ANNI 1729 - 1769

LA CORSICA E GENOVA

SOLLEVAZIONE DELLA CORSICA - I CORSI OFFRONO LA CORONA DELL'ISOLA A CLEMENTE III, I GENOVESI CHIEDONO AIUTO A CARLO VI - PACE DEL 1732 - NUOVA INSURREZIONE: PROCLAMAZIONE DELL'INDIPENDENZA - TEODORO DI NEUHOFF SBARCA NELL'ISOLA - TEODORO PROCLAMATO RE -COSTITUZIONE DEL REGNO DI CORSICA - TEODORO ABBANDONA L'ISOLA - CONVENZIONE FRANCO-GENOVESE - RITORNO DI TEODORO E SUE ULTIME VICENDE - LA CORSICA E CASA SAVOIA -SPEDIZIONE SARDA IN CORSICA - CONVENZIONE TRA CARLO EMANUELE III MARIA TERESA - SECONDA SPEDIZIONE SARDA - PASQUALE PAOLI ALLA TESTA DEGLI INSORTI - SUE RIFORME - CONQUISTA DI CAPRAIA - CONVENZIONE DI COMPIÈGNE E TRATTATO DI VERSAILLES TRA GENOVA E LA FRANCIA - GUERRA TRA I CORSI E I FRANCESI - BATTAGLIE DI S. GIACOMO E PONTENUOVO - ESILIO DEL PAOLI

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LA CORSICA CONTRO GENOVA - IL REGNO DI TEODORO NEUHOFF


Ricaduta sotto il dominio di Genova, dopo la lunga guerra che aveva avuto per eroe SAMPIERO di BASTELICA, la Corsica non aveva avuto che pochi anni di benessere. Poi ricominciò il malgoverno dei dominatori, i quali per quasi un secolo fu il vero responsabile della rovina dell'infelice isola; e rinacque nei Corsi, per le infinite angherie subite, un odio così feroce contro i Genovesi che doveva ben presto e fatalmente portare alla ribellione.
Questa scoppiò nel 1729. Gli abitanti di Bustanica, sdegnati dalle angherie patite da un povero vecchio, si levarono in armi al grido di Viva la libertà, viva il popolo e diedero addosso ai soldati della repubblica, quindi, tratti alla rivolta, i paesi vicini, saccheggiarono l'arsenale e guidati da un ufficiale corso, per nome POMPILIANI, mossero verso Bastia.
FILIPPO PINELLI, governatore dell'isola, non avendo forze sufficienti per respingere gli insorti, chiese aiuto alla repubblica e nel medesimo tempo domandò al Pompiliani una tregua di ventiquattro giorni per potere trasmettere a Genova le richieste degli isolani, i quali, fra l'altro, volevano la soppressione di alcune imposte, l'abolizione del monopolio del sale e la costituzione di certi pascoli comunali.

La repubblica respinse con la solita arroganza le domande degli insorti e nell'aprile del 1730, rotta la tregua., l'isola fu di nuovo in armi. Ventimila Còrsi marciarono su Bastia. Li guidava il Pompiliani; ma questi, poco dopo, cadde in un agguato tesogli dal Pinelli e rimase ucciso con molti dei suoi uomini. Gli successe nel comando degli insorti LUIGI GIAFFERRI e ANDREA CECCALDI COLONNA, i quali, sebbene disponessero di gente male armata e non avvezza alla guerra, in più d'uno scontro riuscirono a sconfiggere i Genovesi.

Gli insuccessi del Pinelli indussero Genova a mandare in Corsica per domarvi la ribellione il generale CAMILLO DORIA, il quale tentò di venire ad un accordo con gl'insorti ottenendo una tregua di quattro mesi ed aprendo trattative. Fallite queste, allo spirare dell'armistizio la guerra si riaccese più furiosa.
Ma sia i Córsi che i Genovesi non erano in grado di conseguire la vittoria, gli uni perché sprovvisti di armi non potevano espugnare le piazzeforti, gli altri perché, disponendo di scarse forze, erano incapaci di debellare un nemico numeroso oltre che essere molto mobile nel proprio ambiente.
Desiderosi di scuotere il giogo di Genova, gli insorti si rivolsero per aiuti al Papa CLEMENTE XII offrendogli la corona della Corsica, ma il Pontefice rifiutò; i Genovesi, decisi a domare l'isola ad ogni costo, chiesero aiuto all'imperatore CARLO VI e ottennero che questi fornisse loro ottomila uomini dietro il pagamento di sessantamila fiorini e di cento scudi per ogni soldato morto.

Nell'agosto del 1731 sbarcò nell'isola un primo contingente di quattromila tedeschi comandati dal generale Wachtendonch, il quale si unì ai diecimila uomini del Doria. Contro un esercito regolare così numeroso e ben armato si sarebbe certamente infranto l'impeto dei Corsi se questi avessero accettato battaglia campale; ma gl'insorti accortamente frazionarono le loro forze, costringendo i nemici a subire una guerriglia a base di improvvisi agguati e di sorprese che cagionarono non poche disfatte e numerose perdite ai Genovesi e ai Tedeschi.

Nonostante l'ardita resistenza dei Corsi, questa situazione non poteva durare a lungo; venne perciò volentieri accolta la mediazione dell'imperatore e l'11 maggio del 1732 fu conclusa la pace tra la repubblica e gli insorti alle seguenti condizioni: i Corsi non dovevano pagare alcune indennità di guerra; Genova prometteva di non ostacolare la nomina di vescovi di nazionalità corsa; si sarebbe istituito nell'isola un ordine di nobiltà con tutte le prerogative di quella ligure; sarebbe stato ammesso presso il senato genovese un oratore per patrocinare gli interessi degli isolani; sarebbe stata data facoltà ai Corsi di essere ammessi agli uffici governativi; sarebbero stati eletti ogni tre anni dei magistrati che dovevano promuovere le arti e il commercio e, infine, Genova avrebbe concorso nel promuovere la pubblica istruzione nella Corsica. Un mese circa dopo, i soldati imperiali lasciavano l'isola.

Ma per la slealtà del governo genovese che violò i patti, la pace durò poco e all'inizio del 1735 la guerra si riaccese. In un'assemblea che fu tenuta a Corte, fu proclamata l'indipendenza della Corsica, la quale fu messa sotto l'alta protezione della Vergine, fu stabilito di bruciare pubblicamente le leggi e gli statuti genovesi perché non rimanesse traccia del passato governo, di condannare alla pena capitale chiunque avesse proposto di venire ad accordi con Genova, di confiscare tutti i beni che i Genovesi possedevano nell'isola. Poi furono proclamati primati del regno di Corsica con il titolo d'Altezza reale LUIGI GIAFFERRI, GIACINTO PAOLI ed ANDREA CECCALDI e ai primi due fu affidato il comando di tutte le forze armate della nazione; infine si stabilì che vi fosse una dieta generale detta Serenissima di rappresentanti di ogni città e villaggio con facoltà di decidere su tutti gli affari, da convocarsi dietro ordine dei primati; che per fare eseguire le leggi e nominare i magistrati e gli ufficiali civili e militari si creasse una giunta di sei membri, che doveva durare in carica tre mesi, e che un magistrato soprintendesse agli affari della guerra, uno all'abbondanza, uno ai comuni, uno alle monete, uno alla giustizia criminale con la facoltà di sottoporre a processo e di condannare i traditori della patria.

Gli avvenimenti della Corsica destarono un interesse vivissimo nella penisola, che manifestò la sua simpatia per i fieri e sventurati isolani, esaltandone gli eroi, attendendo ansiosamente le notizie e mandando navi con viveri e con munizioni per alimentare la rivolta. Ma queste navi difficilmente potevano approdare alle coste corse vigilate attentamente dai vascelli genovesi, e gli insorti non tardarono a trovarsi in una situazione insostenibile, privi com'erano di vettovaglie e di armi.

Si tentò ancora una volta di scendere ad accordi con Genova, ma le condizioni imposte dalla repubblica furono così gravi che sdegnosamente vennero rigettate e la guerra continuò. Stavano a questo punto le cose quando il 12 marzo del 1736, fece la comparsa nell'isola uno strano tipo di avventuriero. Era costui un nobile alemanno, nato forse a Metz intorno al 1692 e si chiamava TEODORO di NEUHOFF. Mortogli il padre, era stato paggio della duchessa d'Orléans, aveva servito come luogotenente nel reggimento d'Alzazia, era stato al servizio dell'Elettore di Baviera ed aveva combattuto sotto Eugenio di Savoia contro i Turchi; rifugiatosi in Svezia per un duello avuto con un suo superiore, aveva lavorato con l'Alberoni e col Ministro Gortz per rimettere sul trono d'Inghilterra lo Stuart, poi era passato in Spagna e quindi in Francia; aveva peregrinato per l'Europa, era stato fatto prigioniero dei barbareschi, aveva sposato la figlia di un lord e, arraffatagli la dote, se n'era andato in Olanda. A Livorno aveva conosciuto alcuni Corsi fuorusciti e per mezzo di loro si era accordato con i capi dell'isola promettendo di portare aiuti alla Corsica a condizione che lo proclamassero sovrano.

Era questa l'ultima e più grande avventura del NEUHOFF. Sbarcò sulla spiaggia d'Aleria con mezza dozzina di compagni, dieci cannoni, quattromila fucili, vettovaglie e denari; i capi del paese gli andarono incontro e un mese dopo, il 15 aprile, un'assemblea riunita ad Alessani lo proclamò re col nome di TEODORO I.

Dalla medesima assemblea fu poi approvata la nuova costituzione del regno. La monarchia doveva essere ereditaria; il re doveva esser cattolico e risiedere nell'isola; spentasi la discendenza di Teodoro, i Corsi potevano scegliersi un altro sovrano o darsi la forma di governo che a loro piaceva; nel regno doveva esservi una dieta di ventiquattro membri, tre dei quali dovevano risiedere alla corte con facoltà di dare o negare al sovrano l'assenso nelle risoluzioni riguardanti la guerra, la pace, le imposizioni e le gabelle; ogni carica e dignità spettava ai Corsi; e sempre Corsi dovevano essere i soldati, eccettuata la guardia reale che poteva esser composta di forestieri purché non Genovesi, dei quali nessuno poteva risiedere nell'isola; i diritti municipali non dovevano esser toccati, infine doveva esser fondata un'università e formato un ordine di nobiltà.

Alla carica di gran cancelliere fu assunto l'avvocato SEBASTIANO COSTA, a quella di gran tesoriere il generale GIACINTO PAOLI, a quella di maresciallo LUIGI GIAFFERRI. Per appagare le ambizioni, Teodoro I creò numerosi conti, marchesi e baroni e istituì l'ordine cavalleresco della Liberazione, che in due mesi riuscì a contare quasi quattrocento membri, ciascuno dei quali aveva pagato mille scudi per l'entrata. Ad organizzare l'esercito ci pensò il nuovo re e in breve tempo ebbe sotto di sé trentamila uomini, di cui quattromila e quattrocento costituivano ventiquattro compagnie di milizia regolare.

Né solo a questo si limitò l'attività del sovrano: istituì fabbriche di armi e di stoffe, fece batter monete con il motto "pro bono et libertate" sulla faccia posteriore e uno scudo cinte d'alloro sormontato da una corona con le cifre T. R. sull'anteriore; scrisse sulla bandiera nazionale che era verde e gialla, il motto in te "Domine speravi", e quando Genova inviò truppe contro di lui, Teodoro alla testa delle sue milizie le affrontò e più volte le sconfisse.

Fin dal suo sbarco in Corsica, Teodoro di Neuhoff aveva detto agli isolani di avere avuto dall'Austria, dalla Spagna, dall'Inghilterra, dalla Turchia e dal bey di Tunisi promesse di aiuti di uomini e di denaro, ma questi che erano solo parto della fantasia dell'avventuriero, non venivano mai e intanto cominciavano a mancare i denari, né bastavano le armi per sostenere la guerra contro Genova.

Per alcuni mesi Teodoro riuscì a far credere agl'isolani che gli aiuti sarebbero venuti, ma quando si accorse che i sudditi cominciavano a diffidar di lui, e convinto che prima o poi gli si sarebbero rivoltati, riunì il parlamento e dichiarò che se fra due mesi non fossero giunti gli aiuti o avrebbe abdicato o si sarebbe recato nel continente per sollecitarli.

Essendo trascorso il termine stabilito, nominò una reggenza presieduta dal Giafferri, dal Paoli e da Luca, Ornani e l'11 settembre del 1736, accompagnato dal Costa, partì da Aleria per Livorno.

I Corsi, non credendo nel successo del viaggio di Neuhoff, chiesero a Genova la pace, ma i tentativi di ottenerla a buoni patti fallirono e la guerra continuò. Genova assoldò tre reggimenti svizzeri con i quali rafforzò le guarnigioni delle fortezze che ancora le rimanevano, prelevò dal banco di San Giorgio mezzo milione di scudi per le spese di guerra, strinse il blocco navale intorno all'isola, mise una taglia sul capo di Teodoro e dei principali suoi collaboratori e nel febbraio del 1737 mandò a Bastia il senatore MARI con altre truppe.

Nonostante gli sforzi fatti dalla repubblica per uscire vittoriosa dalla guerra, i Corsi non accennavano a cedere, anzi prendevano nuovo vigore, incitati alla resistenza dal re Teodoro, il quale era riuscito a far pervenire alle coste dell'isola quattro navi cariche di munizioni e di viveri. Convinti i Genovesi che da soli non sarebbero riusciti a domare i ribelli, si rivolsero alla Francia e il 12 luglio del 1737 stipularono con i francesi una convenzione con la quale Luigi XV, assicurando di rispettare la sovranità della repubblica sull'isola, si obbligava di mandare in Corsica, dietro compenso di settecentomila genovine, tremila soldati e, se questi non bastavano, altri cinquemila uomini pei quali di genovine ne avrebbe ricevute altre duecentomila.

Il 1° febbraio del 1738 salparono da Antibo cinque reggimenti francesi con dodici cannoni da montagna e una gran quantità di munizioni. Li comandava il conte di BOISSIEUX, il quale, appena giunto nell'isola, fece sapere ai ribelli di essere animato dall'intenzione di conciliar la Corsica con Genova; ma il suo contegno non valse a piegare i Corsi; questi anzi si mostrarono maggiormente risoluti a continuare la guerra quando seppero che Teodoro stana per giungere con rinforzi di uomini, di armi e di munizioni.

Il re giunse ad Aleria il 14 settembre del 1738. Aveva con sé ventiquattro cannoni, tre colubrine, seimila fucili, milletrecentottanta moschetti, quattromila pistole, duemila baionette, duemila granate, polvere, piombo, ferro, pietre focaie, uniformi, scarpe, tamburi, trombe, bandiere. Il popolo salutò la venuta del sovrano con grandi dimostrazioni di gioia, i capi dell'isola però si mostrarono freddi e del loro contegno approfittò il Boissieug per intimare ai Corsi di consegnare il Neuhoff entro una settimana.
Teodoro, vedendo che i capi non lo sostenevano più e temendo di esser catturato dai Francesi, si allontanò dall'isola e dal 1739 al 1743 andò peregrinando per l'Europa per raccogliere soccorsi con i quali ritornare in Corsica, mentre i ribelli, vinti più volte dal Maillebois, successo al Boissieug, facevano atto di sottomissione, indotti, oltre che dagli insuccessi militari, anche dal contegno del generale francese che si era mostrato giusto e leale.

Scoppiata la guerra per la successione austriaca, la Francia richiamò le truppe dall'isola credendola pacificata. Invece i Corsi per insorgere non aspettavano che la partenza dei Francesi e, grande fu il loro entusiasmo quando Teodoro fece ritorno. Ancora una volta egli cominciò a promettere che sarebbero giunte navi inglesi con truppe, e con queste promesse tenne desto per un certo tempo, l'entusiasmo, ma poiché anche questa volta gli aiuti non giungevano, gli isolani si raffreddarono e il Neuhoff, abbandonata la Corsica, ritornò nel continente e vivendo di stenti finì i suoi giorni a Londra l'11 dicembre del 1756.

LA CORSICA E LA CASA SAVOIA - PASQUALE PAOLI
GENOVA CEDE L'ISOLA ALLA FRANCIA
BATTAGLIA DI PONTENUOVO ED ESILIO DEL PAOLI

Perduta la speranza di una monarchia nazionale, i Corsi si rivolsero a CARLO EMANUELE III. Non era la prima volta che pensavano di offrire l'isola alla Casa Savoia: nel 1714 invano un certo un Paolo Domenico Pozzi e un Francesco Parato si erano rivolti a Vittorio Amedeo II; nel 1722 l'offerta era stata rinnovata al medesimo con il patto che giurasse di non cedere mai la Corsica, "… sotto il Dominio di Genova, né per aggiustamento di pace né per dono di denaro o sia per vendita neppure ad altri stati, fortezze o altre esibizioni, né in qualunque altra forma di negozio "; ma Vittorio Amedeo l'offerta l'aveva respinta.

Salito sul trono Carlo Emanuele III, i Corsi si rivolsero a lui, il quale prima non volle accettare le proposte fattegli, poi, saputo che Genova si era messa sotto la protezione della Francia ed essendogli stata rinnovata nel luglio del 1745 l'offerta, con il consenso dell'Austria e dell'Inghilterra, nell'ottobre dello stesso anno mandò nell'isola un corpo di truppe capitanato dal conte DOMENICO RIVAROLA.

La spedizione non fu coronata dal successo, ma non per la sconfitta Carlo Emanuele III abbandonò il proposito d'impadronirsi dell'isola. II 29 febbraio del 1748 stipulò una convenzione con l'Austria con la quale le corti di Torino e di Vienna si obbligavano ciascuna di destinare tremila zecchini, un battaglione di cinquecento soldati e parecchi cannoni per l'impresa, e tre mesi dopo, una nuova spedizione, comandata dal brigadiere cavalier di CUMIANA, salpava dal porto di Savona.

Ma neppure questa volta l'isola riuscì a rimuovere il giogo dei Genovesi. Si erano iniziate le trattative che dovevano portare alla pace di Aquisgrana e Carlo Emanuele III aveva promesso agli isolani di fare inserire nel trattato un articolo a loro favore; ma al momento di parlarne i Corsi furono dimenticati: Genova rientrò in possesso di tutti i suoi domini, e il 17 novembre il Cumiana abbandonava la Corsica, dove rimaneva il Coursay con un corpo di truppe francesi per consegnar l'isola ai Genovesi.

I Corsi non si rassegnarono alla loro sorte e ripresero le armi acclamando loro generale il patriota GIAMPIERO GAFFORI. Per merito di quest'uomo valoroso, le cose dei Genovesi e dei Francesi presero una brutta piega e la causa dei ribelli stava per trionfare, quando venne a mancare improvvisamente il Gaffori, che il 3 ottobre del 1753 fu assassinato.

L'isola era stremata dalla lunga guerra e dai partiti che dividevano in due campi i ribelli, tuttavia incrollabile era il proposito di acquistare la libertà e con gran tenacia e coraggio, i Corsi si batterono contro i loro oppressori. Ad accrescere quest'entusiasmo giunse, un anno e mezzo dopo l'assassinio del Gaffori, colui che nell'isola doveva essere l'eroe più grande dell'indipendenza corsa.

Si chiamava PASQUALE PAOLI ed era figlio di quel Giacinto accennato più sopra. Il 10 luglio del 1739, all'età di quattordici anni, in compagnia del padre, di Luigi Giafferri e di molti altri esuli, da Padulella era andato a Napoli e qui era rimasto per oltre quindici anni, pensando sempre alla liberazione della sua patria.

II 29 aprile del 1755, invitato dagli isolani, Pasquale Paoli sbarcò a Porraggia, alla foce del Golo, e il 15 luglio del medesimo anno da un'assemblea di maggiorenti riunita nel convento di Casabianca fu nominato generale delle armi della nazione corsa. Anzitutto il Paoli dovette lottare contro il partito dei feudatari capitanato da Mario Emanuele Matra, poi, quando questa fazione fu debellata con la morte del suo capo, riuscì a dedicarsi interamente alla rigenerazione ed all'organizzazione del paese.

""…E veramente - scrive il Callegari - la sua opera di redenzione produceva i suoi frutti, perché le finanze e le amministrazioni erano ordinate; fiorivano l'agricoltura e le arti; l'isola purgata dagli odi domestici, era difesa da un buon esercito e da una sufficiente marina. Fu promulgata una costituzione, per la quale tutti i cittadini a venticinque anni potevano prender parte all'adunanza generale, che aveva il compito di fissare le imposte, decidere della pace e della guerra, nominare il Consiglio Supremo, rappresentante le nove province dell'isola, che compiva gli atti d'ordinaria autorità, convocava l'adunanza generale, vegliava alla sicurezza del paese e manteneva le relazioni estere… "".

" In quanto all'ordinamento giudiziario, era riservato ai podestà il diritto di giudicare fino al valore di dieci lire, e al tribunale della provincia per somme superiori, alle trenta; contro le loro sentenze si poteva ricorrere alla "rota civile", supremo tribunale composto di tre dottori di diritto nominati a vita".

" Tutti i Corsi erano dichiarati soggetti alle armi dai sedici ai vent'anni e si riunivano in compagnie; l'intera milizia si distingueva in tre bandi, ognuno dei quali durava quindici giorni; i soldati, che vegliavano sulle fortezze, ricevevano un soldo annuale, gli altri solo per quel tempo, che stavano in campo. Per sopperire a tutte le spese dello Stato s'era istituita l'imposta annua di due lire per famiglia, oltre ai diritti, che esso si riservava del sale, della pesca, dei coralli ed altre imposte indirette. Non trascurò il Paoli la cultura del suo popolo, e nel gennaio del 1761 fu aperta un'università in Corte, nella quale non potevano insegnare che professori corsi ".

" Alla fine di ogni corso di studi si teneva un esame solenne dinanzi ai membri della generale adunanza e delle reggenze; l'aspetto dei più nobili cittadini accresceva il biasimo come la lode; alla presenza loro la gioventù si vedeva considerata come la giovane cittadinanza, chiamata presto o tardi all'opera della liberazione del proprio paese ".

Nel febbraio del 1767 Pasquale Paoli ordinò la conquista dell'isola di Capraia, dando il comando dell'impresa ad ACHILLE MURATTI. Questi con duecento uomini e due cannoni sbarcò nell'isola, penetrò nel capoluogo e costrinse BERNARDO OTTONE, che comandava il presidio genovese, a chiudersi nel castello e quindi a capitolare prima che giungessero aiuti da Genova.

La perdita di Capraia e la difficoltà di sottomettere i ribelli indussero la repubblica genovese a concludere quell' ignobile trattato che doveva strappare all'Italia la nobile Corsica e darla per danaro alla Francia.
Nel 1764 (7 agosto) veniva stipulata a Compiègne una convenzione con la quale si era stabilito che le piazze di Bastia, San Fiorenzo, Calir, Algaiola, Ajaccio e Bonifacio dovessero esser presidiate, oltre che dai Genovesi, da tremila francesi comandati dal generale Marboeuf. Il termine della convenzione scadeva nel 1768, epoca in cui le truppe francesi avrebbero dovuto lasciar l'isola. Il 15 maggio di quest'anno tra il duca di Choiseul ed Agostino Paolo Domenico Sorba, plenipotenziario Genovese, si stipulò un trattato a Versailles con il quale la Corsica veniva venduta alla Francia.

La notizia di quel mercato fu accolta con grandissimo sdegno dai fieri abitanti della Corsica. Fu tenuta a Corte un'assemblea, nella quale venne deciso, di lottare con ogni sforzo per non cadere nelle mani della Francia; campi di osservazione furono messi davanti a San Fiorenzo, Calir, Bastia ed Ajaccio; venne armata la piccola flotta e tutti i cittadini abili furono chiamati sotto le bandiere della libertà.

La Francia impiegò tutti i mezzi per sottomettere l'isola: promise che il re per molti anni non avrebbe imposto ai nuovi sudditi alcun tributo, mandò nuove e numerose truppe al comando del marchese di Chauvelin, tentò di vincere la resistenza degli isolani con promesse di onori e d'impieghi e profondendo a piene mani il denaro; ma i suoi sforzi non riuscirono a domare i Corsi che si battevano come dei leoni e si sentivano animati verso i Francesi dallo stesso odio che prima avevano nutrito per i Genovesi.

Pur di fiaccare la resistenza, la Francia non disdegnò di ricorrere al tradimento. Un certo Matteo Maffesi, istigato dal Chauvelin, si impegnò di consegnar vivo o morto Pasquale Paoli nelle mani dei Francesi; e l'infame disegno sarebbe indubbiamente riuscito se un onesto ufficiale francese, rimasto prigioniero dei Corsi l'8 ottobre del 1768, il cavaliere di Ludre, colonnello della Legione Reale, non avesse avvertito il Paoli, il quale riuscì a sfuggire all'ignobile trama ordita contro di lui.

La Francia allora mandò altre truppe comandate dal generale de Vaux, ma i Corsi non si sgomentarono e in un'assemblea tenuta a Casinea decisero di lottare fino all'ultimo sangue, chiamarono alle armi, tutti gli uomini validi e stabilirono che le famiglie povere venissero mantenute a spese dello stato.

Purtroppo però le forze di cui i Corsi potevano disporre non erano pari alla loro fierezza, al loro valore ed alla loro tenacia. Il Paoli non aveva sotto di sé che otto o novemila uomini male armati, mentre i Francesi avevano cannoni, munizioni in abbondanza, viveri a profusione e circa cinquantamila soldati. In un combattimento avvenuto a S. Giacomo i Corsi ebbero la peggio, in un'altra battaglia combattuta il 9 maggio del 1769 a Pontenuovo fra trentamila Francesi e ottomila Corsi, questi ultimi, nonostante il grande valore spiegato, furono sconfitti.
Pontenuovo fu la tomba della libertà corsa. Ogni resistenza era oramai inutile; le terre, una dopo l'altra, caddero in potere degli oppressori e Pasquale Paoli, sciolte le poche milizie che ancora gli rimanevano, prese la via dell'esilio, imbarcandosi a Portovecchio il 13 giugno del 1769.

Per la stessa via dell'esilio, sopra una nave inglese, partivano anche settecento Corsi, fra cui degni d'essere ricordati sono CLEMENTE PAOLI, fratello del generale, GIANCARLO GIAFFERRI, GIULIO SERPENTINI, PIETRO COLLE, FRANCESCO PIETRI, GIACOMO FILIPPO GAFFORI, CARLO RAFFAELLI e FRANCESCO PORTIGIANI.

Il sogno indipendentista degli isolani era infranto. Era il giorno - ripetiamo- 9 maggio del 1769. Fra questi partigiani desiderosi di libertà che lottavano sulle montagne fra i boschi e i sassi, c'è anche un giovane irrequieto partigiano, CARLO BUONAPARTE, aiutante di Paoli, seguito da sua moglie LETIZIA RAMORINO (sposati nel 1764 - 18 anni lui, 14 anni lei); nessuno immagina lontanamente che questa donna porta in grembo da sei mesi il futuro imperatore che andrà a sconvolgere già a poco più di vent'anni, l'Europa.

Infatti tre mesi dopo, il 15 agosto, Letizia darà alla luce un bambino, che viene chiamato
NAPOLIONE BUONAPARTE (questo il nome originario).

Pasquale Paoli, esiliato tornerà sull'Isola dopo la Rivoluzione francese. Ma si scontrò con la Convenzione. Sperando di ottenere qualcosa da altre potenze, favorì l'occupazione degli inglesi che crearono una costituzione che prevedeva l'unione della Corsica alla Gran Bretagna. Paoli fu però deluso per non aver ricevuto dagli inglesi la nomina a vicerè. Aveva sempre sperato e lottato tutta la vita per questa sua ambizione. Si ritirò nuovamente a Londra dove morì nel 1807.

Per le vicende invece di Carlo Buonaparte, e del famoso figlio, vedi la biografia di Napoleone, nei Personaggi, o nei relativi anni, con i rimandi.

Un altro capitolo su "la Corsica e la Francia" lo tratteremo anche...

nel successivo periodo che va dall'anno 1730 al 1796 > > >  

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
+ VARIE OPERE DELLA BIBLIOTECA DELL'AUTORE 
 

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