anni 29 a.C. - 13 d. C.

Svetonio
Vita di Augusto

"" Che la famiglia Ottavia fosse da lungo tempo la più importante di Velletri risulta, oltre che da altre circostanze, dal fatto che una volta il più grosso borgo di quella città si chiamava Ottavio.
Augusto stesso scrisse di essere "...nato di famiglia equestre antica e ricca, nella quale il primo che fosse stato fatto senatore fu suo padre. Questi sempre fu ricco e godè di buona riputazione, così che mi stupisce che altri abbia detto di lui che fu usuraio e che si prestava, per danaro, a vantaggio dei candidati al consolato, distribuendo denari per comperare voti di elettori nella nomina dei magistrati; laddove, essendo egli molto ricco, conseguì egli stesso parecchie alte cariche pubbliche, che tenne sempre con grande dignità e correttamente".

Morendo di morte repentina, lasciò due figliuole ed un figlio, il futuro Augusto, che gli erano nati dalla moglie Azia, figlia di M. Azio Balbo e di Giulia, sorella di Giulio Cesare.
Augusto nacque sotto il consolato di M. Tullio Cicerone e di Antonio, il 22 settembre (63 a.C.), nella regione palatina, in un luogo detto Ad capita bubula, dove ora sorge una cappella, eretta in suo onore poco prima della sua morte. Appena nato fu chiamato Turino, forse perchè era nato poco dopo che suo padre, allora propretore, aveva riportato, in una località di questo nome, una vittoria sugli ultimi seguaci di Spartaco e di Catilina. Che egli si chiamasse veramente così - narra Svetonio- io ne posso dare la prova nel fatto che fui già in possesso di un suo piccolo ritratto di quand'era fanciullo, su rame, con certe lettere róse dall'ossido e quasi consumate dal tempo, in cui si legge il detto nome di Turino: ritratto che, donato da me al Principe, è da questi tenuto nella sua camera fra le cose più care. D'altra parte, egli stesso scrisse meravigliarsi che M. Antonio avesse l'aria di insultarlo chiamandolo col suo nome di Turino. In seguito egli assunse, per il testamento fatto in suo favore da Cesare, il nome di Caio Cesare, e più tardi quello di Augusto, datogli su proposta di Numazio Plauco: nome quanto mai magnifico, in quanto anche i luoghi religiosi, nei quali, preso l'augurio, si consacra qualche cosa, sono detti augusti dal vocabolo auctu (volo degli uccelli)".

Orfano di padre sin dall'età di quattro anni, Ottaviano andò, dopo aver presa la toga virile, in Ispagna, dove allora si combatteva contro i figli di Pompeo, per raggiungervi Cesare; e, quantunque, ancora debole per una malattia sofferta, tuttavia seppe trarsi d'impaccio, con pochissimi compagni, traverso vie mal sicure, battute dai nemici: per il che Cesare, considerando il coraggio e la prontezza dimostrata dal giovanetto in quel viaggio, donde aveva a bene presagire di lui, molto lo lodò e gli pose grande affetto. In seguito Cesare, avendo in animo di intraprendere la guerra contro i Daci ed i Parti, lo inviò agli studi in Apollonia.
"Quando Ottaviano ebbe notizia della morte di Cesare, che lo aveva fatto suo erede, ritornato a Roma, accettò l'eredità del prozio; poi, attirati a sè tutti i soldati, (prese a contrastare contro Antonio, che si sforzava di succedere a Cesare nella dittatura; ma, dopo la guerra sostenuta contro M. Antonio attorno a Modena, come) intese che Antonio, dopo essere fuggito (dalla Gallia Cisalpina), si era unito a M. Lepido, e che gran parte dell'esercito si volgeva dalla loro parte, senza por tempo in mezzo si staccò dal partito senatorio e si accordò con Antonio e Lepido, conducendo con questi la guerra contro Bruto e Cassio. Ottenuta vittoria su di essi, non seppe frenare la sua sete di vendetta; ma., mandata a Roma la testa dì Bruto, perchè fosse infissa sotto la statua di Cesare, mandò a morte crudele i più onorati e stimati fra coloro che erano stati fatti prigionieri.

"Dopo la vittoria, mentre Antonio si prendeva cura dell'Oriente, egli attese in Italia a distribuir terre ai veterani che avevano combattuto per i triumviri : e poi condusse una guerra contro Lucio Antonio, fratello di Marco, che andava complottando contro di lui; e lo assediò in Perugia, costringendolo ad arrendersi con molti altri. Scrissero alcuni che di coloro che in Perugia gli si erano resi a discrezione, trecento, appartenenti all'ordine senatorio ed all'equestre, egli fece uccidere agli Idi di Marzo, sacrificandoli dinanzi all'altare fatto erigere in onore di Cesare.

" Durante poi un'altra guerra condotta in Sicilia contro Sesto Pompeo, egli richiamò dall'Africa in Sicilia il suo secondo collega nel triumvirato, M. Lepido, perchè alla testa di venti legioni lo coadiuvasse nella guerra. Lepido allora, inorgoglito di essere a capo di tante forze, cercò di valersene per conseguire il primo posto nel triumvirato; ma Ottaviano gli tolse il comando dell'esercito, e lo costrinse ad implorare salva la vita; il che gli concesse, relegandolo a Cercelli.
In seguito egli ruppe la lega anche con M. Antonio, che era sempre stata molto dubbia ed incerta; e, per dimostrare al popolo che Antonio aveva mancato ai doveri di buon cittadino, fece aprire e leggere il testamento che quegli aveva lasciato in Roma, nel quale, fra gli altri suoi eredi, nominava anche i figliuoli di Cleopatra. Non molto tempo dopo lo vinse per mare presso Azio. Poi, essendo passato a svernare in Samo, informato che i soldati scelti, da lui mandati a Brindisi dopo la vittoria, s'erano ammutinati, perchè volevano il congedo e le ricompense promesse, passò anch'egli a Brindisi ed in breve li acquietò. In seguito si recò in Egitto ed assediò Alessandria, dove si era ritirato Antonio insieme con Cleopatra. Impadronitosi in breve tempo della città, indusse Antonio, che inutilmente cercava di rappacificarsi con lui, ad uccidersi. Quanto a Cleopatra, che Ottaviano desiderava vivamente fosse conservata in vita, per ornarne il suo trionfo, si fece mordere da un aspide. Ottaviano le fece succhiare la ferita da uno Psillo, affinchè ne traesse fuori il sangue avvelenato, per vedere se fosse possibile salvarla. Morta ciò nonostante Cleopatra, Ottaviano dispose che ella con Antonio fossero tumulati nello stesso sepolcro, di cui essi stessi avevano cominciata la costruzione.

"Più tardi, divenuto oramai monarca nello Stato romano, sottomise molti popoli in Europa]; ma non mai mosse guerra ad alcuno senza una giusta e grave ragione e si dimostrò tanto alieno dalla cupidigia di accrescere l'Impero o di acquistare gloria per forza d'armi che, per evitare ciò, si contentò che alcuni capi di barbari, i quali chiedevano pace, giurassero nel tempio di Marte Ultore di mantenersi fedeli alle loro promesse.

"Divulgatasi ovunque la fama della sua modestia e della sua virtù, gli Indiani e gli Sciti, sino a poco tempo prima conosciuti soltanto di nome, spontaneamente inviarono loro ambasciatori a Roma, per sollecitare l'alleanza di Augusto e del popolo romano.
Egli inoltre fece per tre volte chiudere il tempio di Giano-Quirino  (il quale dalle origini di Roma in poi era stato chiuso soltanto due volte), avendo egli data pace a tutto il mondo.
I suoi soldati solo due volte furono battuti da nemici, e sempre in Germania: una volta sotto il comando di Lollio, l'altra di Varo; ma, se nella sconfitta di Lollio fu maggiore la vergogna che il danno, quella di Varo fu pure di enorme danno, vi perirono ben tre legioni di Romani e lo stesso Varo, con gli ufficiali e tutte le forze degli alleati, che combattevano sotto il suo comando. Non appena Augusto ne ebbe notizia, diede ordine che sentinelle vigilassero sulla città di giorno e di notte, onde evitare che il popolo si sollevasse; e d'altra parte prolungò ai governatori delle province il tempo del loro ufficio, perchè essi, che già conoscevano le province stesse, potevano saper meglio come impedirvi qualche novità. Infine fece voto a Giove Ottimo e Massimo di celebrare in suo onore i Giuochi circensi, se le sorti della repubblica si fossero rialzata.
Raccontano che di quella disfatta egli fu così addolorato, che per parecchi mesi si lasciò crescere barba e capelli, e che talvolta batteva il capo negli stipiti delle porte, gridando: " Oh, Varo, rendimi le mie legioni ! e che poi sempre, nell'anniversario del giorno in cui era avvenuta la strage, si dimostrò malinconico e dolente.

"Due volte Augusto pensò di restituire la libertà ai Romani: dapprima dopo la vittoria su M. Antonio, il quale molte volte gli aveva rimproverato che per causa sua Roma fosse priva della libertà; la seconda volta durante un'ostinata malattia. Senonchè, considerato poi che non era bene lasciare il governo in arbitrio ed a discrezione di molti, risolse di conservarlo. Le sue buone intenzioni del resto appariscono anche da un suo decreto, nel quale è detto: "Possa io così bene sistemare lo stato romano che mi sia possibile averne la ricompensa che me ne riprometto, vale a dire di essere giudicato autore di uno stato felice quanto altri mai; e di potere, morendo, portare con me la speranza che le buone basi della repubblica che io avrò poste si manterranno e dureranno in perpetuo. E veramente egli si comportò sempre in modo conforme ai suoi propositi, adoperandosi a che nessuno avesse a dolersi del nuovo regime da lui inaugurato.

"Egli adornò pure ed abbellì Roma in modo adeguato alla potenza e grandezza del suo impero, così da potersi giustamente vantare di lasciare di marmo la città che aveva trovata di mattoni. D'altra parte vi fece fare tali innovazioni, per le quali essa non dovesse più essere tanto esposta nè al fuoco nè all'inondazione del Tevere: infatti, dopo avere compartita Roma in regioni e quartieri, istituì in tutta la città dei vigili del fuoco, notturni e diurni, e, per raffrenare le inondazioni del Tevere, ne allargò il letto e lo fece purgare dai detriti e sassi che lo ricoprivano. Egli inoltre fece a sue spese lastricare la via Flaminia da Roma sino a Rimini, mentre la cura delle altre strade pubbliche affidò a quei cittadini che avevano avuto l'onore del trionfo, affinchè le facessero lastricare col frutto dei loro bottini di guerra. Per tal modo da ogni parte il cammino fu più facile per chi andava o veniva a Roma.

"Oltre ad avere fatto erigere in Roma grandiosi Fòri e basiliche e numerosi splendidi templi, e portici e teatri, egli fece pure restaurare i templi antichi rovinati dal tempo o bruciati; ed a questi ed ai nuovi templi da lui eretti destinò magnifici doni: così fra l'altro donò in una volta sola al tempio di Giove Capitolino sedici mila libbre d'oro e gioielli e pietre preziose di grandissimo valore.

"Avendo poi assunto il Pontificato massimo (il che non aveva mai voluto fare finchè era vissuto Marco Lepido, che ne era investito) fece raccogliere tutti i libri greci e latini, allora sparsi per Roma (oltre 2000), che trattavano delle cose future, dovuti ad autori ignoti o poco accreditati, e li fece tutti bruciare, ad eccezione dei Libri Sibillini, dei quali per altro ordinò pure una cernita, facendo riporre i più importanti, racchiusi in cassette d'oro, nella base della statua del tempio di Apollo, da lui eretto sul Palatino. Inoltre riordinò e ridusse di nuovo l'anno a 365 giorni e 6 ore, vale a dire un quarto di giorno, come era già stato stabilito da G. Cesare; chiamò il mese sestile Augusto, dal suo stesso nome, avendo egli in tal mese conseguito il decemvirato e le sue più importanti vittorie. Accrebbe il numero e la dignità dei sacerdoti, tenendoli in grande onore. Così, essendo morta una vergine Vestale e dovendosi scegliere una fanciulla che ne prendesse il posto, poichè molti si davano d'attorno perchè non toccasse ad alcuna delle proprie figliuole, egli giurò che, se una delle sue nipoti avesse avuto l'età richiesta, senza dubbio l'avrebbe fatta Vestale.

"D'altra parte rimise in onore antiche cerimonie sacre, andate in disuso per negligenza; [ed altre riformò, così che non si prestassero a licenze e disordini]. Dopo gli Dèi immortali onorò e venerò sopra tutto la memoria dei grandi generali, per l'opera ed il valore dei quali il dominio di Roma da piccolo era divenuto grandissimo: pertanto innalzò a ciascuno di loro una statua in abito trionfale nei portici del Fóro da lui edificato.

"Corresse e riformò molte cose che erano allora di pessimo esempio e di danno alla repubblica, le quali, iniziatesi durante le guerre civili, duravano anche nella pace: [per tal modo liberò la città e i dintorni dai ladroni che l'infestavano, sciolse le corporazioni che esercitavano un'azione dannosa, riformò l'amministrazione della giustizia. Riformò pure il Senato, purgandolo dei suoi membri meno degni ed accrescendo la responsabilità e la dignità di quelli conservati in carica. Curò pure l'organizzazione di solenni giuochi nel Circo e nell'Anfiteatro, nonchè  di una grande naumachia, assegnando ai Senatori, alle Vestali ed alle diverse categorie di cittadini il posto donde dovevano assistere agli spettacoli.
Poco prima di morire, Augusto, fattosi dare uno specchio, si fece acconciare i capelli ed il viso: poi, fatti entrare gli amici che desideravano vederlo, chiese loro se egli avesse recitata bene la sua parte nella commedia della vita, soggiungendo in greco: "Battete dunque le mani ed applaudite all'attore".

Da C. SVETONfO TRANQUILLO,
 Vita di Cesare Augusto (Traduzione riassuntiva). (Paravia Ed.)

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