anni 29 d. C. - 14 d. C.

AUGUSTO

( PARTE 3 )  *  LA FAMIGLIA DI CESARE AUGUSTO - RITRATTO DI OTTAVIANO - AGRIPPA
LE MOGLI DI AUGUSTO - TIBERIO E DRUSO - MORTE E TESTAMENTO DI AUGUSTO
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( PARTE 4 )  *  LA LETTERATURA DELL'ETA' AUGUSTEA - I PROTETTORI DELLE ARTI - GLI ERUDITI - GLI ORATORI
* I DECLAMATORI - * GLI STORICI - LA POESIA - OVIDIO - ORAZIO - VIRGILIO - PROPERZIO

LA FAMIGLIA DI AUGUSTO

SVETONIO ci ha lasciato dell'aspetto di Augusto una minuziosa descrizione:
" Fu - scrive- di forme leggiadre e bellissime..., nel volto era tranquillo e sereno...; gli occhi chiari e brillanti e gli piaceva che in essi fosse una certa potenza divina; si rallegrava quando qualcuno, guardandolo fisso, abbassava il viso quasi compito dal fulgore del sole. I denti le ebbe rari, piccoli e scabri; i capelli lievemente ricciuti e biondi, le sopracciglia unite, le orecchie di media grandezza, il naso aquilino e appuntito, il colorito tra il bruno e il chiaro, la statura piccola, ma essa era talmente nascosta dalla regolarità e dalla proporzione delle membra che non appariva se non quando Augusto si trovava accanto a uno più alto di lui".

Non fu di ottima salute: aveva l'anca e la gamba sinistra deboli, così che spesso zoppicava; l'indice della destra, per il freddo, sovente gli si intorpidiva ed egli, per potere scrivere, era costretto ad usare un ditale di corno. Fu afflitto da gravi malattie; durante la guerra cantabrica si trovò in fin di vita e dovette la salvezza ad Antonio Musa cui più tardi fu innalzata un statua; non poteva sopportare né il caldo né il freddo, non tollerava il sole, d'inverno portava quattro tuniche sotto la toga, d'estate dormiva in ambienti ventilati, e non usciva mai a capo scoperto. Benchè cagionevole di salute, egli visse settantasei anni e la sua longevità fu senza dubbio dovuta alla grande temperanza nel mangiare e nel bere e ai molti riguardi che seppe usare verso se stesso.
la lussuria e la passione del giuoco furono i soli vizi di cui venne accusato; del resto visse modestamente, non ebbe ville fastose e case di marmo e se diede frequenti e lauti banchetti non fu spinto dal vizio della gola ma dal desiderio di onorare gli amici o gli ospiti.

Le amicizie non le contrasse con molta facilità, ma le serbò a lungo: fu giusto, liberale e clemente, specie negli ultimi anni della sua vita, e coi liberti e con gli schiavi usò larghezza e mitezza.
Non fu un grande capitano né un uomo politico di genio e in altri tempi forse non avrebbe raggiunta la posizione alla quale pervenne. Gli errori degli altri, specialmente di Antonio, la decadenza della repubblica, il prestigio del nome furono i fattori principali della sua potenza. Ad essi vanno però aggiunte certe qualità che in sommo grado ebbe Augusto: la costanza, l'astuzia, la riflessiva freddezza del temperamento e un senso sviluppatissimo dell'opportunità e della misura.

Egli seppe nascondere la sua ambizione col tenore della sua vita. seppe mettere a servizio del suo partito la bandiera, la tradizione e la gloria dlla nazione, fece coincidere i suoi interessi con quelli di Roma e all'ombra della romana grandezza innalzò il proprio prestigio; sostituì la repubblica col principato lasciando di essa intatte le forme, divenne padrone assoluto dell'impero dando l'illusione di esserne il servitore e il difemsore e accentrò nelle sue mani il potere non con la violenza, ma con politica scaltra e paziente. I tempi e la fortuna lo aiutarono molto e non meno della fortuna e dei tempi i suoi collaboratori, fra i quali in prima linea vanno posti Cilnio Mecenate e Vipsanio Agrippa.

MECENATE apparteneva all'ordine equestre, ma si diceva che discendesse da famiglia reale di origine etrusca. Egli non ricoprì mai alcuna carica, ma dopo Augusto fu l'uomo più potente di Roma. Uomo ricchissimo, di vasta cultura e dotato di mente fine e scaltra, i suoi beni e il suo ingegno mise a servizio di Ottaviano: gli fu prodigo di consigli, fece opera conciliatrice tra lui e Antonio, procurò al suo principe moltissime amicizie, e verso di lui fece convergere l'attività artistica del suo cenacolo.

AGRIPPA fu l'amico più fedele e il braccio più saldo che avesse Augusto. Fu lui che ridusse all'impotenza Lucio Antonio, che donò i Galli, gli Asturi, i Cantabri, che ridusse una volta all'obbedienza gli insorti Pannoni, che portò la sovranità romana sul Bosforo Cimmerio, che debellò Sesto Pompeo a Nauloco e vinse Marc'Antonio as Azio. Non solo in guerra, ma anche nelle opere di pace fu Agrippa di validissimo aiuto ad Augusto che egli, difatti, ebbe gran parte nell'abbellimento di Roma, costrui molti edifici pubblici, fece fabbricare acquedotti, templi e portici, tracciò vie militari, fece il catasto dell'Impero, cooperò al riordinamento amministrativo dell'Italia e diede vita nuova all'esercito.

Non fu invece Augusto fortunato nella famiglia e invano desiderò un figlio cui potesse lasciare in eredità la sua potenza e le redini del principato.
Ancora giovinetto si fidanzò con la figlia di Publio Servilio Isaurico, ma nel 43 a.C., formandosi il secondo triumvirato, sposò CLAUDIA, figlia di Publio Clodio  e di Fulvia e figliastra di Marc'Antonio, che era appena in età di marito. Durante la guerra perugina, provocata da Fulvia e da Lucio Antonio, Ottaviano divorziò dalla giovanissima moglie e la rimandò alla madre ancora intactam et virginem.  Più tardi, per suggellare la pace con Sesto Pompeo, condusse in matrimonio SCRIBONIA, cognata di questo, e da lei ebbe una figlia, GIULIA.
Come il primo anche questo secondo matrimonio fu di corta durata. Ottaviano si era invaghito di LIVIA DRUSILLA e, per poterla sposare ripudiò Scribonia. Livia, figlia di Marco Livio Druso  Calaudiano, morto a Filippi, era andata sposa a quindici anni allo zio materno Tiberio Claudio Nerone.
Da lui - Livia- aveva avuto un figlio, TIBERIO, e un altro ne aspettava quando Ottaviano la costrinse a divorziare frettolosamente dal marito e la prese in moglie. Nella casa di Augusto, dopo tre mesi, essa diede alla luce il secondo figlio, DRUSO, e dell'uno e dell'altro, morto il padre, fu tutore Ottaviano.

Non avendo da questo nuovo matrimonio avuto nessun figlio, Livia desiderava che i figli del primo marito succedessero ad AUgusto; questi invece voleva che la successione fosse raccolta da un membro della stirpe Giulia, di quella stirpe che Cesare aveva affermato essere discesa da numi e da re e che aveva saputo acquistarsi in Roma il predominio e gettare le basi della monarchia.

In mancanza di eredi di sesso maschile, Augusto aveva designato come suo successore MARCO CLAUDIO MARCELLO, nato nel 41 a.C. da Cajo Claudio Marcello e da Ottavia sua sorella. Nel 25 a.C., quando Marcello aveva appena sedici anni, gli fece sposare la figlia sua Giulia che toccava allora il quattordicesimo anno di età prima del termine legale.
Gli onori concessi a Marcello furono causa di dissapori tra questo e Vipsanio Agrippa, suo cognato per avere sposata Marcella, figlia di Ottavia. Agrippa si fece dare una carica in Oriente e si ritirò a Mitilene.

Il matrimonio di Marcello con Giulia non durò a lungo. Giulia era tanto bella quanto perversa. Di costumi corrotti, non curandosi dei doveri di moglie, era dedita al libertinaggio più sfacciato e la sua condotta influì certamente sulla salute del marito, il quale due anni dopo le nozze, nel 23 a.C., trovandosi a Baia si ammalò e improvvisamente in meno di due mesi morì all'età di venti anni. Si vuole che alla morte di Marcello non fosse estranea Livia Drusilla, la quale non nutriva affetto per quel giovane che era un serio ostacolo all'avvenire di Tiberio e di Druso.
Augusto pianse la fine immatura del genero e poichè era pentito del trattamento usato al suo fedele Agrippa, lo volle presso di sé, gli affidò il suo sigillo e per tutto il tempo che fu ammalato si fece da lui sostituire. Più tardi, nel 33 trovandosi Augusto in Oriente ed essendo a Roma scoppiate delle sommosse, per mediazione di Mecenate, si rappacificò completamente con Agrippa e lo mandò a sedare i tumulti nella capitale; poi lo convinse a divorziare da Marcella, e volle che sposasse GIULIA.

Nel 19 a.C. Augusto dichiarò Agrippa suo erede e lo associò nella potestà tribunicia.
Dal matrimonio di Agrippa con Giulia nacquero cinque figli, tre maschi e due femmine: Cajio, Lucio, Giulia, Agrippina e Agrippa Postumo. Quest'ultimo nacque dopo la morte del padre; i primi due furono adottati da Augusto nel 18 . a.C.

Sebbene coronato da tanti figli, quello di Agrippa non fu un matrimonio felice: Se Giulia era stata infedele a Marcello malgrado la gioventù e la bellezza di lui, nessuna meraviglia che non si mantenesse fedele a un uomo come Agrippa, molto avanti negli anni, mentre lei era giovanissima e del fiore della bellezza. Molti erano i suoi amanti e correva sulla bocca di tutti i loro nomi. Fra quelli che avevano goduto i favori di lei, di nobile e di volgare famiglia, si citavano Giulio Antonio, figlio di Fulvia e del triumviro Marc'Antonio, Quinto Crispino, Appio Claudio e uno Scipione.

Intanto Livia pensava ai suoi figli, i quali vivendo nella casa di Augusto, godevano la stima del SEnato e del popolo. A 18 anni Tiberio veniva fatto questore e cinque anni dopo a 23 anni pretore e a 27 gli veniva affidato il comando della guerra contro la Rezia e la Vindelicia.

Nel 12 a.C. all'età di 51 anni, moriva in Campania Vipsanio Agrippa. Egli lasciava ad Augusto la penisola di Gallipoli, che era di suo possesso, e al popolo i bagni e i giardini.
L'anno dopo nell'11, si spegneva anche sua sorella Ottavia, due anni dopo nel 9 prematuramente in Germania moriva Druso, che Augusto amava tanto, e l'anno dopo Mecenate. Più dolorosa di tutte per Augusto era stata la perdita di Agrippa avvenuta quando, per la guerra contro i Pannoni, era necessario il braccio e il senno del grande generale. A sostituire Agrippa, Augusto scelse Tiberio e, consigliato forse da Livia, l'anno dopo "volle" che lui sposasse Giulia, la due volte vedova, di Marcello e di Agrippa.

Ma Tiberio era già marito di Vipsania Agrippa, figlia appunto di Agrippa e di Marcella, da cui aveva avuto un figlio, anche lui di nome Druso. Tiberio amava teneramente la moglie e ne era riamato; inoltre conosceva benissimo la corrotta Giulia e disprezzava la figlia di Augusto. Ma dovette cedere alla sua volontà, così divorziato dalla moglie, si adattò a sposare la due volte vedova Giulia.
Fu un matrimonio disgraziatissimo, da cui nacque un figlio che morì poco tempo dopo. Giulia non amava di certo il marito, anzi nutriva per lui un vivo disprezzo sia perché lo considerava di stirpe inferiore alla sua, sia perché credeva di essere stata sposata dal padre solo per tornaconto.
ma non minore era il disprezzo che Tiberio nutriva per la moglie, donna superba e sfrenatamente corrotta. Anzi questo disprezzo contribuiva ad aumentare l'affetto che nutriva per la moglie che aveva ripudiata.

Tuttavia i primi anni di questo disgraziato matrimonio trascorsero in una relativa quiete anche perchè fino al 7 a.C. Tiberio assorbito dalle guerre contro i Germani, i Pannoni e gli Illirici non era mai a casa, ma terminate queste, comprese pienamente quale sbaglio avesse commesso sposando Giulia. Neppure per le sue ambizioni politiche quell'unione gli era stata di giovamento.
Augusto, difatti, preferiva a lui i due nipoti Cajio e Lucio e in cuor suo li aveva designati alla successione. Tutti, in Roma e fuori, li consideravano eredi di Ottaviano, i cavalieri avevano loro dato il titolo di principi della gioventù:  all'età di quindici anni, veniva ad essi accordato il diritto di assistere alle sedute del Senato e i comizi li eleggevano consoli da entrare in carica cinque anni dopo.

Malvisto da Cajio e da Lucio, ma giustamente apprezzato da Augusto per i servigi resi all'impero, mal sopportando il disonore di cui la mogie lo ricopriva, adducendo il pretesto di essere stanco e di non volere essere d'impaccio ai suoi rivali nella carriera politica, Tiberio decise di allontanarsi da Roma. 
Auguusto fece ogni sforzo per non farlo partire: lo associò nella potestà tribunicia malgrado le ostilità dei due nipoti, si lagnò in Senato della decisione del figliastro e, quando vide che lui era risoluto ad andarsene, lo incaricò di mettere in assetto l'Armenia, che allora svolgeva una politica antiromana; ma Tiberio rifiutò il mandato e, poiché il principe non voleva lasciarlo partire, fece uno sciopero della fame. Allora Augusto gli concesse la licenza di andarsene e Tiberio si recò a Rodi, dove visse come privato cittadino fino al 2 d.C.

Rimasta libera per la lontananza del marito, Giulia non conobbe più freni. Si dice che ella si vantasse pubblicamente della sua condotta ed imitando gli avvocati, che avevano il costume di appendere alla statua di Marsia nel Foro una corona ogni volta che vincevano una causa, solesse appendere alla medesima effige tante corone quante erano le colpe da lei commesse.

Lo scandalo era giunto a tal punto che non si poteva lasciare impunito senza disdoro della casa imperiale. Degli amici aprirono gli occhi ad Augusto sulla condotta della figlia. Egli forse le avrebbe perdonato poiché in parte era lui il responsabile delle colpevole vita di Giulia, lui, che ripudiando Scribonia, aveva lasciata la figlia senza la guida di una madre, lui che per i suoi disegni, senza interrogare il cuore della figlia, le aveva imposti tre mariti, e le aveva fornito esempi non edificanti di castigati costumi. Ma non poteva, egli che la riforma dei costumi propugnava, chiudere gli occhi sulle colpe gravissime di una donna della sua famiglia. Fu costretto quindi a punire severissimamente la figlia e la punizione estese a tutti coloro che avevano infangato il suo nome. Sempronio Gracco, uno dei noti amanti di Giulia, venne relegato nell'isola di Cercina dove più tardi Tiberio lo fece uccidere; Giulio Antonio perì sotto l'accusa di cospirazione, Claudio e Crispino furono esiliati.

Augusto prima pensò di punire la figlia con la morte, poi, commosso forse dai pianti di lei e dalle preghiere dei nipoti, la cacciò dalla casa imperiale e la relego a Pandataria (isola di Venotene). Al Senato comunicò le decisioni prese per mezzo di una lettera e per parecchio tempo, vergognandosi, non uscì di casa. Si narra che, essendosi impiccata una liberta di nome Febe, complice delle orge di Giulia, Augusto dicesse che avrebbe preferito essere padre di quella anziché di questa.

A Giulia proibì nell'esilio il vino ed ogni abito di lusso e vietò che fosse avvicinata da uomini, sia liberi che schiavi, senza il suo permesso. Avendo saputo che si tentava di liberarla, dopo cinque anni la fece trasferire a Reggio, nella Calabria, e mitigò un po' le sue condizioni, ma non volle mai farle grazia malgrado le preghiere - di certo insincere- di Tiberio e quelle calorose del popolo.

Del castigo alla moglie, nessun beneficio ritrasse però Tiberio. Augusto continuò a colmare di favori i suoi due nipoti, dei quali Cajio fu mandato come preconsole in Oriente, dove la sua presenza fu di gran giovamento all'Impero.
Non ritenendosi più sicuro a Rodi per la vicinanza del rivale, Tiberio, aiutato dalla madre, ottenne di poter tornare a Roma a patto però che non facesse della politica.
Quell'anno (2 d.C.) a Marsiglia, mentre si recava in Spagna, moriva Lucio, il secondo dei figli di Giulia ed Agrippa. A Roma si sospettò che a questa morte non fosse estranea Livia Drusilla, e gli stessi sospetti furono elevati quando, diciotto mesi dopo, giunse la notizia che anche Cajio era morto in Licia.

La fine dei due giovani giovò molto a Tiberio. Augusto era vecchio e sentiva il bisogno di affidare le redini del principato a mani esperte. Egli aveva, sì, in casa sua Agrippa Postumo e Germanico, figlio di Druso, ma il primo era appena sedicenne e diciottenne era il secondo. Non gli restava che di accostarsi a Tiberio.

Nel giugno del 4 d.C. adottò Tiberio, ma nello stesso tempo adottò Agrippa Postumo ed obbligò Tiberio ad adottare Germanico, nato dall'unione di Druso e di Antonia, figlia di Ottavia, sorella di Augusto, e del triumviro Marc'Antonio. Più tardi (5 d.C.) Augusto fece sposare Germanico, nel quale aveva riposto tutte le sue speranze, con Vipsania Agrippina, la minore delle figlie di Agrippa avute con Giulia. Ora gli eredi di Augusto erano due: Tiberio ed Agrippa Postumo, e forse avrebbe quest'ultimo raccolta la successione se il principe, mal tollerando il carattere volgare e crudele di lui, non lo avesse relegato nell'isola di Pianosa (nel 7 d. C.).
Un anno dopo, la nipote Giulia, seguendo la sorte della madre e del fratello, veniva confinata in una isoletta dell'Adriatico (nelle Tremiti) per la sua (buon sangue di madre non mentiva) vita scostumata e per i suoi rapporti scandalosi col giovane patrizio Silano.

In questo medesimo anno (8 d.C.) il poeta Orazio prendeva la via dell'esilio e andava a Tomi (Custenge) sulla costa del Mar Nero, dove nove anni dopo doveva morire. Con l'esilio in questo lontanissimo paese, dicesi che Augusto punisse il poeta perchè con la sua Ars amatoria si era fatto "maestro di osceno adulterio". Forse però altri motivi, di carattere intimo, spinsero il principe ad ordinare l'allontanamento di Ovidio da Roma. Questi dovette essere a parte di qualche turpe segreto riguardante la condotta di Giulia la giovane, come alcuni suoi versi ci fanno sospettare. Egli difatti, in una elegia dei Tristia  scrive: " "Perché io vidi una cosa? Perché i miei occhi si resero rei? perché la mia imprudenza scopriva una colpa? Atteone vide nuda Diana: egli non sapeva, eppure fu dilaniato dai cani. E' giusto! la colpa, anche se casuale e l'offesa sono per i primi numi di un delitto e si devono scontare. Il giorno in cui il funesto errore mi travolse una casa fu rovinata, piccola ma nobile e decorosa...Non decreto del Senato, non sentenza di giudice mi ha imposto l'esilio: la tua invettiva e un semplice editto di relegazione, mite in apparenza ma crudele nella sostanza, ha vendicate tutte le tue offese. Relegato, sono detto, non esule: le parole del tuo editto sono state invece miti nel qualificare la mia disgrazia!"

Con l'esilio di Agrippa Postumo. Tiberio si assicurava la successione ed Augusto vedeva crollare la speranza, così tenacemente vagheggiata, di dare in eredità il principato ai discendenti della stirpe Giulia.

LA MORTE DI AUGUSTO

Nel 13 d.C. Tiberio celebrò a Roma il suo trionfo sui Pannoni. Augusto gli rinnovò per un tempo indefinito la potestas tribunicia  e concesse al figlio di lui Druso la facoltà di chiedere il consolato prima della pretura.
Augusto toccava il settantacinquesimo anno di età. Sentendosi vicino a morire scrisse le sue memorie esponendo i casi della sua vita, elencando gli onori ricevuti e le cariche e le spese fatte per l'amministrazione dello Stato, le enumerazioni da lui compiute in guerra e in pace (Index rerum gestarum)
Nell'estate del 14 d.C., dovendo Tiberio compiere un viaggio nell'Illiria, decise di accompagnarlo fino a Benevento. Molti che avevano cause in corso cercarono di trattenerlo affinché pronunziasse le sentenze; ma Augusto volle partire ad ogni costo.
Recatosi ad Astura, ne ripartì di notte per approfittare del vento. Sulla nave fu colto da disturbi di ventre. Per quattro giorni dimorò a Capri, poi partì alla volta di Napoli tormentato sempre da dolori intestinali, che però non gli impedirono di assistere ai ludi istituiti in onor suo. Da Napoli andò con Tiberio a Benevento e qui di divise dal figliastro
Durante il viaggio di ritorno la sua malattia si aggravò ed egli fu costretto a fermarsi a Nola. Alcuni cronisti dicono che fece chiamare Tiberio d'urgenza e che si intrattenne con lui segretamente a colloquio; mentre altri scrissero che Tiberio giunse dopo la morte di Augusto.

Scrive SVETONIO: " Il giorno della sua morte chiese più volte se, per causa sua, ci fosse tanta agitazione tra il popolo, si fece dare uno specchio, accomodare i capelli e sostenere le mascelle che già cadevano. Fatti entrare gli amici, chiese loro se credessero che egli avesse rappresentata bene la commedia della vita, e aggiunse in greco: "se siete contenti applaudite battendo le mani" poscia, licenziati tutti, mentre chiedeva ad alcuni, venuti da Roma, notizie della figlia di Druso, ammalata, improvvisamente spirò tra le braccia di Livia mormorando: "Livia, vivi ricordando la nostra unione; addio!". Mor^ dolcemente come aveva sempre desiderato".
Causa della malattia che condusse Augusto al sepolcro fu -secondo alcuni- Livia Drusilla, la quale sospettando che il marito volesse richiamare Agrippa Postumo dall'esilio, avrebbe dato da mangiare al principe dei fichi avvelenati.

Augusto morì il 19 agosto del 14 d. C.. La salma fu trasportata dai soldati a Boville donde i cavalieri la portarono a Roma e la collocarono nel vestibolo della sua casa.
Augusto aveva fatto il testamento il 3 aprile dell'anno prima e lo aveva depositato presso le vestali. 
Venne letto in Senato. Augusto lasciava un terzo delle sue sostanze a Tiberio, un terzo a Livia, un terzo a Druso figlio di Tiberio e il resto a Germanico e ai tre figli maschi di lui. Lasciava inoltre quaranta milioni di sesterzi al popolo romano, tre milioni e cinquecentomila sesterzi alle tribù latine, mille a testa ai pretoriani, cinquecento ai soldati delle coorti urbane, trecento ai legionari. Queste somme dovevano essere pagate subito avendole il testatore messe da parte.
Altri legati, alcuni dei quali dell'importo di venti sesterzi, dovevano essere pagati entro un anno. Vietava infine che le due Giulie, morendo, venissero sepolte nel suo mausoleo.

letto il testamento, si pensò ai funerali. Alcuni volevano che il corteo funebre, preceduto dalla statua della Vittoria che era al Senato, passasse dalla porta trionfale , seguito dai giovani nobili di ambo i sessi che dovevano cantare inni; altri volevano che nel giorno dei funerali si portassero anelli di ferro anzichè d'oro; altri infine che le sue ossa fossero raccolte dai pontefici dei collegi superiori. Alcuni proposero che si desse il nome di Augusto anche al mese di settembre in cui il principe era nato (che allora era il settimo mese, oltre aver già dato nome di Agosto al sesto mese).  E altri proposero che fosse chiamato secolo di Augusto tutto il tempo trascorso dalla nascita alla morte di lui e con tale nome consacrato nei Fasti.

Ma fu messo un limite agli onori. L'elogio dell'estinto fu fatto da Tiberio davanti al tempio del Divo Giulio e da Druso davanti ai rostri del Foro. La salma fu portata nel Campo Marzio e qui venne arsa, poi le ceneri furono raccolte dai cavalieri e deposte nel mausoleo, che Augusto, durante il suo sesto consolato, aveva fatto costruire tra la via Flaminia e il Tevere.

Dopo la sua morte, poeti, eruditi, oratori, declamatori e gli storici esaltarono con le loro odi e le loro storie lo splendore e la grandezza universale di Augusto e la Città Eterna che aveva creato.

Nessuno pensò minimamente di ripristinare il governo repubblicano. la Repubblica era morta per sempre, e il Principato ormai aveva per sempre posto salde radici.
Nè vi fu alcuno che non pensasse a Tiberio come successore di Augusto. Anche se Tiberio aveva non pochi nemici in Roma.
Tiberio aveva 56 anni, e anche lui quando ci fu l'assemblea per la proclamazione ufficiale, si lasciò pregare dagli amici, e dall'insistenza dei senatori, prima di accettare, che era -disse- quella di Imperatore una carica gravosa, e quasi lagnandosi della carica che gli veniva imposta, la accettò, ma aggiunse che era una carica dura e che l'Impero era una cattiva bestia.

E non aveva torto. Appena eletto, fra le truppe stanziate ai confini ebbero luogo gravissime sedizioni che misero in serio pericolo il principato.


Ma questo lo narreremo nelle prossime pagine

Riassunto DELL'ANNO 14-37 - IL PRINCIPATO DI TIBERIO
 

Fonti: 
PAOLO GIUDICI - STORIA D'ITALIA 
APPIANO - BELL. CIV. STORIA ROMANA
CASSIO DIONE - STORIA ROMANA 
PLUTARCO - VITA DI BRUTO 
SVETONIO - VITE DEI CESARI 
SPINOSA - GIULIO CESARE
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
I. CAZZANIGA , ST. LETT. LATINA, 
+ BIBLIOTECA DELL'AUTORE 

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*  LA LETTERATURA DELL'ETA' AUGUSTEA
I PROTETTORI DELLE ARTI - GLI ERUDITI - GLI ORATORI
* I DECLAMATORI - * GLI STORICI - LA POESIA
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