31 - 30 a. C.

CLEOPATRA E MARC'ANTONIO - OTTAVIANO IN EGITTO -
MORTE DI MARC'ANTONIO E SUICIDIO DI CLEOPATRA
IL MEDITERRANEO "MARE NOSTRUM"
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LA BATTAGLIA DI AZIO


Ottaviano era, senza dubbio, inferiore per numero di forze sia di mare che di terra. Il suo esercito contava ottantamila fanti e dodicimila cavalieri circa; la sua flotta non doveva avere meno di quattrocento navi da battaglia.
La probabilità della vittoria, apparentemente, stavano dunque per Antonio, il quale aveva in più del suo rivale ventimila fanti e un centinaio di legni da combattimento.
La superiorità di Antonio era rappresentata, oltre che dal numero dei soldati e delle navi, dalla mole di quest'ultime, dalle disponibilità finanziarie che nelle guerre di quel tempo avevano un peso non indifferente e dal fatto che teatro della guerra era una provincia di Antonio, il quale appunto per ciò aveva a portata di mano le basi navali e terrestri e i centri di rifornimento.

In realta però le condizioni di Ottaviano erano migliori. Il generalissimo delle sue forze Vipsanio Agrippa, era uno dei capitani più grandi del tempo, era di una fedeltà a tutta prova e godeva, sia per le vittorie contro gli Antoniani durante la presa di Perugia, sia per quelle contro i barbari, sia per quella famosa contro Pompeo, di un grande prestigio.
La flotta era stata costruita sotto la sua direzione, aveva un armamento superiore a quello della flotta di Antonio ed equipaggi completi e più disciplinati. Né del resto la mole piccola delle navi sue costituiva una indiscutibile inferiorità, che se i colossi delle antoniane presentavano dei vantaggi per il numero dei combattenti che potevano contenere, per la solidità e per le torri che vi erano erette, le piccole avevano anch'esse dei vantaggi, quali l'agilità e la rapidità. 
Inoltre grazie al suo genio, apportò un'invenzione che avrebbe reso le navi romane superiori a tutte le altre. Si trattava del "rampone", un'arma che rivoluzionava i combattimenti in mare di quei tempi. Consisteva in una pesante trave munita di uno sperone di metallo che, lanciata da una catapulta, andava a piantarsi nella fiancata del vascello nemico, consentendo così un facile abbordaggio e un combattimento quasi terrestre, dove i romani erano maestri.

Eccellente sotto ogni rapporto era l'esercito. Una buona metà di esso era composto da veterani affezionati ad Ottaviano e ad Agrippa; la disciplina vi era grande; l'ardore bellico non vi faceva difetto ed alto era il morale. I soldati combattevano per l'onore della patria ed erano animati dallo sdegno che in essi aveva saputo suscitare Ottaviano contro Antonio, dipingendolo nemico di Roma, traditore della repubblica e paladino degli interessi dell'Oriente.

Invece la superiorità numerica, non eccessiva del resto, delle milizie antoniane veniva annullata dalla qualità dei soldati, dalla scarsa disciplina e dallo scarso valore dei capi, compreso il generalissimo. Si aggiunga a ciò il malcontento che serpeggiava tra i comandanti, i quali mal sopportavano di dover sottostare ad una donna corrotta, che era  causa di una guerra non certo desiderata e questa guerra voleva dirigere, il cui esito se felice, sarebbe stato tutto a suo beneficio.

Le vere e proprie operazioni guerresche ebbero inizio nella primavera del 31 a. C. (723 di Roma). 
Chi prese l'iniziativa fu Vipsanio Agrippa . Al comando di una forte squadra egli lasciò l'Italia e andò ad incrociare presso le coste del Peloponneso assaltando le navi onerarie del nemico che dai porti dell'Asia e dell'Egitto rifornivano l'esercito e la flotta di Antonio.

Poco tempo dopo le legioni di Ottaviano, che si erano raccolte nei porti di Brindisi e di Taranto, sbarcarono sulla costa epirota e si ridussero nella penisoletta che scende da nord a protezione del Golgo di Ambracia(Arta), mentre Ottaviano stesso col grosso della sua flotta si impadroniva di Corcira (Corfù) e andava ad ancorarsi nella rada di Kamaros.
La flotta di Antonio si trovava riunita nel Golgo di Ambracia, al sicuro da ogni insidia del nemico, al quale non sarebbe stato facile forzare l'ingresso rappresentato da un canale (stretto di Prevesa) che si apre fra due penisolette, su una delle quali, quella che s'allunga dall'Acarnania, verso nord, e termina col promontorio Azio, aveva Antonio posto il suo esercito. Questo aveva costruito due campi: uno al piano e l'altro sopra un colle su sui sorgeva un tempio dedicato ad Apollo.

Antonio e Cleopatra avevano scelto il Golfo di Ambracia come base delle loro operazioni navali per la sicurezza che offriva, ma non avevano pensato che quei vantaggi potevano essere sfruttati - come in realtà poi furono- dal nemico.

Il Golfo, infatti, ben presto di sicuro rifugio si mutò in trappola. La flotta di Ottaviano non poteva, è vero, penetrarvi, ma quella di Antonio, a sua volta, non poteva uscirne e rimaneva inutilizzata.
Padrone del mare aperto era Ottaviano, che con una parte della sua armata manteneva un blocco rigoroso all'imboccatura del canale; intanto Agrippa, con la sua squadra, impediva i rifornimenti, si impadroniva di Leucade (S. Maura), scacciava il presidio nemico di Patrasso ed occupava le città di Metone e di Corinto.

La posizione di Antonio si faceva di giorno in giorno più difficile. Imbottigliato nel golfo correva pericolo di essere affamato perché non facili e lenti erano i rifornimenti per la via di terra. Né questo era tutto: la sua assenza dall'Asia aveva provocato in quelle province delle ribellioni, l'Armenia era stata invasa dai Parti contro i quali niente aveva potuto fare Artavasde, re di Media, rimasto con poche milizie per avere fornito truppe all'alleato; e anche nell'Egitto la situazione non era rassicurante.

Occorreva uscire preso dalla trappola in cui Antonio volontariamente si era messo e per uscire non c'era che un mezzo: forzare il blocco. Non certo però a viva forza, data la sorveglianza rigorosa esercitata dal nemico, ma con l'audacia e con l'astuzia.
Il tentativo audace fu fatto ma se ne diede l'incarico a Cajo Sosio:

Una mattina, approfittando di una fittissima nebbia, Sosio, alla testa di una squadra riuscì a sortire non visto dal canale ed assalì improvvisamente una squadra di Ottaviano comandata da L. Arrunzio. Questa, colta alla sprovvista, si era data alla fuga; ma in suo soccorso sopraggiungeva Agrippa, e Sosio, il quale già aveva iniziato l'inseguimento dovette subito rinunciare e ritirarsi precipitosamente nel golfo-trappola.

Sul mare quindi non c'era da pensare di poter avere ragione del nemico. Rimaneva l'esercito e su di esso confluirono tutte le speranze di Antonio. Ma le forse terrestri di Ottaviano rifiutavano di accettare l'inizio della battaglia. Antonio penso allora di costringerle di ridurle a mal partito assediandole e impedendo che si rifornissero di acqua e di cibo.
Neppure questo tentativo riuscì, anzi in due scontri di cavalleria le milizie antoniane ebbero la peggio. Anche per terra ora Antonio si trovava in condizioni di inferiorità.
La situazione della flotta aveva scoraggiato i più animosi, la difficoltà dei rifornimenti, aveva abbassato il morale delle truppe, l'inerzia aveva prodotto la sfiducia nei gregari e nei capi.

 Ma più di ogni altra cosa era stato il contegno di Cleopatra che aveva ridotta l'efficienza della flotta e dell'esercito. La sua prepotenza, la sua arroganza, l'autorità che essa esercitava avevano disgustato non pochi dei comandanti delle forze antoniane cui spiaceva che una donna tenesse il supremo comando e che a lei obbedisse perfino Antonio.
Una forte corrente contraria alla regina d'Egitto si era venuta formando nell'armata e nell'esercito, specialmente tra gli ufficiali che avevano i più alti gradi. Fra questi erano Domizio Enobarbo e Cajo Sosio. Amici fedeli di Antonio, lo avevano validamente sostenuto al tempo del loro consolato; convinti che Cleopatra sarebbe stata la causa della rovina di Antonio, avevano tentato, dopo la loro partenza dall'Italia, di allontanarlo dalla donna funesta; non essendoci riusciti, lo avevano seguito in quella guerra sperando  che Cleopatra non avrebbe osato di esercitare la sua volontà sulle operazioni militari. E invece lei comandava all'amante e voleva dirigere la guerra! nemici di Cleopatra, Enobarbo e Sosio si irritarono contro Antonio, lo stimarono indegno della loro amicizia  e della loro fedeltà e compresero che era un male condividere la sorte di un uomo che era divenuto lo zimbello di una donna.
Come Enobarbo e Sosio sentivano e pensavano, fra gli altri, Quinto Dellio, consigliere di Antonio, e P. Canidio, uno dei più quotati generali dell'esercito.
Né soltanto i Romani erano stanchi e malcontenti, ma anche, e non meno, gli alleati, che furono i primi a mostrarlo coi fatti:
Filadelfo di Paflagonia, Deiotaro, Remetalce, abbandonarono il campo e passarono dalla parte di Ottaviano; Aminta li seguì conducendo seco duemila cavalieri; poi venne la volta di Domizio Enobarbo, il quale sebbene gravemente ammalato, disertò ed abbracciò la causa del nemico.
La defezione di Enobarbo dovette produrre profonda impressione nell'animo di Antonio. Egli comprese che se dava tempo agli altri di seguire l'esempio di costoro, sarebbe rimasto solo. E poiché, data la sua passione, non gli era possibile scuotere il giogo fatale della regina. soltanto una cosa poteva cambiare in suo favore la situazione: una battaglia.
Allora Antonio riunì il consiglio di guerra. Tutti i capi furono dell'avviso  di Antonio, che cioè solamente una battaglia poteva salvare la situazione; si trattava però di vedere se doveva combattersi per terra o per mare.
I generali più influenti e più reputati, tra cui P. Canidio e C. Sosio, si pronunziarono per la battaglia terrestre, altri, ligi a Cleopatra, proposero invece la battaglia navale. Marc'Antonio fra le due proposte scelse la seconda.
Noi non sappiamo perché Canidio e Sosio sostenessero che si dovesse decidere la guerra con una battaglia di terra. Nessuna congettura potrebbe rivelarci i disegni dei due generali e rinunciamo perciò a farne (è uno dei tanti misteri che avvolge questa battaglia se battaglia veramente ci fu).

Di Antonio si disse che scelse la seconda proposta per compiacere Cleopatra; e può anche darsi che in lui ci fosse il desiderio di non dispiacere l'amante. Ma non possiamo ammettere che egli subordinasse in modo assoluto la scelta a questo desiderio.
Antonio sapeva che la futura battaglia avrebbe definitivamente risolta la grande contesa, che una sua sconfitta avrebbe distrutta tutta l'opera sua e sarebbe stata fatale al suo amore. Per quanto schiavo egli fosse della regina d'Egitto, era uno stratega, se non grande, pieno d'esperienza, ed un uomo politico accortissimo. Antonio non poteva mettere in giuoco il suo avvenire per il capriccio di una donna; egli dovette invece aver la convinzione che una battagli navale presentava maggiori probabilità di successo.
Tanto meglio se questa convinzione veniva ad esaudire il desiderio di Cleopatra.
Quale poteva essere l'esito di una battaglia terrestre?

La superiorità dell'esercito di Antonio era finita dopo le diserzioni; il morale delle truppe si era abbassato dopo gli insuccessi degli scontri precedenti; alcuni dei capi più rinomati erano passati al nemico. Di incerto esito - a volere essere ottimisti- si presentava un combattimento di terra. Ammesso però che fosse riuscito favorevole per Antonio, il successo non avrebbe avuto importanza decisiva nella guerra, perché la flotta antoniana sarebbe sempre rimasta imbottigliata e i rifornimenti dell'esercito vittorioso sarebbero sempre venuti a mancare.

Una vittoria navale di Antonio avrebbe invece dato a lui la padronanza del mare ed avrebbe portato alla capitolazione dell'esercito di Ottaviano, che si sarebbe trovato assediato nella penisoletta senza speranza di viveri e di soccorsi dopo la sconfitta della flotta.

La battaglia navale era perciò da preferirsi alla terrestre. Ma aveva la flotta di Antonio probabilità di vincere?
Al principio della guerra Antonio disponeva di quasi cinquecento navi da combattimento. Una settantina di navi le aveva perdute durante le azioni precedenti, per la qual cosa le due flotte avversarie constavano presso a poco dello stesso numero di navi. Molte vittime avevano mietuto fra gli equipaggi le malattie, ma i vuoti erano stati colmati  con nuove leve. Certo più omogenei e più disciplinati erano gli equipaggi della flotta nemica il che costituiva, senza dubbio un vantaggio, ma questo era annullato dalla mole delle navi antoniane, le quali dovendosi combattere in una zona ristretta, rendevano senza efficacia la rapidità e l'agilità di quelle di Ottaviano. E poiché questi era costretto a combattere per non lasciare alla mercé del nemico l'esercito e poiché la mole maggiore delle navi di Antonio dava ad esse un vantaggio, come la giornata di Nauloco aveva dimostrato, la battaglia navale doveva terminare con la vittoria degli antoniani.
Preferendo pertanto alla terrestre una battaglia navale, Antonio non obbediva al capriccio di Cleopatra, ma prendeva consiglio giustamente dal logico risultato di un esame rigoroso della situazione e delle possibilità.
Avendo deciso di combattere sul mare, Antonio ordinò agli ufficiali -tra cui era Sosio- che si erano pronunciati per la battaglia terrestre di imbarcarsi immediatamente, temendo che essi, per la sconfitta della loro tesi, passassero al nemico.

La battaglia, che doveva segnare una data di singolare importanza nella storia del mondo, ebbe luogo il 2 settembre del 31 a.C. , 723 anno di Roma. Forse si sarebbe combattuta prima se per quattro giorni un furioso temporale non avesse imperversato nel Golfo di Ambracia.

Antonio aveva fatto bruciare alcune navi non adatte al combattimento; alle altre che dovevano prendere parte alla battaglia aveva ordinato che caricassero le vele: Questo provvedimento fece pensare a qualche critico che Antonio fin dai preparativi meditasse alla fuga. Ma niente ci autorizza a prestar fede a ciò; noi crediamo invece che Antonio pensasse all'eventualità di una fuga di Ottaviano e ad un inseguimento delle proprie navi che, per essere pesanti, non avrebbero potuto raggiungere per mezzo dei soli remi il nemico.
Antonio dispose circa trecentocinquanta delle sue navi in linea serrata di battaglia subito fuori l'imboccatura del golfo; della destra diede il comando a L. Gellio Publicola. della sinistra a C. Sosio, del centro a M. Ottavio; egli prese posto nella destra. Dietro la linea di combattimento mise sessanta navi egiziane comandate da Cleopatra e destinate a forzare il centro nemico.

Ottaviano schierò la sua flotta a otto stadi da quella nemica e si mise alla destra. della quale affidò il comando a Vipsanio Agrippa. L. Aurunzio ebbe il comando del centro e M. Lurio quello della sinistra. Sulle opposte rive delle penisolette erano schierati gli eserciti.

Per buona parte del mattino le flotte rimasero a guardarsi e solo verso le undici ebbe inizio la battaglia. Da principio si combatté con esito incerto, Poi Sosio e Publicola ebbero ordine di premere sulle ali avversarie. Senza dubbio Antonio aveva concepito il disegno di far cedere le estremità dello schieramento avversario per compiere una manovra avvolgente. Il movimento delle ali antoniane fu agevolato dalle ali di Ottaviano che indietreggiarono. forse perché validamente premute, o forse per attirare al largo i legni nemici e qui poterli meglio assalire.
Lo schieramento delle opposte flotte, dopo i movimenti delle ali cambiò aspetto:la linea delle navi di Antonio assunse l'aspetto di un arco concavo, quella dei nemici di un arco convesso.

A un dato momento una soluzione di continuità si produsse nella flotta antoniana tra la sinistra e il centro e non fu certamente dovuta all'impeto del nemico, ma allo sviluppo del piano di Antonio.

Difatti questa apertura smascherava le navi di Cleopatra, le quali avevano il compito di sfondare il centro della linea di Ottaviano e cooperare dal mezzo all'accerchiamento delle ali.
ma proprio nel momento in cui le sessanta navi egiziane entravano in azione, si videro i legni della sinistra comandata da Sosio indietreggiare e dirigersi verso il golfo.
Non si sa da quale causa far dipendere questa mossa di Sosio. Si può pensare che, al largo, la destra di Agrippa, minacciando a sua volta di accerchiarla, avesse costretta la sinistra avversaria ad indietreggiare. Se così fosse stato però, all'apparire di Cleopatra, Sosio avrebbe dovuto fermarsi a fare resistenza, se inseguito - il che non sappiamo- o tornare contro il nemico. Invece Sosio entrò nel golfo e andò ad ancorarsi di faccia alla penisoletta settentrionale su cui stava l'esercito.

C'è invece che pensa che Sosio, contrario all'azione navale, si ritirò di sua iniziativa per costringere il resto della flotta a seguirlo e piegare Antonio alla proposta di Canidio che era quella di far combattere l'esercito.
Inutile fare delle congetture. Sosio, ritirandosi, lasciava scoperto il fianco sinistro della squadra di Cleopatra; da questa parte, d'altro canto, la regina d'Egitto aveva il mare libero.
Cleopatra con le sue navi si gettò alla sinistra, sulle acque da cui Sosio aveva sgombrato.Forse credette perduta la battaglia e vedendo aperta la via vi si mise per salvarsi, forse pensò in un primo tempo di colmare con la sua squadra il vuoto lasciato da Sosio nella speranza che questi ritornasse  ad essere il centro, e, veduto poi che anche la destra si ritirava nel golfo, alzò le vele e drizzò le prore verso l'Egitto.
Antonio vedendo Cleopatra allontanarsi, la seguì con una quarantina di navi; il centro e il resto della destra si rifugiò invece dentro il golfo, o che i capi la pensassero come Sosio o che tenessero quel partito come il più sicuro o che fraintendessero i segnali".

Ma la battaglia non era ancora finita. Essa durò per tutto il giorno, e a sera, avendo la flotta di Ottaviano appiccato il fuoco ai legni di Antonio, questi si arresero in numero di trecento.

La battaglia di Azio era costata ad Ottaviano cinquemila morti, al nemico dodicimila morti e seimila feriti oltre la perdita della flotta.

Tutto però non era ancora perduto per Antonio e Cleopatra. Gli rimaneva l'esercito, e l'esercito gli rimase fedele per una settimana ancora sperando che il suo capo tornasse.
Antonio invece non tornò e Publio Canidio disertò. Aspettare oltre era inutile ora che i generali se ne andavano, e il 9 settembre l'esercito si arrese ad Ottaviano.
A ricordo della vittoria, questi, sul luogo dove era stato il suo campo fondò una città cui diede il nome di Nicopoli, ingrandì il tempio di Apollo sul promontorio Azio e in onore del dio istituì i giuochi attici da celebrarsi ogni cinque anni nel giorno della battaglia.

LA MORTE DI ANTONIO E CLEOPATRA

Dopo la vittoria, Ottaviano congedò con promesse di premi i veterani di Antonio mandandoli in Italia, poi si diresse verso l'Asia per dare assetto alle cose d'Oriente.
A Samo, dove si era recato per passare l'inverno, gli giunse la notizia che in Italia i veterani di Antonio, cui non erano ancora state distribuite le terre, si erano ammutinati. Ottaviano mandò Vipsanio Agrippa per ridurli all'obbedienza, poi egli stesso fece vela e andò a Brindisi dove i magistrati e i senatori, venuti da Roma, lo accolsero con grandi onori.

A Brindisi Ottaviano non rimase che ventisette giorni, durante i quali, tramite l'energia di Agrippa e la distribuzione di terre confiscate agli antoniani, la ribellione fu sedata, poi ricevuto il suo quarto consolato, ritornò in Oriente ad aspettarvi la primavera per dare l'ultimo colpo al rivale.

Antonio, nella fuga da Azio, congiuntosi alle navi di Cleopatra, con lei si era diretto verso l'Egitto. Al capo Tenario seppe della resa della flotta e, ignorando che anche l'esercito si era dato ad Ottaviano, mandò ordine a Canidio che, attraverso la Macedonia, si ritirasse con le truppe in Asia. Solo più  tardi alcuni amici lo raggiunsero e lo informarono della resa.
Antonio sbarcò in Egitto a Paretonio, Cleopatra proseguì per Alessandria e per mascherare ai suoi sudditi la sconfitta fece ingresso trionfale in città, poi mise a morte coloro che, durante la sua assenza avevano suscitato rivolte e confisco a loro tutti i beni.
Ad Alessandria la raggiunse Antonio, innamorato di lei più di prima, il quale con la regina si diede ad orge più sfrenate di quelle di una volta.
Però Cleopatra pensava al suo avvenire. Sicura che la fortuna di Antonio era per sempre tramontata, intavolò trattative con Ottaviano. Ella chiedeva che si suoi figli fosse lasciato il trono d'Egitto. Anche Antonio, all'insaputa di Cleopatra, a sua volta, mandò ambascerie al rivale, chiedendogli di poter vivere in pace, da privato cittadino, ad Atene.

Ottaviano non rispose ad Antonio; a Cleopatra invece fece delle vaghe promesse per potersi impadronire di lei -destinata ad ornare il suo trionfo- e degli immensi tesori d'Egitto.
Si narra che Ottaviano, allo scopo di mascherare le sue intenzioni che erano di spodestare la regina e condurla prigioniera, mandasse a lei un liberto con l'incarico di far credere a Cleopatra che il console era innamorato di lei. E veramente in questa speranza Cleopatra si cullava. Aveva fatto "centro" già due volte, era convinta di fare anche il terzo. Cleopatra aveva ora quarant'anni, ma non era ancora tramontata la sua bellezza sulla quale faceva assegnamento per avvincere a sé Ottaviano come aveva avvinto Cesare prima Antonio poi.
Ottaviano però era dotato di un temperamento freddo e calcolatore, di fronte al quale dovevano infrangersi le grazie e le lusinghe dell'astuta regina; e mentre la teneva a bada faceva i suoi preparativi.
Di questi in verità non c'era grande bisogno. Le province d'Asia si erano ribellate ad Antonio e ad Ottaviano non era costata molta fatica il venirne in possesso; anche Erode, re della Palestina gli si era sottomesso e nella Cirenaica quattro legioni comandate da C. Cornelio erano passate a lui.
L'Egitto pertanto rimaneva isolato e non poteva contare che sulle sue forze soltanto.

Venuta la buona stagione, all'inizio del 30 a.C., Ottaviano mosse per via di terra verso il regno di Cleopatra. In Siria ebbe facilmente ragione di alcune schiere di gladiatori rimasti fedeli ad Antonio e, attraversata la Palestina, si presentò sotto le mura di Pelusio, mentre Gallo, impadronitosi di Paretonio, invadeva l'Egitto dalla parte occidentale.

Pelusio aprì le porte ad Ottaviano, dicesi per ordine di Cleopatra, e l'esercito consolare senza trovare ostacoli giunse sotto Alessandria.
Antonio che fino allora era vissuto nell'orgia, solo quando seppe che il nemico era penetrato in Egitto, decise di resistere, ma non aveva che uno scarso numero di fanti e di cavalli, e la flotta superstite della giornata di Azio non poteva sperare di competere con quella potente di Ottaviano.

Tuttavia Antonio volle tentare una sortita e alla testa dei suoi cavalieri assalì vigorosamente la cavalleria nemica, la mise in fuga e la inseguì fino agli accampamenti. Era questo l'ultimo sprazzo di luce dell'astro che tramontava.
Quella piccola vittoria non poteva avere nessun peso nella bilancia della guerra. Lo stesso Antonio non si faceva illusioni. Anziché ritentare l'assalto, egli cercò di indurre col denaro i soldati nemici ad abbandonare il loro generale; ma questi rimasero fedeli al console. Non sapendo a qual partito appigliarsi, sfidò Ottaviano a battersi corpo a corpo con lui, ma il suo avversario non accettò la sfida. Allora Antonio volle tentare una battaglia decisiva impegnando tutte le sue forze di terra e di mare, ma quando fu dato il segnale del combattimento, la flotta e la cavalleria passarono al nemico e la fanteria, impegnata la lotta, in breve tempo fu respinta dentro le mura dalle soverchianti forze avversarie.

Tutto era finito per Antonio. Priva di difensori, Alessandria era condannata a cadere in mano delle truppe consolari e con essa Antonio, che Ottaviano, senza dubbio, dopo il trionfo avrebbe mandato a morte.
Il vinto, pur di non cadere vivo nelle mani del nemico, decise allora di uccidersi. A prendere questa decisione lo spingeva anche la notizia che aveva ricevuto del suicidio di Cleopatra.
La notizia però non era vera. La regina aveva segretamente fatto trasportare tutti i suoi tesori nel suo mausoleo perché non cadessero in mano del vincitore, e allo scopo di sbarazzarsi del suo amante vi si era chiusa ed a lui aveva fatto sapere di essersi avvelenata.
Non volendo sopravvivere a colei che amava perdutamente e nello stesso tempo cadere prigioniero di Ottaviano, Antonio ordinò ad un suo fedele schiavo di nome Erote di ucciderlo.
Erote impugnò la spada, ma, invece di colpire il padrone, volse l'arma contro se stesso e, trafittosi il petto, cadde esamine ai piedi di lui. E' fama che Antonio esclamasse: " O Erote! Tu mi hai insegnato come si deve morire!" e presa una spada se la immerse nel ventre, procurandosi una larga ferita. Ma non morì subito, né i suoi familiari, spaventati da quella scena, ardirono esaudire le sue preghiere affinché lo finissero.
Quando la notizia del fatto giunse alle orecchi di Cleopatra, questa, forse anche tormentata dal rimorso, fece sapere all'amante che era ancora viva. Fu un raggio di luce nella dolorosa agonia di Antonio. Espresse il desiderio di vedere per l'ultima volta la donna che aveva amato e continuava ad amare con tutte le forze dell'anima e fu accontentato.
Legato con funi, fu introdotto nel mausoleo da una finestra. Era privo di sensi. Quando li riacquistò, sentì chiamarsi per nome dalla voce nota ed amata della regina e scorse il volto di lei disfatto dal dolore e gli occhi bellissimi umidi di pianto.  "Non piangere delle mie sventure -le disse- consolati piuttosto pensando ai beni che ho goduti. Se oggi io muoio, la mia morte non è ricoperta dall'onta, poiché da un romano come me sono stato vinto".
Furono le sue ultime parole. Morì subito dopo tra le braccia di Cleopatra.
Era il 1° agosto ed Ottaviano entrava in Alessandria.

Il primo pensiero del vincitore, entrato nella capitale, fu di impadronirsi della regina, che rimaneva chiusa nel mausoleo.
Fu dato l'incarico di catturarla ad un certo Proculeio, al quale riuscì a penetrare nel rifugio di Cleopatra, ma questa, decisa a non lasciarsi prendere, estrasse un pugnale e si sarebbe uccisa se Proculeio non l'avesse con rapida mossa disarmata. Non gli fu difficile a persuaderla delle buone intenzioni di Ottaviano, e si lasciò docilmente condurre alla reggia, rinascendo in lei la segreta speranza di vincere con le sue grazie l'animo del console.

Quando Ottaviano andò a trovarla, la regina che si era vestita in suntuose gramaglie, cercò di commuoverlo parlandogli dello zio, di Cesare, del suo soggiorno ad Alessandria e in quella reggia  medesima dell'amore che lui aveva sentito per lei; gli fece vedere alcune lettere del grande conquistatore, le baciò ardentemente e le bagnò di lacrime, poi tentò di conquistare il cuore di Ottaviano col fascino della sua bellezza non ancora sfiorita e con la malia del suo sguardo.

Ma vane furono le arti della regina. Il console non mostrò  di commuoversi, fu cortese, ma freddo e senza prometterle nulla le disse di farsi animo.
Malgrado il contegno di Ottaviano, Cleopatra non abbandonò le sue speranze , ma quando seppe che fra tre giorni avrebbe dovuto partire per Roma, allora comprese la sorte che le avevano riserbata e decise di sottrarsi all'onta suprema.
Recatasi alla tomba di Antonio, la ricoprì di fiori e la bagnò di copiose lacrime, poi fece il bagno e la sera si fece imbandire una splendida cena.
Il giorno dopo la trovarono morta nel suo ricchissimo letto, cinta la fronte della corona regale e rivestito il corpo di preziosa porpora. Accanto a lei giacevano senza vita due giovani ancelle della regina. NOn s' è mai saputo come Cleopatra morisse.
Dissero alcuni che si fosse suicidata trafiggendosi con un spillo avvelenato, secondo altri Cleopatra si procutò la morte facendosi mordere da un aspide che un contadino le aveva portato in un paniere di fichi.
Prima di morire aveva espresso il desiderio di essere sepolta accanto ad Antonio. Ottaviano non volle esaudire il voto della morta; ma l'altro desiderio di Cleopatra che cioè Cesarione suo figlio venisse innalzato al trono d'Egitto, non trovò accoglienza nell'animo del console. Cesarione venne ucciso; la stessa sorte toccò ad Antillo figlio di Antonio, e l'Egitto, cessato di essere un regno, divenne provincia romana.

Con la conquista del paese dei faraoni tutto il Mediterraneo diventava un mare di Roma.
"Mare Nostrum".

La battaglia di Azio, la morte di Antonio, Ottaviano in Egitto, concludevano la lunga vicenda del contrasto tra Oriente e Occidente, tra la Romanità e il resto dell'Impero, ma soprattutto chiudeva definitivamente le lotte civili.
I cittadini dell'Impero videro in Ottaviano il restauratore della pace, che arrivava dopo un lungo periodo di orrori, periodo iniziato con Cesare pugnalato.
Ottaviano voleva la pace e rientrato a Roma, come prima manifestazione sciolse l'esercito e si diede a riordinare lo stato. 
Egli in effetti era il padrone assoluto dell'Impero, tuttavia volle dare l'impressione che la costituzione non cambiasse, mentre in verità andava concentrando nelle sue mani tutti i poteri politici e anche religiosi.  Nel 27 il Senato gli conferì il titolo di Augusto, cioè "sacro", cui si aggiunse la durata a vita di Console, Pontefice Massimo, Principe, Imperatore.

Così Roma iniziava l'Impero; con il suo primo Imperatore.
Ottaviano aveva 32 anni, sarà Augusto per altri 43 anni

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POLITICA E GUERRE DI AUGUSTO

Fonti: 
PAOLO GIUDICI - STORIA D'ITALIA 
APPIANO - BELL. CIV. STORIA ROMANA
CASSIO DIONE - STORIA ROMANA 
PLUTARCO - VITA DI BRUTO 
SVETONIO - VITE DEI CESARI 
SPINOSA - GIULIO CESARE
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
I. CAZZANIGA , ST. LETT. LATINA, 
+ BIBLIOTECA DELL'AUTORE 

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