ANNO 1918


LE DUE ANIME (POLITICHE) DEGLI EX COMBATTENTI

BRACCIO DI FERRO
FRA MUSSOLINI ED EX-COMBATTENTI.
VINSE IL DUCE

di MARCO UNIA

 

L'ATTEGGIAMENTO POLITICO DELL' ANC (ASS. NAZ. COMBATTENTI)

A partire dal giugno del 1919 la storia dell'Associazione Nazionale Combattenti entrò in una nuova fase, caratterizzata dal tentativo di svolgere un ruolo politico nell'Italia del primo dopoguerra. Se infatti il periodo novembre 1918 - aprile 1919 fu caratterizzato dallo sviluppo rapido e impetuoso delle sezioni dell'ANC e quindi dalla costruzione della rete associativa, a partire dal giugno del 1919 il dibattito interno e si concentrò sui possibili sviluppi politici della stessa associazione:
la questione essenziale era stabilire se e come l'ANC dovesse intervenire nella contesa politica o se al contrario essa non dovesse rimanere esclusivamente un organizzazione con finalità rivendicative dei diritti degli ex- combattenti.

Da un punto di vista strettamente cronologico, il passaggio tra la prima e la seconda fase della storia dell'ANC è costituito dal primo Congresso Nazionale, che si aprì a Roma il 22 giugno 1919. Trattandosi della prima occasione di confronto tra tante diverse anime del movimento degli ex- combattenti e della prima vera tribuna per molti rappresentanti dell'ANC - dei cui quadri facevano parte molti elementi nuovi alla politica - il dibattito congressuale fu spesso assai confuso e incerto, e le discussioni svariarono spesso sui temi più disparati, con analisi che non di rado mostravano l'impreparazione e il dilettantismo degli oratori. Ciò nonostante, un tema si impose come il vero catalizzatore dell'attenzione dei Congressisti, e fu quello relativo alla finalità politica dell'ANC: negli interventi dei relatori ricorrono costantemente una serie di interrogativi sull'opportunità per l'ANC di prendere una propria posizione politica, sul modo in cui realizzare questa eventuale presa di posizione - autonomamente o appoggiandosi ad altri partiti - sul tipo di strumenti - istituzionali o di piazza- con cui realizzare i propri intenti.

Dopo una prima giornata caratterizzata da scontri verbali e talvolta anche fisici tra i delegati e tra gli ospiti in un clima surriscaldato dai proclami insurrezionali contro il governo Nitti - minacce senza reali possibilità di concretizzarsi- il 23 giugno il dibattito entrò nel vivo, con il discorso di Zavataro, relatore sul problema dell'atteggiamento politico dell'associazione. Zavataro sostenne che l'ANC non poteva identificarsi con nessuno dei vecchi partiti, perché a suo dire essi rappresentavano unicamente degli interessi personali , ma al tempo stesso riteneva necessario un intervento dei combattenti nella vita politica dell'Italia.
La soluzione da lui proposta fu di creare un organismo politico dell'Associazione, che fosse però distinto da essa, e che avrebbe dovuto prendere il nome di "Unione di Rinnovamento Nazionale". In questo modo, sostenne Zavataro, l'Associazione si sarebbe occupata di tutelare gli interessi dei combattenti, mentre il partito di Rinnovamento avrebbe dovuto svolgere un ruolo politico, incentrato sulla ricostruzione e sull'educazione morale dell'Italia. Dopo alcuni interventi di commento alla proposta Zavataro, questa venne messa ai voti e accettata praticamente all'unanimità, con 2.254 voti favorevoli e 8 contrari.

Una così larga maggioranza non escludeva però l'esistenza di dissensi rispetto alle tesi di Zavataro, che fu criticato da alcuni delegati per l'eccessivo moderatismo, i quali cercarono di ravvivare lo spirito insurrezionale dei combattenti lanciando le parole d'ordine della Costituente, della sommossa rivoluzionaria, della conquista del potere. Zavataro nella sua replica riuscì con una certa facilità a dimostrare l'infondatezza di questi proclami riaffermando il carattere eminentemente pacifico, democratico e riformatore dell'ANC, ma non riuscì a difendere la sua proposta per la costituzione di un organismo politico separato dalle associazione.
La proposta di Rossini e Martino di dare un ruolo politico alla stessa associazione senza costituire un partito ad essa collegata venne infatti approvata dai delegati, soprattutto grazie alla compatta adesione dei rappresentanti meridionali, che temevano di perdere il controllo del nascente partito per l'azione del gruppo settentrionale, numericamente meno forte ma più esperto di lotta politica.
Lo scontro nord- sud condizionò pesantemente il primo congresso e la vita successiva dell'ANC: durante i sei giorni della riunione romana si assistette infatti allo scontro personale tra Favia (meridionale) e Mira (milanese e tra i fondatori dell'ANC), si contrapposero i diversi programmi sull'attività politica dell'ANC a cui seguirono contrasti sui metodi di elezione del comitato Centrale, per arrivare infine allo scontro frontale per l'elezione della Giunta Esecutiva, vero organo decisionale dell'associazione. Alla giunta vennero eletti quattro rappresentanti del Centro Sud (Cuccia, Morabito, Di Martino Vella) due milanesi (Luzzatto e Raimondi) due toscani (Zavataro e Zanchi) e un ligure (Festa). Questa elezione concluse i lavori congressuali, che dunque segnarono, nel bene e nel male, il prevalere della corrente meridionale, che in breve tempo egemonizzerà il lavoro della Giunta: nel bene, perché l'ANC sarà il primo movimento di massa con leadership meridionale, nel male perché la nuova classe dirigente, impegnata nel criticare il clientelismo e il trasformismo dei vecchi partiti finirà per seguirne le orme.
Terminato il Congresso, la prima prova politica per l'ANC si sarebbe presentata solo a novembre dello stesso anno, mese previsto per le prime elezioni nazionali del dopoguerra: ma prima di arrivare a quella data, l'associazione fu chiamata ad assumere posizioni politiche su numerosi eventi che caratterizzarono in quell'anno la vita del paese. Un certo peso ebbe il dibattito interno e il confronto con altri partiti ed associazioni in merito al rapporto dell'ANC con il governo e in particolare con Nitti che a quel tempo ne era il presidente.

Nell'associazione continuavano infatti ad avere un certo peso quelle correnti più rivoluzionarie e fortemente ostili al governo, che venivano alimentate e incoraggiate dai rappresentanti del nazionalismo, dalle correnti interventiste di sinistra, dai gruppi di ex- combattenti più insofferenti alle regole e alle leggi come gli ARDITI. Tuttavia la maggioranza dell'ANC- almeno per quanto riguarda il gruppo dirigente della Giunta Esecutiva - non si schierò mai su posizioni radicalmente ostili al governo e portò avanti un antinittismo di facciata a fini meramente propagandistici, che era spesso contraddetto dai fatti e dai rapporti particolari intrattenuti con il presidente del consiglio. L'ANC inoltro al governo molte richieste per migliorare la situazione dei reduci e fu disponibile ad incontrarsi con ministri, sottosegretari e parlamentari per discutere il merito della questione e per contrattare le concessioni. Questo atteggiamento nei confronti del governo fu l'espressione della tendenza di fondo dell'ANC, caratterizzata da un moderatismo di stampo democratico non disposto a farsi coinvolgere in moti rivoluzionari o nella reazione conservatrice. In questi termini si spiega l'indisponibilità da parte dell'ANC di lasciarsi coinvolgere nella reazione antibolscevica e giustifica parzialmente anche l'atteggiamento piuttosto passivo dell'ANC in occasione delle manifestazioni contro il caro viveri e a favore dell'impresa fiumana.

Nei rapporti con i socialisti e con le Confederazioni del Lavoro, l'ANC non ebbe mai quell'atteggiamento di ostilità e di aperta polemica che invece caratterizzò altri movimenti di ex- combattenti, ma anzi cercò, anche se troppo ingenuamente e timidamente, una base comune su cui portare avanti le rivendicazioni di tutti i reduci. Una linea politica tendenzialmente moderata, e non sempre priva di ambiguità, caratterizzò la posizione dell'ANC anche in occasione dell'impresa fiumana del 12 settembre 1919.
L'ANC diede inizialmente il suo assenso all'impresa di D'Annunzio, difendendola con fermezza dalle critiche che provenivano dalla maggioranza parlamentare e rivendicando il carattere irridentista dell'impresa. Tuttavia, l'ANC e i suoi quadri non furono mai direttamente coinvolti nell'organizzazione e nella realizzazione dell'impresa fiumana, e lentamente la loro posizione si andò mitigando mentre emergevano una serie di distinguo e di critiche all'azione dannunziana, per gli eccessi nazionalistici e guerrafondai in essa contenuti.

Tra gli avvenimenti politici relativi al 1919 e che videro impegnata più o meno direttamente l'associazione dei combattenti, particolare rilevanza assunse il movimento per l'occupazione delle terra. Tale fenomeno prese l'avvio nei primi mesi del 1919 nel Lazio, per estendersi nei mesi successivi nelle regioni del Centro e del Sud Italia, terminando solo nell'estate- autunno del 1920. Nella maggior parte dei casi si trattò il movimento ebbe come protagonisti i braccianti, i coloni i giovani contadini alla ricerca del primo lavoro, tutti quei soggetti che ritornando dalla guerra cercavano di reinserirsi nella società e domandavano di ottenere quanto ritenevano fosse loro dovuto. L'invasione delle terre avvenne nella maggioranza dei casi in forma pacifica, sia per il carattere non violento dei soggetti che lo guidavano, sia per la relativa docilità dei proprietari terrieri che tentarono di contenere piuttosto che di arrestare un simile fenomeno di massa, sia per la neutralità spesso tenuta dalle forze di pubblica sicurezza. Esso fu un fenomeno tipico e tra i più rilevanti del combattentismo, perché la maggioranza degli uomini coinvolti proveniva dell'esperienza bellica e faceva parte di quella classe di contadini - soldati che aveva retto sulle proprie spalle il peso della guerra e che rivendicava ora i propri diritti.

Nel momento stesso in cui tale movimento dimostrava la portata del fenomeno reducistico e le sue potenzialità di incidere nella vita del paese- inducendo tra l'altro il governo Nitti a varare la cosiddetta legge Visocchi che agevolava l'assegnazione di terre incolte o abbandonate- esso dimostrava altresì i limiti dell'ANC sia sotto il profilo organizzativo sia sotto quello politico. Se infatti a livello locale, le singole sezioni dell'ANC dimostrarono di saper impiegare le proprie forze per sostenere il movimento di occupazione delle terre, talvolta dialogando con le Leghe rosse e le Confederazioni del Lavoro, i quadri dirigenti dell'associazione si dimostrarono incapaci di coordinare le varie proteste tra loro, di trovare accordi di collaborazione con gli altri soggetti associativi e politici coinvolti nel movimento e di trarre da questa vicenda gli adeguati vantaggi.

Le ragioni di questo atteggiamento da parte dei vertici dell'ANC sono da rintracciarsi presumibilmente nella loro stessa estrazione sociale urbana e piccolo borghese, incapace di aprirsi ad un fenomeno di massa e di comprendere le esigenze e le motivazioni dei contadini che in questa battaglia costituivano la maggioranza; e a ciò si deve aggiungere che quei pochi rappresentanti che prestavano attenzione al rapporto con le masse contadine erano di provenienza salveminiana e che quindi davano una valutazione negativa del fenomeno dell'occupazione delle terre, che a parer loro dovevano essere conquistate dai contadini solo attraverso un processo "graduale, parziale e costoso".

Non colta l'opportunità offerta dal movimento contadino, l'attenzione dell'ANC si spostò sulle elezioni politiche nazionali previste per novembre, i cui preparativi propagandistici iniziarono verso la fine di luglio. Il primo periodo pre - elettorale fu caratterizzato non tanto dalle prese di posizione dell'associazione e dalla stesura del programma politico e della definizione delle alleanze, quanto dal tentativo ripetuto da parte di diversi uomini politici ed esponenti di vari movimenti di interpretare e ricondurre a se il potenziale elettorale dell'ANC. Anche a seguito di un programma politico incerto, privo di precise direttive circa possibili alleanze e pieno di ambiguità interpretabili, l'ANC e i suoi iscritti furono al centro di diverse campagne propagandistiche da parte dei Fasci da Combattimento, degli esponenti dell'interventismo di sinistra, dei nazionalisti, degli anti- nittiani e di altri che tentarono in tutti i modi di portare all'interno della loro orbita l'ANC e di dimostrare agli iscritti che, anche a dispetto delle dichiarazioni del gruppo dirigente, l'associazione doveva orientarsi a votare un determinato partito o movimento politico.
Questi tentativi si accompagnavano inoltre ad una fondamentale incertezza dell'ANC sia a livello dirigenziale che a livello locale, i cui quadri apparivano più preoccupati di ottenere un successo elettorale piuttosto che di perseguire chiari disegni politici. Un incertezza che venne colta e denunciata dal giornale "Volontà", da sempre vicino all'ANC e che il 15 ottobre espresse in questo modo le sue riserve circa la campagna elettorale dell'associazione:
"L'intervento elettorale dei combattenti è stato vario e multiforme, e si può dire che esso abbia maggiormente tenuto conto delle necessità e delle direttive locali, anziché delle direttive segnate dal congresso nazionale. Fino ad ora possiamo dire che si è agito male dove gli accordi e compromessi sono stati ispirati da orientamenti di uomini e di partiti e non di ideali e di programmi...Ci sembra che siano state prese in prestito e coniate a nuovo alcune espressioni della vecchia fraseologia di partito e che sul chiarore e sul rumore di grosse parole si sia affermata una direttiva inconsistente e puramente formale. "

Le critiche di "Volontà - che aggiungeva anche accuse per casi di sospetta corruzione che riaffioreranno più tardi - colpivano nel vivo l'ANC, ma forse non tenevano nel debito conto le cause che avevano spinto l'associazione a ricercare accordi di tipo solo elettorale e ad abbandonare le posizioni di intransigenza iniziali. Accanto al tentativo di avocare a sé il corpo elettorale dei combattenti, gli altri partiti e movimento si impegnarono per lasciare nel più completo isolamento l'ANC: essi vennero attaccati dalla stampa interventista, ignorati dai quotidiani di informazione, attaccati dai socialisti alla stregua di interventisti e guerrafondai, osteggiati dai popolari. Questa situazione, aggravata dalla consueta mancanza di un coordinamento a livello nazionale indusse le varie sezioni dell'ANC a ricercare accordi elettorali a livello locale e regionale, senza curarsi troppo di realizzare una coerenza interna tra le gli orientamenti politici delle diverse sezioni. Anche sul piano delle alleanze e della formazione delle liste elettorali si confermò comunque la divisione tra Nord e Sud all'interno dell'associazione, i cui esponenti fecero scelte molto diverse anche sotto questo punto di vista.

Al Centro - Nord furono pochi i collegi in cui vennero presentate liste composte esclusivamente da ex- combattenti, cosa che accadde solo a Brescia, Parma, Bologna, Udine, Vicenza. Nella maggior parte dei casi si organizzarono invece alleanze con repubblicani e socialriformisti, come avvenne per esempio nei casi di Genova, Perugia, Alessandria, Firenze e Venezia. Sotto un profilo generale si può affermare che al Centro- Nord l'ANC riuscì a mantenere una certa omogeneità, poiché nella gran parte dei casi i combattenti si unirono alle sinistre democratiche, rifiutando di aderire alle liste liberali ed evitando di essere confusi con i nazionalisti.
Diverse furono invece le scelte elettorali nel Mezzogiorno, dove la maggior forza dell'Associazione consentì di schierare candidati reduci in quasi tutti i collegi e molto spesso fu possibile farli presentare in liste autonome. Ciò non evitò che in diversi casi le liste dei combattenti stingessero alleanze con partiti a cui teoricamente si erano dichiarati ostili, come le liste governative e quelle liberali; e altresì presentarono spesso programmi non chiari, a volte con connotazioni nazionaliste, altre volte con risvolti autonomisti e a volte con semplice connotazione antiburocratica e anticlientelare. In Puglia e in Sardegna, che non a caso erano le regioni in cui più forte era la presenza dell'ANC, i programmi assunsero invece connotazioni più radicali e avanzate in senso democratico e riformista. Nelle liste elettorali di Bari venne incluso un nome illustre del riformismo democratico come Gaetano Salvemini, ingresso che segnò la sconfitta della corrente di destra dell'ANC locale. A Cagliari e a Sassari i candidati si presentarono con un programma molto avanzato basato sull'autonomia amministrativa e condussero una dura battaglia contro i gli esponenti dei vecchi partiti liberal - democratici.

I risultati elettorali non furono tuttavia entusiasmanti per l'associazione, soprattutto se valutati alla luce del potenziale serbatoio di voti costituito dagli iscritti e se lo si raffronta con le aspettative di molti esponenti dell'ANC. Le liste intransigenti, formate esclusivamente da candidati combattenti ottennero 191.625 voti, pari al 3,37% sul totale nazionale, risultato ottenuto dalla media tra l' 1,14% del Centro - Nord e il 7% del Mezzogiorno. Le liste concordate presentate in dodici collegi ottennero all'incirca lo stesso numero di preferenze, con il 3,5 % sul totale nazionale. Nelle liste intransigenti furono eletti diciassette deputati, con i migliori risultati raggiunti a Cagliari (24,9) , Cosenza (23,5), Sassari (22,1) Aquila (21,0) e Bari (19,7), e quindici furono gli eletti nelle liste concordate.
Lo scialbo risultato fu forse determinato al Sud dal prevalere del voto di stampo clientelare per i vecchi notabili liberali e democratici mentre per il Centro - Nord i voti furono probabilmente sottratti soprattutto dai grandi partiti di massa sia quello socialista ma anche quello popolare, capace di raccogliere i consensi del mondo contadino. Una scomposizione del risultato elettorale dimostra che comunque l'ANC ottenne al Sud alcuni risultati di notevole rispetto, in particolare in Puglia, in Sardegna in Abruzzo- Molise e in Campania, riuscendo anche a guadagnare consenso non solo tra la piccola borghesia ma anche tra le classi contadine e ottenendo sul piano nazionale un numero di voti spesso superiore ai repubblicani e ai social - riformisti con cui erano alleati.

Sempre in sede di analisi del voto è ancora necessario notare come le elezioni segnarono un tracollo della classe dirigente dell'ACN, i cui membri della Giunta furono tutti battuti nelle preferenze da altri compagni di lista e segnalarono al contrario l'ascesa di Salvemini, che raggiunse il maggior numero di preferenze su scala nazionale, ottenendo nel collegio di Bari ben 17.000 voti. Il giudizio dell'ANC sul proprio risultato elettorale fu improntato ad un cauto ottimismo, come dimostra quest'articolo apparso su "Il Rinnovamento", nascente bollettino ufficiale dell'associazione:
" Si poteva conquistare più seggi, d'accordo, si poteva nutrire speranza che coloro i quali avevano difeso il Paese col loro sangue trovassero nelle masse popolari maggiore riconoscenza e maggior seguito. Ma quando pensiamo che l'Associazione vive da appena sei mesi, e che in sei mesi non ha avuto né il tempo, né il modo, né il denaro necessario per organizzarsi in forte partito, [...], quando pensiamo che non disponevamo di quotidiani per affrontare la lotta, ma che solo il fascino dell'idea nostra e la nostra fede erano i mezzi di propaganda; dobbiamo dichiararci soddisfatti dei risultati ottenuti [...] In conclusione dobbiamo fare come il seminatore della parabola evangelica : abbiamo sparso a larghe mani la sementa; la sementa è caduta in terreno fecondo, il raccolto non può mancare."

Il giudizio espresso dal bollettino venne sostanzialmente condiviso dagli altri organi locali della stampa combattentistica, anche perché riassumeva lo stato d'animo generale della maggior parte degli iscritti all'ANC. Tuttavia il parziale insuccesso alle elezioni non fu completamente privo di strascichi all'interno del gruppo dirigente, da cui si allontanarono polemicamente due personaggi importanti come Luzzatto e Zavataro.
A questi abbandoni non fu comunque attribuito troppo peso, perché all'indomani delle elezioni l'attenzione era rivolta al Parlamento, per la costituzione ufficiale del gruppo parlamentare dei Combattenti.
La creazione del gruppo parlamentare costituì un'ulteriore motivo di delusione per il movimento combattentistico, poiché pochi dei nuovi eletti risposero all'invito del segretario del Comitato Centrale per la riunione del 30 novembre, che doveva sancire ufficialmente la nascita del Gruppo di Rinnovamento Nazionale. All'appuntamento si presentarono infatti all'incirca venti deputati, che comprendevano la totalità degli eletti nelle liste intransigenti e la quasi totale assenza dei deputati eletti in liste concordate. Repubblicani, socialisti, riformisti, salvo alcune eccezioni di rilievo come Gasparotto e i due nazionalisti Siciliani e Sifola, avevano preferito legarsi ad altri gruppi, abbandonando subito lo schieramento dei combattenti.

Dopo alcune settimane il gruppo di Rinnovamento Nazionale rese pubblico il proprio programma, indicando alcune linee guida che sarebbero state seguite nel corso delle attività parlamentari. Per quanto riguarda la politica interna, si richiedeva la riforma dello Statuto del Regno, la riforma della scuola di Stato, l'estensione ai contadini dei benefici della legislazione sociale, la riduzione delle spese burocratiche e militari e si poneva come problema centrale per la trasformazione del paese la soluzione della questione meridionale. Se a questi indirizzi di politica interna si sommano quelli di politica estera, che prevedevano posizioni moderate della questione fiumana, si può chiaramente intendere come all'interno del gruppo l'orientamento salveminiano avesse il sopravvento sulle tendenze più accesamente nazionaliste. Il documento, che si chiudeva con l'invito all'ANC a costituire un partito politico aperto a chi ne avesse accettato il programma senza preclusioni di classe o di appartenenza, portava in calce venti firme: Angioni, Barrese, Benelli, Calò, Carusi, Favia, Gasparotto, Ghislandi, Guaccero, Janni, Ludovici, Manes, Mastino, Orano, Rossini, Russo, Salvemini, Siciliani, Sifola, Zerboglio.

Nonostante l'accordo di programma, la questione adriatica tornò prepotentemente al centro delle polemiche interne al gruppo, soprattutto per l'azione dei nazionalisti che continuarono a schierarsi su posizioni ultra nazionaliste e contestarono con tale veemenza Salvemini da indurlo ad abbandonare il gruppo di Rinnovamento, che stava ormai assumendo le caratteristiche di un partito autonomo completamente slegato dal rapporto con l'ANC. Infatti sia la maggioranza degli iscritti sia la Giunta Esecutiva dell'associazione erano chiaramente schierati su posizioni più moderate di quelle espresse dai deputati nazionalisti, ma proprio il fallito tentativo di far espellere questi deputati dal gruppo dimostrò lo scarso peso che l'ANC poteva esercitare sulle scelte del partito: debolezza che era anche determinata dal fallimento elettorale del gruppo dirigente dell'associazione, che non era rappresentato in Parlamento. Fu così che il gruppo di Rinnovamento venne progressivamente perdendo i suoi connotati combattentistici, accogliendo nelle sue file deputati eletti in liste diverse da quelle appoggiate dall'ANC come alcuni radicali, alcuni socialriformisti e alcuni indipendenti e finendo per recidere ogni legame con l'ANC, se non per quelle battaglie politiche che rivendicavano alcuni diritti dei combattenti.

Fu proprio sul terreno delle rivendicazioni che l'ANC ottenne nel 1920 un discreto successo, capace di compensare almeno parzialmente gli insuccessi elettorali e politici. Tra il marzo e il maggio del 1920 infatti l'associazione promosse con successo un agitazione nazionale per l'estensione della polizza Nitti a tutti i militari che avevano prestato servizio al fronte e che fino ad allora era riservata solo a chi aveva combattuto dal 1917 in poi. Il movimento di rivendicazione prese l'avvio dalla sezione di Genova dell'ANC, che organizzò un convegno sul tema in febbraio, al termine del quale fu votato un ordine del giorno con il quale era nominato un Comitato Nazionale di Agitazione, a cui presto si unirono tutti i rappresentanti nazionali della Giunta Esecutiva. A queste prime iniziative seguì la stesura di un memoriale che fu inviato in marzo al presidente del Consiglio Nitti, in cui a questa richiesta se ne aggiungevano altre correlate: quelle riguardanti il collocamento dei combattenti e dei mutilati, l'assistenza agli invalidi e ai disoccupati, le pensioni di guerra.

A seguito delle scarse risposte ottenute l'ANC proclamò per il 18 aprile una giornata di protesta, con comizi da tenersi in tutti i comuni d'Italia in cui fosse presente una sezione dell'ANC. Le manifestazioni furono un buon successo, si tennero in modo quasi sempre pacifico - a dispetto di alcuni proclami insurrezionali che erano stati diffusi - con l'organizzazione di comizi al termine dei quali venivano votati ordini del giorno che ricalcavano le richieste avanzate a Nitti nel memoriale. Dopo un analoga manifestazione tenuta il 23 maggio dall'ANMIG il governo si decise infine ad accettare in larga parte le proposte dei combattenti, emanando un decreto il 7 giugno 1920 con cui si stabiliva l'estensione delle polizze, l'aumento delle pensioni ai mutilati e alle vedove, l'aumento dei posti riservato agli invalidi e agli ex- combattenti.
L'agitazione si era dunque conclusa con un sostanziale successo per l'associazione, che aveva dimostrato di essere in grado di mobilitare un numero ingente di persone, anche se ciò le era possibile su base rivendicativa ma non sul piano politico: nel complesso però era stato un segnale di vitalità del movimento combattentistico, che dimostrava di non aver ancora esaurito il suo ruolo nel paese.

Forti di questo risultato e resi dai fatti sempre più consapevoli dello scarso collegamento con il gruppo parlamentare, i dirigenti dell'ANC ripresero in mano il progetto della costituzione di un nuovo partito e indissero ad aprile un referendum presso tutte le sezioni con lo scopo di sottoporre a giudizio questa proposta. Al quesito se ritenessero opportuno "promuove a fianco delle sezioni la costituzione di sezioni prettamente politiche di un partito che prenderà il nome di Rinnovamento Nazionale" la maggioranza dei soci dell'ANC rispose positivamente e il 10 giugno si iniziavano i primi preparativi per creare tale organizzazione, stabilendo di tenere il secondo congresso dell'ANC nelle giornate del 21, 22, 23 agosto a Napoli. Nel mese di luglio però il comitato provvisorio incaricato di organizzare il nuovo partito decise di indire il primo congresso del partito di Rinnovamento nei giorni del 17, 18 e 19 agosto, sempre a Napoli, con una mossa politica finalizzata ad evitare ogni dibattito sull'opportunità di creare il partito, presentando la nuova creazione al congresso dell'ANC come cosa ormai compiuta e solo rettificabile dai soci.

Nello stesso momento il comitato provvisorio rendeva pubblica la propria proposta di programma, che grazie al ruolo centrale avuto nella stesura da Camillo Bellieni- esponente sardo e ideatore del partito d'azione- era incentrato su un discorso di autonomia locale, di rilancio del cooperativismo e di liberismo economico. Tale programma avanzato non aveva tuttavia il sostegno della maggioranza dei delegati, tra i quali anzi il gruppo di Salvemini- a cui alcune idee di Bellieni erano riconducibili- si presentava piuttosto debole. Una parte delle delegazioni, riconducibile al gruppo settentrionale, era aprioristicamente contraria alla costituzione del nuovo partito: vi si opponevano la Lombardia, il Veneto, la Liguria con l'eccezione di Genova, la Romagna e in parte il Piemonte, l'Emilia e la Toscana.
In generale favorevoli le delegazioni del Mezzogiorno d'Italia, che però si dividevano su altre questioni, in particolare sui rapporti tra l'ANC e il partito e sull'atteggiamento nei confronti della vecchia classe dirigente. Il congresso però, organizzato in tutta fretta e senza chiarezza sulle rappresentanze e delle delegazioni, finì per concentrarsi in larga parte sul dibattito sulla questione adriatica, terreno in cui si accese lo scontro soprattutto tra favorevoli e contrari a D'annunzio o a Salvemini. Nei giorni del congresso non mancano episodi di risse tra sostenitori delle due diverse correnti e attacchi personali e d offese rivolte allo stesso Salvemini, situazioni che finirono per porre in secondo piano questioni ben più importanti come il dibattito sul programma del nascente partito.

L'esito finale della discussione congressuale fu la sconfitta del gruppo salveminiano, il cui leader decise di abbandonare il congresso e il costituendo partito per le posizioni a suo parere nazionalistiche e imperialistiche assunte nei confronti della questione fiumana e della Dalmazia, defezione che si andò ad aggiungere a quella del gruppo composto dal giornale Volontà, che in precedenza aveva deciso di partecipare attivamente alla costituzione del nuovo partito. Tutti presi da queste questioni di politica estera, i partecipanti al congresso non trovarono il tempo per elaborare quella discussione sui programmi necessaria a dar vita al nuovo partito su solide basi, finendo per ripetere discorsi già fatti in occasione del congresso di Roma e della costituzione del gruppo parlamentare di Rinnovamento.

Il loro comportamento legittima pienamente le critiche che lo storico Sabbatucci così espresse nel libro dedicato alla storia dell'ANC: "Il partito di Rinnovamento nasce senza un gruppo dirigente, senza uno statuto, senza un programma preciso, senza che siano stati definiti i suoi rapporti con l'Associazione Combattenti [...] Il risultato di tutto ciò sarà che l'esplosione dei contrasti con conseguenti scissioni all'interno dell'Associazione Combattenti provocherà la morte prematura del partito appena fondato."

Il secondo Congresso, quello dell'ANC, non iniziò certo sotto migliori auspici, dando anzi l'impressione di una riunione organizzata in modo a dir poco dilettantesco: basti pensare che i primi due giorni furono persi in questioni procedurali, sia perché un rappresentante della giunta aveva trattenuto a sé le deleghe congressuali per ricattare i congressisti, sia per le infinite discussione sull'elezione del presidente dell'assemblea, incarico infine affidato a Gasparotto. Il Congresso dell'ANC non iniziò certo sotto i migliori auspici: diede l'impressione di essere organizzato in modo dilettantesco.
Al centro della discussione che iniziò il 23 agosto vi fu il problema della politicità o meno dell'Associazione e del rapporta tra quest'ultima e il nuovo partito di Rinnovamento. Ancora una volta lo scontro vide fronteggiarsi i meridionali e i settentrionali, questi ultimi sostenitori dell'apoliticità dell'associazione e della sua autonomia al partito: due scontri su opposti ordini del giorno stabilirono lo strapotere del gruppo meridionale a cui andarono all'incirca 8.000 voti contro i 2.000 scarsi dei settentrionali.

Lo scontro sancì il 26 agosto la prima scissione del Congresso, con l'uscita di scena dei delegati lombardi, veneti e romagnoli che abbandonarono il Congresso dopo aver letto una dichiarazione in cui si costatava la fine dell'indipendenza dell'ANC. Il carattere politico dell'associazione venne tra l'altro ribadito in un altro ordine del giorno, approvato a stragrande maggioranza, che sancì l'incompatibilità tra appartenenza all'ANC e iscrizione in altri gruppi e partiti politici. Ma se con l'esclusione dei settentrionali il congresso sembrava aver raggiunto un'unanimità sul tema politico, solo due giorni dopo si assistette ad una nuova e importane scissione, che si consumò durante le trattative per la distribuzione dei posti nel nuovo Comitato Centrale e che ebbe come protagonisti i delegati vicini a Bellieni, che salì sul palco leggendo questa dichiarazione:
"I rappresentanti delle regioni sarda, molisana, pugliese e della sezione di Montepulciano dichiarano che, dopo aver tentato con tutta la buona volontà e con spirito di conciliazione di mantenere salda la compagine dell'Associazione Nazionale Combattenti e del Partito di Rinnovamento; di fronte alla persistente tendenza a perpetuare inammissibili egemonie di gruppi e persone, manifestata da una parte del congresso che, dopo il voto sulla questione morale, avrebbe dovuto sentire il dovere di un più riservato atteggiamento: reputano incompatibile con la propria dignità, con l'interesse dei combattenti e con i propri ideali di lotta una permanenza ulteriore nell'Associazione e nel Partito di Rinnovamento; perciò si ritirano dal congresso e dichiarano di costituire, su una base di intransigenza ideale e ancor più morale, il Partito Italiano d'Azione."


Con questa scissione e con le elezione del nuovo Comitato Centrale si chiusero i due Congressi di Napoli, con un bilancio che Sabbatucci non esita a definire "malinconico" e "fallimentare". Il gruppo dirigente è riuscito a prevale, ma resta sotto il suo controllo solo una parte dell'associazione e un'idea di partito che non riuscirà mai a svilupparsi. In realtà gli anni successivi diranno che l'ANC riuscirà a sopravvivere solo a livello locale, e che l'unica movimento combattentistico capace di dimostrare più unità e combattività sarà quello settentrionale: ma ciò testimonierà anche del fallimento del progetto di far nascere la prima organizzazione politica di massa nel Mezzogiorno d'Italia.
Il gruppo settentrionale cercò di ricostruire una qualche unità all'interno dell'ANC, riproponendo durante un convegno tenuto a Brescia la formula dell'apoliticità dell'associazione, dell'indipendenza dai partiti e del patriottismo, che erano stati gli elementi del suo iniziale successo. La formula prescelta era tale da permettere un riavvicinamento con i gruppi meridionali dissidenti, che si realizzò a partire dall'autunno del 1920 e si concretizzò con un compromesso che dava particolare rilievo all'autonomia delle sezioni regionali e alla lotta contro il vecchio gruppo dirigente. Ma questo accordo, laddove riuscì nella sua pars destruens provocando la caduta del vecchio gruppo dirigente, non riuscì a dar forza alle autonomie locali, finendo per consegnare molte sezioni del Sud all'influenza dei liberali e dei fascisti, in cui iniziarono a svolgere un ruolo di rilievo personaggi come Acerbo, Padovani e Caradonna. Per contro, a partire dal '22 gli iscritti dell'ANC aumentarono al Nord e crebbe anche il peso politico di queste regioni , perché in esse iniziarono a trovare rifugio molti uomini politici e iscritti ad altri partiti che venivano fatti oggetto di accuse e di violenze dai fascisti.

Fu così che l'ANC crebbe nelle regioni dell'Emilia, a Genova, a Milano. Ma per riuscire a tenersi fuori dalla guerra civile che infuriava nel paese, l'ANC abbandonò sempre di più il proprio ruolo politico, assumendo una posizione neutrale che sostanzialmente finiva per aiutare il fascismo stesso. L'ANC perse praticamente ogni peso elettorale, come dimostrarono le elezioni del 1921 in cui pochissimi soci furono impegnati attivamente e ancor meno, cinque o sei, furono gli eletti; e come dimostrò la costituzione in parlamento di un gruppo di combattenti, dei quali nessuno faceva parte dell'associazione, che aveva scopi solo rivendicativi e in cui la maggioranza era composta dai fascisti, con un numero cospicuo di demo liberali e repubblicani.

Tuttavia i rapporti tra il fascismo e l'ANC non furono facili e non vennero in alcun modo migliorati dall'elezione dei settentrionali a capo della dell'associazione nel novembre del 1921, tanto che la tattica del fascismo che pure in quel periodo era forza in ascesa, non fu mai quella dello scontro diretto, ma della lenta infiltrazione a partire dalla base. La conquista però si rivelò più difficile del previsto, perché la base associativa era in grande maggioranza antifascista e accresceva la sua avversione quanto più andava aumentando la carica di violenza connessa al partito di Mussolini. Negli anni 1921-1922 l'ANC cercò anzi di portare avanti una campagna di pacificazione nazionale, nel tentativo di ridurre la carica violenta e insurrezionale del fascismo e continuando a criticare il dilagare del fenomeno squadrista.
Nel febbraio 1923 il Consiglio Nazionale dell'ANC fece atto di adesione al governo, offrendo la propria collaborazione.

La marcia su Roma e la relativa ascesa al potere di Mussolini segnò però una netta inversione di tendenza nei rapporti tra i due schieramenti, dando inizio ad un riavvicinamento che culminò in stretta collaborazione. L'interessamento fu reciproco, perché l'ANC con Mussolini capo del governo pensò di poter ottenere molto di più di quanto aveva avuto dagli altri governi, mentre Mussolini capì che un buon rapporto con l'associazione gli avrebbe consentito di portare avanti il suo progetto di normalizzazione del paese.

Nel febbraio 1923 il Consiglio Nazionale dell'ANC fece atto di adesione al governo, offrendo la propria collaborazione e sciolse le diverse federazioni di ex- combattenti per lasciare il posto a quelle fasciste. Mussolini ricambiava con un decreto del 24 giugno 1923 che istituiva l'ANC come ente morale, dando il riconoscimento ufficiale alla sua attività patriottica. Il progetto di conquista di Mussolini non poté però dirsi compiuto neppure allora, perché i vertici dell'ANC pur professando la loro adesione al governo continuarono a portare avanti il tentativo di pacificazione nazionale e la base si fece sempre più insofferente rispetto ai tentativi di infiltrazione fascista, anche perché in essa andava sempre più crescendo il numero dei "rifugiati" politici provenienti da altri gruppi o partiti.

A partire dal 1923 le pressioni del PNF andarono aumentando anche in ragione dell' accresciuta forza del partito, da una parte insistendo per aumentare il numero di esponenti fascisti nella direzione dell'ANC e dall'altro proponendo in occasione delle elezioni posti in parlamento a quei dirigenti della vecchia guardia disponibili alla collaborazione. Tale pressione si palesò durante il Congresso tenuto ad Assisi nel 1923, in cui forti furono le tensioni tra gli esponenti fascisti e la maggioranza antifascista del'ANC, anche in considerazione del recente assassinio Matteotti, che aveva arrestato quel processo di normalizzazione del paese messo in atto da Mussolini e riacceso gli animi democratici. Se da un lato è opportuno rimproverare all'ANC di non aver saputo denunciare apertamente la pratica violenta di Mussolini, dall'altro non si deve dimenticare che durante questo congresso molte furono le riserve espresse nei confronti del fascismo, che portarono l'associazione al limite della scissione e indispettirono non poco i dirigenti del PNF.

L'approvazione di un ordine del giorno in cui si vincolava il rinnovo della fiducia al governo con il ripristino della legalità nel paese fu il primo esempio di una battaglia che nel corso di quell'anno si fece molto accesa. L'ANC rifiutò infatti in ottobre di partecipare alle cerimonie commemorative della marcia su Roma e per questo rifiuto molti suoi rappresentanti furono fatti oggetto d'aggressione da parte dei fascisti in occasione delle celebrazioni del 4 novembre: ma più ancora di questi episodi fu il ritorno del combattentismo ad un ruolo politico che parve per un momento rilanciare il destino dell'ANC. Per un breve periodo, terminato con il discorso di Mussolini del 3 gennaio, parve infatti possibile riproporre quell'ipotesi di un governo dei combattenti capace di unire le forze democratiche del paese e di porre fine all'esperienza fascista.

Il tentativo fallì per mancanza di mezzi, di convinzione e di situazione storica e Mussolini, tornato ad esercitare con sicurezza il potere, decise di tacitare definitivamente i tentativi dell'ANC. Egli sciolse l'ostile comitato nazionale imponendo un triumvirato composto da suoi uomini che si incaricò di smantellare completamente le sezioni antifasciste dell'organizzazione.

In questo momento terminale della propria storia l'ANC diede però prova di grande dignità, ponendo una ferma resistenza passiva alla fascistizzazione dell'organizzazione: molti dirigenti si rifiutarono di consegnare simboli e bandiere, quasi tutti abbandonarono la vita politica e si dimisero dalle loro cariche, alcuni passarono all'antifascismo militante e poi alla resistenza, tra cui ricordiamo i nomi di Facchinetti, Pacciardi, Lussu, Fancello.
Ma il combattentismo, come ideologia e come movimento politico autonomo,
non sopravvisse al fascismo e alla seconda guerra mondiale.
MARCO UNIA
BIBLIOGRAFIA
Il secolo breve, E. Hobsbawm, Rcs libri, Milano 1995
I combattenti nel primo dopoguerra, G. Sabbatucci, Laterza, Bari, 1975
Le origini dell'ideologia fascista, E. Gentile, Latenza, Bari, 1975
Il mito della grande guerra, M.Isnenghi, Il Mulino, Bologna, 1998
L'officina della guerra, A. Gibelli, Bollati Boringhieri, Milano, 1991
Terra di nessuno, E. Leed, Il Mulino, Bologna, 1985
Il Lutto e la memoria, Jay Winter, Il Mulino, Bologna, 1998

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