ANNO 1929

UNA IMPIETOSA ANALISI
SULL'ITALIA NEL MONDO


QUESTO SI SCRIVEVA !!

(analisi economica e politica dei Paesi del Mondo - articolo integrale - pag. 68-77)
Prof. Mosè Simonetto

IL PROBLEMA E PERICOLO ITALIANO

Il popolo italiano, oggettivamente considerato, con spirito d'osservazione scientifico, spoglio da passioni razziali, si trova oggi in condizioni di assoluta inferiorità, rispetto agli altri popoli europei o di ceppo europeo. Ciò, qualora si compulsino le cifre, aride sì, ma pur eloquenti e sincere.
Solo la Gran Bretagna, fra i grandi paesi d'Europa e non ha una popolazione relativa per Kmq. superiore a quella dell'Italia; ma nei fatti, mentre la Gran Bretagna ha 187,4 abitanti per Km. quadrato, l'Italia ne conta 137. Ma l'Inghilterra, volutamente mantiene sul proprio territorio una popolazione così densa; non mancano ad essa possibilità di espansione; territori immensi, ricchi, prosperi, a tutte le latitudini ed in tutti i climi, attendono nuclei inglesi etnicamente omogenei, né mancano organizzazioni nazionali già pronte ad accoglierli.

Dobbiamo, per tali motivi, far caso omesso della Gran Bretagna e considerare la nostra Patria, quale il paese europeo più densamente popolato (poiché non giova tener conto di piccoli staterelli quali il Belgio e l'Olanda, regioni etniche più che nazioni).
Solo il Giappone, nell'Asia ha una popolazione relativa superiore alla nostra (151 abitanti per Km. quadrato) ma qualora si conglobino le popolazioni e territori Metropolitani con i territori soggetti, abitati in prevalenza da giapponesi o da razze affini (quale Formosa, la Corea e parte dell'isola di Sakalien), la media discende ad abitanti 12 per Kmq.
Né giova stabilire il confronto ed insinuare, che l'Italia possiede colonie più estese in Africa ; queste non sono paragonabili, per fertilità e per immediate possibilità, ai territori soggetti al Giappone; questi rappresentando delle vere e proprie propaggini della Madre Patria.
Così impostato il problema, affermiamo senza tema di cadere in errore, che l'Italia mantiene sul proprio territorio, la popolazione più densa del globo.

Ma ciò non basta; il nostro territorio, é montuoso in prevalenza, come avremo agio di osservare più oltre e scarse ne sono le risorse : mancanti o quasi i minerali, penuria di ferro e di rame, assenza di carbone; del petrolio, a tutt'oggi sconosciute le disponibilità.

Nostra unica ricchezza, la sovrabbondanza di braccia, ma il paese, appunto per ciò, vive d'una vita apoplettica. Precluse furono a noi dagli anglo-sassoni, le vie conducenti ai territori sotto il loro dominio in tutto il mondo, con disposizioni sincroniche, quasi che accordi taciti ed inconfessabili, avessero decretate simultanee persecuzioni alla nostra gente.
Chiuse le porte dell'Unione americana, del Canadà, dell'Australia, della Nuova Zelanda, dell'Africa del Sud, della Gran Bretagna; vale a dire, interdetta alla nostra stirpe, la libera circolazione nel mondo; violazione di eterni principii e di diritti che nascono con l'uomo.

Ma ecco le Repubbliche americane del Sud, sull'esempio della primogenita, del Nord, contenere, restringere, limitare, le nostre correnti emigratorie. Rimangono a noi aperti, paesi inospitali, territori posti in climi micidiali, ove, d'altronde, la mano d'opera indigena, é più che sufficiente a soddisfare le esigenze dell'agricoltura e dell'industria locali, ma sottomessi essi pure al dominio di paesi a noi ostili.

Ecco : l'umana miopia, il piccolo folletto dell'egoismo, la tutela d'interessi inconfessabili, hanno servito ad impostare un problema demografico assillante: «Il problema italiano». Ora, questo problema, popoli europei, popoli fratelli, hanno voluto avesse a trasformarsi in pericolo.
Ma per noi italiani veri, coscienti della nostra forza e del nostro buon diritto, per noi, ciò costituisce motivo di gioia. Essi, gli anglo-sassoni, hanno reso alla nostra causa, un servigio inestimabile e come tale, in realtà, senza eufemismi ed esagerazioni, và considerato. Noi non potevamo più oltre e senza pericolo per la nostra futura esistenza, mandare per il mondo presso popolazioni non nostre, milioni d'italiani, a popolare immensi territori a beneficio di altri, noi non potevamo perdere le nostre migliori energie, i nostri tipi più audaci, più forti, più rappresentativi. Quale vantaggio ne ritrasse la Patria da queste correnti emigratorie, che possa compensare la gravità delle perdite? Un po' d'oro, che avremmo potuto ottenere per altri mezzi, qualora degli uomini inetti, ancor oggi tenuti per grandi, avessero fissato qui in Patria, in grandi lavori di sistemazione e di valorizzazione del nostro territorio, le masse, oggi etnicamente perdute.

Le nostre sofferenze, la nostra povertà, la miserevole vita del passato devono. imputarsi alla miopia dei nostri governanti.
Se popolazioni italiane, dovranno ancor oggi, assillate dal bisogno, cercare una sistemazione fuori dei confini della Patria, si deve provvedere che questa sia decorosa, e che essi abbiano a rimanere compatti, uniti, formando dei nuclei etnici che sfidino le snazionalizzazioni; e tale sistemazione, deve avvenire preferibilmente, sotto la nostra bandiera.
I popoli europei e specie gli anglo-sassoni del mondo, debbono all'Italia una riparazione; riconsiderino la posizione dell'Italia, volutamente sospinta, dal Trattato di Versailles ad oggi, verso un avvenire tenebroso, nel quale solo noi, abbiamo fede.

Noi fummo defraudati, nelle speranze, dal Trattato iniquo menzionato; in forza di esso, dovemmo assistere a delle assurde, illogiche, ignobili ripartizioni territoriali, alla Gran Bretagna, alla Francia, al Belgio concesse, irridendo i nostri sforzi bellici, malgrado gli estremi nostri bisogni d'espansione demografica, che essi non possono invocare. Riparazione ci é dovuta per il sangue sparso, per il fardello grave ed importabile, superiore a quanto é consentito dalla nostra capacità produttiva, a noi posto sulle spalle, per le spese incontrate e che contribuirono alla comune Vittoria.

Compenso ci é dovuto, per la prosperità che abbiamo portata per il mondo con il nostro lavoro, a beneficio di altri popoli, specie nelle ingrate Americhe.
Per il contributo intellettuale da noi apportato al progresso, nelle scienze ed in tutti i rami dell'umana attività.
Abbiamo dimostrata la nostra capacità a progredire, ad organizzare a produrre. Giusto é non si dubiti, dalle nostre facoltà, brillantemente ovunque affermate.
Non si irrida alla nostra povertà, ai nostri sforzi per procacciarci una vita decorosa, degna di essere vissuta, non si inaspriscano i nostri bisogni, non si esalti il nostro spirito di conservazione, esso può divenire aggressivo; non si offenda la nostra dignità: poiché dal bisogno, dalla povertà, dalla persecuzione, traggono sempre origine le forze oscure, che sospingono i popoli alla loro elevazione.

Dall'esame del problema demografico e delle risorse disponibili, fatto per ciascun paese, noi riscontreremo come popoli densamente distribuiti, su territori microscopici (quali ad esempio il Belgio e l'Olanda) siano in grado di poter considerare il loro avvenire con fiducia serena. Nei loro piccoli territori, essi hanno quanto é loro indispensabile per una vita decorosa, ed é consentita una espansione demografica ed economica, nelle colonie ricchissime, da questi due staterelli possedute, in Asia, in Africa ed in America.
L'Impero coloniale olandese é forse il più ricco, benché non il più esteso, di quanti esistono; le sue colonie dell'Arcipelago malese: Giava, Madoura, Borneo, Sumatra, Celebes, sapientemente organizzate, ciò bisogna riconoscere a loro vanto ed a monito ed esempio nostro, forniscono la Madre Patria, di ogni prodotto e rappresentano incalcolabili ricchezze, acquisite tutti gli anni, ad u -piccolo grande popolo, laborioso ed intelligente.
Non dobbiamo considerare con invidia, una prosperità duramente guadagnata, dopo lotte secolari, con Francia, Spagna e Gran Bretagna, sui mari di quattro continenti.

Il solo zucchero dall'isola di Giava prodotto (1.700.000 tonnellate), rappresenta, al valore attuale sul mercato italiano ed al cambio di 25 lire per dollaro, una somma pari a 12 miliardi di lire nostre, somma equivalente a più della metà del nostro bilancio attuale di Stato. Ed il cacao, il caffé, il the, il tabacco, l'oppio, le droghe e spezie di ogni sorta, il riso e le gomme, fra i principali prodotti vegetali; lo stagno, il carbone, il petrolio, il ferro, il rame, fra i principali prodotti minerali, fonte di enormi introiti per gli infaticabili coloni olandesi ?

Non é errato il supporle, così, all'oscuro di cifre attendibili, come il volume totale delle esportazioni ed importazioni olandesi, superi d'assai il doppio e forse triple di quelle italiane.
Ed il piccolo Belgio? Miniere di carbone e di ferro in Patria, terreni ottimi, ed il Congo Belga, colonia immensa e provvista di risorse incalcolabili, ricca in potenza di ogni prodotto.
Ed il Portogallo? Un territorio metropolitano vasto, con una popolazione che appena raggiunge i 65 abitanti per Kmq. ed un impero coloniale fra i più ricchi; l'Angola e Mozambico in Africa, Timor ed altre Isole della Sonda in Australasia.
Trascuriamo volutamente di nominare i paesi americani, che una dottrina di « Monroe » ipoteca per i secoli, precludendo a noi le vie del benessere e della prosperità.

L'Italia, tutti dicono, é giunta tardi sulla scena del mondo e tutti sono intesi a deprecare questa fatalità, i nostrani e gli estranei. Ma se essa fu in ritardo alla ripartizione delle terre del mondo, ad opera di anglo-sassoni di olandesi e di latini, ciò non é imputabile a sua colpa; l'Europa, si compiaceva della triste situazione dell'Italia, la padrona di ieri e malignamente, volutamente la mantenne estranea; solo, teatro d'incursioni neo-barbariche, campo di battaglia obbligato, atto a dirimere tutti i dissidi, spoglia opima ai vincitori, territorio sacro all'odio di tante ignobili stirpi.
Ma esaminiamo con calma, possibilmente scevra da passioni, la posizione nostra nel mondo.

CAUSE CHE CONTRIBUIRONO E CONTRIBUISCONO AD INTAVOLARE IL PROBLEMA ITALIANO:

Quali sono anzitutto le cause che contribuiscono ad incubare il problema italiano e quali contribuirono e contribuiscono a trasformarlo in pericolo?

Fra le prime, le più importanti sono
1) La piccolezza del nostro territorio.
2) La densità della nostra popolazione.
3) La tendenza marcata della razza a riprodursi, con un saldo attivo notevolissimo ed in progressione costante, della natalità sulla mortalità.
4) La speciale conformazione del nostro territorio, eccessivamente montuoso e collinoso e quindi, scarso in terreni piani, ove sia possibile la grande coltura intensiva.
5) La conformazione oro-idrografica della Penisola, per cui i nostri fiumi e corsi l'acqua in genere, per la maggior parte torrenziali, tendono ad uscire dagli alvei al piano, ivi formando, nei migliori terreni alluvionali della, costa, stagni e paludi, che ammorbano l'aria e li rendono inabitabili, per la malaria.
6) Per da scarsa proporzione di terreni fertili esistente, per cui la produzione media per ettaro, é assai bassa ed appena paga le spese colturali.
7) Per da mancanza quasi assoluta, di risorse minerarie, apparenti, nel nostro territorio; mancanza di carbone, di petrolio, penuria estrema di ferro, di rame, di zinco, di stagno ecc.
8) Per la nostra estrema povertà, derivante dalle cause anzidette concomitanti; per gli sforzi fatti durante le guerre d'indipendenza e per i gravami importabili esistenti, quale conseguenza prima. Povertà, che impedisce a noi, senza gravi sacrifici, procedere a quella minima valorizzazione del nostro territorio, che ci conceda un più ampio respiro economico.
9) La lusinga dell'emigrazione e dell'industria turistica, che permettendo ad nostro paese introitare le somme necessarie a stabilire l'equilibrio della bilancia commerciale, distoglieva gli uomini di governo, dallo studio e dalla conseguente applicazione di opere pacifiche durature, atte a provvedere, senza l'alea di precarietà inerente ai due cespiti di entrate anzidette, alle necessità della nostra vita, affinché avesse ad essere posto ad riparo, decorosamente, la crisi temporanee, quali quelle testé subite, a causa dei divieti di emigrazione stabiliti da americani ed affini, e dalla campagna sotterranea, condotta contro le correnti turistiche riversartisi in Italia.
Noné giusto né ragionevole, che il nostro paese subordini le piene esigenze della propria vita, alla volontà, talvolta al capriccio, tal'altra al desiderio di recar nocumento, la parte di nemici della nostra Patria.

Le somme spese dai forestieri e le rimesse degli emigranti, non dovrebbero costituire un qualcosa d'essenziale, d'indispensabile alla nostra esistenza; ciò é assurdo. Eppure la vita economica italiana dell'oggi e di ieri, é e fu stabilita su questi pilastri, le cui fondamenta posavano e posano fuori dei confini della Patria, ed il cui controllo sfugge alla nostra volontà.
Cespiti di entrate superflui, atti a formare ricchezza, non già a riempire necessità imprescindibili, dovrebbero essere; ed allora, la nostra economia, ne sarebbe presto sanata e rinvigorita.
Ben vengano i milioni dei forestieri, spesi in sollazzi, in ammirazione alle nostre incantevoli città ed anche quegli altri milioni, frutto di fatiche e di sudori e di sangue e privazioni e patimenti inenarrabili, dell'italica progenie per il mondo; ma tutto ciò, non sia come elemosina, senza di che languiremmo noi ed i figli.

10) La mancanza di visione dei nostri uomini di governo; la piccolezza di iniziative, la povertà di idee, dei nostri uomini rappresentativi dello ieri.
Essi vissero, paghi dei piccoli risultati ottenuti, in egocentrico abbandono.

11) L'inazione inetta, perversa, criminosa dei nostri latifondisti e dei detentori di ricchezza, specie del Mezzogiorno d'Italia. Il tipo del gaudente dello ieri, del ricco depravato che vive di rendita senza far nulla, dissipando a Parigi, a Montecarlo i propri averi, deve sparire. L'aristocrazia del nome e del denaro, per esser degna, deve scuotere il marasma d'inutilità che la deturpa. Essere ricco, essere rappresentativo della specie per nobiltà d'origine, vuol dire avere delle grandi responsabilità, d'ordine individuale e collettivo. La ricchezza, il benessere, l'agiatezza, non debbono essere fine a sé stessi. Non basta riscuotere le cedole della rendita e ricevere i « canoni pastorizi»: debbono impegnarsi in opere egregie. Il popolo, guarda in alto, sempre, ed imita facilmente il buono od il tristo: signori, siate esempio d'operosità e non d'ozio, di virtù e non di vizio. Dimostrate con le opere, a somiglianza di quanto fecero le aristocrazie britannica e tedesca, egualmente si possa essere dei signori veri ed allo stesso tempo degli industriali, dei commercianti, degli agricoltori; si può essere decrepiti per nobiltà di sangue, ma innovatori brillanti, irresistibili per prestigio, nelle conquiste moderne, onde far grande, temuta, rispettata, prospera la Patria.

12) L'assenza di volontà dei governanti dello ieri.
13) L'esuberanza volitiva degli uomini dell'oggi.

PERCHE IL PROBLEMA ITALIANO SI E TRASFORMATO IN PERICOLO
Vediamo ora in qual modo, il problema italiano, che le cause menzionate hanno valso ad impostare, poté trasformarsi in pericolo

A) La rapidità imprevista ed imprevedibile della forte crescita della nostra popolazione.

B) La repentina chiusura degli sbocchi alla nostra emigrazione, fatta senza che provvidenze interne tempestivamente poste in atto, avessero attenuato gli effetti della doppia crisi conseguente --
a) crisi delle mancate rimesse di denaro ad opra degli emigranti rimastici.
b) crisi apoplettica Nazionale, per la sovrabbondante popolazione, che il paese deve mantenere per soprammercato.

C) La perversa campagna ostacolante il turismo e d'altra parte, la scarsa disponibilità di denaro esistente nel mondo, per la crisi del dopo guerra.

D) L'aumentato consumo Nazionale, reso insaziabile. Ciò, per il mutato migliorato tenore di vita delle nostre popolazioni, per cui la maggior parte dei manufatti e della produzione agricola Nazionale, viene assorbita dal mercato interno.

E) La conseguente stazionarietà della nostra esportazione.

F) L'aumento inconcepibile delle nostre importazioni, per ogni voce, sia per le materie prime che per i manufatti.

G) E come corollario, il peggioramento dello squilibrio della nostra bilancia commerciale, fortemente a noi passiva.

H) Le misure protezionistiche d'emergenza, poste in atto dai paesi più fortemente favoriti di risorse, ed ai quali noi comperiamo in larga misura; mentre a noi non é consentito vendere. L'egoismo delle grandi nazioni produttrici, quali gli Stati Uniti, la Francia, la Gran Bretagna, la Germania dimostrandosi nell'inasprimento senza precedenti delle loro tariffe doganali, mentre a noi sono vietate le rappresaglie, che colpirebbero la nostra economia anziché quella altrui.

I) Il permesso di libera introduzione nel paese, di prodotti voluttuari e che potrebbero essere forniti dalla nostra industria e dalla nostra agricoltura.

L) La caparbia resistenza di commercianti ed industriali nostrani all'esportazione; ad essa preferendo la saturazione del mercato Nazionale, con nocumento magari del credito commerciale interno.

M) La mancata preparazione delle nostre classi produttrici, per incapacità organizzativa, o per facile elusione di rischi, dal commercio estero, ipnotizzate da quello interno.

N) Il terrore delle nostre classi detentrici di ricchezza, per le imprese coloniali, credute aleatorie.

O) La povertà delle nostre colonie, che esigono investimenti grandi di denaro, per l'ottenimento di scarsi risultati.

P) La delusione dagli italiani provata, ad opra degli Alleati, che defraudarono il nostro Paese nelle speranze concepite d'ottenere qualche territorio, facilmente sfruttabile e che avesse a costituire per noi una appendice della Patria, con possibilità di sistemazione per la nostra sovrabbondante popolazione.

Q) La mancanza di programma unitario, rigido, da attuarsi rapidamente e senza tentennamenti ; nel quale e per il quale, tutti i problemi della nostra economia, siano esaminati; tutti i nostri bisogni, della produzione, della manipolazione e del consumo, in armonia con le supreme esigenze del Paese, cui deve essere permessa una vita decorosa e scevra da preoccupazioni per il domani, af inché tutto abbia ad essere riveduto, coscienziosamente, coraggiosamente, voce per voce, prodotto per prodotto, industria per industria, commercio per commercio.

R) Il risveglio meraviglioso del popolo italiano; la coscienza del nostro diritto a vivere dignitosamente nel mondo.

Noi non ci troviamo già nella possibilità di far tesoro delle nostre risorse; non possiamo permetterci il lusso di navigare alla deriva.
Teniamolo ben presente: noi potremo vivere degnamente, non in base alla nostre risorse, né in margine alla vita altrui, né sperando nella società di beneficenza che si chiama «turismo», bensì per la nostra organizzazione, estesa, generalizzata a tutti i rami dell'attività del Paese.
Non possiamo più oltre permettere dispersioni di ricchezza; dobbiamo sfatare molte leggende, dobbiamo sopprimere molti privilegi, coordinare uomini ed idee, aprire l'animo generosamente alle buone iniziative, spremere dall'intelletto, dall'anima della stirpe, quanto é buono ed utile.
Dobbiamo esigere sforzi massimi, ma tenaci, costanti, duraturi.

Siamo sicuri, da parte nostra, di aver fatto quant'era in noi, nel limite delle nostre possibilità e delle nostre facoltà, onde sottrarci alla situazione imbarazzante in che ci troviamo ed in che ci troveremo?

Allorquando avremo superato per virtù nostra, per capacità nostra, per lavoro nostro questa crisi della nostra vita, allora potremo guardare più oltre, alle mete ideali oggi più lontane, più radiose, e ritorni lungamente attesi....
Ma facciamo prima, questo piccolo-grande esame di coscienza, ciò sarà la prova del nostro merito.

Ma le cause, come abbiamo visto dalla sommaria esposizione che precede, le cause vere della nostra crisi odierna, non vanno ricercate solamente fra noi. In quest'ora burrascosa della nostra vita, non siamo confortati dall'appoggio benevolo dei grandi Stati; non si vede con simpatia la lotta in pieno svolgimento fra la nostra povertà da un lato e la nostra laboriosità dall'altro.
Ogni tanto, appaiono articoli pieni di livore, a rimproverare ora questa ed ora quella iniziativa e progresso nostri; oggi,
sono le gelosie degli armatori inglesi, suscitate dallo sviluppo ognor crescente della nostra marina mercantile, fino a poco fa, tributaria per il trasporto del carbone, del grano e delle materie prime dall'estero; domani, saranno le scontrosità della stampa e delle classi metallurgiche di Francia, Germania, Stati Uniti e Gran Bretagna, contro la fiorente nostra industria automobilistica ed allora, dazi protettivi atti a deprimerla ed a contenerla;

di ieri sono le lotte di tariffe e di parole per la seta artificiale e per altri prodotti genuinamente italiani.... eppure Nazioni sì possentemente attrezzate nelle industrie e nei commerci secolari, dotate dalla natura d'ogni risorsa, come se avessero a temere dalle insidie della nostra produzione, così modesta d'altronde, qualora si confronti, a mo' d'esempio, il volume d'esportazioni ed importazioni corrispondente al solo mese di aprile della Gran Bretagna, pari a circa 200 milioni di sterline (circa 25 miliardi di lire nostre al cambio di 125).

Allora noi ci domandiamo perplessi: ma di che cosa si pensa all'estero vivano gli Italiani? si pensa forse che il bel sole ed il relativamente mite clima, siano sufficienti a pascere una popolazione di 42 milioni d'abitanti, capaci, attivi ed intelligenti ?

Ma ove ciò non basti, essi premono, gli Anglo-sassoni, allorquando loro prenda vaghezza, sulla nostra moneta, provocandone delle repentine svalutazioni, intenzionalmente perverse, ingiustificate, criminose.... Rapine collettive, di Stato, con tutte le apparenze della legalità; trafugamenti di ricchezza operati in odio senza il più elementare senso di giustizia. Essi giocano con la nostra prosperità, con la nostra sicurezza economica; si fanno gioco dei bisogni del nostro popolo: ma essi, non giocheranno col nostro onore.

No, ben altre sono le intenzioni, e ben altri i desideri di quei popoli. Si vedono le manifestazioni industriali dell'Italia, con gelosia, poichè abituato era il mondo a considerare la Nazione Italiana, quale un tranquillo Paese, senza aspirazioni di sorta, popolato da abitanti irrequieti solo per derimere interne questioncelle, sobrii, poco esigenti, ubriachi di sole, amanti del sonno, del canto e dell'amore... trastulli tutti di gente che vuol obliare; ci credevano e ci vorrebbero tuttora dediti ai pacifici lavori agricoli, intenti solo alla produzione delle castagne secche, dei fichi secchi, della conserva di pomodoro e dei maccheroni... ed essi, soli, i creatori delle macchine atte a conquistare potenza.
La nostra attività industriale, li sconcerta, li turba, direi quasi li spaventa. Ma la colpa é vostra, soggiungo io ; vostra, poichè con la vostra sistematica politica di bloccamento, non avete ottenuto altro scopo, se non quello di svegliarci, (vedi il nostro risveglio dato dal Trattato di Versaglia) ed agguerrirci, istigarci, stimolarci, e a vincere tutte le difficoltà da
voi stessi poste sul nostro cammino.

La nostra capacità produttiva, il nostro genio creatore di macchine ed ordigni, la nostra tendenza all'emancipazione, ogni giorno più marcata, vi turbano, in quanto eravate abituati a riconoscerci quali vostri tributari. Vi sconcerta altresì, la visione di quest' Italia operante, che si affaccia - oggi - sulla scena mondiale e chiede equità. Ed infatti, equità noi chiediamo al mondo, alle grandi come alle piccole Nazioni; diritto.... il diritto di vivere degnamente: ma invano ! Voi volete e vorreste condannarci a morire.... Ma allora, i nostri problemi, son da voi, volutamente, scientemente trasformati in pericoli. Pericoli per la pace mondiale, che voi turbate con i vostri egoismi non sempre sacri, non sempre confessabili, non sempre onesti.

Se il secolo XVIII volle stabiliti con la Rivoluzione Francese i diritti dell'uomo, noi vogliamo riconosciuti, senza riserve, i diritti dei popoli.
Ma la storia, non finisce a Versaglia, né all'aereopago ginevrino, riconosciamo il diritto di decretare la nostra morte, né ci accontentiamo dell'oasi di Ghadames, dono della Francia fattoci, a riconoscimento dell'aiuto nostro: salvatore.

(In forza del Trattato di Versailles, alla Gran Bretagna furono assegnati 3.574.000 kmq, alla Francia 737.000 kmq, all'Italia l' 0asi di Gadames, alle porte del deserto del Sahara).


Ma l'ascesa nostra faticosa, senza riscontri nella storia di altri popoli, non rallenterà;
gli Inglesi, poveri in origine, si specchiano in noi, per ciò ci temono (forse) ; poiché sanno che la povertà ed il bisogno generano la bravura, l'audacia, l'ardimento. Ma quanto degeneri, sono essi allora, diplomaticamente, per non avvertire la tempesta che si addensa.... forse ci spregiano e ci svalutano.... ma se ciò risponde a verità, da questo giorno, ha inizio il principio della fine del loro ciclo.

Tuttavia ho - mentre scrivo - una profonda tristezza, che considerazioni filosofiche non valgono a mitigare; ho un senso vivo di ribellione, per l'ingiustizia fatta al nostro popolo. Ingratitudine e disconoscimento per quanto di grande, di mirabile e di prodigioso hanno saputo dare gli italiani all'Umanità, all'edificio della conoscenza.

Questa sotto è la "scala delle civiltà" compilata dagli eminenti professori universitari americani. E non sono mie fantasie; queste pseudo-statistiche sono nei loro trattati, negli articoli apparsi in varie Riviste e giornali, perciò nemmeno mi curo di documentare quanto riporto.

LA CLASSIFICA

1) Anglo-sassoni
a) Americani
b) Inglesi

2) Scandinavi
3) Tedeschi
4) Slavi (Polacchi, Cechi ecc.)
5) Greci

6) Latini
a) Francesi
b) Latino-americani
e) Iberici
d) Italiani - Neri dell'Africa.

Che dire, ci hanno messo in fondo alla classifica, al pari dei neri !!
Ma la buona fortuna, non va disgiunta da una certa ben intesa signorilità e da una generosa comprensione e compatimento della suscettibilità, che accompagna sempre il diseredato e lo sfortunato.
La nobiltà sola, può far perdonare ricchezza e fortuna.

Prof. Mosè Simonetto

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