla sinistra della via che da S. Giuliano va ad Alessandria e un'altra parte con il generale Guénaud sulla destra; mentre dietro di lui e in direzione di Salè si posero le altre divisioni.

Entusiasta per l'arrivo del Desaix, il Primo Console riunì in consiglio i suoi generali per decidere se della divisione Boudet era meglio servirsi per proteggere la ritirata o per dare inizio con i rinforzi ad una nuova battaglia. Il Desaix desideroso di far scrivere lui alla Storia la fine della pagina di quella giornata, insistette per quest'ultima alternativa. Secondo il Lauriston egli avrebbe detto al Primo Console: "…Generale, le forze dei miei uomini sono fresche, e, se occorre, le lanceremo all'assalto…"; secondo altri avrebbe proferito le famose parole: "…Questa battaglia è completamente perduta; ma noi siamo ancora in tempo per vincerne un'altra…".

Bonaparte, che era dello stesso avviso, deliberò di riprendere l'offensiva nonostante l'ora e, seguito dal suo Stato Maggiore, percorse il fronte delle divisioni schierate, pronunziando parole brevi ed energiche: ""…Abbiamo indietreggiato troppo; ma non dimenticate che io sono abituato a dormire sul campo di battaglia!..".
Era quasi sera, ma tutto era di nuovo pronto e i soldati erano accesi dal desiderio della rivincita. I pezzi d'artiglieria non erano molti, diciotto bocche da fuoco in tutto, ma non erano state di più durante la battaglia. Del resto si contava anche sulla sorpresa del nemico la cui avanguardia, comandata dallo Zach, era in colonna sparsa sulla via che da Marengo conduce a S. Giuliano e mai più pensava il generale austriaco, per l'ora tarda ad un ritorno offensivo dei Francesi.

Senza indugiare, il generale Marmont dispose le sue batterie e cominciò a scompaginare terribilmente la colonna dello Zach; e contemporaneamente fu iniziata la carica; il DESAIX, messosi alla testa delle truppe del Musnier, si lanciò impetuosamente addosso al nemico. Ma il valoroso giovane generale francese (la stessa età di Napoleone, e come lui geniale e impavido) non ebbe la ventura di veder vittoriose le truppe che aveva guidato fino all'insanguinata pianura di Marengo: colpito al cuore da un proiettile, si abbatté al suolo ed ebbe il tempo di pronunziare le seguenti parole: "…Andate a dire al Primo Console che io muoio con il dispiacere di non aver fatto abbastanza per vivere nella memoria dei posteri…" e, come altri affermano, aggiunse queste altre:"…Celate la mia morte, perché le truppe potrebbero scoraggiarsi…".

Ma i soldati avevano visto e invece di perdersi d'animo, bruciati dal desiderio di vendicare il loro capo, si precipitarono con una furia inaudita contro il nemico. I reggimenti austriaci che procedevano in disordine in testa alla colonna, battuti prima dalle artiglierie e urtati poi dall' impeto poderoso dei soldati del Desaig, si sgominarono e fuggirono, scoprendo così pure i granatieri del Lattermann che venivano dietro.
Questi sostennero l'urto con bravura, e da ambo le parti gli uomini si combattevano con ardore senza che gli uni potessero avere il sopravvento sugli altri, quando ecco sopraggiungere da S. Giuliano, quattrocento dragoni francesi comandati dal Kellermann, i quali caricarono violentemente il fianco sinistro della colonna nemica e la tagliarono in due.
Tentarono i granatieri del Lattermann di porre un argine alla furia avversaria, ma furono travolti e lo stesso avvenne dei dragoni del Lichtenstein. Era la rotta: della testa della colonna quelli che non erano morti o fuggiti caddero prigionieri e tra questi ci furono i generali Zach e S. Giuliano; il centro della colonna, urtato anch'esso, si scompigliò e portò il disordine nelle altre truppe austriache che inutilmente in un gran disordine si schieravano a battaglia nel mezzo della pianura. Allora entrarono nell'azione le altre divisioni francesi, la cavalleria di riserva e la Guardia Consolare e l'annientamento dell'esercito imperiale fu completo, totale.

Si tentò qua e là di arrestare la travolgente furia delle truppe repubblicane; qualche reparto si ostinò a resistere in alcuni punti; gli ufficiali cercarono di fermare i fuggiaschi e riordinare i ranghi; ma tutto fu inutile; gli Austriaci non ubbidivano più ai comandi, abbandonavano le armi e fuggivano disordinatamente verso la Bormida. In breve davanti all'inizio del ponte ci fu una ressa così grande che né uomini né cavalli né cannoni riuscirono più a passare; molti si gettarono a nuoto sperando di trovare scampo ma molti di loro furono travolti dalla corrente.

Soltanto la brigata granatieri di Weidenfield, che si trovava in riserva, si mantenne ordinata e riuscì a ritirarsi lentamente verso Marengo, dando tempo all' O'Reilly, che si era inoltrato verso Frugarolo, di ripiegare sulla Bormida e di proteggere alla meglio i fuggiaschi durante il passaggio del fiume. Il generale Ott, che, dopo la ritirata dei Francesi, aveva proseguito la sua avanzata verso Sale, solo sul far della sera si ritirò, rifacendo la via percorsa, su Castelceriolo poi arretrando fino ad Alessandria. Questi due generali avrebbero potuto piombare sui fianchi del nemico e arrestare l'offensiva: non vollero o non furono in grado di farlo, tuttavia con il loro inesplicabile contegno contribuirono alla disfatta.

Verso le undici di sera, gli ultimi squadroni dell'O'Reilly e del Weidenfield passarono sulla sponda opposta della Bormida e tagliarono i ponti. Allora i Francesi rioccuparono le posizioni che tenevano la mattina. Così finì la battaglia di Marengo che schiudeva al Bonaparte la via del trono. Gli Austriaci avevano perduto settemila uomini tra morti e feriti, e avevano lasciato in mano al nemico tremila prigionieri, venticinque cannoni, molte bandiere, grandi scorte di munizioni e numerosi bagagli. Erano stati feriti sei generali: l'Haddick, che di lì a qualche giorno morì, il Lattermann, il Vogelsang, il Bellagarde, il Gottesheim e il Lamarsaille, e trecento ufficiali erano stati messi fuori combattimento.

I Francesi ebbero mille prigionieri e settemila tra morti e feriti; tra questi ultimi ci furono i generali Rivaud, Mainoni, Malker e Champeaug. Ma la perdita più dolorosa fu quella del Desaix, che angosciò per l'intera notte, e amareggiò il trionfo del Bonaparte, il quale più tardi gli fece innalzare un monumento nella cappella dell'Ospizio del Gran S. Bernardo. Il corpo dell'infelice e prode generale fu trovato nudo fra un mucchio di cadaveri, dopo la battaglia, dal suo aiutante di campo Savary, che, riconosciutolo dalla lunga e folta capigliatura, lo raccolse, lo ravvolse nel mantello di un ussero e sul suo cavallo lo portò al quartier generale di Torre Garofoli.
Questa giornata di Marengo, resterà sempre impressa nei ricordi di Napoleone, Las Cases, l'estensore del Memoriale di San'Elena ne dà ampia testimonianza.

La mattina del 15 giugno, il Melas, saputo che i Francesi si preparavano ad attaccare la testa di ponte della Bormida, riunì il consiglio di guerra: qualcuno propose di tornare a dare battaglia al nemico, e si poteva, data la superiorità della cavalleria e dell'artiglieria austriaca; qualche altro propose di varcare il Po a Valenza e di marciare su Milano; qualche altro ancora consigliò di ritirarsi a Genova e difendersi con l'aiuto della flotta inglese o di là passare poi in Toscana; ma prevalse l'avviso di trattare con il Bonaparte.

Due parlamentari, il generale Skal e il conte di Torres, mandati agli avamposti, ottennero un armistizio e chiesero di aprir trattative; la sera il generale Berthier si recò ad Alessandria e comunicò le condizioni che offriva il Primo Consolo; il 16 giugno fu firmata la convenzione per la quale gli Austriaci davano ai Francesi la riviera di Genova, tutto il bacino del Po fino al Chiese a nord e Forte Urbano a sud, e dodici piazzeforti e ottenevano di ritirarsi con i bagagli e le munizioni oltre il Mincio. Così una sola battaglia faceva perdere all'Austria il Piemonte, la Liguria e la Lombardia.

Ma la ripercussione che ebbe questa vittoria sull'intero scenario europeo fu ancora maggiore. E per Napoleone fu il trionfo, si consolidava una leggenda.
Dopo tutti quei rovesci francesi durante la sua assenza, "lui" era tornato dall'Egitto, formato un esercito, sceso in Italia da una via impossibile, e dopo pochi giorni, con una sola battaglia, tornava a far tremare i monarchi di tutte le corti europee.

Ora seguiamo questo trionfo, e andiamo a vedere i nuovi sviluppi...

nel periodo che va da questo 1800 al 1801 > > >

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
+ VARIE OPERE DELLA BIBLIOTECA DELL'AUTORE 
 

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