ANNI 1560 - 1609

COSIMO I, FRANCESCO E FERDINANDO I DE' MEDICI

COSIMO I DE' MEDICI - SUOI RAPPORTI CON LA SPAGNA -GOVERNO DELLA TOSCANA: LA SICUREZZA PUBBLICA; 1' ORDINE DI SANTO STEFANO; OPERE DI PUBBLICA UTILITÀ; INDUSTRIA, COMMERCIO ED ARTI - TENTATIVI DI COSIMO DI ACQUISTARE PONTREMOLI E LA CORSICA - AMBIZIONE DI COSIMO - COSIMO GRANDUCA DI TOSCANA - MORTE DI GIOVANNI, DI GARZIA, DI LUCREZIA DE' MEDICI E DELLA GRANDUCHESSA - LEGGENDE SULLA FINE DI ALCUNI MEMBRI DELLA FAMIGLIA MEDICEA - ABDICAZIONE E MORTE DI COSIMO I - FRANCESCO DE' MEDICI - SUO CARATTERE E SUO GOVERNO - MATRIMONIO DI FRANCESCO E BIANCA CAPPELLO - LEGGENDA SULLA FINE DI FRANCESCO DE' MEDICI E BIANCA - FERDINANDO I DE' MEDICI: SUA POLITICA ESTERA; SUO MATRIMONIO CON CRISTINA DI LORENA; OPERE PUBBLICHE
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LA TOSCANA SOTTO IL GOVERNO Di COSIMO I de' MEDICI


Dopo la pace di Chàteau Cambrésis, con l'acquisto di Siena e di quasi tutti i domini del signore di Piombino, COSIMO I di Toscana si trovava ad esser principe di uno Stato che per posizione e per estensione superava tutti gli Stati minori della penisola e non poteva non esercitare in Italia una notevole influenza.
Sapendo egli di dovere tutta la sua potenza alla Spagna, era naturale che dell'amicizia con essa costruisse la base della sua politica. Da una lettera scritta nel 1558 al duca di Ferrara parrebbe che Cosimo mirasse al bene dell' Italia. Egli infatti scriveva: ""... Con questi Principi grandi è necessario governarsi in modo che noi consideriamo bene i loro fini, e ci andiamo aiutando con avvertirsi l'un l'altro, e opporsi alle loro ingiuste mire in forma che non ci mova la passione di Spagna e di Francia, ma solo il bene universale d' Italia nostra patria..."". 

Ma non bisogna prendere alla lettera le ultime parole del brano citato e per bene universale d'Italia si deve intendere il bene particolare dei vari principi italiani di fronte alla potenza degli stranieri nella penisola.
Come pensare infatti che nel 1558, dopo cioè che gli Spagnuoli avevano rotto i Francesi a S. Quintino e avevano costretto il Pontefice ad una pace separata, a Cosimo potesse balenare l' idea di fare una politica che non fosse orientata verso la Spagna? La verità è che Cosimo, anche se qualche volta pensò o finse di volersene distaccare - come quando per premere su Filippo II iniziò pratiche per entrare in una alleanza franco-pontificia - seguì costantemente la parte spagnola, e prova non ultima della sua politica (opportunistica) è il suo matrimonio con donna Eleonora di Toledo, figlia secondogenita del viceré di Napoli.

Questa sua politica non fu certo mossa dalla gratitudine, sentimento questo di  cui difettò l'animo di Cosimo - e ne fa fede la sorte toccata a tutti coloro che lo avevano innalzato, non escluso il GUICCIARDINI - ma dall'opportunità, la quale gli consigliava, di tenersi amica la Spagna, che, possedendo la Lombardia, il Napoletano e la Sicilia e tenendo sotto il suo protettorato Genova ed altri piccoli Stati, era l'arbitra delle cose d'Italia, e, come padrona dello Stato dei Presidii, sorvegliava da vicino la Toscana.

Cosimo in tutte le sue azioni fu mosso soltanto dal proprio interesse, e seguendo le teorie del Machiavelli, non fu scrupoloso nella scelta dei mezzi. Per raggiungere i suoi scopi egli fu inesorabile con i nemici e non risparmiò neppure quegli amici che, per averlo aiutato, potevano (o forse volevano) pretendere di guidarlo. Combatté con le armi i fuorusciti; di quelli che gli capitarono tra le mani alcuni li fece giustiziare, altri gettare in prigione; adoperò per sbarazzarsi dei suoi nemici il pugnale, il veleno, le influenze politiche e così riuscì a liberarsi dei suoi piccoli e grandi avversari, notevoli fra questi ultimi FILIPPO STROZZI, il cardinale IPPOLLITO e perfino LORENZINO de' Medici, che cadde assassinato a Venezia nel 1547 da due sicari.

Ma quando si consolidò sul trono, allora si circondò di consiglieri illuminati e devoti e rivolse le sue cure a render più sicuro e più forte il suo dominio con un governo che, tenuto debito conto del tempo, può considerarsi saggio e per certi riguardi anche liberale.

La pubblica sicurezza, dopo un lungo periodo di guerre e di rivolgimenti politici, lasciava molto a desiderare: egli nel 1549 pubblicò una legge severissima contro i reati di sangue, comminando pene contro coloro che non denunciavano i delinquenti o accordavano loro asilo e assegnando premi a coloro che li uccidevano o li assicuravano alla giustizia.

Per la sicurezza della sua persona, Cosimo I creò una guardia di spagnoli e tedeschi da cui sempre si faceva seguire; per la difesa del territorio istituì una milizia regolare che gli diede un contingente di oltre ventimila fanti; per tutelare le coste dalle incursioni dei barbareschi fece costruire una flottiglia di galee negli arsenali pisani; innalzò enormi torrioni e istituì in Pisa nel 1561 l'ordine militare e religioso di Santo Stefano; infine volle fortificare Siena e Grosseto erigendo in quella il forte degli Spagnoli e costruendo in questa dei bastioni e dei mulini.

Anche alle finanze Cosimo rivolse le sue cure ripartendo meglio le imposte e perché queste dessero un reddito maggiore allo Stato cercò di rialzare le condizioni economiche del ducato favorendo l'agricoltura, l'industria e il commercio. Pensò di bonificare la Val di Chiana da lui visitata nel 1561 e incaricò Giulio Ricasoli di presentargli un progetto; tentò di richiamare nel territorio di Pisa tutti coloro che lo avevano abbandonato promettendo aiuti ed esonerandoli per un certo tempo dai pesi pubblici; concesse a molti piccoli centri della Toscana la manifattura della lana, che prima era privilegio della sola Firenze; si adoperò a fare rifiorire i consolati di Roma, Napoli, Venezia, Lione, Anversa e Londra; cercò in Spagna uno sbocco alle merci toscane e stipulò con i Turchi un trattato con il quale vennero concessi alla Toscana in tutto l'impero ottomano gli stessi privilegi che aveva  Venezia.

Seguendo la politica interna degli imperatori romani, egli cercò di tener quieto il popolo promuovendo feste e divertimenti. Inoltre protesse le lettere, le arti e le scienze, favorì l'industria libraria molto scaduta a causa dell' Inquisizione, chiamò dalla Sicilia lavoratori di coralli e specchi, commise opere a rinomati artisti quali il Cellini e il Vasari e, spinto dall'amore del bello e forse anche più dalla vanità, acquistò il palazzo Pitti.

Ma non soltanto a far prosperare e a render sicuro il suo Stato egli dedicava le sue cure; pensava anche a ingrandire i suoi domini. Avrebbe potuto facilmente impadronirsi di Lucca, ma era certo che, conquistata la città, gli abitanti, insofferenti al giogo, sarebbero andati altrove con i loro capitali e perciò si astenne dal molestare i lucchesi, i quali però - al dir dell'ambasciatore Veneto Vincenzo Fedeli, "pel continuo timore di essere assaliti gli erano quasi soggetti".

Dopo la congiura dei Fieschi - ne abbiamo accennato in altre pagine-  egli volse il suo cupido sguardo a Pontremoli, terra appartenente a quella famiglia, strategicamente importante perché allo sbocco del passo della Cisa; ma le pratiche da lui fatte per ottenere da Carlo V quella città non ebbero buon risultato. E fallì pure il tentativo fatto da Cosimo per avere la Corsica, che per sottrarsi alla odiata signoria dei Genovesi era intenzionata a unirsi alla Toscana. Cosimo si adoperò in tutti i modi per ottenere il possesso dell' isola, ma gli ambasciatori mandati u, Madrid e a Vienna ritornarono a Firenze con un seco rifiuto.
Questi tentativi mostrano quanto grande fosse l'ambizione di Cosimo, il quale non solo con gli acquisti territoriali cercava di accrescere la sua potenza ma anche con i matrimoni. Alla figlia Lucrezia diede per marito Alfonso II d' Este, al figlio Pietro diede in sposa Eleonora figlia di don Garcia de Toledo, per il primogenito Francesco negoziò un matrimonio con Maria di Portogallo e fallite le trattative, riuscì a fargli sposare Giovanna d'Austria.
Un'altra prova dell'ambizione di Cosimo ci è data dai maneggi, adoperati per mezzo di Paolo IV, allo scopo di ottenere per il suo primogenito il titolo di re o di arciduca. Questi tentativi fallirono con un papa; ma a Cosimo riuscì di ottenere da un altro papa, da Pio V con bolla del 24 agosto del 1569 per sé e per i suoi successori il titolo di Granduca, che più tardi fu confermato dall'Imperatore.

L'ambizione di Cosimo e la potenza a cui egli era salito dovevano naturalmente suscitare la gelosia di altri principi, che ebbe occasione di rivelarsi prima quando furono fatte proposte per conferire un titolo a Francesco, poi quando allo stesso Cosimo gli venne data la dignità granducale. Questa difatti per qualche tempo non fu riconosciuta né dalla Casa d'Austria né dalle corti dei Gonzaga , né degli Estensi.
A soffiare in questa gelosia badavano i fuorusciti fiorentini, che, non sapendo come nuocere ai Medici, cercavano con le calunnie di metterli in cattiva luce presso i sudditi e presso gli altri Stati. E certamente alle calunnie di questi fuorusciti si debbono tutte le leggende che corsero in giro sul conto di Cosimo I e della sua famiglia e che i documenti venuti alla luce sembrano che hanno sfatato. Fu detto, ad esempio, che Lucrezia de' Medici, appena un anno dopo il matrimonio, mori di veleno propinatole dal marito, che si era accorto di esser tradito e fu detto anche che Cosimo per celare i suoi amori illeciti con Eleonora di don Garcia di Toledo costrinse poi il figlio Piero a sposarla.

Un'altra e ben più grave accusa lanciata contro Cosimo fu quella di avere il duca ucciso il figlio Garzia. Secondo una leggenda, che ebbe gran credito presso gli storici, il cardinale Giovanni de' Medici, figlio di Cosimo, venuto durante una caccia a diverbio col fratello Garzia, sarebbe stato da questo pugnalato; Garzia, a sua volta, sarebbe stato per punizione ucciso dal padre; la duchessa poco tempo dopo sarebbe morta per la tragica fine dei suoi figli.

I documenti invece permettono di ricostruire i fatti in modo completamente diverso. Avendo divisato di recarsi a Pisa per lasciarvi la moglie Eleonora che doveva trascorrervi l' inverno, verso la metà d'ottobre del 1562 Cosimo I partì da Firenze con la famiglia e per le Maremme si recò a Grosseto, poi a Castiglione della Pescaja e a Massa Marittima. In questo viaggio la duchessa e i figli furono colti da febbri malariche perniciose. Stava la famiglia ducale per muoversi da Rosignano quando il cardinale Giovanni fu preso da una febbre così violenta che dopo pochi giorni cessò di vivere (23 novembre 1562). A Livorno anche gli altri due figli di Cosimo, Garzia ed Ernando si ammalarono: il primo soccombette (12 dicembre 1562), il secondo, più robusto, riuscì  a superare il male. La duchessa Eleonora, affetta di etisia polmonare aggravata dalle febbri malariche, dai disagi e dal dolore cagionato dalla perdita dei figli, condotta a Pisa, vi morì il 17 dicembre di quel medesimo anno.

Scosso dalla terribile sventura che si era abbattuta sulla sua casa Cosimo I si occupò ancora qualche anno delle le cure del governo, poi, nel 1564, rinunciò in favore del figlio FRANCESCO al potere, conservando il titolo, alcune prerogative, le rendite di parte del suo stato e un assegno annuo. Nel riposo trascorse gli ultimi 10 anni della sua vita, che la morte troncò nel marzo del 1574.

Scrive di lui il Callegari. ""...Potente ed accorto, terribile e calmo, superbo e carezzevole, avido di ricchezze e non sempre gretto nello spendere, Cosimo seppe imporsi alla patria, domarne le voglie riottose e reggerla per lungo tempo..""

""E come nella politica interna, così trionfò in quella estera a tal punto da essere desiderato come amico e temuto come avversario. Quantunque devoto al dominio di Spagna, non si lasciò tuttavia stringere senza sua volontà alla fune della politica di quella, e quando fra i due rami spagnolo ed austriaco della casa d'Absburgo sorsero delle discordie, seppe abilmente tenersi fra i due, senza far sentire alla corte di Madrid in alcun modo il peso del favore, che egli godeva a Vienna.""

""Anzi, poichè la Spagna, possedendo lo Stato dei Presidi, avrebbe potuto da un momento all'altro occupargli il territorio Senese, se la tenne amica soccorrendola di denari e facendole sentire il vantaggio di aver alleata e devota la casa dei Medici, sia per il governo dei suoi possessi in Italia, sia per le altre imprese, che, sotto Filippo II specialmente, la Spagna tentò in questa o quella parte d'Europa""

""E così, mentre riuscì a dire di aver governato il suo paese senza essere schiavo di Madrid, ebbe nel suo letto di morte il conforto di poter sapere che Filippo II aveva detto, che nel duca di Toscana egli stava per perdere un amico di grande prudenza, accortezza evalore..."" (Callegari)

FRANCESCO DE' MEDICI - BIANCA CAPPELLO

Diverso dal padre fu FRANCESCO dei MEDICI, che alla morte di Cosimo contava trentatré anni ed era malvisto dai sudditi per il suo carattere superbo e vanitoso e per la vita dissoluta che conduceva. Ben presto, per volere del padre, aveva preso.parte agli affari di governo: era stato qualche tempo alla corte di Madrid, nel 1548 era andato a Genova ad ossequiare Filippo II che per la prima volta veniva in Italia, nel 1559 aveva visitato Lucca, nel 1560 aveva accompagnato a Ferrara la sorella Lucrezia che andava sposa ad Alfonso II d' Este; ma più volentieri egli si era dedicato ai piaceri, frequentando la compagnia di giovani intemperanti ed oziosi.

Successo al padre sul trono granducale, Francesco si rese presto così odioso per il suo governo che alcuni giovani, appartenenti alle più ragguardevoli famiglie fiorentine, si raccolsero intorno ad ORAZIO PUCCI e iniziarono trame con lo scopo di liberare la Toscana dalla tirannide medicea. La trama però venne scoperta; il Pucci fu impiccato e gli altri congiurati, salvatisi con la fuga, ebbero i beni confiscati.

Il governo di Francesco de' Medici segna uno dei periodi più tristi della storia della Toscana. La floridezza scomparve; le economie di Cosimo furono dissipate; la sicurezza nelle città e nelle campagne cessò; furono frequenti le risse, i ferimenti, gli assassini, e i colpiti dall'ingiustizia medicea si radunarono in bande che costituirono una minaccia perenne per le pacifiche popolazioni. 
Si aggiungano una invasione di cavallette nel Senese, per la cui distruzione si dovettero spendere somme cospicue, e l'interruzione delle comunicazioni e del commercio con la Lombardia, dov'era scoppiata la peste.

La sola opera utile fatta durante il governo di Francesco fu l'ampliamento del porto di Livorno, che fu fatale a Pisa e al suo commercio; anzi il granduca volle che Livorno, il quale allora era poco più di un villaggio con un forte castello, diventasse una città e diede incarico al Buontalenti di approntare i disegni. I lavori, cominciati sotto Francesco, progredirono alacremente sotto Ferdinando I e dopo alcuni decenni la nuova città acquistò tale fioridezza che fu necessario ampliarne la cinta.

Durante il regno di Francesco I la storia di casa Medici registrò pure una tragedia: Eleonora, figlia di Garcia di Toledo, quella stessa che secondo la leggenda fu imposta da Cosimo I come moglie al figlio Pietro, sospettata di adulterio, venne uccisa a pugnalate dal marito.
Più tragica, pur senza spargimento di sangue e colpi di pugnale, fu la sorte di GIOVANNA d'AUSTRIA, la sposa di Francesco. Questa infelice donna non solo non conobbe mai l'amore del marito, ma dovette sopportare l'affronto fattole dal granduca che osò condurre nel suo palazzo la propria concubina: BIANCA CAPPELLO.

Era nata questa nel 1548 da un gentiluomo veneziano di antica famiglia patrizia, Bartolommeo Cappello, e da Pellegrina Morosini. Giovane di bellezza straordinaria, nel 1563 essa si era innamorata del fiorentino Pietro Bonaventuri ed era fuggita con lui a Firenze, dove il 12 dicembre di quel medesimo anno i due amanti contrassero matrimonio.
La bella veneziana non mancò nella capitale della Toscana di avere ammiratori. Fra questi fu lo stesso granduca, il quale, innamoratosi perdutamente di lei, per averla vicino nominò suo guardarobiere il Bonaventuri e tenne nella reggia la bellissima Bianca. Quando la granduchessa, affranta dal dolore, morì, fu tolto col ferro l'ultimo ostacolo che il Bonaventuri costituiva per la felicità di Francesco e Bianca Cappello,  e così i due celebrarono il loro matrimonio, che venne notificato a tutte le corti d'Italia.

Venezia; che aveva minacciato di morte Bianca e il suo rapitore, accolse con grandi manifestazioni di gioia l'annuncio dello nozze e i parenti di lei, che prima l'avevano rinnegata per il matrimonio con un povero mercante, festeggiarono quello concluso con il granduca. Il senato veneziano dichiarò Bianca Cappello "vera e particolare figliuola della repubblica a cagione di quelle particolarissime e rare qualità che degnissima la facevano di ogni gran fortuna", creò cavalieri, il padre e il fratello di lei, ordinò che si suonassero a festa le campane e che si facessero luminarie e mandò a Firenze una splendida ambasceria per rendere più solenne la cerimonia della incoronazione della nuova granduchessa.

Il 19 ottobre, del 1587 dopo pochi giorni di malattia, in età di quarantasette anni, Francesco cessò di vivere e il giorno dopo lo seguì nella tomba Bianca Cappello. La fine della coppia granducale fu dal pubblico attribuita a veleno preparato da Bianca per il cognato cardinale Ferdinando e invece ingerito da lei e dal marito, e questa versione è consacrata in una novella anonima che ci piace di riportare.

« Avvenne una volta fra l'altro, che venendo a Firenze il cardinale Ferdinando de' Medici ci ebbero occasione (Francesco e la moglie) di conversare e mangiare insieme. La male avveduta e accorta signora una mattina fece una torta con le sue proprie mani, e vi messe dentro un potentissimo veleno. Il Cardinale, che già aveva questo sospetto, teneva in dito un anello, la cui pietra era di tal virtù, che quando comparivano in tavola vivande avvelenate si mutava di colore: onde egli ad ogni vivanda che compariva in tavola, rimirava la pietra del detto anello. Alla fine della mensa venne una quantità  di confetture, e fra le altre la torta avvelenata della signora Bianca.  Il Cardinale osservò la pietra, e la vide turbata; riconobbe il tradimento che gli era stato preparato, o sospettò che anche il fratello ne fosse consapevole; onde stette sempre su gli avvisi, discorrendo al suo solito con ogni affabilità e mostrando di non essersene accorto. Finalmente il granduca, dopo aver detto al fratello che sentisse i favori della signora Bianca, col pigliare una fetta di torta fatta con le sue mani, e il cardinale, trattenendosi in complimenti, con speranza di non pigliarne, il granduca disse "Nessuno vuole essere il primo? Sarò io" e ne prese un pezzo e lo mangiò. L' inesperta signora, non volendo rivelare, presente il marito e il cardinale, il tradimento, risoluta, vedendo il granduca avvelenato, ne prese anche ella e la mangiò; volle esser compagna al marito nella fatale tragedia di morte, piuttosto che sopravvivere dopo aver rivelato il tradimento preparato per il cardinale. Il granduca, innocente del fatto, seguitava i suoi discorsi, quando di lì a poco cominciarono ambedue a sentire nella pancía intensi dolorí, e a ritirarsi nei loro appartamenti, andando sopra il letto, attendendo i medici e i loro rimedi, che il cardinale aveva dato da intendere che stavano arrivando. Ma non comparve nessuno; anzi per espresso comando del cardinale, pena la vita, volle che nessuno, chiunque fosse,  si accostasse all'appartamento degli sventurati principi. Ed egli medesimo, con due pistole in mano, ne faceva diligenza e guardia. Gli infelici poterono chiedere aiuto quanto volevano, ma quelli che glielo poteva dare  era quello che con crudeltà gliene privava, e convenne agli infelici principi terminare così miseramente la loro vita, in quella crudele maniera. Il Cardinale fece dare ai defunti onorevole sepoltura e sparse voce che non ci fosse stato rimedio alcuno per quel veleno, essendo stato potentissimo e in molta quantità».

Così la leggenda; la verità storica è invece un'altra. La morte di Francesco e Bianca si deve attribuire alle febbri malariche contratte nelle paludi dell'Ombrone. Alle febbri si aggiunse una fortissima indigestione provocata da una grande quantità di funghi mangiati dal granduca; in Bianca invece il male ebbe facilmente ragione di un organismo indebolito dall'abuso del bere e dall'uso di strane sostanze forse piuttosto  venefiche che lei soleva ingerire sperando di vincere la sterilità che l'affliggeva.

GOVERNO DI FERDINANDO I  DE' MEDICI.

A Francesco de' Medici successe il cardinale Ferdinando. Egli non era vissuto in buoni rapporti con il fratello e nutriva tanto odio verso la cognata che, appena salito al trono, proibì che il cadavere di Bianca fosso sepolto nelle tombe medicee e fece atterrare lo stemma della sua casa in cui era stato accoppiato quello dei Cappello.
Con Ferdinando I la politica estera della Toscana assume un nuovo orientamento. Con Cosimo i Medici erano stati in ottimi rapporti con la Spagna; con Francesco questi buoni rapporti erano stati oscurati da qualche nube: infatti la corte di Madrid aveva sostenuto don Pietro de' Medici contro Francesco nelle liti sorte tra i due fratelli a proposito della divisione del patrimonio paterno, e niente aveva fatto in favore del gran duca, il quale avrebbe voluto che i signori di Piombino gli cedessero l'isola di Elba o gli lasciassero fortificare quelle di Montecristo e Pianosa, divenute nido di barbareschi.

Ferdinando I, salito al trono, comprese che l'amicizia di Spagna era più di peso che di vantaggio alla Toscana, e che la corte di Madrid ricorreva ai Medici solo quando aveva bisogno di denari, ma poi non mancava mai di osteggiarli quando essi mostravano di volersi ingrandire. Pur  mantenendo apparentemente e abilmente la cordialità di relazioni che era esistita tra Firenze e Madrid, il granduca volle fare una politica che fosse più rispondente ai suoi interessi e alle sue aspirazioni e cercò amici in Italia e fuori.
In Italia aderirono alla sua politica di indipendenza dalla corte spagnola i Veneziani, che avevano motivi di risentimento verso Filippo II, i Gonzaga che temevano che il duca di Savoia, amico di Spagna, tentasse di usurpare loro il Monferrato, e i Genovesi, che preoccupati dalla politica dei Savoia, vedevano minacciata la loro libertà. Fuori d'Italia il granduca si avvicinò alla corte di Parigi: quando stavano per ricominciare le guerre tra Spagna e Francia egli difatti si diede a favorire quest'ultima e nella questione del Marchesato di Saluzzo (che nel 1588 era stato occupato da Carlo Emanuele I) aiutò segretamente la Francia perché potesse ritornare in possesso di quel dominio.
Con Enrico di Francia anzi stipulò un trattato segreto con la quale fu stabilito che egli avrebbe comperato per un milione di scudi d'oro il marchesato di Saluzzo qualora questo fosse venuto in possesso della corte francese. Inoltre, nella, speranza di diventar padrone della Provenza, offrì ad Enrico l''aiuto delle sue armi contro il duca di Savoia che era penetrato in quella regione ed aveva occupato Marsiglia.

Con la Francia il cardinale, ora granduca, Ferdinando I de' Medici,  insomma strinse tali rapporti di amicizia che nel 1588 prese in moglie la principessa Cristina di Lorena. Questo matrimonio e i maneggi politici del granduca irritarono straordinariamente la corte di Madrid e se ne videro le conseguenze quando venne a morte Alessandro d'Appiano, signore di Piombino. L'assassinio di questo principe al quale non erano stati estranei la moglie Isabella e don Felice d'Aragona comandante delle milizie spagnole dello Stato dei Presidii, fece cadere Piombino nelle mani di Filippo II, nel cui nome don Felice ne accettò la signoria. Ferdinando I, che aspirava al possesso di questo territorio, protestò energicamente contro l'intervento spagnolo, però la corte di Madrid non solo non tenne in alcun conto le proteste, ma, poiché Ferdinando si era dato a favorire la causa di Cosimo, figlio di Alessandro ed erede legittimo della signoria di Piombino, rinforzò la guarnigione dello Stato dei Presidi e quella del nuovo acquisto.

Mentre Ferdinando I dava nuovo indirizzo alla politica estera, rivolgeva attentissime cure alle cose interne della Toscana, seguendo le orme di Cosimo I. Durante la carestia egli cercò in tutti i modi di alleviare la miseria del suo popolo sebbene in quest'opera fosse ostacolato da Spagnoli e Piemontesi, i quali fermavano tutte le navi, che portavano grano in Toscana. Nello straripamento dell'Arno, che nel 1589 arrecò tanti danni al territorio fiorentino, il granduca, che si trovava nella sua villa del Poggio, accorse con grave pericolo della sua vita a Firenze, visitò il territorio inondato e non solo fu prodigo ai danneggiati di soccorsi e di conforti, ma li aiutò in seguito a ricostruire le loro case.

Né si limitò il granduca alle opere di carità soltanto. Spendendo spesso suoi denari, intraprese opere di pubblica utilità, facendo rettificare il corso dell'Arno, provvedendo al prosciugamento delle Chiane e alla bonifica delle Maremme e aiutando in vari modi Grosseto che da lui ebbe cisterne, case, fortificazioni.

«Curò che in Toscana tornasse in onore l'agricoltura, ed egli stesso coltivava intensivamente nei propri possedimenti il gelso e lo distribuiva fra i proprietari di terreni; sotto Ferdinando si estese largamente la cultura degli ulivi e della vite; si costruirono giardini come quelli d'Asia e d'America: si coltivarono piante esotiche, molte delle quali le aveva trasportate in Toscana Giuseppe Casabona e Matteo Caccini, mentre  sul muschio, sul cocco delle Maldivie e sulla cocciniglia si avevano notizie dal viaggiatore fiorentino Francesco Carletti. Ferdinando fu protettore pure delle scienze naturali e matematiche; fondò ed arricchì il museo di storia naturale a Pisa, specie con le preziose rarità che dall'Asia gli mandava Filippo Sassetti; ravvivò l' Università di Siena, e non poche volte si compiaceva di chiamare alla reggia i più illustri letterati e scienziati o di assistere alle loro dispute di fisica, di matematiche, di letteratura. (Callegari) ».

Le maggiori cure le dedicò a Pisa e specialmente a Livorno. Abbiamo detto come sotto Cosimo I questa città cominciasse a prendere sviluppo. Egli vi fondò una dogana, un arsenale, un ospedale militare; diede facoltà al comune di modificare gli statuti; concesse privilegi e franchigie a chi andasse ad abitarvi, vi accolse gli ebrei e perché Livorno diventasse un centro attivo di commercio, lo dichiarò porto franco e fece compilare un nuovo codice.

Cosimo aveva anche ordinato che fosse scavato un canale fino a Pisa e aveva dato incarico a Bernardo Buontalenti di dirigere i lavori per il nuovo porto di Livorno. I lavori, iniziati nel 1571, rimasero interrotti, ma vennero ripresi  da Ferdinando I che vi mandò a dirigerli Claudio Cuccerrano e vi impiegò seimila operai. Purtroppo neppure sotto di lui i lavori del nuovo porto furono portati a compimento e, sospesi, vennero un'altra volta ripresi dal suo successore.

Ma seppe dare un grandissimo incremento commerciale alla città col traffico del grano e seppe attirare a Livorno, oltre gli ebrei, profughi corsi e francesi, con il concedere loro privilegi e immunità e, crescendo i bisogni della città e gli abitanti, costruì chiese, una darsena, un lazzaretto, un ospedale, un bagno di forzati, parecchie fabbriche e una fortezza.
Durante il suo regno che durò ventitrè anni, la Toscana ebbe pace e una certa floridezza, e le coste furono validamente protette dall'Ordine di Santo Stefano, le cui navi, sotto la guida di Jacopo Inghirami, si distinsero nell'impresa contro Bona, facendo numerosi prigionieri e un ricco bottino. 


Per il suo saggio governo egli si aggraziò l'amore dei suoi sudditi, 
i quali ne piansero la morte, avvenuta nel 1608.

(VEDI IN SEGUITO ANCHE IL RIASSUNTO DEGLI ULTIMI MEDICI - 1608-1685 > > 

Riportati con una panoramica alcuni accenni sulla Toscana

dobbiamo dare una sguardo

anche alla vicina Corsica nella lotta con Genova

nel periodo che va 1553 al 1576 > > >

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
+ VARIE OPERE DELLA BIBLIOTECA DELL'AUTORE 
 

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