ANNO 1800 - 1801

NASCE LA REPUBBLICA ITALIANA

NAPOLEONE PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA - COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA - FRANCESCO MELZI - ASSETTO DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA - LUCCA - IL GOVERNO FRANCESE IN TOSCANA - GIOACCHINO MURAT A FIRENZE - LODOVICO DI BORBONE RE D' ETRURIA, SUO GOVERNO, SUA MORTE - BONAPARTE E FERDINANDO IV - MALTA - ROTTURA DELLA PACE DI AMIENS - IL MINISTRO ACTON

COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
LA CONSULTA DI LIONE


La seduta plenaria della Consulta di Lione (dicembre 1801-gennaio 1802) nella quale fu
proclamata la Repubblica Italiana, con Napoleone Bonaparte presidente per dieci anni.

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La pace di LUNEVILLE fu accolta con gioia immensa dai Cisalpini, che si vedevano confermata la loro indipendenza. A Milano, in Duomo fu cantato il Te Deum; più tardi in onore del Bonaparte, Porta Ticinese fu chiamata Porta Marengo; fu stabilita dal governo l'erezione di un foro e un arco trionfale da intitolarsi al Primo Console (l'attuale Foro Bonaparte e Arco della Pace); fu coniata una nuova moneta e fu bandito un concorso con ricchi premi in denaro per un quadro che commemorasse la pace.

Alle feste celebrate per la pace si aggiunsero quelle fatte per l'arrivo dei prigionieri cisalpini reduci dalla Dalmazia e dall'Ungheria. Uno scaglione ne giunse il 12 aprile del 1801 e il governo lo ricevette a Porta Orientale e l'accompagnò al palazzo Clerici dove ebbe luogo un banchetto d'onore; un altro scaglione arrivò il l° agosto ed altri festeggiamenti furono fatti in suo onore.

Il ritorno dei deportati, che erano tutti rivoluzionari intransigenti, fece rialzare il capo a quei giacobini che non vedevano di buon occhio (vi erano certi italiani più francesi dei francesi!) la politica conciliativa del Bonaparte e fu causa di non pochi disordini e di non poche violenze. Chi malediva gli austriaci, chi malediva i francesi, e chi malediva gli uni e gli altri anche quando erano entrambi conciliativi. La povera repubblica cisalpina (fatta da italiani) non aveva ancora trovato la sua pace, e la colpa era un po' di tutti: dei fautori del vecchio regime, dei democratici, dell'occupazione francese ed anche del governo provvisorio, composto -affermavano- di uomini incapaci a tenere le redini dello Stato.

Ma già il Bonaparte pensava a dare un assetto stabile alla Cisalpina, mosso più dagli interessi della Francia e propri che da quelli del popolo (non riportiamo qui una sprezzante opinione, piuttosto pesante, all'indirizzo di alcuni "patrioti") , cui aveva dato la libertà; e quindi per non esasperare gli animi, voleva che si credesse dai cisalpini delle due fazioni e dall' Europa che quanto avrebbe fatto era ciò che desideravano i legittimi rappresentanti della repubblica, e non imposto dalla sua volontà.

Con questo scopo il Bonaparte nel dicembre del 1801 convocò a Lione una Consulta straordinaria di quattrocentocinquanta cisalpini, composta dai membri della Commissione legislativa, dai membri del governo e dai rappresentanti del clero, dei tribunali, delle amministrazioni dipartimentali e comunali, delle università, delle accademie scientifiche, letterarie ed artistiche, delle camere di commercio, della guardia nazionale e dei notabili.

Questa Consulta, dopo avere litigato ma anche oziato per circa un mese, su proposta di un comitato di trenta membri ispirato dal Talleyrand, espresse il voto che il Bonaparte conservasse l'alta direzione della Cisalpina (25 gennaio 1802) fino a quando la repubblica non fosse in grado di assicurare da sé la propria indipendenza, e il giorno dopo NAPOLEONE, presentatosi all'assemblea, tenne un applaudito discorso, in cui, fra le altre cose, disse:

"…Mi avete dati i lumi necessari per eseguire l'augusto incarico che mi imponeva il mio dovere come primo Magistrato del Popolo Francese, e come quelli che più degli altri hanno contribuito alla vostra creazione. Le scelte che feci per occupare le prime magistrature furono indipendenti da ogni spirito di località. In quanto a quella di Presidente non ho trovato fra voi alcuno che avesse un sufficiente diritto alla pubblica opinione, che fosse abbastanza indipendente dallo spirito di località e che avesse reso servigi abbastanza grandi per affidargliela. Le circostanze interne ed esterne della vostra patria mi hanno determinato a aderire al vostro voto, e fino a quando le medesime lo esigeranno avrò gran cura dei vostri affari. Fra le continue mediazioni richieste dal posto in cui mi trovo, tutto ciò che vi sarà relativo e potrà consolidare la vostra esistenza sarà sempre uno degli oggetti più cari del mio cuore. Voi non avete che leggi particolari, mentre vi abbisognano leggi generali, il vostro popolo non ha che costumi locali, e ed è ormai tempo che acquisti costumi nazionali. Non avete armate, e le Potenze che potrebbero diventare vostre nemiche le hanno, e sono molto forti; ma voi avete ciò che può produrle, una popolazione numerosa, campagne fertili, e l'esempio che in tutte le circostanze vi ha dato il primo popolo d'Europa…".

Dopo questo discorso si diede lettura della costituzione della Cisalpina che gli fu dato il nuovo nome di REPUBBLICA ITALIANA (cancellò personalmente Napoleone il nome Cisalpina); poi fu proclamata la prima legge organica sul clero, con la quale i vescovi venivano nominati dal governo e ricevevano l'istituzione canonica dal Pontefice, i parroci erano eletti dai vescovi e gli uni e gli altri avevano dalla repubblica un assegno conveniente; infine furono lette le liste di coloro che erano destinati a ricoprire pubblici uffici e fu nominato vice-PRESIDENTE FRANCESCO MELZI.
Melzi fece il suo solenne ingresso a Milano il 9 febbraio del 1802; l'inaugurazione del nuovo governo ebbe luogo il 14 alla presenza del generale Murat che aveva il comando dell'esercito d'Italia e il giorno dopo fu pubblicata, insieme con un proclama del Melzi, la NUOVA COSTITUZIONE.
Seguirono feste d'armi e feste di cittadini.

(vedi poi nel prossimo capitolo la biografia del MELZI)

La Nuova Costituzione dichiarava come religione dello Stato il Cattolicesimo, ma permetteva che si professassero gli altri culti. Era riconosciuta la sovranità popolare, la quale era esercitata per mezzo di tre collegi elettorali: quello dei Possidenti, costituito da trecento persone, scelte in ragione di ogni trentamila abitanti fra i proprietari fondiari con almeno seimila franchi di rendita, quello dei Dotti e quello dei Commercianti, composti ciascuno di duecento membri. I collegi dovevano riunirsi una volta ogni due anni e durare non più di quindici giorni: i Possidenti a Milano, i Dotti a Bologna e i Commercianti a Brescia; ed eleggevano dal loro seno una commissione di ventuno membri detta "Censura", residente a Cremona, la quale giudicava, dietro invito del governo, sulle accuse di violata costituzione e di prevaricazione; aveva facoltà di sospendere per quattro anni i funzionari e su liste presentate dai collegi elettorali eleggeva i membri della Consulta, del Corpo Legislativo, dei tribunali di Cassazione e di Revisione e del Commissariato di contabilità.

La Consulta era costituita da otto membri, di cui uno fungeva da ministro degli esteri, e doveva provvedere alla salute dello Stato, proporre le riforme costituzionali, e nominare i giudici e i successori del Presidente. Il Corpo Legislativo constava di settantacinque membri, approvava le leggi e votava i bilanci. Il potere esecutivo era affidato al Presidente, al Vicepresidente, ad un Consiglio legislativo e ai Ministri. Il Presidente, che durava in carica dieci anni ed era rieleggibile, nominava il Vicepresidente, aveva l'iniziativa delle leggi e dei negozi diplomatici, sceglieva i ministri, gli agenti civili e diplomatici e i capi dell'esercito, convocava i Collegi e il Corpo Legislativo e presentava i bilanci, che dovevano essere pubblicati ogni anno, dopo il controllo del Commissariato di Contabilità. Il Consiglio legislativo, di dieci membri, preparava i disegni di legge e li sosteneva di fronte al Corpo Legislativo d'accordo o in contraddittorio con gli Oratori, scelti in seno al medesimo Corpo Legislativo, che esprimeva a scrutinio segreto il suo voto.

La giustizia era affidata a quindici conciliatori, a tribunali di Prima Istanza, a tribunali d'Appello, a due tribunali di Revisione e ad uno di Cassazione.
Infine la costituzione trattava delle disposizioni generali: tutti i cittadini erano uguali di fronte alla legge; era abolito qualsiasi privilegio; vi era uniformità di pesi, misure e monete; libera era l'industria nei limiti fissati dallo Stato; erano riconosciuti tutti i debiti e i crediti delle antiche province; venivano garantiti i possessori di beni nazionali; veniva fondato un istituto nazionale di scienze ed arti ed era riconfermata la bandiera nazionale bianca, rossa e verde.

Da quel che abbiamo letto sopra si nota come ogni autorità era nelle mani del Presidente e perciò in quelle del Melzi, che era uomo di fiducia del Bonaparte. Ma il Melzi non usò quest'autorità per servire soltanto il Primo Console; egli era veramente un galantuomo ed un sincero patriota e dedicò tutta la sua attività, spesso contrastata proprio da quelli che avrebbero dovuto essere i suoi collaboratori; la dedicò al benessere materiale e morale della repubblica, scegliendo con scrupolo i funzionari, dando sesto all'amministrazione, promuovendo gli studi con istituzione di scuole, premi e incoraggiamenti, curando la formazione d'un esercito nazionale e, specialmente, impegnandosi con tutta l'anima affinché si formasse una coscienza nazionale, senza la quale un popolo non può difendere la sua indipendenza e non può acquistar forza o grandezza.

ASSETTO DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA - LUCCA

Riordinata la Cisalpina, il Bonaparte procurò di dare uno stabile assetto anche al Piemonte e alla Liguria. Il Piemonte si trovava sotto l'occupazione francese e, come altrove, gravava moltissimo, dovendo la regione provvedere al mantenimento e all'approvvigionamento delle piazzeforti e pagare mensilmente due milioni e mezzo di lire oltre una contribuzione straordinaria di un milione. Più che sostenute furono le lagnanze della Commissione di governo, ma la Francia non aveva voluto sentir parlare di alleviare i pesi, la Commissione si era poi dimessa ed era stata subito sostituita da una Commissione Esecutiva che fu comunemente chiamata il "triunvirato dei tre Carli", dai nomi dei componenti che erano CARLO BOTTA, CARLO BOSSI, CARLO GIULIO.

Tristi erano le condizioni del Piemonte anche perché si era deprezzata molto la moneta, scaduto era il credito, e varie contribuzioni e tasse e compere forzate erano state imposte. A ciò si aggiungano le solite prepotenze e ladrocini francesi, le numerose bande di briganti che scorrazzavano in tutta la regione, l'insurrezione scoppiata in varie località delle province d'Aosta e d' Ivrea e il malcontento suscitato dall'annessione alla Cisalpina del territorio compreso tra la Sesia e il Ticino (7 settembre 1800) e dal decreto dell'aprile 1801 che faceva del Piemonte una divisione militare francese, con quartier generale a Torino, suddivisa in sei prefetture (dell' Eridano, del Tanaro, di Marengo, della Sesia, della Dora, della Stura) comandate ciascuna da un generale di brigata.

Due erano i partiti che allora esistevano in Piemonte: quello dei realisti e quello dei repubblicani. Moltissimi erano i primi; pochi i secondi e per giunta anche in contrasto, perché una minima parte voleva che il Piemonte fosse annesso alla Francia, altri volevano che diventasse una repubblica indipendente, altri ancora che si confederasse con la Cisalpina e la Repubblica Ligure; ma nessuno sapeva quale sorte era riservata al Piemonte e questo costituiva un'altra causa di disagio e di malcontento.

Si seppe qualche cosa delle intenzioni del Bonaparte nell'estate del 1802. Il 29 giugno di Napoleone promulgava una generale amnistia nei sei dipartimenti piemontesi e dava due mesi di tempo agli assenti per ritornare e giurare fedeltà alla costituzione francese, facendo capire chiaramente di volere annettere il Piemonte alla Francia. La proclamazione dell'annessione non tardò molto a venire: essa fu deliberata L'11 SETTEMBRE e allora il Primo Console pose mano al riassetto della regione, che fu sottoposta alle leggi francesi.

Il 30 ottobre 1802 lo JOURDAN fu sostituito nella carica di "Governatore Generale" dal MENOU e in quello stesso mese il Bonaparte - che invano qualche mese prima aveva tentato, per mezzo dell'ambasciatore Cacault, di far partire da Roma, dove risiedeva, VITTORIO EMANUELE, per farlo andare in Sardegna, dove in qualità di viceré governava CARLO FELICE - entrò in trattative con l'Inghilterra e con la Russia per compensare il Re di Sardegna della perdita del Piemonte.

Le trattative durarono fino al luglio del 1803 ma non ebbero alcun risultato perché al disegno di cedere al Re Piombino, i Presidii e il Senese, si oppose la Spagna; mentre l'altro disegno di dargli Lucca e Massa fu rifiutato dallo stesso Vittorio Emanuele il quale pretendeva anche Parma, Piacenza, la Lunigiana, il golfo della Spezia e la riviera di Levante sino a Sestri e non voleva rinunziare formalmente al Piemonte.

Ma il Piemonte fu annesso alla Francia; libera rimase la Repubblica Ligure; libera solo di nome perché di fatto restò sottomessa alla volontà del Primo Console, che la ingrandì prima con Oneglia e Loano, poi con Serravalle e Carrosio e le diede una costituzione molto simile a quella della Cisalpina.
La sovranità popolare era esercitata da tre grandi collegi elettorali, quello dei possidenti, quello dei mercanti e quello dei dotti. Si radunavano a Savona, a Genova e a Chiavari ed eleggevano un Senato di trenta membri, il quale proponeva le leggi alla Consulta e sceglieva fra tre candidati eletti dai Collegi un doge. Questo non aveva alcuna autorità, rimaneva in carica sei anni e presiedeva il Senato, al quale spettava il potere esecutivo. La Consulta si componeva di settantadue possidenti con almeno trentamila lire di rendite ed era eletta dalle consulte giurisdizionali; i collegi elettorali ogni due anni nominavano una Commissione di censura, che rimaneva in ufficio soli quindici giorni ed era composta di sette membri. Il Senato si divideva in cinque magistrature: Giustizia, Interno, Guerra e Marina, Finanze e Magistrato Supremo. Quest'ultimo era composto del Doge, dei presidenti delle altre quattro magistrature e di quattro senatori.

Il primo doge, GIROLAMO DURAZZO, fu scelto dal Primo Console. La repubblica fu divisa in sei giurisdizioni (Centro, Lemmo, Ulivi, Colombo Entella e Golfo di Venere) e in quarantasette cantoni. La nuova costituzione fu inaugurata il 3 luglio 1802 da CRISTOFORO SALICETI, che istallò anche il nuovo governo.
Fu lo stesso Saliceti che, il 3 gennaio 1802, inaugurò la nuova costituzione di Lucca, che dava il potere legislativo a un Gran Consiglio di trecento membri (duecento possidenti e cento fra mercanti, letterati ed artisti) e il potere esecutivo a dodici Anziani, i quali dovevano proporre le leggi, regolare l'amministrazione interna, dirigere le relazioni estere e, insieme coi membri di quattro magistrature, formavano un Consiglio amministrativo, incaricato di controllare tutti gli affari della Repubblica, il cui territorio era diviso in tre circondari (del Serchio, del Litorale e degli Appennini). Il Saliceti rimase a Lucca sei mesi e in questo tempo fece utilissime riforme, soppresse tutti i privilegi ecclesiastici e le esenzioni di cui godevano cittadini e comunità e riordinò gli studi creando una specie di università, destinata a fornire ai giovani l'abilitazione all'esercizio delle professioni liberali.

GOVERNO FRANCESE DELLA TOSCANA
LODOVICO DI BORBONE RE DELL'ETRURIA
SUO GOVERNO E SUA MORTE - REGGENZA DI MARIA LUISA

Abbiamo detto più su che il 15 ottobre del 1800 il generale DUPONT entrava a Firenze, da dove la reggenza granducale era fuggita pochi giorni prima, dopo aver nascosto nel convento dei Servi le carte relative ai processi politici ed affidato il governo a GIUSEPPE FRANCESCO PIERALLINI, ad ANTONIO CERCIGNANI, a BERNARDO LESSI e a GIULIO PIOMBANTI.
Il Dupont rimase poco in Toscana perché, richiamato dal generale Brune, dovette andare ad assumere il comando del centro dell'esercito francese sul Mincio e non riuscì perciò a pacificare la regione, infestata da bande di malviventi, né riuscì a disarmare, come si era proposto, la popolazione. Del resto, in verità egli si curò poco dell'ordine pubblico e dedicò quasi tutta la sua attività a raccogliere denaro per le sue truppe mettendo in piedi una commissione di cinque membri, che avevano il compito di sequestrare i beni dei sudditi napoletani e inglesi

Al Dupont successe il generale MIOLLIS, il quale prima sciolse la commissione granducale, lasciata quasi intatta dal suo predecessore, e la sostituì con un Triumvirato formato da FRANCESCO CHIARENTI, ENRICO POMELLI e GIOVANNI DE GHORES, poi cercò di liberare la Toscana dai malviventi e ribelli, istituendo una commissione militare che doveva giudicare e punire con la morte tutti coloro che commettevano assassini e mostravano "disposizioni a una rivolta". Ma neppure lui riuscì a restaurare l'ordine e la sicurezza anche perché dovette rifugiarsi con il governo a Pisa, quando le truppe del re di Napoli entrarono in Toscana e in seguito dovette pensare a scacciarle con una spedizione in cui, come abbiamo detto, si distinse il generale Pino.

A sostituire il MIOLLIS e a comandare il corpo francese delle operazione nel Mezzogiorno fu nel gennaio del 1801 il generale MURAT, che fece il suo ingresso a Firenze il 19, e un mese dopo firmava a Foligno la tregua con Ferdinando IV di Napoli. Il MURAT, pur sapendo di non dover rimanere molto tempo nella Toscana, che per il trattato di Luneville doveva essere assegnata all' Infante duca di Parma, si diede molte arie da sovrano, pubblicò una generale amnistia, fece bruciare le carte dei processi che erano state ritrovate, ordinò che la stessa cosa dovevano farlo tutti i Tribunali dello Stato e sostituì il Triumvirato con la Commissione che il Miollis aveva deposta.

Murat aveva ricevuto ordine dal cognato Bonaparte di preparare il terreno al nuovo sovrano, cattivandogli prima ancor che giungesse, la simpatia dei sudditi e siccome questi nella gran maggioranza erano favorevoli al vecchio regime, il Murat aveva procurato in tutti i modi di renderseli amici con il favorirli, con il mettere le redini del governo in mano ad uomini noti per la loro fede granducale e con il fare buon viso al clero.

Il nuovo sovrano avrebbe dovuto essere l'infante FERDINANDO di PARMA, il quale in virtù del trattato di Sant' Idelfonso doveva cedere il ducato alla Francia e ricevere in compenso la Toscana col titolo regio; ma, essendosi il duca rifiutato di rinunziare alla sovranità di Parma, la Francia e la Spagna, con il TRATTATO di ARANJUEZ (marzo 1801) convennero di dare il regno di Toscana, che poi fu detto di ETRURIA, al figlio di lui LODOVICO, il quale aveva ventotto anni, da sei era sposo di MARIA LUISA, figlia di Carlo IV di Spagna, e dal 1799 era padre di Carlo Lodovico. Quando seppe che gli era stato assegnato il regno di Toscana, Lodovico si trovava in Spagna. Con la famiglia si mise in viaggio per la Francia, giunse a Parigi il 21 maggio del 1801, scortato da uno squadrone di usseri francesi al comando di LUIGI BONAPARTE.

Dopo una quarantina di giorni di sosta in Francia partì per l'Italia, accompagnato dal generale Grouchy. Il 12 luglio era a Torino; il 17 a Parma, dove fu ricevuto da due deputati toscani e andò ad ossequiarlo il Murat. Da Parma LODOVICO I mandò a Firenze il conte CESARE VENTURA perché in nome del sovrano prendesse possesso del regno e il formale giuramento di fedeltà del senato e dei funzionari dello Stato. La cerimonia ebbe luogo il 3 agosto, nel salone dei Cinquecento, alla presenza di GIOACCHINO e CAROLINA MURAT, del ministro francese CACAULT, dell'arcivescovo MARTINI, dell'inviato pontificio mons. CALEPPI e da un numeroso stuolo di altri alti personaggi. Sette giorni dopo giungevano i sovrani, accolti da salve di artiglieria, dal suono delle campane e dagli applausi della folla, e andavano ad abitare in Palazzo Pitti.

Preso possesso del regno Lodovico I concesse un'amnistia, richiamò alle armi i vecchi soldati ed aprì un'inchiesta sulle malversazioni commesse durante i passati sconvolgimenti. Dato che non gli mancava intelligenza e bontà, avrebbe voluto risanare le piaghe che affiggevano il suo regno, restaurare la finanza, provvedere all'agricoltura, riattivare i commerci, curare l'istruzione; ma non seppe circondarsi né di persone abili né tanto meno attive e nulla fu fatto che potesse far rifiorire lo Stato.
Anzi, finanziariamente le condizioni del regno si aggravarono, sia per le spese che dovettero essere sostenute durante l'assedio di Portoferraio (che, difesa dal colonnello granducale Carlo De Fisson con l'aiuto dei Napoletani e degli Inglesi, resistette fino alla pace di Amiens) sia per l'inopportuna generosità del sovrano, che colmava di doni le chiese, faceva frequenti largizioni al popolo e creava nuovi impieghi civili e militari.
Inoltre, religioso com'era, si lasciò a poco a poco dominare dal clero, che il 15 aprile del 1802 lo indusse a pubblicare un decreto in cui si ordinava che tutti gli ordini regolari tornassero all'obbedienza dei loro generali e della Santa Sede e si stabiliva che i vescovi fossero liberi nella scelta dei predicatori e nell'amministrazione dei sacramenti e della parola divina e potessero pubblicare le pastorali senza alcuna revisione; che i beni ecclesiastici fossero inalienabili e i cittadini liberi di comunicare con il Pontefice sia per le dispense ecclesiastiche che per le materie spirituali; che le cancellerie vescovili potessero compiere tutti gli atti necessari nelle cause concernenti il matrimonio, il regolamento e la disciplina delle sacre funzioni e dei riti e la correzione del clero; che i luoghi pii e i monasteri fossero sottomessi ai vescovi in materia spirituale e che riguardo al temporale, si agisse con il consenso dell'autorità ecclesiastica, che doveva esser libera nel conferimento degli ordini e nelle dispense matrimoniali e doveva esercitare il diritto di censura sulla stampa.

Con questo decreto che non poteva meravigliare se emanato un secolo prima, LODOVICO rimetteva la Toscana sotto la schiavitù ecclesiastica cui il granduca LEOPOLDO l'aveva sottratta, suscitando, le proteste del ministro francese CLARKE, della corte di Madrid, ma anche dei toscani che si ritrovarono ad essere ributtati indietro al medioevo. Ovviamente s'iniziò a borbottare sempre in modo più rumoroso e pericoloso. Accortosi pertanto dell'errore, il sovrano creò, una ventina di giorni dopo, una Giunta per correre ai ripari e risolvere le difficoltà sorte in seguito a questo editto del 15 aprile, e "…per ridefinire tutti i punti concernenti le materie ecclesiastiche, affinché rimanesse stabilito senza "equivoco" ciò che doveva appartenere all'autorità della Chiesa, e nello stesso tempo considerava salvi i diritti regali affidati ai sovrani dal sommo Iddio, per il bene e la gloria dei popoli". Che rendeva detto così ancora più equivoco le cose, e non accontentava nessuno, né il clero né i sudditi.

Nel settembre del 1802 Lodovico I si recò in Spagna con la moglie per assistere al matrimonio della cognata Maria Isabella con il principe ereditario di Napoli, e a quello del cognato principe delle Asturie con Maria Antonietta, figlia di Ferdinando IV. Mentre, malaticcio, si trovava alla corte del suocero, gli giunse la notizia della morte del padre, Ferdinando di Parma, avvenuta a Fontevivo il 9 ottobre del 1802.

Il 22 ottobre dopo una reggenza di pochi giorni, la duchessa MARIA AMALIA partiva per Praga, e il 1° novembre le truppe francesi comandate dal generale Broussier entravano a Parma, che, secondo gli accordi di Aranjuez e di Luneville, cadeva nelle mani della Francia.
LODOVICO I sopravvisse al padre poco più di sette mesi. Il 17 gennaio ritornò a Firenze, in pietose condizioni di salute; il 25 maggio, appena trentenne, sentendosi vicino a morte, dettò il suo testamento lasciando il trono al figlioletto Carlo Lodovico II (1799-1883) e affidando la reggenza alla moglie Maria Luisa. Il 27 dello stesso mese spirò e quel giorno medesimo il piccolo erede fu proclamato re d' Etruria sotto la reggenza della madre, la vedova Maria Luisa.

RAPPORTI DELLA FRANCIA CON IL REGNO DI NAPOLI
LA QUESTIONE DI MALTA
ROTTURA DELLA PACE DI AMIENS
PREPARATIVI DI GUERRA

Dopo la battaglia Marengo NAPOLEONE, se avesse voluto, avrebbe potuto facilmente cacciare da Napoli i Borboni; ma avrebbe urtato la Russia con la quale invece stava avviando trattative per una pace nella speranza anche di concludere una lega difensiva. Per lo stesso motivo non condusse fino in fondo la spedizione capitanata dal MURAT e, accogliendo la mediazione del generale russo LEWACHOFF inviato dallo Zar, concesse l' ARMISTIZIO DI FOLIGNO.

La sua politica nei riguardi del Regno di Napoli oramai non era più quella, di una volta; a resuscitare la REPUBBLICA PARTENOPEA non ci pensava, come non pensava a far tornare in vita la REPUBBLICA ROMANA; Napoleone aveva bisogno di amici e di alleati e per la sua politica mediterranea, e oltre l'amicizia della Spagna, del regno d' Etruria e della Russia, gli era necessaria quella di FERDINANDO IV, che voleva sottrarre all' influenza inglese.

Seguendo quest'indirizzo politico, il Bonaparte fece di tutto per migliorare i suoi rapporti con la corte di Napoli ed attirarla nell'orbita della Francia. Difatti ordinò ai generali SOULT e MATHIEU, che dopo la pace di Firenze, presidiarono la Puglia e la provincia di Pescara, di rispettare gli abitanti, di stringere cordiali relazioni con le autorità locali e di non favorire, anzi denunciare gli intrighi dei patrioti; ritirò dal regno dopo la pace di Amiens il corpo di occupazione e restituì puntualmente le tre navi date alla Francia nel 1801 da Re di Napoli.

FERDINANDO non desiderava, dal canto suo, che di poter vivere in pace con la Francia, sia per sollevare le condizioni economiche del regno, davvero disastrose, sia per poter sorvegliare con più agio il contegno dei "repubblicani patrioti" che, sdegnati della politica di NAPOLEONE (non andava bene nemmeno qui, come a Milano, la sua opera di moderazione e pacificazione, poi dissero che era un tiranno), si davano da fare per preparare una generale rivoluzione in Italia, e sia ancora per dedicarsi alla politica di riavvicinamento alla Spagna, che a un certo punto sembrava trionfare con il duplice matrimonio da noi accennato, il quale fu concluso nell'agosto del 1802 due mesi dopo il suo trionfale ritorno a Napoli.

Malgrado questo suo desiderio di pace con Napoleone, Ferdinando IV non poteva fare una politica contraria all' Inghilterra che - con la sua consistente e temibile flotta con il NELSON - era padrona del Mediterraneo. Mantenne perciò relazioni cordialissime, e facendo buon viso all'ambasciatore francese ALQUIER e agli ambasciatori inglesi DRUMMONS ed ELLIOT, cercò di fare "equilibrismo" tra le due potenze rivali sebbene il suo vecchio ministro ACTON lo sospingesse, come in precedenza, verso l'Inghilterra.
Ma rapporti tra la Francia e la Gran Bretagna intanto andavano facendosi sempre più tesi e possiamo immaginare in che ansia vivesse FERDINANDO IV, la cui tranquillità era strettamente subordinata alla pace fra quelle due potenze. E questa pace non poteva avere lunga durata, quella di Amiens anzi più che una pace poteva dirsi solo una tregua, e che prima o poi era destinata a rompersi.

Questo perché l'Inghilterra era stata costretta a farla quella pace perché spinta dal bisogno di trovare, con il ristabilimento di relazioni commerciali, sbocchi indispensabili ai suoi prodotti industriali sovreccedenti, gli industriali premevano su questo fatto, e con la Francia volevano fare affari e, infatti, già li stavano facendo in questo periodo, anche se non ufficialmente, con più di un francese, che a sua volta guardava solo ai lucrosi affari e non alla politica del Primo Console.
Infatti, il Bonaparte, si era rifiutato di concordare qualsiasi trattato commerciale ufficiale, ed aveva instaurata una politica che mirava ad escludere dal territorio della Francia e da quello dei paesi protetti e alleati, tutti i prodotti inglesi. Non riuscendo a piegarla con le armi, e messa da parte le invasioni, puntava (ma s'illudeva) alla sua distruzione economica, isolandola dal resto dell'Europa. A sua volta i politici inglesi, non avendo fatto conseguire all'Inghilterra ciò che si ripromettevano di ottenere, la pace di Amiens non aveva ragione di continuare. Pretesti per romperla era facile trovarne: bastava, ad esempio, non rispettare qualche clausola del trattato. Una delle condizioni della pace di Amiens era la restituzione di Malta ai cavalieri gerosolimitani. L'isola però doveva essere occupata da duemila uomini del re di Napoli fino all'elezione del nuovo Gran Maestro, e l'Ordine non avesse organizzato forze sufficienti per difenderla.

I duemila Napoletani, comandati dal principe di Pantelleria, sbarcarono nell' isola soltanto ai primi del settembre 1802, ma il commissario inglese BALL, dietro ordine del ministro ADDINGTON, dichiarò che se ne sarebbe andato solo quando fosse giunto il Gran Maestro, che però non era stato ancora eletto. Soltanto il 10 febbraio del 1803 il Papa: nominò Gran Maestro il toscano TOMASI, che si affrettò ad inviare in Malta il BUZY per annunciare il suo prossimo arrivo e invitare la guarnigione inglese a sgombrare; ma il Ball gli fece sapere che non si sasarebbe allontanato. Trattative corsero tra il Bonaparte e l'Inghilterra per risolvere la questione di Malta, ma non si giunse ad un accordo: il 12 maggio l'ambasciatore britannico lasciò Parigi e un mese dopo a Malta fu pubblicato l'annuncio ufficiale della guerra.

Il Primo Console, che, prevedendo la rottura della pace di Amiens, si era già preparato alla guerra, facendo fortificare tutti i porti e preparando un'armata per invadere l'Inghilterra, scoppiate le ostilità protestò presso lo Zar e il Re di Prussia accusando di mala fede la Gran Bretagna, ordinò al generale MORTIER di occupare l'Hannover e invitò il Portogallo a chiudere i suoi porti alle navi inglesi secondo la convenzione del 9 settembre 1801; quindi fece sapere al debole e ambiguo FERDINANDO IV che avrebbe occupato le province napoletane già presidiate dalle truppe del SOULT.

Il Re di Napoli, con la solita opportunistica ambiguità, che voleva mantenersi neutrale, scongiurò il Bonaparte di non occupare i porti del regno; ma il Primo Console non si lasciò commuovere né convincere dalle preghiere e dai ragionamenti di Ferdinando, però, affinché l'occupazione non pesasse troppo sulle finanze del re, concesse che soltanto le spese per gli alloggiamenti, per i viveri e pei foraggi fossero a carico del governo borbonico. Ferdinando alla fine dovette rassegnarsi e nel giugno del 1803 il generale GOUVION SAINT-CYR, con quindicimila uomini, di cui più della metà erano italiani, muovendo da Cesena e Faenza occupò i porti dell'Abruzzo e della Puglia.

Malgrado la presenza delle truppe francesi nel regno, le relazioni tra i due stati si mantennero per qualche tempo buone e più di una volta il governo napoletano ricevette segnalazioni dallo stesso ambasciatore francese BALL ALQUIER di trame che ordivano i patrioti contro la monarchia; ma questi buoni rapporti non potevano durare a lungo.

Temendo che i Francesi volessero marciare su Napoli e spingersi fino in Sicilia, Ferdinando IV, nel luglio del 1803, sgusciò nelle pieghe della politica effettiva che era alla luce del sole, e concluse con Londra una convenzione segreta con la quale si stabiliva che in caso di bisogno gli Inglesi dovevano occupare Messina, e provvide d'accordo con il Nelson a fortificare questa città e nel settembre vi trasferì da Malta i duemila uomini del principe di Pantelleria; inoltre, con il pretesto di difendere le coste da possibili incursioni barbaresche (che non esistevano, salvo qualche isolato delinquente) cominciò ad armare i Calabresi e cercò di provocare dissensi fra gli Italiani e i Francesi del corpo del Saint-Cyr.

Dal canto loro i Francesi, ignorando le disposizioni di Napoleone, contribuivano con il loro contegno a turbare le relazioni franco-napoletane: difatti, non contenti degli alloggi che erano stati loro forniti, con la solita arroganza di alcuni ufficiali, occupavano case private e conventi; imponevano tasse arbitrarie alle imbarcazioni che entravano nei porti o ne uscivano, arruolavano i più accesi italiani repubblicani del paese e si servivano di loro per eccitare alla diserzione i soldati regi.

Reciproche lagnanze furono fatte, che erano la prova più evidente della tensione dei rapporti tra i due Stati; alla fine, nel maggio del 1804, l'ambasciatore francese ALQUIER, al quale -malgrado tanti segreti- gli era ben noto che gli Inglesi arruolavano uomini in Sicilia con il consenso del governo napoletano, né gli erano sconosciuti i pretestuosi preparativi di guerra del Regno e i sentimenti antifrancesi di alcuni gruppi di Napoletani che ad ogni arrivo di navi inglesi nelle acque della capitale scendevano al porto a fare palesi dimostrazioni di gioia, persuaso che l' ispiratore della politica filobritannica della Corte fosse l'ACTON, dichiarò a Ferdinando che avrebbe troncati i rapporti con quel ministro e lo costrinse a licenziarlo e a sostituirlo con il MICHEROUX.
L'ACTON, cui il sovrano diede il ricco ducato di Modica e una lauta pensione, si trasferì in Sicilia, ma anche dall'isola, continuò a dirigere l'ostile politica antifrancese di Napoli.

Lasciamo gli intrighi e le tensioni del Sud Italia,
che riprenderemo alla successiva puntata del 1805,
e torniamo a Napoleone che diventa imperatore dei Francesi, e Re d'Italia.

E' il periodo degli anni che vanno dal 1804 al 1805 > > >

ma prima facciamo una pausa con due personaggi italiani di questo periodo
FRANCESCO MELZI D'ERIL e DOMENICO PINo > >


Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
+ VARIE OPERE DELLA BIBLIOTECA DELL'AUTORE 
 

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