ANNO 1848

ATTO IV - LE RIVOLUZIONI NEI PICCOLI STATI

L'INSURREZIONE NELLE ALTRE CITTÀ DELLA LOMBARDIA - LA COSTITUZIONE A PARMA: CARLO II ABBANDONA IL DUCATO - FRANCESCO V PARTE DA MODENA - IL PROCLAMA DEL GOVERNO PROVVISORIO DI MODENA E REGGIO
LEOPOLDO II AGGREGA ALCUNE CITTA' ALLA TOSCANA CON UN NUOVO PRINCIPIO PER I POPOLI


Anche i preti all'inizio si schierarono contro i "nemici" senza però nominare l'Austria.
Qui a Bologna, sui gradini di San Petronio, Padre Ugo Bassi predica la guerra di indipendenza nazionale

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L'INSURREZIONE NELLE ALTRE CITTÁ DELLA LOMBARDIA


La scintilla, scoppiata a Milano all'inizio delle cinque giornate, propagò rapidamente l'incendio nella Lombardia, nel Trentino e nei ducati. A Como il popolo insorse il giorno 18 e dopo tre di battaglie costrinse il presidio austriaco, che era di millecinquecento uomini, ad arrendersi.
A Bergamo, l'arciduca SIGISMONDO, figlio del viceré, ai primi tumulti popolari concesse la guardia civica allo scopo di guadagnar tempo e potersi quindi con le truppe che comandava gettarsi su Milano in soccorso del Radetzky.
Ma quando, di notte, si mise in marcia con i suoi, fu costretto dagli abitanti del borgo di Sant'Antonio a rifugiarsi nella caserma di San Giovanni, da dove poi riuscì a lasciarle per ritirarsi anche lui alla volta prima di Brescia poi incalzato a Verona nel Quadrilatero. A Brescia l'insurrezione era iniziata il 19. L'esempio dato dal capoluogo, fu subito seguito dalla provincia: si ribellarono Rovato, Chiari, Gardone, Bovegno; a Rezzato un grosso convoglio austriaco con una forte scorta si arrese agli insorti. Il giorno 21 i bresciani espugnarono la caserma di San Faustino e i forni militari, catturando il generale WINLPFFEN. Allora il principe SCHWARZENBERG, che comandava il presidio, scese a trattative e, secondo i patti stabiliti, il 22 marzo uscì dalla fortezza con gli onori militari e si allontanò dalla città.

Lo stesso giorno 22 Pavia fu sgombra della guarnigione austriaca; a Pizzighettone i soldati, dell'esercito che erano italiani, si unirono ai rivoluzionari e lo stesso fecero a Cremona tre battaglioni italiani, per cui il reggimento d'usseri comandato dallo SCHÓNHALS riuscì ad uscire dalla città ma dovette lasciarvi le sue artiglierie.

Anche a Mantova, il 18 marzo i cittadini insorsero e formarono un comitato presieduto dal podestà CONTE D'ARCO. Se avessero agito con più risolutezza ed energia, forse avrebbero potuto liberare la città, presidiata da scarse truppe, in gran parte italiane; ma, persuasi dal vescovo, anziché fare uso delle armi chiesero concessioni a Verona; che invece di mandare queste, inviò invece le truppe e i rivoluzionari con le sole preghiere del vescovo non furono più nella possibilità di resistere, in quella che era invece una potentissima piazzaforte che avrebbe potuto in seguito essere un notevole ostacolo alle truppe del Quadrilatero austriaco.

Anche Verona insorse, ma subito qui gli animi si acquietarono quando il viceré RANIERI -per prendere tempo- promise la Guardia civica e la costituzione. Gli ingenui veronesi non ebbero né l'una né l'altra perché di lì a poco entrò in città il generale D'ASPRE con il secondo corpo d'esercito e il Viceré ritornò in Tirolo.

A Trento si fecero dimostrazioni, con lo scopo di ottenere che la provincia fosse incorporata al Lombardo-Veneto; invece il governo ordinò il disarmo, minacciò la pena di morte a coloro che si radunavano nelle vie in numero maggiore di tre, sciolse la Guardia civica, fece arrestare i patrizi GAETANO MUCCI, MATTEO THUN, GIUSEPPE FESTI, PIETRO SIZZO, e con soverchierie e persecuzioni costrinse la gioventù trentina a fuggire andando così ad ingrossar le file dell'esercito rivoluzionario italiano. Molti di questi giovani, a Brescia, costituirono un corpo di volontari, che ebbe proprio il nome di "Legione Trentina" la quale doveva combattere a Novara e parteciperà pure alla difesa di Roma.

LA COSTITUZIONE A PARMA - CARLO II ABBANDONA IL DUCATO

Anche Parma era il fermento prodotto dagli Statuti concessi nei quattro grandi Stati della Penisola, quando giunse la notizia della rivoluzione milanese. Il 20 marzo Piacenza e Parma insorsero: nella prima città il popolo assalì e saccheggiò il convento dei Gesuiti, atterrò gli stemmi ducali e costituì un governo provvisorio, nella seconda gli insorti assalirono le caserme e dopo tre ore d'accanito combattimento le occuparono.
CARLO II, costretto dagli eventi, depose il potere nelle mani di una Reggenza con il seguente atto promulgato la sera del 20:

"Desiderando noi di allontanarci da questi Stati unitamente alla nostra Real Famiglia, nominiamo il conte LUIGI SANVITALE, il conto GIROLAMO CANTELLI, l'avvocato FERDINANDO MAESTRI, l'avvocato PIETRO GIOIA e il professor PAOLO PELLEGRINI membri di una reggenza, alla quale trasferiamo il supremo potere, con facoltà di dare quelle istituzioni e provvedimenti, che nell'attuale condizione delle cose crederà necessari".

Questa Reggenza, il giorno dopo, lanciava un proclama alla cittadinanza, nel quale dopo aver assicurato che iniziava il regno della giustizia e dell'amore voluto da Dio, concludeva:
"Il supremo potere, trasferito dal principe alla Reggenza, ci dà la facoltà di seguire le norme dei governi italiani che ci hanno precorso, seguendone l'esempio nello Statuto fondamentale della Costituzione, nell'ordinamento dei Comuni, nella Guardia civica, nell'istruzione, nella stampa, e altra istituzioni. Da questi governi cercheremo e speriamo ottenere pronte relazioni e lega".

Il 29 marzo fu pubblicata la costituzione e quello stesso giorno CARLO II lanciava un manifesto che merita qui di essere riportato:

"Attesi i subiti rivolgimenti che intorno e in questi Stati si succedono, e volendo pure (quali che siano le mie sorti future) mostrare con qualche prova quanto mi stia a cuore la salute e potenza d'Italia, quanto deplora quel breve tempo, in cui la necessità e posizione geografica e politica di questi Stati mi sottomise ad influenza straniera, io solennemente dichiaro di rimettere sin da ora i miei destini all'arbitrio di Pio IX, di Carlo Alberto re di Sardegna e di Leopoldo II Granduca di Toscana, i quali decideranno le differenze e sorti future di questi Stati al maggior bene e maggior forza d'Italia, offrendomi fin da ora ad accettare quei compensi, che all'equità di quel principi sembreranno convenienti. Io giurerò lo Statuto, manderò un battaglione di linea in soccorso dei Lombardi; e mio figlio Ferdinando, capitano di un drappello di civici che lo vogliono seguire, vi offre il suo braccio e mostrerà, spero, che nelle sue vene scorre il sangue della valorosa Casa di Savoia, e vive tuttora quello di Enrico IV".

Pochi giorni dopo volle insistere con la seguente dichiarazione perché i suoi sudditi credessero sinceri i suoi sentimenti espressi nel precedente proclama:

"Essendo venuto a mia cognizione che vi sono alcuni, i quali tuttavia pongono in dubbio la mia completa e leale adesione alla causa italiana, fondandosi sul motivo che la convenzione conchiusa fra me e l'Austria, benché di fatto rotta ed annullata, pure non lo sia di diritto: a togliere qualsiasi dubbio io intendo dichiarare, come dichiaro con la presente, nulla la predetta convenzione, la quale fu a me proposta dall'Austria medesima e che, a motivo della posizione del paese e della presenza in questo delle truppe austriache, non mi fu permesso di ricusare per non comprometter e indurre a dei mali ancor più gravi il paese".

Ma queste dichiarazioni non valsero a conciliargli la stima dei sudditi. Il 9 aprile la Reggenza, che non aveva esercitato nessuna autorità, si dimise e il duca autorizzò l'anzianato a sostituire un governo provvisorio, mentre metteva il ducato "sotto l'alta tutela del magnanimo Carlo Alberto, il quale lo riguarderà come uno degli Stati italiani, che insieme concorrono alla grande opera dell'indipendenza d'Italia".

Il nuovo governo non permise che il duca rimanesse nello Stato e gli diede il consiglio di allontanarsene. Carlo II accettò il consiglio e il 19 aprile partì per Marsiglia, mentre suo figlio, che -come prometteva il padre, invece di portare soccorso ai Lombardi, cercava di raggiungere l'esercito del Radetzky, fu fatto prigioniero e condotto a Milano.
Prima del duca erano partiti da Parma gli Austriaci; dopo la nomina della Reggenza, se n'erano andati a Colorno. Ma non potendo, per l'insurrezione lombarda, passare sulla sinistra del Po, il 6 aprile stipularono con il governo di Parma una convenzione con la quale era loro concesso di raggiungere senz'armi un porto dell'Adriatico. Prima di lasciare il territorio ducale però promisero sul loro onore di non prender parte alla guerra italo-austriaca.

 

FRANCESCO V - MODENA
IL PROCLAMA DEL GOVERNO PROVVISORIO DI MODENA E REGGIO

Anche a Modena, il 18 marzo, essendo giunta notizia dei fatti di Vienna, alcuni patrioti si recarono dal duca e chiesero ed ottennero l'istituzione della Guardia civica. Sparsasi. quindi la voce della rivoluzione di Milano e cresciuto il fermento, FRANCESCO V mostrò di volere ricorrere a mezzi energici per mantener l'ordine, ma quando i due battaglioni, austriaci giunti fin dal dicembre del 1847, ricevettero l'ordine superiore di abbandonare Modena, il duca mutò atteggiamento e cercò di guadagnar tempo per calmar gli animi anche lui con delle promesse:

" I gravi avvenimenti - annunziò in un editto - che accadono con indicibile rapidità in Europa, c'inducono ad occuparci subito delle risoluzioni più confacenti al benessere degli amatissimi nostri sudditi. Perciò intendiamo con il presente di avvertire tutti gli amanti dell'ordine, a qualunque opinione politica appartengano, a tenersi tranquilli per quel breve tempo indispensabile a noi di disporre tutto a seconda che esigono le presenti circostanze".

Ma oramai era troppo tardi; l'indugio e la resistenza del duca avevano rimosso ai sudditi ogni disposizione a qualsiasi conciliazione, anzi avevano persino pensato di abbattere l'odiato trono. Avenza, Carpi, Carrara, Guastalla, Mirandola e Sassuolo avevano preso già in mano le armi e numerosi drappelli d'insorti marciavano su Modena mentre da Bologna avanzavano due schiere di volontari con mezzo migliaio circa d'uomini ciascuna e comandate una dal vecchio patriota LIVIO ZAMBECCARI, l'altra da CARLO BIGNAMI. Avute queste notizie, FRANCESCO V decise di abbandonare Modena. Prima di partire indirizzò ai sudditi il seguente manifesto il quale doveva essere pubblicato dopo aver lasciato la città:

"Nel solenne momento, nel quale tutta, Europa e persino i più solidi stati della medesima debbono cedere alla forza delle circostanze, noi sentiamo il bisogno di aprire il nostro cuore ai non pochi fedeli ed amatissimi nostri sudditi. Iddio è testimonio che le nostre cure sono state sempre rivolte al bene degli Stati che la Provvidenza ci affidò. Ma i principi seguiti finora non si ravvisano più adeguati ai bisogni dei tempi e delle popolazioni; l'insistervi più a lungo porterebbe nel deperimento il paese, che amiamo per sentimento e per dovere. Mentre perciò altri nostri doveri ci chiamano ad una temporanea assenza, affinché ciò non abbia a ritardare gli effetti del nostro proclama del 20 corrente, siamo venuti nella risoluzione di stabilire una Reggenza, che in nome e vece nostra prenda le redini del governo ed agisca come crede per il meglio del paese, autorizzandola anche a dare quelle riforme, che dietro maturo esame troverà utili e convenienti, e che vi esorto ad attendere con mitezza.
Noi però vi vogliamo fornire una prova che non conserviamo in cuore odio politico, e quindi concediamo di nostra spontanea volontà piena ed intera amnistia a tutti i detenuti e rifugiati politici dei nostri Stati, che potranno liberamente tornare alle loro case. Le nostre fedeli truppe, per le quali conserveremo sempre un attaccamento che siamo grati a loro esternare, ubbidiranno alla Reggenza tal quale viene da noi istallata.
Ci lusinghiamo inoltre che nei nostri Stati nessun eccesso disonorerà i cambiamenti che potranno aver luogo, confidando nei buoni Modenesi e che non avremo da nessuno di loro simile amarezza. Decretiamo pertanto quanto segue: Una reggenza viene da noi formata per il tempo della nostra assenza. Il consigliere RINALDO SCOZIA ne è il presidente. I Consultori dei Dicasteri governativi, di pubblica economia, di Finanza, ne saranno i membri. Abilitiamo la Reggenza per il bene dei nostri sudditi a dare al ducato uno Statuto rappresentativo sulle basi di quello che fu adottato in Piemonte".

Quali fossero i sentimenti di Francesco V alla vigilia di lasciare il ducato mostra chiaramente questa lettera da lui scritta al colonnello FERRARI, comandante le milizie della provincia di Massa:

"Il gran dramma è ormai finito. Io sono già sul punto di evacuare lo Stato, lasciandovi una Reggenza. La rivoluzione senza sangue è fatta; era troppo universale il movimento; Bologna veniva in aiuto; avevo, anzi ho da mettere in salvo mia moglie, don Carlos e sua moglie. Dunque non poteva disporre liberamente delle truppe. Ella è quindi autorizzata a ritirarsi su Reggio e Modena, o ad attendere ordini dalla Reggenza che io lascio partendo, oppure se sente che la Reggenza si è sciolta, l'autorizzo e la prego a non fare resistenza, e dichiaro sciolti dal giuramento i miei fedeli soldati, di cui conserverò sempre la memoria ovunque mi trovi, come di lei, caro Colonnello, di Guerra, di Giacobazzi, ringraziandoli di nuovo dei loro ottimi servizi. Lei la consiglio a venire a stare a Modena. Guerra dovrà invece allontanarsi come potrà, e benché non possa precisargli ove io andrò, gradirò sempre di vederlo presso di me. E' facile che mi diriga per il momento su Trieste: da dove Dio sa dove poi andrò, giacché l'Europa oramai non mi offre più ricovero !".

Il 21 marzo Francesco V partiva per l'esilio e il giorno dopo lo seguiva la famiglia. Alcune ore dopo la partenza del duca, giungeva a Modena LIVIO ZAMBECCARI con la sua colonna di Bolognesi; ma non c'era nulla da fare. Egli ebbe un abboccamento coi più influenti liberali e raccomandò loro di prendere accordi con quelli di Parma per fondere in uno solo i due governi. Il 23 marzo lo Zambeccari faceva ritorno a Bologna dove la cittadinanza lo accoglieva trionfalmente.

La reggenza di Modena, presieduta dallo SCOZIA, che era una creatura del duca, non poteva avere lunga durata: la Guardia civica lo destituì e nominò un governo provvisorio, di cui fecero parte LUIGI ARALDI, ANTONIO BROCCHI, GIUSEPPE MALMUSI, GIOVANNI MINGHELLI. Il 2 aprile questo governo si fuse con quello Reggio. Appena il nuovo Governo provvisorio (composto di GIUSEPPE MALMUSI, GIOVANNI MINGHELLI, LUIGI PERETTI, JACOPO FERRARI, GIUSEPPE MALCHIOR GIOVANNINI E NICOMEDE BIANCHI) s'istallò, pubblicò il seguente proclama: (che riportiamo fedelmente nella sua originale stesura e sintassi):

"Quando primieramente scossa dall'angelica voce del trapotente vicario di Dio in terra, l'immortale Pio IX, la generosa e grande nostra patria, sempre per tenace vitalità giovane di forza e di cuore, si rialzò di subito in maestoso aspetto, onde porgere al mondo magnifico spettacolo di cristiana giustizia, di civile sapienza ed insolita rinnovazione politica, voi, o fratelli di Modena e di Reggio, mostrando lucida e pronta intelligenza di tempi e dei sacri e imprescrittibili diritti dei popoli, vi adoperaste concordemente con sollecitudine e giocondità d'antica amicizia e di comuni desideri a riversare il mal governo che vi opprimeva con inaudita prepotenza; ed affinché eziandio per l'opera vostra sul terreno d'Italia avesse a trionfare la più santa, la più giusta, la più nobile delle cause abbracciate da terrene menti, quella della libertà e dell'indipendenza nazionale. I generali e i vostri concordi sforzi non andarono inutilmente consumati, i nobili sacrifici da voi fatti con tanta alacrità e spontaneità d'animo hanno una volta ottenuto largo compenso di frutti preziosi e di benefizi per tempo non consumabili.
La tricolore bandiera, lungo amore e sospiro perpetuo di nostra gente, già sventola vittoriosa e sicura accanto alla Croce di Cristo sulle vostre torri, il paese è per sempre redento da un potere illimitato, arbitrario, nemico d'ogni bene, d'ogni giustizia ed incomprensibilmente avverso ad ogni riforma. Anch'essi i superbi e violenti nostri nemici di straniera favella. sono scomparsi dal vostro sguardo come nebbia al sole, come polvere al vento e finalmente voi siete entrati nel seno di quella libera ed indipendente famiglia, cui appartenete per tradizione, per dimora, per compenso di martiri e di sacrifici. In tanta letizia di così gioconde e pacifiche cose, al cospetto di così imprevisti doni della Provvidenza, nel presente godimento di ciò che fu per un così lunga corso di tempo speranza lontana e solitario sospiro, o abitanti del Modenese e del Reggiano, per il venerando nome del pacifico iniziatore dell'italiano risorgimento, l'immortale Pio IX, e per quanto avete di più sacro al mondo, fate forza alla memoria, non pensate più al passato, non sperdete la forza della mente e gli affetti del cuore in sterili lamenti di cose che furono, in inutili declamazioni. Ma giacché vi siete uniti in libero e fraterno amplesso, unitevi anche in concordia di volontà, come un uomo solo, a compiere effettivamente il debito vostro verso la comune patria, la quale, scuotendo animosa dalla polvere le sue bandiere, ora chiama e raduna tutte le sue forze, tutte le sue virtù per dare una degna risposta ai feroci insulti delle spade teutoniche con un giuramento ed un grido solenne, ben più sacro e tremendo che non fu quello di Pontida. Sapete voi, o cittadini, qual è il più sacro, il più stretto, il meno rifiutabile dovere che oggidì hanno quanti sono nati e viventi sotto il cielo d'Italia? È quello di combattere e di vincere completamente gli eterni nemici del nostro paese, di dare ai troppo degni nipoti del feroce distruttore della sempre forte e gloriosa Milano, solenne e sanguinoso documento della stancata pazienza di popoli iniquamente calpestati, di chiudere infine per sempre le porte dell'Italia allo straniero.
Quando la nazione fra breve vittoriosa dei suoi iniqui oppressori riposerà maestosamente nel suo trionfo, e tranquilla e sicura si fermerà sul capo la splendida corona dell'indipendenza, in allora la vostra Assemblea attenderà pensatamente e con animo sereno a riordinare, secondo le intenzioni vostre, l'interno reggimento, ed a ben decidere definitivamente le vostre sorti politiche in avvenire. Ma frattanto, mentre il Governo provvisorio vi promette di attendere con la più possibile ed assidua sollecitudine a quei provvedimenti, che imperiosamente esigono la conservazione dell'ordine e della tranquillità pubblica, la buona e sollecita amministrazione della pubblica cosa e le condizioni della presente vostra vita civile, voi quanti siete e qualunque siano le vostre fedi e convinzioni politiche, state assiduamente intenti ed affaticatevi alla comune e santa opera della Crociata lombarda, al più solenne dovere, che tutti abbiamo: alla cacciata dello straniero".

no dei primi atti del nuovo governo fu di dare degna sepoltura ai martiri del 1831, che da diciassette anni giacevano in un luogo infame. Con grande solennità le salme di CIRO MENOTTI e di VINCENZO BORELLI furono tumulate nel cimitero cittadino. ATTO VANNUCCI e PAOLO FABRIZI fecero l'elogio dei due grandi patrioti.

Cadute le signorie ducali di Parma e di Modena, i paesi che erano stati staccati dalla Toscana, fecero richiesta per ricongiungersi e lo stesso fecero i popoli della Garfagnana, di Massa e Carrara. Il Granduca, dopo qualche esitazione, aggregò questi territori al suo Stato, ordinando che gli fossero proposti
"nel più breve tempo i modi convenienti ad introdurre negli stessi le istituzioni governative e amministrative già del Granducato, onde le popolazioni dei medesimi fossero partecipi di tutti i diritti spettanti ai Toscani".

Poi LEOPOLDO II, aggiunse in questo decreto d'annessione, un passo molto importante, un principio nuovo per i popoli:
(che riportiamo integralmente nella originale sintassi)

"Volendo però che l'adesione nostra, e quindi l'aggregazione da noi decretata, non sia per mettere alcun ostacolo alle future sorti d'Italia e che nessuno, comunque non prevedibile evento, pregiudichi mai la volontà e gl'interessi dei sopradetti a noi carissimi figli, dichiariamo fin d'ora che nel nazionale ordinamento, che con quest'atto avemmo in animo di promuovere, e cui professiamo di volere ora per allora conformarci, mentre sosterremo quanto è in noi questa unione vantaggiosa del pari alle due parti che la formarono, intendiamo che per qualunque e in qualsiasi contrario caso, resti presentata ai popoli che a noi ora si aggiungono quella naturale libertà per cui possano in ogni evento provvedere a se medesimi, e di loro non sia disposto altrimenti senza il loro consentimento".

Con quest'atto il Granduca di Toscana riconosceva un principio nuovo, cioè, il diritto dei popoli di provvedere alla propria sorte in conformità dei loro desideri e dei propri interessi. LEOPOLDO II, non era insomma un Meternich.


Come abbiamo visto, questo anno 1848, ha conosciuto nei suoi primi tre mesi
eventi d'importanza epocale; ma ne restano a vivere alti nove di mesi, altrettanto densi di avvenimenti dove accade di tutto, guerre, sconfitte, pace, tradimenti, e ci sono le grandi delusioni del Papa che aveva infiammato l'Italia.
Sta iniziando la Prima Guerra d'Indipendenza d'Italia CAVOUR sul suo giornale "Risorgimento" già il 20 marzo, mentre a Milano si era già alla terza giornata di battaglia aveva scritto:
"Guerra! Guerra immediata, senza indugi!"
"L'ora suprema è suonata, l'ora dalla quale dipendono i fatti dell'Impero,
le sorti dei popoli!"

Il prossimo capitolo inizia proprio con il Piemonte
con il "Re tentenna" che scende in guerra - in ritardo - contro l'Austria

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Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
+ VARIE OPERE DELLA BIBLIOTECA DELL'AUTORE 
 

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