ANNI 1893-1895

CRISPI: 3° e 4° MINISTERO - BANCA ROMANA,

LA "QUESTIONE MORALE"

E TASSE, TASSE, TASSE, TASSE

LA CRISI MINISTERIALE - IL GIUDIZIO DEL CRISPI SULLA SITUAZIONE DEL PAESE - I FASCI SICILIANI - F. CRISPI COSTITUISCE IL SUO TERZO MINISTERO; SUO PROGRAMMA - TUMULTI E STATO D'ASSEDIO IN SICILIA - DISORDINI E STATO D'ASSEDIO IN LUNIGIANA - IL CAVALLOTTI SI SCHIERA CONTRO IL CRISPI - PROVVEDIMENTI FINANZIARI PROPOSTI DAL MINISTRO SONNINO - DISCUSSIONI SULLA POLITICA INTERNA - PROCESSO E CONDANNA DI GIUSEPPE DE FELICE, GARIBALDI BOSCO, NICOLA BARBATO E BERNARDINO VERRO - ATTENTATO ALLA VITA DEL CRISPI - DISEGNI DI LEGGE CONTRO IL "PERICOLO ANARCHICO" - DISCUSSIONE SUI PROVVEDIMENTI FINANZIARI - MOZIONE CRISPI; DIMISSIONI DEL GABINETTO - QUARTO MINISTERO CRISPI - POLITICA FINANZIARIA - SECONDO TENTATIVO DI CONCILIAZIONE TRA LO STATO E LA CHIESA - FINE DEL PROCESSO DELLA BANCA ROMANA - G. GIOLITTI E IL PROCESSO PER LA SOTTRAZIONE DI DOCUMENTI - IL "PLICO " DELL'ON. GIOLITTI - LA COMMISSIONE DEI CINQUE - L'ON. GIOLITTI LASCIA L' ITALIA - PROROGA DELLA SESSIONE PARLAMENTARE - LA LETTERA DEL CAVALLOTTI AGLI ELETTORI - IL CARDUCCI IN DIFESA DEL CRISPI - IL CAVALLOTTI E LA "COMPAGNA MORALE" - SCIOGLIMENTO DELLA CAMERA - IL DISCORSO DI ROMA - ELEZIONI - INAUGURAZIONE DELLA XIX LEGISLATURA - IL DISCORSO DEL TRONO -LIQUIDAZIONE DELLA " "QUESTIONE MORALE" - VICENDE GIUDIZIARIE DELL'ON. GIOLITTI
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LA CRISI MINISTERIALE

Dopo le dimissioni di GIOLITTI, non fu facile al sovrano trovare un deputato per affidargli l'incarico di formare un nuovo Governo; ma nemmeno era facile per chiunque formarne uno.

Il 25 novembre del 1893, Umberto I ebbe un colloquio con FRANCESCO CRISPI, il quale, richiesto sulla condizione del paese, rispose: "Siamo peggio di quello che eravamo 18 mesi fa (quando il suo governo era caduto sulla finanziaria Ndr.) .... Ci vogliono 150 milioni di nuove entrate .... E bisogna far presto, se vogliamo evitare il fallimento .... Il paese è scontento, scontento è l'esercito, il quale deve essere base alla pace pubblica ed alla sicurezza dello Stato .... Il disordine è dappertutto; la Camera non si riconosce più. Negli ultimi due giorni a Montecitorio abbiamo avuto il trionfo dell'anarchia. Bisogna ristabilire la pace nel paese, ispirarvi la fiducia, rialzare le istituzioni e dare al Parlamento quell'autorità che gli manca .... Oggi tutto dipende dalla M. V. E Vostra Maestà non è responsabile davanti al Parlamento, ma davanti al Paese".

Il re aveva davanti l'uomo cui affidare le redini dello Stato, ma affidò l'incarico di formare il ministero a ZANARDELLI.
II 5 dicembre il nuovo Gabinetto era costituito. A ministro degli esteri era designato il generale ORESTE BARATIERI, di Condino, Trento, irredento, ma il cancelliere austriaco fece sapere che la nomina del Baratieri "per la sua origine non era conforme ai legami d'alleanza e d'amicizia fra i due Stati", dopo di che il Baratieri si dimise e Zanardelli, anziché sostituirlo, rassegnò il mandato.

La situazione intanto si aggravava per le agitazioni siciliane. Tristi erano le condizioni economico-sociali dell'isola e inutili erano state le voci che VILLARI, FIANCHETTI, SONNINO, STEFANO IACINI e DAMIANI avevano levato, denunciando il male e chiedendo rimedi. L'ultimo a parlare in tal senso era stato lo stesso CRISPI che, il 25 novembre del 1893, aveva detto al re:
"I contadini della Sicilia non hanno tutto il torto. I lavoratori sono meschinamente pagati, ed hanno ragione quando chiedono un aumento di salario. Bisogna inoltre migliorare le condizioni dei mezzadri. I contratti agrari sono viziosi: è necessario portare una riforma a questa parte della nostra legislazione. Ma lo "scontento" è anche nelle altre classi della popolazione".

L'analisi era esatta, ma quando gli "scontenti" iniziarono ad agitarsi, i "rimedi" di Crispi per "migliorare le condizioni" non fu certo la "riforma" migliore. Crispi agì come se si trovasse di fronte ad un effettivo pericolo rivoluzionario e ad un piano di sovversione coordinato e organizzato. Fidando la soluzione della questione all'uso delle armi, alla giustizia militare, alle misure di polizia, agì al di fuori di ogni controllo parlamentare.

I FASCI SICILIANI - LE AGITAZIONI

Sul fuoco degli "scontenti" aveva soffiato specialmente il socialista catanese DE FELICE- GIUFFRIDA, direttore dell'"Unione", che nel 1890 aveva fondato a Catania un movimento il "Fascio dei lavoratori" e si era reso così popolare da essere eletto nel 1892 deputato. Altri "fasci" erano sorti a Palermo con a capo GARIBALDI BOSCO, a Piana dei Greci con il dottor NICOLA BARBATO, a Corleone con BERNARDINO VERRO e in molti altri luoghi, dove la crisi economica aveva determinato una fortissima tensione sociale. Ne facevano parte contadini, braccianti, mezzadri e, a seconda delle località, minatori, artigiani, piccoli commercianti e piccoli proprietari. Era soprattutto uno spontaneo movimento popolare di protesta, che affiancava la battaglia contro l'eccessivo fiscalismo e la rivolta contro la tirannia dei "galantuomini" (espressioni di Crispi, che ammetteva tale tirannia) nelle amministrazioni locali. In testa alle rivendicazioni c'erano prima di tutto la richiesta di revisione dei patti agrari e la rivendicazione di terre da coltivare. Ma nonostante quanto Crispi diceva al Re, per lui il movimento era una vasta cospirazione tesa a sovvertire lo Stato. Nella sua globalità non era proprio così, ma nemmeno si potevano in certi gruppi escludere tali tendenze.

Questi fasci si erano organizzati in federazioni provinciali dipendenti da un comitato centrale, avevano mandato propri rappresentati al Congresso di Genova dell'agosto 1892 in cui era stato costituito il "Partito Socialista dei Lavoratori" e avevano dato impulso al sorgere di molti giornali socialisti, dei quali i più importanti, dopo "L'Unione" del DE FELICE, erano la "Nuova età" di Palermo e l'"Esule di Trapani", che sì predicavano il verbo marxista, mentre gli organizzati (abbiamo detto nella sua "globalità") non pensavano che alla partizione delle terre e all'abolizione del latifondo, del gabellato, delle tasse e dell'usura, delle angherie.

Le prime agitazioni dei fasci si erano avute nella primavera del 1893, ma il Governo dell'on. GIOLITTI, giudicando che queste lotte economiche dovessero risolversi di per sé, non aveva preso nessun provvedimento.
Tre giorni dopo la restituzione del mandato da parte di Zanardelli (9 dicembre 1993) a Partinico, centro della provincia di Palermo, scoppiarono gravi tumulti: fu invaso e dato alle fiamme il palazzo comunale e furono bruciati i canotti del dazio.
Non c'era tempo da perdere. Il perdurare della crisi ministeriale avrebbe potuto produrre effetti disastrosi. Il re comprese che un solo uomo era capace di guidare la nave d'Italia in quel mare tempestoso: CRISPI; e gli affidò l'incarico di costituire il ministero.

FRANCESCO CRISPI nonostante vecchio, aveva 75 anni, dato -disse- il momento difficile che il paese attraversava, accettava l'incarico.

IL TERZO MINISTERO CRISPI STATO D'ASSEDIO IN SICILIA E NELLA LUNIGIANA - DISCUSSIONE SULLA POLITICA INTERNA - IL PROCESSO DI PALERMO

Il 15 dicembre 1993, il nuovo Gabinetto era già formato: CRISPI assumeva la presidenza del Consiglio e il portafoglio dell'Interno (!), il senatore ALBERTO BLANC gli Esteri, SONNINO le Finanze con l'interim del Tesoro, il senatore GIUSEPPE SARACCO i Lavori Pubblici, MAGGIORINO FERRARIS le Poste e i Telegrafi, il senatore GIUSEPPE CALENDA de' TAVANI la Grazia e Giustizia, GUIDO BACCELLI la Pubblica Istruzione, STANISLAO MACENNI la Guerra, i1 viceammiraglio ENRICO COSTANTINO MORIN la Marina e PAOLO BOSELLI l'agricoltura.

Presentando, il 20 dicembre, il Gabinetto al Parlamento, CRISPI disse:

"Noi non apparteniamo ad un settore piuttosto che ad un altro .... noi apparteniamo al grande partito unitario, che ha per sola mira l'Italia, a servire la quale ci siamo dedicati con animo sereno, con il dovere del sacrificio. Fatalmente abbiamo assunto il potere in un momento in cui le condizioni della patria sono gravi come non furono mai .... Grandi sono le difficoltà che dobbiamo superare: .... a rilevare il credito, a riordinare le finanze, a confortare l'impero della legge, a ridare al paese la coscienza di se stesso, abbiamo bisogno del concorso della Camera senza distinzione di partiti. A tale fine chiediamo a voi la tregua di Dio ! Quando la fortuna d'Italia sarà instaurata, ciascuno riprenderà il suo posto. Il combatterci oggi, metterci gli uni contro gli altri .... sarebbe un delitto. Quando il pericolo incalza, dobbiamo essere tutti uniti per la difesa comune .... L'opera, alla quale ci accingiamo, è la più ardua dopo quella della costituzione nazionale;... dovremo lavorare per cementare l'unità morale e perché l'edificio per cui fu sparso il sangue dei nostri martiri sia consolidato. Nell'amministrazione, con un'opportuna semplificazione dei pubblici servizi, apporteremo le maggiori economie possibili. Ma non giova illudersi. È suonata l'ora di chiedere qualche sacrificio al paese; il quale, siatene sicuri, non si rifiuterà ...".

CRISPI terminava appellandosi al patriottismo della Camera. Molti intesero le parole del vegliardo, ma IMBRIANI volle affermare che il paese non poteva sopportare più alcun sacrificio e parlò male della Triplice; mentre CAVALLOTTI non poté trattenersi dal ricordare che avrebbe desiderato che il presidente del Consiglio affermasse che non sarebbe più permesso un:
"Governo a base d'interessi loschi, di favoritismi, di corruzioni, di violenze".

Replicando, CRISPI volle accennare alla questione siciliana:

"Essa non è difficile a sciogliersi. È antica, non data da ieri. La conosciamo, l'ho studiata, ed io credo che rimedi legislativi siano necessari a scioglierla. Ma da questo banco non posso permettere che nascano equivoci. Amo il popolo; sono lavoratore anch' io, perché non ho vissuto e non vivo che del mio lavoro; ma mentre sono favorevole a tutte le legittime associazioni, che hanno per scopo il miglioramento delle classi operaie non posso ammettere alcune di queste associazioni che abbiano di mira lo sfascio dello stato attuale".

Prima di ricorrere alla forza, CRISPI tentò le vie "pacifiche" con le istruzioni contenute nel seguente telegramma inviato ai prefetti della Sicilia:

"Il Movimento dei contadini contro i Municipi rivela i vizi delle amministrazioni comunali. La ripartizione delle tasse locali spesso non è stata fatta con equità e prudenza, e in molti luoghi i cosiddetti "galantuomini" hanno fatto pesare sui lavoratori il pagamento delle imposte. È tempo ormai di correggere codesti errori, e sarebbe questo il vero mezzo d'impedire giorni luttuosi e di portare la pacificazione negli animi di coloro che vivono della loro opera manuale. Comunichi immediatamente questi miei consigli ai Sindaci della provincia e provveda affinché siano esauditi i voleri del Governo".

Ma altri mezzi erano necessari per troncare un movimento che -secondo Crispi- minacciava l'ordine e le istituzioni. Dietro l'esempio di Partinico, dal 9 al 25 dicembre, altri tumulti sorgevano in molti comuni dell'isola; più violenti a Giardinello, a Monreale, a Valguarnera, a Lercara, a Marineo, a Gibillina, a Santa Caterina, a Mazzara del Vallo, a Campobello, a Castelvetrano, a Pietraperzia, a Calatafimi, a Salemi e a Trapani, con incendi di municipi e dei casotti daziari, con liberazione di carcerati, con saccheggio di banche e scontri sanguinosi con la forza pubblica.

Occorreva la mano forte, e CRISPI la usò.
Il 3 gennaio 1894, a Palermo, in una riunione segreta, gli anarchici stesero un manifesto, comunicato in via telegrafica a Crispi, chiedendo tra le altre rivendicazioni, l'abolizione dei dazi sulle farine, inchieste sulle amministrazioni pubbliche, esproprio dei latifondi incolti con un indennizzo ai proprietari.

Come risposta, CRISPI, lo stesso 3 gennaio del 1894, proclamò lo stato d'assedio su tutta la Sicilia, mettendo l'isola sotto i pieni poteri del tenente generale MORRA di LAVIANO; richiamò sotto le armi la classe del 1869 e mandò in Sicilia circa 40 mila soldati. MORRA fece arrestare l'on. DE FELICE e tutti i capi del movimento insurrezionale, sciolse i fasci, impedì a deputati socialisti del continente di sbarcare nell'isola, istituì i tribunali militari, ordinò il disarmo, proibì le riunioni, mise la censura sulla stampa, e assegnò al domicilio coatto non pochi cittadini. Misure che -lo abbiamo già detto sopra- erano al di fuori di ogni controllo parlamentare.

La notizia delle repressioni siciliane il 13 gennaio fece insorgere gli anarchici della Lunigiana (in Toscana), i quali si armarono, tagliarono le linee telegrafiche, ostruirono la strada che da Massa conduce a Carrara ed assalirono gli operai che non volevano scioperare e la forza pubblica. Il 16 Crispi pose lo stato d'assedio anche sulla Lunigiana e vi mandò con pieni poteri il generale degli alpini NICOLA HEUSCH.
Per dare tempo a SONNINO di preparare un programma finanziario, CRISPI prorogò l'apertura della Camera al 20 febbraio, ma l'opposizione non aspettò e CAVALLOTTI, che fino al 16 febbraio inviava auguri quasi affettuosi al presidente del Consiglio e ne sollecitava i favori, il 19 febbraio, pronunciò all'Hótel de Rome quel durissimo discorso con il quale, riaffermando il programma del partito radicale, muoveva guerra a CRISPI, a "un'isterica eccellenza circondata di fasto e di paura, farneticante a stracciar leggi e guarentigie, comprare coscienze, riempire galere e alternante lo spregio dei miseri con le bigotte invocazioni del cielo".

II giorno dopo, 21 febbraio 1894, riapertosi il Parlamento, CAVALLOTTI e IMBRIANI presentavano interpellanze sugli stati d'assedio e il 21 Cavallotti accusò Crispi di aver violato le leggi e lo Statuto.
Il 21 stesso il ministro SONNINO fece l'esposizione finanziaria, dichiarando che il disavanzo dell'esercizio 1894-95 sarebbe stato di 155 milioni e presentando un disegno di legge "omnibus" che abbracciava il bilancio, il tesoro, il debito pubblico, la circolazione e le banche.

SONNINO propose di ripristinare i due decimi della fondiaria, di aumentare da 35 a 40 centesimi il chilogrammo il prezzo del sale e di un decimo le tasse di successione, di elevare al 20 per cento l'aliquota di ricchezza mobile togliendone ai Comuni la percentuale, di crescere di 20 centesimi al litro la tassa sugli alcoolici, di inasprire le sopratasse degli atti non registrati e di imporre una tassa sulla rendita superiore dell'1 % fino a 4 mila lire e dell'1.50% oltre tale cifra. Tutte queste nuove imposte avrebbero fruttato circa 100 milioni; altri 27 milioni si sarebbero ricavati da economie ottenute con una radicale riforma amministrativa; il resto si sarebbe ricavato dal riordinamento di molti debiti redimibili. Al disordine monetario si sarebbe posto rimedio con biglietti da L. 2 e monete di nichelio da 20 centesimi ed elevando il corso forzoso.
Verrà stabilito con un regio decreto la sospensione del cambio in valuta metallica dei biglietti di Stato, la cui circolazione è portata da 400 a 600 milioni: 200 milioni sono dati alle banche, affinché le utilizzino per cambiare i loro biglietti in biglietti di Stato.

Il 23 febbraio iniziò la discussione sulla politica interna, cui parteciparono molti deputati. Fra questi, l'on. NUNZIO NASI, il quale sostenne che la causa dei disordini avvenuti in Sicilia era dovuta all'opera dei sobillatori, mentre altri affermavano essere i disordini un prodotto dell'ambiente economico-politico-sociale. L'on. IMBRUNI svolse tre interpellanze: la prima sull'arresto dell'on. De Felice in aperta violazione delle garanzie statutarie, la seconda sullo stato d'assedio, che affermava essere un atto incostituzionale; la terza per sapere se si era combattuto per raggiungere la libertà e ottenere la giustizia o per vedere il diritto pubblico ignominiosamente calpestato.
GIOVANNI BOVIO dichiarò che il Governo, prima di ricorrere allo stato d'assedio, avrebbe dovuto provare altri mezzi e concluse:
"L'Estrema Sinistra unanime vi dice: rientrate nella legge perché uscirne è iniziare la rivoluzione dell'alto ".
CRISPI difese il proprio operato affermando che...
"...il problema sociale non era quello che i falsi apostoli predicavano alle masse ignoranti", sostenendo che "le insurrezioni della Sicilia e della Lunigiana erano state preparate da anarchici e socialisti", e dimostrando di non avere affatto violato le leggi. Del resto - egli disse - "…ai miei avversari che mi hanno accusato di aver violato lo Statuto e le leggi dello Stato, potrei rispondere che, di fronte allo Statuto, vi è una legge eterna, la legge che impone di garantire l'esistenza delle Nazioni; queste legge è nata prima dello Statuto".

La Camera diede ragione allo statista siciliano, approvando l'energica repressione. Il 3 marzo 1894, l'ordine del giorno dell'on. DAMIANI: "La Camera, approvando l'azione del Governo diretta alla tutela della pace pubblica, confida che esso saprà definitivamente assicurarla con opportuni provvedimenti legislativi" fu approvato con 342 voti contro 45 e 22 astenuti.

Cinque giorni dopo furono discusse alla Camera tre autorizzazioni a procedere contro l'on. DE FELICE per cospirazione, per eccitamento alla guerra civile, alla devastazione e al saccheggio e per apologia di reato. La Camera approvò le conclusioni della relazione dell'on. PALBERTI che concedeva non solo l'autorizzazione a procedere ma anche a far continuare lo stato di detenzione dell'on. DE FELICE.

La sera stessa dell'8 marzo, quasi per protestare contro la politica crispina, i . sovversivi facevano scoppiare nelle vicinanze di Montecitorio una bomba, che feriva gravemente quattro persone, e il 6 maggio, a Milano, all'arrivo e alla partenza, fischiavano CRISPI, che si recava in quella città per accompagnare i Sovrani.
Era iniziato intanto, davanti al tribunale militare di Palermo, il processo contro l'on. De Felice e compagni. Dal processo risultò che il deputato catanese era in relazione con l'anarchico CIPRIANI. Lui stesso ammise di aver preparato l'insurrezione organizzando i fasci, ma, essendo questi disarmati, era ingiusta l'accusa di cospirazione. Respinse inoltre l'accusa di eccitamento alla guerra civile e chiese l'assoluzione per sé e i suoi compagni, rei soltanto di aver sognato la redenzione delle plebi. Più coraggiosamente il dottore NICOLA BARBATO non implorò pietà, ma chiese di essere condannato affermando "le vittime essere utili alla causa santa di qualunque propaganda".
In effetti il processo suscitò irritazione negli ambienti conservatori, perché l'aula si trasformò in un centro di propaganda politica, una cassa di risonanza della fede socialista degli imputati.

Il 30 maggio il tribunale condannò DE FELICE a 18 anni di reclusione, a tre anni di sorveglianza speciale e alla decadenza dal mandato di deputato e dai pubblici uffici, GARIBALDI BOSCO, NICOLA BARBATO e BERNARDINO VERRO a 12 anni di reclusione, oltre ad un anno di sorveglianza e all'interdizione dai pubblici uffici.

ATTENTATO ALLA VITA DI CRISPI
DISEGNI DI LEGGE CONTRO IL " PERICOLO ANARCHICO "

Violente dimostrazioni a favore dei condannati ci furono in varie città d'Italia, e a Roma, la sera stessa del verdetto, scoppiarono due bombe presso il ministero della Guerra e quello di Grazia e Giustizia.

Era la protesta degli anarchici contro il presidente "liberticida", contro la cui vita, di lì a due settimane, si doveva attentare. Il 16 giugno del 1894, infatti, l'anarchico romagnolo PAOLO LEGA sparò contro Crispi, in via Gregoriana, un colpo di rivoltella ma che non colpì lo statista.
Quel giorno, il presidente della Camera BIANCHERI, successo il 22 febbraio a Zanardelli, stigmatizzò l'attentato, ed espresse a Crispi la sua gioia per lo scampato pericolo fra gli applausi vivissimi di tutta l'Assemblea.
Il presidente del Consiglio si mostrò grandemente commosso da quella manifestazione. "Essa mi prova - disse - che se il servire la patria espone a pericoli, dà pure grandi consolazioni. E grande consolazione per me è questa manifestazione della Rappresentanza nazionale; e mi servirà di conforto e di aiuto perché io possa continuare a servire il mio paese con tutte le forze. Né varranno minacce ed offese a togliermi dalla via che mi sono prefisso percorrere".

Fra gli altri, anche IMBRIANI si felicitò con Crispi, telegrafandogli: "Dall'avversario più tenace della Triplice e degli stati d'assedio accogliete gli auguri più sinceri, sentiti e disinteressati".
CRISPI gli rispose: "Vi ringrazio per gli auguri, ma permettete vi dica che non è né dalla Triplice né dagli stati d'assedio che furono mossi gli attentati di Paolo Lega e di Caporali, ma da una scuola insensata che vizia le plebi invece di educarle alla virtù".

Oltre l'attentato a Crispi, dobbiamo ricordare che un altro anarchico italiano, SANTE IERONIMO CASERIO, il 24 dicembre 1893, aveva pugnalato a Lione MARIE-FRANCOISE CARNOT, presidente della Repubblica Francese, e il penultimo giorno di quello stesso mese il pugnale degli anarchici uccideva a Livorno il garibaldino GIUSEPPE BANDI, che contro di loro aveva sostenuta una fiera campagna giornalistica.
Riferendosi a questi attentati e contro la sua persona, per combattere il pericolo anarchico, che di giorno in giorno diventava sempre più grande, CRISPI presentò il 10 luglio 1894, due disegni di legge: il primo per i reati di stampa (e aggrava le pene per due reati di stampa -apologia di terrorismo, istigazione dei militari alla disubbidienza, e per il possesso di materiali esplosivi per impedire attentati); il secondo sui provvedimenti eccezionali di pubblica sicurezza.

La discussione intorno al primo disegno cominciò alcuni giorni dopo e vi parteciparono, fra gli altri, ENRICO FERRI, BOVIO e IMBRIANI.
FERRI disse di vedere nel disegno un colpo contro la propaganda delle idee socialiste ed affermò che un dissenso profondo e sostanziale stava tra l'anarchismo e il socialismo. "Il socialismo ha dichiarato, dichiara e dichiarerà in ogni occasione che l'omicidio, come ogni altra forma di violenza, personale, ripugna al partito socialista come mezzo di propaganda .... Ed è per questo che gli anarchici con un certo senso di disprezzo chiamano noi "legalitari" perché apertamente diciamo che vogliamo fare la propaganda delle nostre idee, usando delle leggi e delle pubbliche libertà che vi sono".
BOVIO sostenne che non si poteva perseguitare l'anarchia perché essa "…era un'utopia e come tale non costituiva un reato". Il deputato filosofo colse l'occasione per scagliarsi contro i preti, mettendoli "in comune agli anarchici nella qualità di negatori della patria".
IMBRIANI parlò anche lui contro il disegno di legge, affermando che "…le restrizioni alla libertà avrebbero inasprito maggiormente lo spirito ribelle dell'umanità". Dopo un'energica e persuasiva risposta del vegliardo Crispi, il 9 luglio, la Camera approvò il disegno di legge.

Il 10 luglio 1894, iniziò il dibattito sul secondo disegno, e ancora parlarono contro, BOVIO e IMBRIANI, e si aggiunse CAVALLOTTI; ma anche questa volta, dopo una sobria difesa del presidente del Consiglio, l'11 luglio, la Camera approvò il disegno.
Altro disegno approvato fu quello che ordinava la revisione straordinaria delle liste elettorali politiche e amministrative e che portò alla ("pulizia") cancellazione di circa 800 mila elettori. Il provvedimento è presentato mirante a cancellare gli elettori iscritti indebitamente, controllando titoli di studio e se sanno veramente leggere e scrivere; ma lo scopo mira a colpire le opposizioni socialiste e democratiche. Ridurrà gli elettori italiani da 2.934.445 a 2.120.185.
In Sicilia fu peggiore: su 254.378 elettori, la cancellazione fu di 129.416.

Non passa invece alla Camera una proposta di legge di attuare la suddivisione del latifondo siciliano, per l'opposizione di molti deputati e tra questi SONNINO, sostenitori degli interessi dei proprietari terrieri, giudicando la proposta di legge, "sospetta di socialismo".

Il 21 giugno 1894 cessò lo stato d'assedio nella Lunigiana e il 18 agosto in Sicilia. Chiuso il Parlamento, CRISPI ordinò lo scioglimento delle sezioni del partito del lavoratori e delle associazioni aderenti ai deliberati del Congresso di Reggio Emilia, 271 in tutto, fra cui 55 nella sola Milano, nella quale allora si costituì la "Lega per la difesa della libertà". I componenti le sezioni furono deferiti al potere giudiziario, che ne condannò molti. Essendo chiusa la sezione e non occorrendo l'autorizzazione a procedere quasi tutti i deputati socialisti furono condannati al confino (Poi il 22 ottobre, CRISPI, con la legge di luglio, contro le "associazioni sovvertitrici dell'ordinamento sociale" scioglie il Partito socialista dei lavoratori).

DISCUSSIONE SUI PROVVEDIMENTI FINANZIARI

Prima dei provvedimenti finanziari si discussero alla Camera i bilanci della Guerra e della Marina e Crispi, poiché alcuni deputati dell'Estrema Sinistra volevano che le spese militari fossero ridotte nei limiti consigliati dalle condizioni dell'erario, promise di fare qualche riduzione anche nelle spese dell'esercito e della flotta, ma avvertì che era necessario che queste economie non diminuissero la potenza militare della Nazione; e perché il suo dire avesse maggior valore, lesse le seguenti parole dette dal Cavour nel 1852 al Parlamento subalpino:
"Alla questione finanziaria io anteporrò sempre la questione di onore nazionale e di indipendenza, ed ogni qualvolta sarò persuaso che Onore e l'indipendenza della nazione esigano sacrifici, qualunque sia lo stato delle sue finanze, io non esenterò mai dal consigliarli alla Corona e dal venire al Parlamento chiedere i mezzi necessari".

(SULLE SPESE MILITARI E DELLA GUERRA IN AFRICA
NE PARLEREMO PIU' IN DETTAGLIO
NELLE PAGINE DEL SUCCESSIVO CAPITOLO
TRATTANDO APPUNTO LA "GUERRA IN AFRICA")

Il 13 aprile del 1894, l'on. Vacchelli, relatore della Commissione cui erano state date in esame le proposte fatte dal Sonnino il 21 febbraio, presentò un nuovo piano finanziario. La Commissione respingeva l'aumento dell'imposta di ricchezza mobile e la tassa di bollo per la girata degli effetti cambiari, approvava uno solo dei due decimi dell'imposta fondiaria e proponeva di aumentare di due decimi la tassa per le concessioni governative.
La discussione parlamentare cominciò il 21 maggio e fu lunga e vivace. Molti deputati, firmando un ordine del giorno presentato da CAVALLOTTI, si dichiararono contrari alle proposte del Governo, ed era così concepito: "La Camera, ritenuto che la depressione economica del Paese non consente nuovi pesi, ma reclama urgenti sollievi; che qualsiasi nuovo aggravio peggiorerebbe il dissesto generale e non riuscirebbe a togliere lo spareggio del bilancio, finché non si muta l'indirizzo politico, amministrativo, finanziario ed economico che, ne è la causa vera e permanente; respinge il piano proposte del Governo; lo invita a provvedere con i soli rimedi efficaci e possibili, cioè con radicali economie su tutti i bilanci, a cominciare dai militari, semplificando e discernendo i servizi, riducendo qualsiasi spesa ed assegno in limiti proporzionali alle risorse del paese; e con una graduale trasformazione del sistema tributario che ristabilisca l'equità, rialzi e riattivi l'economia nazionale e migliori lo stato delle classi più povere".

Dinanzi all'opposizione di buona parte della Camera SONNINO ritenne opportuno modificare il suo piano. Difatti elevò da 5 a 7 lire al quintale il dazio doganale sul grano, rinunciò ad un decimo sull'imposta fondiaria e ai 16 milioni di dazio governativo sulle farine, annunziando queste ed altre modificazioni il 30 maggio. Ma l'opposizione non scemò. Migliore fortuna non aveva intanto un disegno di legge di Crispi, disegno che investiva fino al 31 dicembre del 1894 il Re di pieni poteri sotto la responsabilità del Governo, il quale, con una commissione di cinque senatori, cinque deputati e cinque ufficiali dello Stato, avrebbe apportato radicali riforme in tutti i servizi civili e militari; disegno era stato mandato agli uffici ed ora tornava alla discussione con molti emendamenti di parecchi deputati, primo fra tutti DI RUDINÌ, si dichiararono contrari al disegno. Per farla finita, nella seduta del 2 giugno 1894, CRISPI propose la seguente mozione:
"La Camera, nell'intento di determinare preliminarmente fino a quale somma si possono elevare i benefici da conseguire con la riduzione delle spese, conferisce ad una Commissione di diciotto deputati nominati dagli Uffici, l'incarico di presentare entro il 30 giugno le proposte necessarie per la riforma dei pubblici servizi, allo scopo di semplificare l'ordinamento di introdurre nel bilancio dello Stato le economie, e sospende fino a quel giorno ogni deliberazione sui provvedimenti finanziari".

DIMISSIONI DEL GABINETTO
QUARTO MINISTERO CRISPI - LA POLITICA FINANZIARIA

Il 4 giugno la mozione fu approvata con 225 voti contro 214 e 6 astenuti. Nella seduta del giorno dopo, data la misera maggioranza (11 voti) ottenuta, CRISPI annunciò le dimissioni del Ministero. Il Re, anche per consiglio di DI R UDINÌ, affidò nuovamente l'incarico di costituire il nuovo ministero ancora a Crispi, il quale il 15 giugno si ripresentò alla Camera con lo stesso Gabinetto, in cui era entrato come ministro dell'Agricoltura l'on. ANGUSTO BARAZZUOLI e l'on. BOSELLI era passato alle Finanze, conservando SONNINO soltanto il portafoglio del Tesoro.
CRISPI comunicò alla Camera che il Governo ripresentava il piano finanziario con notevoli modifiche, avendo rinunciato ai due decimi sull'imposta fondiaria e alla tassa sulla girata degli effetti cambiari e sospendendo la proposta della tassa sull'entrata e delle modifiche alle tasse sui pesi e misure. Inoltre il Governo s'impegnava di provvedere con economie ai mancati utili che i provvedimenti cui si era rinunziato avrebbero causato e di fare altri 20 milioni di economie sul bilancio 1895-96. Con questi mutamenti i due rami del Parlamento (alla Camera il 29 giugno, al Senato il 22 luglio ) approvarono il piano finanziario (legge n.339 del 22 luglio 1894, nota come legge "omnibus") che comprendevano: l'aumento di ricchezza mobile sulle cedole dei titoli di stato; aumento della tassa di vendita degli spiriti; aumento del sale e del dazio doganale sul grano; la conversione in legge dell'aumento dei dazi sui cereali e l'abolizione del dazio di consumo sulle farine; aumento della tassa di successione e di donazione; cessazione, a partire dall'esercizio 1895-96, del servizio pensioni della Cassa depositi e prestiti.

Il 10 dicembre, apertasi la nuova sessione, parlamentare, SONNINO fece la seconda esposizione finanziaria.
Eppure i provvedimenti già presi rappresentavano una notevole fonte di nuove entrate e il paese cominciava ad uscire dalla crisi economica che durava da sei anni; eppure Sonnino riteneva che fossero necessari nuovi provvedimenti. dichiarando che il bilancio di assestamento del 1894-95 portava un disavanzo di 35 milioni e presentando un "codice finanziario" per far crescere le entrate.
Le proposte formavano un secondo "omnibus" di provvedimenti:

* aumento del dazio sul grano e sulla segala;
* aumento della tassa sugli zuccheri;
* imposizione di una tassa sui fiammiferi;
* innalzamento della tassa di fabbricazione degli spiriti da 120 a 180 lire e soppressione della tassa di vendita di 40 lire;
* imposizione del dazio di entrata sul cotone.

La camera e poi il Senato votarono quasi tutte le proposte del governo: (poi legge "omnibus" n.486 dell'8 agosto 1895). Tra gli altri furono presi i seguenti provvedimenti:
* istituzione di una tassa sul consumo del gas e dell'energia elettrica per l'illuminazione e il riscaldamento (era esentato il consumo per l'illuminazione municipale di aree pubbliche e per il riscaldamento nei processi industriali);
* modifica delle tasse ipotecarie;
* disposizioni relative alle tasse sulle assicurazioni;
* disposizioni mirate alla semplificazione dei titoli del debito pubblico.

* furono inasprite le tasse giudiziarie, riordinati i debiti redimibili, sistemate le conservatorie delle ipoteche, affidati alla Banca d'Italia il servizio di tesoreria e la liquidazione della Banca Romana e stabilite nuove norme per gli istituti di emissione, per i biglietti di Stato, per la Cassa Depositi e Prestiti ecc.

SECONDO TENTATIVO
DI CONCILIAZIONE FRA LA CHIESA E LO STATO.

Nel corso del 1894 il Vaticano fece un nuovo tentativo di conciliarsi con lo Stato prima con negoziati tra il cardinale MOCENNI e il ministro della guerra, poi con trattative dirette tra CRISPI e i monsignori CARINI, COSTANTINI e FOSCHI. Molte cose fece sperare a chi desiderava un componimento tra la Chiesa e lo Stato e molto dispetto suscitò in chi non voleva sentir parlare di conciliazione, il discorso di Crispi del 10 settembre del 1894 pronunciato all'ospedale della Conocchia a Napoli inaugurandosi alla presenza del cardinale Sanfelice, una lapide ricordante la visita di Umberto I ai colerosi.

"La società - disse Crispi - attraversa un momento dolorosamente critico. Oggi più che mai sentiamo la necessità che le due società, la civile e la religiosa, procedano d'accordo per ricondurre le plebi traviate sulla via della giustizia e dell'amore. Dalle più nere tenebre della terra è sbucata una setta infame che scrisse sulla sua bandiera: "Né Dio, né capo" .... Stringiamoci insieme per combattere questo mostro e scriviamo sul nostro vessillo: "Con Dio, col Re, per la Patria" .... Portiamo in alto questa bandiera, indichiamola al popolo come segno di salute: "In hoc signo vinces !".

Ma la conciliazione non venne. Si definirono però due questioni: la nomina regia di Monsignor GIUSEPPE SARTO (futuro Papa Pio X) a Patriarca di Venezia e l'istituzione della Prefettura Apostolica in Eritrea, che causò come conseguenza il ritiro dei Lazzaristi francesi che facevano opera antitaliana nella colonia africana e l'invio sul posto di molti cappuccini con PADRE MICHELE da CARBONARA.
Parve che i rapporti tra la Chiesa e lo Stato fossero migliorati; ma era una pura illusione. L'11 luglio del 1895 fu discussa e approvata dalla Camera con 249 voti contro 26 la proposta dell'on. VISCHI di dichiarare festa nazionale il 20 settembre; e quell'anno, ricorrendo il 25° anniversario della Breccia di Porta Pia, quella data fu festeggiata con l'inaugurazione del monumento a Giuseppe Garibaldi sul Gianicolo. Oratore fu l'ex mente dei Mille garibaldini, Crispi:
"I nemici dell'unità - disse - vorrebbero interpretare la festa odierna quale offesa al capo della Chiesa Cattolica .... Ma il buon senso resiste a questi artifici, perché tutti sanno che il Cristianesimo, di sua natura divina, non ha bisogno del cannone per resistere. Se il Cristianesimo, con la parola di Paolo e di Crisostomo, riuscì senza l'aiuto delle armi temporali, a conquistar il mondo, non si comprende perché il Vaticano debba ancora ambire al principato civile per l'esercizio delle sue funzioni spirituali. Se il Vangelo, come anche noi crediamo, è la verità, se con il solo apostolo riuscì a propagarsi, con l'apostolato potrà mantenersi e vivere .... La religione non è e non deve essere funzione di Stato; essa conforta i credenti con la speranza di un avvenire eterno, essa alimenta lo spirito della fede, e per ciò la religione è santa".

Diciotto giorni dopo LEONE III, scrivendo al cardinale Rampolla, quasi in risposta al discorso di Crispi, il Pontefice affermava che "…nessuna maniera di provvedimenti giuridici potrà conferire indipendenza vera senza una giurisdizione territoriale". Una frase che mostrava che i rapporti tra la Chiesa e lo Stato erano sempre gli stessi e che nessun passo aveva fatto la questione romana verso la conciliazione

FINE DEL PROCESSO DELLA BANCA ROMANA

Il processo della Banca Romana finì, dopo 18 mesi, nel luglio del 1894 con l'assoluzione tutti gli imputati, scandalizzando il paese consapevole dei gravi risultati delle inchieste e perciò sicuro che gravi condanne sarebbero state pronunciate. "Le attese condanne non ci furono forse - come pensa il Gori - perché ai giurati romani doleva colpire gli "strumenti" del maleficio pubblico mentre i veri "autori" restavano impuniti".
Nel settembre, l'autorità giudiziaria, in base ad alcune risultanze del processo e ai verbali della Commissione parlamentare d'inchiesta sulle Banche, iniziò un giudizio penale, per sottrazione di documenti, contro alcuni funzionari di pubblica sicurezza che avevano perquisito le case di TANLONGO e LAZZARONI. Fra questi funzionari vi era l'ex questore di Roma, comm. EDOARDO FELZANI. Per aiutarlo a scagionarsi dell'accusa il 1° ottobre GIOLITTI scrisse a Felzani la seguente lettera: "Ella mi informa che nel processo per la pretesa sottrazione di documenti alla Banca Romana si adduce come argomento di accusa la circostanza che i documenti relativi alla Banca Romana sarebbero giunti al Ministero dell'Interno. L'autorizzo a dire di essere perfettamente vero che al Ministero dell'Interno giunsero documenti, che potevano gettare luce non bella sopra qualche uomo politico, ma quei documenti provenivano da tutt'altra parte che dai Funzionari di Pubblica Sicurezza… furono portati al Ministero molto tempo dopo che le perquisizioni erano finite, ed erano carte le quali non potevano in alcun modo influire sul processo della Banca Romana".

L'uomo politico cui accennava GIOLITTI era Crispi e la lettera a FELZANI rappresentava la prima avvisaglia della lotta che il deputato piemontese stava per muovere allo statista siciliano ed alla quale da qualche tempo si andava preparando. GIOLITTI voleva vendicarsi di F. CRISPI perché questi aveva sconsigliato il re (con i pessimi apprezzamenti che abbiamo già letto nelle precedenti pagine) dopo la caduta del Di Rudinì, di affidargli l'incarico di comporre il Ministero ed anche perché Crispi nella famosa seduta del 22 febbraio del 1893, aveva dichiarato constargli che il deputato di Dronero conosceva già il contenuto della relazione Alvisi (cosa che Giolitti aveva invece negato).

Uno degli elementi d'accusa, che a Giolitti pareva più grave era costituito da una cambiale di 244 mila lire a firma di Crispi, in sofferenza presso la Banca Nazionale. Interrogato su questa cambiale dal Comitato del sette, Crispi ne aveva così raccontata la storia:
"Per più di un mese, dal marzo all'aprile del 1887, io fui assediato per entrare al Ministero, che allora, per l'ultimo voto della Camera, doveva costituirsi. Fra i vari motivi, per i quali io mi opponevo, uno era di grande importanza per me, in altre parole l'esistenza sul mercato di forti debiti della Riforma, e per i quali vi era la garanzia della mia firma.
Il 2 aprile venne da me una persona del compianto Depretis a dirmi che il denaro lo avrebbe anticipato il commendatore GRILLO per ritirare i diversi effetti cambiari. Acconsentii, quantunque a malincuore, ma mi sentii in dovere di dichiarare, perché ne fosse informato il nuovo creditore - non visto da me, quando fu fatta l'operazione - che io non avrei potuto restituire la somma che mi si prestava, se non con il mio ritorno alla vita privata.
La condizione, senza alcuna obiezione, fu accettata, e se non pagai nei quattro anni che fui al Governo, può essere un merito, se ai tempi nostri l'essere onesto può costituire un vanto. Faccio intanto notare, che io ero in buona fede che il prestito mi era stato fatto dal comm. Grillo, e mi confermai in tale convinzione quando il direttore generale della Banca Nazionale mi affermò più volte che la mia cambiale non era stata iscritta nei registri del suo Istituto".

Il Commendator GRILLO era appunto il direttore della Banca Nazionale. A lui nel maggio del 1893 essendo ancor presidente del consiglio, si era rivolto GIOLITTI per sapere se quella cambiale era stata pagata e, avutane risposta negativa lo aveva pregato di rilasciargli una dichiarazione scritta. GRILLO però aveva prima voluto parlarne a CRISPI, ma questi, per nulla sgomento, aveva risposto:
"Questo fatto non mi disonora. Mi disonorerebbe se, durante il tempo che io fui al potere, avessi pagato con il danaro dello Stato. L'esistenza di questo debito, prova quello che tutto il mondo sa: che io lasciai il Ministero ritornando alla vita privata in cattive condizioni economiche".

GIOLITTI E IL PROCESSO PER LA SOTTRAZIONE DI DOCUMENTI
IL "PLICO" DELL'ON. GIOLITTI - LA COMMISSIONE DEI CINQUE
PROROGA DELLA SESSIONE PARLAMENTARE

Avendo compreso il gioco di Giolitti, Crispi aveva dato pubblica notizia del fatto, accrescendo in tal modo nel suo avversario il malanimo e il proposito di ricercar documenti che potessero in qualche maniera intaccare l'onore dello statista siciliano. La lettera a Felzani ora veniva ad informare che la raccolta dei documenti a carico di Crispi era stata fatta e sarebbe stata impiegata per seppellire sotto il suo peso, il "dittatore".

Il 7 giugno l'on. COLAJANNI svolse alla Camera un'interrogazione sulla necessità di "prendere gli opportuni provvedimenti verso cittadini che avevano pubblicato e possedevano documenti interessanti la giustizia e la vita politica della Nazione"; CRISPI rispose che "la questione non era di competenza della Camera. Liberi erano i cittadini di dare all'autorità giudiziaria i documenti da loro posseduti, sui quali vi erano prove di reati commessi e poteva d'altro canto l'autorità richiamare dai possessori i documenti in parola".
L'interrogazione ebbe un seguito molto vivace. Avendo Colajanni, non soddisfatto della risposta presidenziale, detto: "Si dirà che si ha paura di andare avanti" e avendo Crispi ribattuto che nel suo dizionario la parola paura non era scritta, l'onorevole PRAMPOLINI, socialista, urlò al presidente: "Dovreste averla la paura voi ! Nel vostro dizionario non è scritta la parola pudore! Voi, come uomo politico e come uomo privato, non potete stare a quel posto".

Il 3 dicembre alla Camera, GIOLITTI è accusato di avere sottratto documenti riguardanti la Banca Romana. E CRISPI lo accusa di essere il maggior colpevole dello scandalo bancario. Le polemiche proseguirono per giorni con molte animate discussioni.
Nel corso della seduta dell'11 dicembre, l'on. GIOLITTI, sceso dal suo banco, andò a portare al presidente della Camera BIANCHERI un plico (detto poi "plico Giolitti") contenente i famosi documenti che provavano i debiti contratti da Crispi con la Banca. BIANCHERI non voleva riceverlo e voleva depositarlo nella cassaforte della Camera. Varie proposte furono fatte fra chi pretendeva un'immediata lettura e chi intendeva respingerli. Alla fine, fu accolta quella di COPPINO e di CAVALLOTTI di nominare una commissione di cinque deputati per prendere visione dei documenti per poi riferire alla Camera.
Furono nominati gli onorevoli DAMIANO, presidente, CAVALLOTTI, segretario, CIBRARIO relatore, CHINAGLIA e CARMINE, i quali si riunirono la sera stessa e rimasero tutta la notte ad esaminare il contenuto del plico. In questo si trovavano sei buste: Cinque contenevano documenti vari, di nessuna gravità a carico di Crispi, una conteneva otto lettere del presidente del Consiglio e 102 lettere di donna Lina Crispi, tutte di carattere strettamente privato.

Il 13 dicembre l'on. CIBRARIO presentò la sua relazione: la commissione proponeva di non tener conto delle 110 lettere private e restituirle agli interessati e pubblicare con la relazione i documenti delle prime quattro buste, escludendo però i nomi di persone defunte o di membri del Senato. La Camera approvò subito le conclusioni dei Cinque. Quel giorno stesso Francesco e Lina Crispi sporsero querela contro il Giolitti per diffamazione, calunnia e violazione del segreto epistolare.
Il 14 dicembre l'on. GIOLITTI, temendo di essere coinvolto nel processo per la sottrazione di documenti, partì per Berlino con il pretesto di andare a trovare sua figlia. Il giorno dopo fu distribuita alla Camera la relazione dei Cinque. L' IMBRIANI, sostenuto da CAVALLOTTI e da DI RUDINÌ, proponeva di iniziare subito la discussione sulla relazione e sui documenti; BONGHI (che, lo abbiamo letto, in passato era stato uno dei più accaniti nemici di Crispi) si opponeva; CRISPI gridava: "La stampa oggi distribuita è un tessuto d'insidie e di menzogne!". Per ottenere la deliberazione d'urgenza, la proposta della discussione immediata fu messa ai voti ottenendo 9 voti di maggioranza; ma, occorrendo i tre quarti di voti favorevoli, la proposta fu respinta. L'on. GUICCIARDINI propose che la discussione si facesse il giorno successivo; CRISPI si associò e, così fu stabilito, e alle ore diciotto ebbe termine la seduta. Tre ore dopo veniva fuori un decreto regio con cui era prorogata la sessione parlamentare per opporsi all'intolleranza di "un manipolo di faziosi avidi di suscitare scandali".

L'impressione prodotta dalla proroga fu enorme. Il 16 dicembre 1894 gli onorevoli DI RUDINÌ, ZANARDELLI, CAVALLOTTI e BRIN, radunatisi nella "Sala Rossa" votarono la seguente mozione: "La Camera, trovando insufficienti e non fondate le ragioni addotte a giustificare la proroga, deplora che si sia così ritardata l'opportunità di chiarire i dubbi che interessano l'onore e la dignità del Presidente del Consiglio".

LA LETTERA DEL CAVALLOTTI AGLI ELETTORI
CARDUCCI IN DIFESA DEL CRISPI - LA "CAMPAGNA MORALE"
SCIOGLIMENTO DELLA CAMERA - IL DISCORSO DI ROMA
LE ELEZIONI

Il 24 dicembre 1894, Cavallotti, che per tanti anni era stato amico ed ammiratore di Crispi, iniziò contro di lui una feroce campagna morale pubblicando una lettera agli elettori in cui chiamava documento "decreto di proroga" "l'insolenza nuova negli annali parlamentari", ritorceva su Crispi l'accusa di fazioso e di violento, su Crispi che, chiamato a difendere l'onor proprio, fuggiva, e l'accusava di losche operazioni bancarie.

Ma se il bardo della democrazia si scagliava contro Crispi, un altro bardo infinitamente più grande, GIOSUÈ CARDUCCI, si ergeva a difesa dello statista siciliano e il 31 dicembre del 1894 gli indirizzava la seguente lettera:

"Caro grande amico, nulla oggimai vi manca di ciò che per lo più è toccato ai sommi cittadini nella storia dei popoli: né dopo salva la patria, l'ingratitudine di quelli che v'invocavano: né, dopo il colpo dell'assassino, l'aggressione di quelli che voi amaste e beneficiaste; la procella selvaggia non risparmiò neppure il giovine capo della figlia presso le nozze. Serena e calma, tra mezzo e sopra questo osceno infuriare di malvagità faziose e ambiziose la Vostra forza. Salute e rispetto".
E pochi giorni dopo, in occasione delle nozze della figlia del Crispi, Giuseppina, con il principe di Linguaglossa, CARDUCCI scriveva la famosa ode, in cui diceva alla "vergine sicana" che non avrebbe abbassata la fronte sotto la stridula ...
"procella d'onte che non fur più mai, e all'isola madre d'eroi di accogliere la prole di chi le aveva accorciata la tirannica vigilia"
,

e vedeva il Crispi dei ...

tempi eroici,
quando novello Procida
e più vero e maggiore innanzi e indietro
arava ei l'onda sicula:
silenzio intorno, a lui sul capo il tetro
de le borbonie scuri
balenar nei crepuscoli fiammanti;
in cuore i di futuri,
Garibaldi e l'Italia: Avanti, avanti !

In altre pagine, lo abbiamo già visto a spada tratta il Carducci difenderlo anche dall'accusa di "megalomania"; per lui, Crispi
"...è il solo grande uomo di Stato cresciuto dalla democrazia italiana del 1860".

Ritiratosi a Dagnente, CAVALLOTTI continuò la sua feroce campagna polemizzando con Carducci, che chiamava quella lotta "pettegolezzo bugiardo e feroce", e cercando quindi di indurlo a levar la voce contro Crispi con il ripetere una frase che si pretendeva pronunziata dallo statista siciliano sul condannato De Felice: "questo Cagliostro dovrà morire in carcere", frase che Crispi smentì categoricamente con una lettera del 15 marzo 1895 al principe di Scalea, il cui nipote, Alessandro Tasca, quella frase aveva inventato e divulgata.

La "campagna morale" -in vista delle elezioni- continuò sempre più accanita. Nel maggio del 1895 l'argomento prescelto d'accusa era lo scandalo Herz. CAVALLOTTI accusava il Crispi d'aver fatto conferire a CORNELIO HERZ il Cordone mauriziano per 50 mila lire e sfidava il presidente del Consiglio a querelarlo.
I fatti invece stavano così: nel desiderio di venire ad un accomodamento con la Francia, Crispi, richiesto da GIACOMO REINACH, aveva il 5 febbraio del 1891 ottenuto che fosse conferito il Cordone mauriziano allo scenziato Cornelio Herz, che vantava alte amicizie in Francia e affermava di voler metter d'accordo le due nazioni vicine.

Il 7 febbraio Crispi informò Reinach dell'avvenuta concessione della onorificenza, ma questa fu subito revocata essendo giunte informazioni non buone sul conto di Herz, e il 5 marzo Crispi avvertiva il Reinach. Questi, in data del 21 marzo, rimise a Crispi la somma di lire 50 mila. Le quali, se ben si guarda due date, non potevano essere il prezzo di un onorificenza già da alcune settimane revocata.

Nell'Aprile del 1895, GIOLITTI fece ricorso alla Corte di Cassazione contro il mandato di comparizione inoltrato nei suo confronti dal giudice istruttore in seguito all'avvio di un'azione giudiziaria per varie imputazioni collegate alla presentazione del "plico Giolitti".
La Corte di cassazione accoglierà il ricorso, affermando l'incompetenza della magistratura ordinaria a giudicare gli atti compiuti da un ministro durante l'esercizio delle sue funzioni.
L'Azione giudiziaria era stata favorita da Crispi - nel dicembre 1894 - nella speranza di liquidare il suo avversario politico prima della riapertura della sessione parlamentare.

LE ELEZIONI

Con decreto regio del 13 gennaio del 1895 era già stata chiusa la sessione legislativa. Con regio decreto dell'8 maggio fu sciolta la Camera e per il 26 dello stesso mese furono convocati i comizi elettorali. S'intensificò allora la campagna contro CRISPI, il quale, il 23 maggio, in un discorso pronunziato al Teatro Argentina di Roma, colpì violentemente gli avversari e diede spiegazioni sulla sua condotta. Cominciò con il ricordare la situazione al tempo in cui aveva preso le redini del potere: "All'interno c'era la ribellione, già scoppiata in alcune province del Regno, in altre era latente; disgregata la compagine nazionale; annebbiata la coscienza dell'unità e della stessa ragion d'essere della Patria; turbati gli spiriti, non solo dalla evidenza del male, ma dal timore e come dal presentimento di mali maggiori. All'orgasmo morale, pari il disagio materiale .... All'estero, una sorpresa di tutto ciò, che si traduceva nella diffidenza e nel discredito".

Continuò dicendo che...
"alla tregua di Dio da lui invocata, la tribuna nazionale era stata convertita in una cattedra di diffamazione e la lotta personale aveva sostituito la gara dei principi. La calunnia non è arma nuova in politica; essa ha sostituito nei paesi democratici il pugnale e il veleno medioevali, e vi si ricorre tanto più volentieri quando hanno fallito la pietra di qualche Davide sbagliato, la palla di qualche fanatico assassino. Né mai come ora la calunnia fu clamorosa, violenta e insieme insinuante, acuta, foggiata con arte, ordita con abilità. Si contava sul disgusto che una tal guerra avrebbe suscitato nell'animo di un uomo che, giunto al tramonto di una lunga e faticosa carriera, doveva anzitutto aspirare alla pace. E solo che io avessi ceduto, solo che io avessi piegato davanti a questo nuovo sistema di provocare le crisi ministeriali con il mezzo della diffamazione, e avessi accettato la comoda teoria che un ministro - comunque calunniato - debba difendersi, lasciare il potere, dando così al primo dei villani insultatori l'arbitrio di mutare il Governo del Paese, il Paese avrebbe visto ben presto, con più nausea ormai che meraviglia, mutarsi nuovamente in osanna il vituperio".

Accennò quindi al pericolo che correva la Nazione sotto la minaccia dei sovversivi e concluse:
"Il dilemma che oggi si pone agli elettori è semplice e solenne: è dilemma tra la Monarchia Nazionale e l'anarchia sociale, morale, politica".

Le elezioni del 26 e 2 giugno 1895, partecipano solo 1.251.366 elettori dei 2.934.445, ma che (lo abbiamo già accennato sopra) erano stati -11 luglio 1894 ridotti da Crispi con la revisione delle liste elettorali a 2.120.185.
I risultati confermano la maggioranza che otterrà 334 seggi, contro i 104 dell'opposizione della sinistra zanardelliana e giolittiana e della destra di Di Rudinì.
I Radicali riescono a mandare alla Camera 47 deputati, i socialisti 12, fra cui i condannati dei Fasci siciliani: Giuffrida, De Felice, Barbato, Bosco; su questi si tentò di invalidare la loro elezione in quanto detenuti, ma che poi furono riconfermati nelle successive elezioni suppletive del 1° settembre.

Su i socialisti dobbiamo aggiungere questa nota. Il Partito Socialista dei Lavoratori sciolto da Crispi il 22 ottobre del '94 (con le sue tre "Leggi antianarchiche"), si era clandestinamente riunito a Parma il 13 gennaio (III congresso) ed aveva assunto la nuova denominazione Partito Socialista Italiano, approvando un nuovo statuto un po' diverso da quello che era stato approvato a Genova nel 1892.
E' riorganizzato sulla base dell'adesione personale dei singoli membri e non più delle società operaie, pur conservando i tratti "operaistici".
Decisiva è la nuova tattica elettorale, intransigente nei confronti delle alleanze con i candidati democratici, ammesse solo nei ballottaggi.

Il 24 marzo, il consiglio si riunì a Bologna per elaborare un "programma minimo" per le elezioni. E pur presentandosi autonomamente, stringe alcune alleanze elettorali con i radicali, che fanno confluire i loro voti sui condannati dei Fasci siciliani.

Le elezioni furono favorevoli al Ministero che guadagnò una notevole maggioranza; un vero trionfo per CRISPI che fu eletto in otto collegi; ma anche i suoi avversari non poterono lagnarsi: CAVALLOTTI fu eletto in due collegi e subito il 30 maggio annunciò che avrebbe ripreso la "campagna morale": "Il paese ha su di me una cambiale, e, siccome non mi chiamo Crispi, la pago" (l'allusione era più che evidente).
Passano pochi giorni poi attacca duramente (lo leggeremo più avanti).

INAUGURAZIONE DELLA XIX LEGISLATURA - IL DISCORSO DEL TRONO - LIQUIDAZIONE DELLA "QUESTIONE MORALE"
VICENDE GIUDIZIARIE DELL'ON. GIOLITTI

Il 1° giugno del 1895 fu inaugurata la XIX Legislatura. Umberto I, che il 14 marzo aveva condonate ai condannati politici le pene minori di tre anni e ridotte di tre anni le altre, espresse proposti di clemenza:
"Il mio Governo, custode dell'ordine, ha dovuto tutelarlo con la forza, ma esso è concorde nel preferire alla forza l'amore. E come alla repressione è seguita e seguirà la clemenza in misura ancora più larga, come le garanzie di spontanea stabilità daranno l'ordine assicurato, così io intendo che un'efficace persuasione venga agl'incoscienti ed ai traviati, dalla provvidenza di una legislazione per cui abbia sempre maggiore e più effettivo significato quel concetto della fratellanza umana, alla quale mirerà anche l'apostolato di una scuola educatrice. Nel bene degli umili ho riposto, voi lo sapete, la gloria del mio Regno; e il miglior modo d'associarsi alle gioie della mia famiglia sarà il far sì che nella grande famiglia italiana non vi sia più argomento né di violenze né di odi".
Il re inoltre parlava della stretta amicizia con l'Inghilterra e dei saldi legami della Triplice ed annunziava il matrimonio tra il duca d'Aosta ed Elena di Francia, che fu poi celebrato il 25 giugno.

A pochi giorni dall'apertura della Camera, CAVALLOTTI tenne fede alla sua promessa, ricominciò la sua "campagna morale" e il 10 giugno pubblicava sul "Secolo" di Milano, e sul "Don Chisciotte" di Roma, la "Lettera agli onesti di tutti i partiti", accusando in modo documentario Crispi dei reati di falsa testimonianza, concussione, corruzione, millantato credito.

Un compendio di tutte le accuse vere o non vere fatte a Crispi nella sua lunga carriera politica. Ripeté l'accusa di bigamia (insussistente dopo il verdetto del tribunale di Napoli, di cui altrove si è parlato); affermò che il Crispi non era stato presente alla gloriosa giornata di Calatafimi (asserzione che però sembra infondata); lo accusò - senza però addurre prove - di avere accettato nel 1845 trecento ducati da un tale a cui aveva promesso di procurargli un posto; sostenne che il Crispi si era giovato di documenti d' incerta autenticità per mettere la Sicilia in stato d'assedio; parlando, infine, dei rapporti tra il presidente del Consiglio e la Banca romana, scrisse che il Crispi aveva ricevuto, come compenso del discorso del 20 dicembre 1892 contro l'inchiesta parlamentare sulle banche, con una cambiale di favore 20 mila lire (cambiale che però risulta pagata il 28 marzo del 1893). Un'ultima accusa contenuta nella lettera era quella riguardante il famoso cordone mauriziano.

La lettera produsse grandissima impressione. Il 24 giugno GIOVANNI BOVIO chiese alla Camera "che cosa intendesse fare essendo certo che al Parlamento vi era o un ministro concussore o un deputato calunniatore"; ma il presidente respinse l'interpellanza sostenendo che non doveva la Camera occuparsi di contrasti tra deputati. Dopo la seduta Crispi si allontanò mentre la folla, radunata in Piazza Montecitorio, si mise ad acclamare CAVALLOTTI.

La sera stessa, CRISPI riunì nella "Sala rossa" la sinistra e la maggioranza.
Il 25 la Sinistra con una mozione firmata da 42 deputati; fra cui gli onorevoli Costa, Barzilai, Credaro, Celli, Colajanni, Berenini, De Marinis, Ferri, Imbriani, Mussi, Marcora, Pansini, Pantano, Sacchi e Socci, invitò CRISPI a perseguire in giudizio il deputato Cavallotti;
mentre la Destra, con un'altra mozione con 32 firme fra le quali quelle degli onorevoli Luzzatti, Gavazzi, Pullè, Prinetti, Franchetti, Giusso, Guicciardini, Sineo e Rubini, invitò il Governo a provvedere per risolvere la fastidiosa questione morale
Ma Crispi respinse l'una e l'altra mozione. "All'età mia - disse - dopo aver servito il paese per cinquantatrè anni, posso avere il diritto di credermi invulnerabile e superiore alle ingiurie e alle diffamazioni ! La camera decida".

L'on. TORRIGIANI propose il rinvio della questione delle accuse a sei mesi, proposta che fu accettata dal presidente del Consiglio con queste parole:
"Sicuro della mia coscienza, e senza entrare in discussioni inutili, chiedo alla Camera che voglia dichiarare se abbia fiducia in me. Accetto la proposta dell'onorevole Torrigiani come un rigetto delle mozioni".
La proposta, messa ai voti, registrò 283 favorevoli e 115 contrari.
Ancora una volta Crispi aveva vinto.

Irritato dalla sconfitta, il 26 giugno il CAVALLOTTI annunziò sul "Don Chisciotte" di avere querelato giudizialmente Crispi. Il 19 luglio la querela fu consegnata al magistrato, dall'on. PILADE MAZZA. Quattro erano i capi d'accusa: falsa testimonianza, concussione, corruzione e millantato credito.

Come testimoni il Cavallorti citava DI RUDINÌ, DOMENICO BERTI e URBANO RATTAZZI junior. Il 9 agosto del 1895 l'autorità giudiziaria sentenziò non esservi luogo a procedere per la prima accusa perché inesistente; per le altre tre accuse, l'autorizzazione a procedere spettava alla Camera, la quale, come si è visto, il 25 giugno, aveva già seppellito la questione.
Sebbene il 28 novembre CAVALLOTTI dovesse presentare al procuratore del re denuncia contro Crispi per corruzione, concussione e millantato credito, la "questione morale" era terminata con la vittoria dello statista siciliano:
CRISPI era salvo!

Nello stesso tempo l'uomo che la "questione" l'aveva fatta nascere, l'on. GIOVANNI GIOLITTI, non navigava in acque tranquille. Messo sotto processo per sottrazione di documenti alla Banca Romana e per quattordici querele sporte contro di lui in seguito alla presentazione del plico alla Camera e ricevuto mandato di comparizione dalla sezione d'accusa per essere interrogato, egli aveva eccepito l'incompetenza dei tribunali ordinari a giudicare fatti compiuti nella sua qualità di ministro e di deputato.

La sezione d'accusa, il 6 marzo del 1895, aveva respinto l'eccezione d'incompetenza, ma dietro ricorso, la Corte di Cassazione aveva accolto l'eccezione e il 22 e il 24 aprile aveva cassato senza rinvio le decisioni della sezione d'accusa, ordinando che gli atti del processo per sottrazione di documenti fossero consegnati alla Camera.

Il 21 novembre del 1895, l'on. CALENDA, Ministro di Grazia e Giustizia, presentò alla Camera gli atti del processo contro GIOLITTI. Fu nominata allora una Commissione di nove membri, presidente SALARIS, segretario DONATI e relatore il CAMBRAY-DIGNY, perché decidesse se Giolitti doveva esser giudicato dalla Camera o dai tribunali ordinari.
La relazione fu presentata il 12 dicembre; e concludeva proponendo che la Camera deliberasse di "restituire piena libertà d'azione all'Autorità giudiziaria per le imputazioni mosse contro l'onorevole Giolitti in ambedue i processi, dando fin d'ora all'Autorità giudiziaria medesima, in relazione all'articolo 45 dello Statuto, il necessario consenso; ma limitando questa, per il secondo processo, ai soli fatti anteriori alla presentazione del plico eseguita dall'onorevole Giolitti il giorno 11 dicembre 1824".

Il 13 dicembre fu discussa alla Camera la proposta della Commissione. Il CAMBRAY-DIGNY la lesse, la illustrò e la sostenne; GIOLITTI si difese a lungo e abilmente, reclamando di essere giudicato dal Parlamento; un'altra appassionata difesa del deputato di Dronero la fece EMANUELE GIANTURCO; tuttavia la proposta sarebbe stata approvata certamente se in favore di Giolitti non fosse intervenuto proprio lo stesso CRISPI; il quale, dietro promessa del suo avversario di non dare più aiuto alla campagna anticrispina, fece presentare un ordine del giorno da TORNEO e dispose affinché fosse approvato dalla maggioranza.
L'ordine del giorno, che proponeva di abbandonare la questione Giolitti appoggiato dal Governo fu naturalmente approvato dalla Camera e così…
… anche GIOLITTI fu salvo.

interessante l'indignazione di P. Villardi
< < < <"MA DOVE ANDIAMO?"

Qui terminiamo i fatti politici interni di questo secondo periodo crispino, e dobbiamo ritornare alla politica estera, che è poi essenzialmente legata alla "QUESTIONE AFRICA", le cui decisioni sono state nuovamente affidate a CRISPI con il suo ritorno nel '93 al Governo.

Dobbiamo però ripartire dagli anni '90
quando, avevamo lasciato in quelle pagine gli ultimi avvenimenti:
* come il Trattato di Uccialli ecc.,
* la politica crispina in crisi,
* le dimissioni dello stesso Crispi.

… periodo AFRICA dal 1893 al 1896 > > >

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
+ VARIE OPERE DELLA BIBLIOTECA DELL'AUTORE 
 

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