ANNO 1978

CHI HA PAURA 
DEL CASO MORO ?

Perché

VENT'ANNI DOPO
IL MISTERO E' ANCORA INSOLUTO ?


Dialogo immaginario tra due amici, Ivan, di sinistra e Umberto di destra
sugli enigmi del sequestro e dell'assassinio dello statista Dc


di PAOLO AVANTI

Umberto: "Sembra incredibile, ma sono già passati vent'anni dal delitto Moro. Sembra ieri quando successe..."
Ivan: "Vent'anni passati inutilmente, si direbbe, visto che ancora non si è riusciti a sapere cosa c'è stato veramente dietro quell'azione..."
U.: "Ci risiamo. Tu e i tuoi compagni ancora non volete farvi una ragione del fatto che le Brigate Rosse erano figlie vostre, della vostra ideologia, del movimento nato nel seno della sinistra. E allora cercate sempre qualche Grande Vecchio, se possibile americano, per spiegare le atrocità commesse in quegli anni dalle Br".
I.:"No, io non voglio negare le responsabilità della sinistra in quel decennio, né tantomeno voglio ripetere l'errore, che in tanti abbiamo fatto allora, di considerare "sedicenti" le Brigate Rosse. No, quelli erano terroristi comunisti, figli del movimento, come dici giustamente tu, e anche protetti, in qualche modo, all'interno di un certo mondo legatissimo ai sindacati e all'estrema sinistra. Ma vorrai convenire con me che dietro il caso Moro ci sono tanti misteri che fanno pensare a qualche regia occulta".
U.: "Credo di essere in grado di smantellare tutti questi "misteri", con cui voi di sinistra ci avete annoiati per vent'anni".
I.: "E va bene: sto al gioco. Cominciamo con la scelta del personaggio: perché proprio Aldo Moro e proprio il giorno in cui andava in porto il suo grande progetto di portare i comunisti nella maggioranza?"
U.: "Avevano deciso di alzare il tiro, volevano colpire il "cuore dello Stato". E in questo senso due erano gli obiettivi più logici: Giulio Andreotti e Aldo Moro. Seppure avversari all'interno della Dc, erano comunque gli artefici del "compromesso storico", cioè dell'apertura al Pci. Un progetto politico che l'estrema sinistra vedeva come il fumo negli occhi. Loro volevano fare la rivoluzione, la sinistra doveva essere dura e pura e non scendere a compromessi con i capitalisti della Dc"
I.: "La solita bella favoletta. Solo dei pazzi potevano ritenere fattibile la rivoluzione. Eppoi, sai perché decisero di rapire Moro e non Andreotti? Perché era un obiettivo più facile, meno protetto. E come mai lo Stato aveva pensato di proteggere così poco Aldo Moro?"
U.: "Sulla pazzia delle Br posso anche concordare. Ma erano in molti, in quegli anni, a condividere questa "pazzia", anche tra gli intellettuali. Anna Laura Braghetti, una dei carcerieri di Moro, nel suo racconto di quei 55 giorni pubblicato da Mondadori, "Il prigioniero", racconta di come le Br erano convinte che "...smascherando la vulnerabilità di quello che in volantini e comunicati chiamavamo il Sim, Stato imperialista delle multinazionali, avremmo accelerato la presa di coscienza delle masse, le avremmo spinte oltre sulla strada della lotta armata". E dopo la sorpresa del successo dello sciopero generale organizzato dai sindacati contro le Br, i brigatisti si rinfrancarono quando scoprirono di avere ancora un grande consenso nelle fabbriche del Nord. E la Braghetti così spiega lo stato d'animo di quei momenti: "Avevamo battuto il compromesso storico, tenevamo in pugno il suo simbolo, questo il proletariato lo capiva bene, e aspettava le nostre mosse". Questo per dirti sia del clima che si respirava negli ambienti dell'estrema sinistra (sì, la rivoluzione era considerata possibile) sia di quanto il compromesso storico fosse inviso anche a quei settori e non solo alla destra e agli americani. Certo, gli Usa, con Kissinger, l'avevano fatto capire in modo molto chiaro a Moro di non condividere quel progetto. Ma da qui a dire che dietro il rapimento Moro c'era la Cia..."
I.: "A parte il fatto che non l'ho detto, tu comunque non mi hai risposto sul fatto che Moro non avesse la stessa protezione di Andreotti..."
U.: "Non so se questo sia vero, ma forse era giustificato dal fatto che non avesse cariche istituzionali, ma fosse "solo" un leader di partito... In ogni caso una scorta c'era, magari impreparata, ma c'era. Non dimenticare che l'inefficienza dello Stato, e quindi anche delle forze di polizia, era a livelli da Paese sudamericano. Non erano preparate a un'emergenza del genere".
I.: "Vediamo allora se si trattava di sola inefficienza o di qualcosa di più. Un intellettuale che non puoi certo accusare di essere stato un pericoloso eversore bolscevico, Leonardo Sciascia, nel suo "L'affaire Moro" ha fatto un elenco preciso di tutti gli errori investigativi durante i 55 giorni del rapimento Moro... Se ti va li analizziamo uno per uno..."
U.: "Ok, se però mi prometti che poi per altri vent'anni non ne parliamo più".
I.: "Giuro. Allora: il 16 marzo 1978 rapiscono Moro. Nello stesso giorno, in via Licinio Calvo, a pochi metri da via Fani, luogo del rapimento, viene trovata, abbandonata, un'auto usata dai brigatisti. Nella stessa via, il giorno dopo, la polizia trova un'altra auto usata dai terroristi. Come ci è arrivata, visto che la zona era presidiata dalle forze di polizia? E se c'era da prima, perché non se ne sono accorti?"
U.: "Secondo me l'ha parcheggiata lì Kissinger in persona...".
I.: "Se cominci con le tue ironie fascistoidi smettiamo subito. Altro erroraccio della polizia: il giorno 17 viene fermato un impiegato fortemente sospettato di essere implicato nel sequestro Moro. Forse anche tu, che sei cresciuto vedendo polizieschi americani, avresti pensato di pedinare il soggetto in questione. Loro no, cosa fanno: lo arrestano. Il magistrato, che non aveva in mano nulla, dovrà poi lasciarlo andare perché estraneo al fatto".
U.: Due errori tipici della polizia italiana. Gravi, ma che non inducono nessuna strana conclusione. Andiamo avanti."
I.: "Attento: ora la cosa si fa comica, come tutti i drammi italiani. E' il 19 marzo, a tre giorni dal sequestro Moro e indovina cosa trova la polizia in via Licinio Calvo?".
U.: "Kissinger?"
I.: "Piantala. Trovano la terza automobile usata dai brigatisti. Ogni commento sarebbe superfluo. Ma c'è qualcos'altro di comico. La polizia fornisce a giornali e televisione una serie di immagini dei ricercati. Splendido: due sono da tempo in carcere, uno è a Parigi, ma non in clandestinità, e un'altra risulterà regolarmente iscritta con il suo nome negli alberghi dove ha alloggiato. Poi arrivano le leggi speciali, che daranno più potere alla polizia. Evidentemente non utilizzato al meglio...".
U.: "Finora non stai dimostrando nulla, eccetto che l'inefficienza dell'apparato dello Stato, cosa nota a tutti. Gli errori che hai elencato sono indubbiamente comici, ma d'altronde ci sarà un motivo se proliferano così tante barzellette su carabinieri e forze dell'ordine..."
I.: "Mi stupisce che uno di destra come te usi questa acidità nei confronti degli uomini in divisa. Mi viene quasi voglia di difenderli".
U.: "Non c'era un minimo di coordinamento tra le forze dell'ordine. L'unica reazione al sequestro Moro è stata quella di inondare l'Italia di posti di blocco che non hanno portato a nulla. Pensa: in quei 55 giorni sono stati predisposti 74.260 posti di blocco, di cui 6.296 a Roma, sono state effettuate 37.702 perquisizioni, di cui 6.933 nella capitale e sono stati fermati e identificati 6.413.713 persone".
I.: Quanto fumo negli occhi! Andiamo avanti. Tre aprile: la polizia mette in gabbia un bel po' di rappresentanti dell'estrema sinistra, peccato che basi la sua azione su un elenco vecchio di dieci anni. Sono nomi di sessantottini ormai "imborghesiti", gente entrata anche nel Pci, che si è allontanata dalla sinistra più violenta e radicale. Insomma, nel giro di 48 ore vengono quasi tutti rilasciati. E a Botteghe Oscure non mancano, giustamente, le proteste. Ma ora veniamo al mistero numero uno del caso Moro: via Gradoli. Il 18 marzo, cioè due giorni dopo il sequestro dello statista democristiano, la polizia si reca in via Gradoli 96 per perquisire l'interno 11, affittato dall'ingegner Maurizio Borghi. Un nome fittizio, perché quella è la base Br dove vivono Mario Moretti e Barbara Balzerani. I poliziotti suonano, nessuno risponde e questi se ne vanno, senza sfondare la porta".
U.: "Credo che non ci sia nulla di cui sorprendersi. La segnalazione di via Gradoli, data da due inquilini dello stesso stabile, era solo una delle tante segnalazioni che giungevano in quei giorni alla polizia, senza niente di così clamoroso da far pensare di essere giunti alla base romana delle Br più importante, dopo, ovviamente, via Montalcini, la "prigione del popolo". Se avessero dovuto sfondare tutte le porte degli appartamenti sospetti vuoti avrebbero devastato la capitale. Eppoi, la caduta di quel covo, seppur gravissima, non sarebbe stata mortale per l'organizzazione del sequestro. Moretti e Balzerani avrebbero trovato un altro posto dove rifugiarsi".
I.: Sì, ma il mistero di via Gradoli non si esaurisce certo così. A Bologna si svolge quelle famosa seduta spiritica, presente anche Romano Prodi, in cui lo spirito evocato...
U.: ...o forse meglio dire qualcuno dell'estrema sinistra bene informato...
I.: "...suggerisce il nome di Gradoli. Cosa fanno quei volponi della polizia: setacciano il paesino di Gradoli, vicino a Viterbo, a 80 km. da Roma. A nulla sono valse le richieste di Eleonora Moro di controllare se esisteva una via Gradoli a Roma. Quella via per Cossiga non esisteva..."
U.: "Dimentichi un particolare: in quella seduta spiritica non fu fatto solo il nome di Gradoli, ma anche quelli di Bolsena e Viterbo, tutte località vicine. Insomma, non era così campata per aria l'idea di setacciare quel paesino vicino a Viterbo. Sicuramente, non aver cercato una via Gradoli a Roma è stata una leggerezza imperdonabile".
I.: "Bene: e la doccia come me la spieghi? E' il 18 aprile, il giorno del falso comunicato numero 7, quello del lago della Duchessa. Un'infiltrazione d'acqua nell'appartamento sottostante provoca la scoperta del covo di via Gradoli, dove, fino alla notte precedente, avevano dormito Barbara Balzerani e Mario Moretti. Il mistero sta nel fatto che l'infiltrazione d'acqua è stata provocata da una doccia lasciata aperta nella vasca del bagno del covo Br, ma lasciata in modo anomalo, quasi a voler provocare apposta la caduta di quel covo".
U.: Io credo che quando si fantastica su possibili motivazioni occulte o complotti, bisognerebbe anche dare un movente ai presunti interventi esterni. Prima di immaginare che quella doccia sia stata messa in quella posizione apposta per far saltare il covo Br, spiegami perché qualcuno avrebbe dovuto fare una cosa del genere, a chi avrebbe giovato la caduta di quel covo? Non vorrei passare per ingenuo, ma forse sull'episodio la versione più vicina alla realtà è quella molto semplice data da Anna Laura Braghetti nel libro che ti ho citato prima. La Balzerani spesso e volentieri dimenticava l'acqua aperta, poteva essere successo anche quella volta. E sulla scopa appoggiata alla doccia-telefono la spiegazione la dà la stessa Balzerani, che pure non ricorda di avere dimenticato aperta l'acqua: quella mattina aveva lavato la scopa. Insomma, una serie di banalissime coincidenze, tanto più che, ribadisco, non si capisce chi avesse interesse a far saltare quella base brigatista".
I.: "E allora parliamo del falso comunicato numero 7, quello che, sempre il 18 aprile, annuncia che Moro è stato ucciso ed è stato portato sul lago della Duchessa, là sugli Appennini, in provincia di Rieti, dove osano le aquile..."
U.: "Questo sì che è un mistero. Ma qualche ipotesi si è fatta, tutte plausibili. Forse c'era la volontà di fare le "prove generali" della morte di Moro, vedere come avrebbe reagito il Paese, le istituzioni, la piazza, l'opinione pubblica. E poi mandare un segnale ai brigatisti: sappiate che dalla linea della fermezza non ci smuoviamo".
I.: "Se fosse vera questa ipotesi, non fa che confermare la mia tesi: non si voleva salvare Moro. Ammetto che l'idea che il sequestro dello statista democristiano sia stato organizzato non solo dalle Br, ma anche da qualcuno dei servizi deviati potrebbe non stare in piedi..."
U.: "...tanto più che, come ha scritto sul "Corriere della Sera" Ernesto Galli della Loggia, se qualche servizio deviato o la Cia o chissà chi altro avessero voluto la morte di Moro per porre fine all'esperienza del compromesso storico, ebbene non si capisce perché non abbiano ammazzato subito Moro in via Fani anziché imbarcarsi in un rischiosissimo rapimento..."
I.: "Credo che si tratti di un'obiezione più che intelligente. Ma io, fondamentalmente, sostengo un'altra tesi. Le Br hanno rapito Moro. Lo Stato come poteva reagire? O accettando le condizioni dei terroristi (allora non la pensavo così, ma ora credo che lo Stato non avrebbe mai potuto dare un tale riconoscimento ai brigatisti) oppure provando a liberare il prigioniero. E invece, c'era una diffusa rassegnazione alla morte di Moro. E l'elenco di inettitudini ed errori clamorosi da parte della polizia, che abbiamo fatto or ora, non fa che confermare il sospetto che non si sia fatto molto per salvare l'ostaggio. Tanto fumo negli occhi, con qualche retata, molti posti di blocco, ma nulla di veramente concreto. E come non pensare all'unità di crisi predisposta da Cossiga piena di piduisti (lo si sarebbe saputo dopo...)?
U.:"Sicuramente nella Dc, con la consueta ipocrisia di quell'ambiente, qualcuno tutto sommato contento della morte di Moro c'era, e le lacrime di coccodrillo si sono sprecate. Chi avversava il progetto del compromesso storico poteva vedere nella fine di Moro la fine anche di quel progetto. Diversa era invece la motivazione del Pci, che forse, sposando la linea della fermezza, voleva guadagnare ulteriori credenziali di democraticità per poter rimanere nella maggioranza. Ma credo che la volontà di liberarlo, magari non da parte di tutti, c'era, ma più di queste considerazioni politiche, sia prevalsa l'inefficienza cronica delle forze di polizia. Appena avvenuto il rapimento Moro, è stata data attuazione al cosiddetto "piano zero", vecchio di 30 anni, sconosciuto alla maggioranza delle questure. Non credo che decisioni del genere giungessero dai piduisti per ostacolare le indagini, e comunque non è che tutti i dirigenti e i comandanti le forze dell'ordine facessero parte della P2. Erano errori dovuti al solito pressappochismo degli organi dello Stato".
I.: "E le pressioni fatte su Paolo VI perché chiedesse, in quella famosa lettera agli "uomini delle Brigate Rosse", di liberare Aldo Moro "senza condizioni"?"
U.: "Tu credi veramente che qualcuno (Andreotti?) abbia potuto convincere un Pontefice del calibro e del prestigio di Papa Montini ad aggiungere quella frase?"
I.: "Sì, perché in quei giorni si discuteva della legge sull'aborto ed è probabile che sia stato proposto al Vaticano un do ut des facilmente intuibile."
U.: "Ma non credi che comunque anche un Moro liberato non avrebbe comunque cambiato il corso degli eventi?"
I.: "Mi riesce difficile pensare a un Moro libero e a quello che avrebbe potuto fare. Forse avrebbe lasciato la sdegnata ma la classe politica avrebbe reagito ghettizzandolo, facendolo passare per pazzo (già in qualche modo lo si fece quando si ricevettero le sue lettere dalla "prigione del popolo"). Non saprei proprio dire cosa sarebbe successo politicamente in caso di una sua liberazione. Forse avrebbe potuto fare qualche rivelazione clamorosa..."
U.: "Se Moro libero avesse potuto smascherare eventuali mandanti del rapimento, torno all'obiezione di Galli della Loggia: perché rapirlo e inscenare una trattativa? Meglio ucciderlo subito. Diciamoci la verità, invece: per le Br il sequestro Moro è stato un fallimento. Gli interrogatori al presidente della Dc sono stati un fiasco. Moro non ha rivelato nulla di trascendentale. E infatti le carte scoperte a due riprese nel covo di via Monte Nevoso a Milano confermano ciò".
I.: "A meno che qualcuno non abbia voluto appositamente far sparire certe carte..."
U.: "Va bene: facciamo l'ipotesi che è sulla bocca di tutti. Moro racconta a Moretti di Gladio. A questo punto: se le Br avessero agito da sole la prima cosa che avrebbero dovuto fare e, aggiungo io, avrebbero fatto, sarebbe stata quella di pubblicizzare subito la cosa. Se c'era invece un grande vecchio alle spalle, scusa se sono noioso, ma ritorno al quesito di prima: perché rapirlo?".
I.: "E se qualcuno avesse fatto sparire le carte più scottanti dopo il sequestro?"
U.: "Può essere che siano state fatte sparire documenti in cui Moro magari infangava certi colleghi, cose prettamente politiche che le Br o non capivano o non reputavano importanti. Ma, ripeto, se Moro avesse rivelato qualcosa di veramente sconvolgente, le Br l'avrebbero subito comunicato al popolo".
I.: "Bene. Lasciamelo dire: non mi hai convinto per niente, su nessuno dei misteri del caso Moro".
U.: "Altolà. C'è un altro scenario che ti voglio sottoporre, che voi di sinistra respingerete con sdegno. La pista cecoslovacca. I servizi segreti dell'Est volevano far saltare il progetto del compromesso storico. Dietro il sequestro Moro e gli attentati ad alcuni giornalisti che avevano scoperto qualcosa in questa direzione (Pecorelli, Tobagi, ecc.) ci sono i servizi segreti cecoslovacchi. Sta uscendo un libro del sociologo Rocco Turi, "Aldo Moro. Il filo rosso", che indaga in questa direzione. I killer di Moro sarebbero stati addestrati a Praga".
I.: "Moretti ha sempre negato un'ipotesi del genere. Leggerò quel libro e poi ne riparleremo".
U.: "Avevi promesso che l'avresti fatto solo tra vent'anni. Ricordatene. Tanto in Italia non si fa altro che parlare del passato. Si discute ancora delle Fosse Ardeatine..."

di PAOLO AVANTI

Ringrazio per l'articolo
concessomi gratuitamente
dal direttore di Storia in Network

FINE

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