ANNI 249 - 270 d.C.

DECIO  A CLAUDIO IL GOTICO

DECIO - LA CENSURA - PERSECUZIONE CRISTIANI - MORTE DI DECIO - TREBONIANO GALLO
EMILIANO E VALERIANO - PRIME INVASIONE DI BARBARI
4 IMPERATORI CONTEMPORANEAMENTE - GALLIENO - MACRIANO -POSTUMO -VALENTE
LA GUERRA PERSIANA - ALTRA RIDDA DI IMPERATORI
INVASIONI DI BARBARI IN GRECIA - ORDE E ORDE DI BARBARI IN ITALIA
  LA MORTE DI CLAUDIO
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L' IMPERO DI DECIO


 Dopo la battaglia di Verona, e la morte di Filippo l'Arabo, Decio si recò a Roma. Aveva tutte le qualità per essere un ottimo imperatore ed avrebbe senza dubbio restaurato l'impero che in questi ultimi anni era caduto in preda all'anarchia e che da ogni parte, specie dal Danubio era assalito dai barbari, se il suo governo non fosse durato soltanto due anni circa.
Del suo governo due cose importanti si ricordano: il tentativo di ristabilire la censura e quello di soffocare il Cristianesimo, nel quale egli vedeva un serissimo pericolo per l'integrità dello stato.
La censura era -a giudizio dell' imperatore-  necessaria per far tornare la disciplina e la severità degli antichi costumi. Il censore però non doveva soltanto curarsi della composizione degli ordini senatorio ed equestre e di esercitare il controllo sui costumi, ma doveva avere poteri più ampi: curare la formazione del catasto e la distribuzione delle imposte e vigilare su tutti i funzionari dello stato, eccezione fatta i consoli ordinari, il prefetto urbano, il re dei sacrifici e la vestale massima.
Perché il censore avesse maggior prestigio Decio diede incarico al Senato di crearlo. Fu scelto Licinio Valeriane, ma questi non volle accettare la carica, della quale riteneva che solo l'imperatore dovesse esserne rivestito.

Il Cristianesimo preoccupava Decio per le conseguenze politiche che poteva recare. Nel 249 ad Alessandria aveva avuto luogo una sommossa in cui le case dei Cristiani erano state saccheggiate. Decio emanò un editto contro i seguaci della nuova religione, che erano cresciuti enormemente di numero, ordinando -a quanto sembra- che fossero torturati e messi a morte quei Cristiani che si rifiutavano di abiurare e di sacrificare alle divinità pagane. Molti dei perseguitati si salvarono con la fuga, altri riempirono le prigioni, la maggior parte abiurò e sacrificò agli dèi. In Alessandria e a Cartagine la persecuzione fece il maggior numero di vittime, fra queste un contributo rilevante fu dato dai vescovi: la storia ricorda fra i periti Fabiano, vescovo di Roma, Babila di Antiochia e Alessandro di Gerusalemme.
Decio non rimase lungamente a Roma: la sua presenza era reclamata nella regione del basso Danubio, dove si facevano più frequenti e più pericolose le incursioni dei barbari.
Erano questi i Goti, numeroso e bellicoso popolo, di cui un gruppo, quello dei Greutungi -più tardi chiamati Ostrogoti- aveva sede tra il Don e il Dnieper, un altro, quello dei Tarvingi -che si chiameranno poi Visigoti- aveva stanza più ad Occidente e si stendeva fino ai Carpazi.
Comandati dal loro re Kniva, i Goti, approfittando dell'assenza di Decio, avevano invasa la Mesia inferiore. La fiera resistenza del governatore Treboniano Gallo e delle fortezze di Nova e di Marcianopoli e il sopraggiungere di Erennio Etrusco, figlio di Decio, con le legioni illiriche, spinse i barbari a gettarsi, per la via di Nicopoli e i passi della catena dell'Emo, sulla Tracia. Loro meta fu Filippopoli, che venne assediata. A difendere l'importante città si affrettò ad accorrere Lucio Prisco, ma questi a Beroea subì una sconfitta e Filippopoli cadde nelle mani del nemico.

Sopraggiungeva intanto Decio. Riunite le schiere che erano state disfatte a Beroea, egli si diede a seguire il nemico, aspettando un'occasione propizia per attaccarlo, ma, assalito improvvisamente dai Goti mentre li credeva lontani, fu sconfitto. Alcuni storici attribuiscono la rotta di Decio al tradimento di Treboniano Gallo, che avrebbe condotto l'esercito imperiale in un luogo paludoso, dove venne accerchiato e distrutto.
Carichi di bottino, i Goti se ne tornavano verso il Danubio, quando Decio, che era riuscito a raccogliere nuove forze e a riorganizzare le vecchie, si fece incontro a loro presso Forum Trebonii (Abritto) tra la Mesia e la Scizia. Ma la fortuna anche questa volta fu avversa all'imperatore. Dopo alcuni scontri favorevoli ai Romani, l'esercito imperiale, nel novembre del 251, venne sconfitto e Decio e il figlio Erennio Etrusco trovarono la morte in battaglia.

TREBONIANO GALLO ED EMILIO EMILIANO

Dopo la morte di Decio, l'esercito della Mesia gridò imperatore O. Vibio TREBONIANO GALLO. Questi, forse per smentire le voci di tradimento che correvano sul suo conto, appena giunse a Roma, celebrò l'apoteosi di Decio ed Erennio e creò Cesare il secondo figlio del morto imperatore, Cajo Valente Ostinano. Poco più tardi, quando Ostiliano fu vittima di una gravissima epidemia di peste che allora faceva strage in tutto l'impero, associò nell'impero il figlio Volusiano, che aveva sposato una figlia di Decio.
Come il suo predecessore così Gallo infierì contro i Cristiani, incolpati di aver provocata l'epidemia, fra i quali perì Cornelio, vescovo di Roma, ma rispetto ai barbari non seguì la politica forte che aveva iniziata l'altro, alla quale purtroppo non ottenne successo. 

TREBONIANO GALLO aveva coi Goti conclusa una pace che rassomigliava a quella di Domiziano con i Daci: aveva concesso che lasciassero il  territorio dell' impero portandosi dietro il bottino e i prigionieri, inoltre aveva promesso di pagar loro cospicui assegni in denaro.
I Goti però non tennero fede ai patti (o non li tenne lui) e ben presto ripassarono le frontiere e si spinsero nella Mesia. Era governatore di questa provincia un prode generale mauritano, EMILIO EMILIANO. Questi per rialzare il morale delle sue legioni, abbattuto dalle passate sconfitte, promise di dar loro gli assegni che Gallo aveva stabilito di pagar ai Goti. Desiderose di guadagnarsi il premio, le truppe combatterono con straordinario valore e lavarono l'onta di Abritto sconfiggendo duramente il nemico che dovette abbandonare le prede e ritornare precipitosamente nel proprio territorio, inseguito dai Romani. I quali, lieti del successo, proclamarono imperatore il loro comandante. Questi, per consolidare la sua posizione, scrisse al Senato -che lo aveva dichiarato nemico pubblico sotto la pressione di Gallo- che era sua intenzione di tener per sé solo il comando militare e di lasciare alla Curia il governo civile, poi alla testa del suo esercito EMILIANO si avviò alla volta dell' Italia.

Treboniano Gallo, saputa la proclamazione di Emiliano, ordinò a Licinio Valeriano, legato della Rezia e del Norico, di accorrere con le sue truppe; ma queste furono precedute dalle legioni della Mesia, le quali, senza colpo ferire, poterono giungere fino ad Interamna (Terni).
Qui li stava aspettando Treboniano Gallo, che con il figlio e i pretoriani si era mosso da Roma incontro al rivale. Se i due eserciti fossero venuti a battaglia la vittoria sarebbe stata senza dubbio di Emiliano, disponendo lui di truppe più numerose ed agguerrite; ma questi preferì sbarazzarsi di Gallo promettendo ricchi donativi ai pretoriani. La promessa ebbe effetto immediato: Gallo e il figlio Volusiano, con una forte defezione di soldati, furono catturati e uccisi e le coorti pretorie passarono sotto le insegne di EMILIO EMILIANO.
Era il 19 febbraio del 264.

Brevissimo fu l'impero di Emiliano. Il Senato aveva subito ratificata la nomina; ma intanto VALERIANO scendeva in Italia ed alla notizia dell'uccisione di Gallo e Volusiano le milizie del Norico e della Rezia avevano proclamato il loro comandante imperatore.
La guerra civile non era dunque finita, anzi minacciava di prendere proporzioni più vaste; ma anche questa volta non ci fu bisogno di battaglia. I soldati di Emiliano non vollero correre il rischio di un combattimento che, data la loro inferiorità numerica, non poteva che difficilmente risolversi in loro vantaggio, e nella primavera del 254 a Spoleto, trucidarono Emiliano, imperatore solo una primavera e solo in condominio con altri tre.

VALERIANO E GALLIENO

LICINIO VALERIANO era un senatore di antica e nobile famiglia, di fermo carattere e di costumi integri, sul quale erano caduti i suffragi della Curia quando Decio aveva voluto ristabilire la censura. È superfluo quindi dire che il Senato accolse con gioia la sua proclamazione; diede la sua sanzione ed approvò il nuovo imperatore quando questi si associò nell'impero il giovane figlio EGNAZIO GALLIENO.
Abbiamo già detto che Valeriano non aveva voluto accettare la carica di censore perché era di avviso che censura ed impero dovessero essere nelle mani d'una medesima persona. Ora egli poteva perciò dedicarsi pienamente all'opera di riforme civili, che erano stati in cima ai desideri di Decio e non vi è dubbio che avrebbe giovato allo stato se ne avesse avuto il tempo.
Purtroppo però le condizioni delle frontiere non glielo permisero.

ALTRA INVASIONI DI BARBARI

Da ogni parte l'impero era minacciato dai barbari. In Africa, la Numidia era stata invasa dalla bellicosa tribù dei Bavari; ma per fortuna quella provincia era presidiata dalla legione III Augusta, ricostituita da Valeriano, la quale, comandata dal legato Macriano Deciano, sconfisse i barbari del sud prima a Mileo, poi alle frontiere della Mauritania. Anche un altro popolo, quello dei Quinquegentanei, fu vinto, ma queste vittorie non valsero a ricondurre la pace nella regione: i barbari, guidati da un audace guerriero di nome Faraxen, diedero molto da fare ai Romani fino a che Faraxen non fu sconfitto da Quinto Gargilio Marziale comandante del presidio di Auzia. Più tardi questo valoroso capitano cadrà in un' imboscata di Bavari e vi perderà la vita.

Ma le minacce più gravi non erano in Africa. Dal Reno al Bosforo e dall'Armenia alla Siria l'impero si trovava di fronte a nemici nuovi e vecchi decisi a non concedergli un istante di tregua.
Approfittando della partenza delle truppe romane richiamate da Treboniano Gallo, una nuova confederazione di popoli germanici detta dei Franchi, cui appartenevano i Camavi, i Chatti, i Batavi, i Sigambri, i Brutteri e gli Ampsivarii, faceva irruzione nella Gallia; più a sud gli Alemanni invadevano la Rezia e minacciavano la Gallia meridionale e la stessa Italia. In peggiori condizioni erano le frontiere del Danubio, lasciate pressoché sguarnite da Emilio Emiliano: i Marcomanni dilagavano nella Pannonia, i Goti, avidi più di bottino che di territori, passavano il Danubio inferiore e si spingevano fino a Bisanzio. La Tracia e la Macedonia erano invase ; le avanguardie barbariche investivano Tessalonica e i Greci, ritrovata per poco l'antica virtù, correvano a difendere il passo delle Termopili, le mura di Atene, e l'istmo di Corinto.

Mai l'impero romano si era trovato in una situazione così grave. Per colmo l'imperatore non era un soldato e non era giovane. Tuttavia Licinio Valeriano diede prova di saggezza e di ardire. Non potendo assumere lui solo la direzione di tante guerre, diede il governo delle operazioni militari in Occidente al figlio Gallieno; nello stesso tempo affidò a Crinito, valorosissimo generale, l'incarico di cacciare il nemico oltre la frontiera del Danubio e pur mettendolo al comando delle truppe della Pannonia, della Dalmazia, della Mesia, della Dacia e della Tracia, lo lasciò alle dipendenze del figlio.
Crinito si mostrò all'altezza del diffìcile compito che gli era stato affidato e in poco tempo (256) ristabilì la linea danubiana.
Licinio Valeriano assunse il comando della guerra più grossa: quella contro i Persiani. Questi avevano riprese le ostilità contro l'impero per trarre profitto dalle interne lotte che lo tormentavano. L'Armenia era sotto la dinastia degli Arsacidi, protetta da Roma e nemica dei Sassanidi: Shapur riuscì a far trucidare da un certo Anac il re armeno Cosroe e diede la corona a un Artavasde che fece suo vassallo (253). Alla strage della famiglia regnante di Armenia, un solo figlio di Cosroe scampò: Tiridate, il quale riuscì  riparare a Roma.

Strappata al vassallaggio romano l'Armenia, Shapur invase la Mesopotamia e si rese padrone di Nisibi e Carre (254), poi iniziò la conquista della Siria in cui mandò un corpo d'esercito al comando di Ceriade. Lasciatasi alle spalle Edessa, validamente difesa dal presidio romano, Ceriade puntò su Antiochia, l'assalì, l'espugnò e la de-vastò (256). .
Ma i Persiani non poterono mantenersi a lungo nella Siria. La resistenza di Edessa intralciava le comunicazioni con l'interno; eserciti romani avanzavano e la popolazione era ostile. In una sollevazione degli abitanti di Antiochia Ceriade perì e la città fu libera.

Intanto numerosissime orde di Goti passavano il Danubio. Impadronitesi del Bosforo e procuratesi un gran numero di navi, infestarono la costa asiatica del Mar Nero ricca di fiorenti città. La prima ad essere assalita fu Pizio, ma non riuscirono a espugnarla per l'eroica resistenza che fece il comandante del presidio romano; questi però venne  poco dopo nominato prefetto del pretorio e mandato ad Antiochia e allora i barbari tornarono ad assalire Pizio e se ne impadronirono. Poi fu la volta di Trebisonda: la città, poco custodita, fu conquistata di sorpresa; i Goti vi trucidarono gran numero di abitanti, trassero prigionieri quelli che non erano caduti sotto il ferro e la diedero alle fiamme.
Valeriano -a quanto si dice-  credeva che tra Goti e Persiani ci fosse un'intesa. Dopo aver tenuto consiglio di guerra, mosse verso la Cappadocia; ma i barbari erano  già ritornati col bottino sul Bosforo. Di qua si mossero nuovamente per una seconda incursione. Sbarcati sulla costa asiatica, presero a saccheggiare Calcedonia; la stessa sorte toccò a Nicomedia, a Nicea, a Cio, ad Apamea e a Prusa. I Goti sarebbero arrivati a Cizico se non lo avessero impedito loro le acque del Rindaco, improvvisamente ingrossatesi per le piogge continue di alcuni giorni..

Valeriane mandò un suo legato a Bisanzio per tagliare ai Barbari la ritirata, ma questi, carichi di preda, erano nuovamente già ritornati sul Bosforo.
L'imperatore allora lasciò Samosata, dove si trovava, e mosse verso Edessa che era assediata dai Persiani, ma le condizioni del suo esercito erano deplorevoli: i viveri difettavano e una violenta peste faceva strage dei soldati. Licinio Valeriano pensò di venire a trattative con il nemico e fu vittima della sua imprudenza: invitato da Shapur ad un convegno, vi si recò con una scorta poco numerosa e venne fatto prigioniero (260).
Dopo alcuni anni di dura prigionia l'infelice sarà ucciso e il suo corpo sarà appeso in un tempio.

GALLIENO, INGENUO E POSTUMO

Mentre Valeriano era in Oriente a combattere contro Goti e Persiani, suo figlio GALLIENO si recava al nord per arginare l'invasione dei Franchi nella Gallia, dei quali alcune schiere erano penetrate nella Spagna, avevano assediata e presa Tarracona e di là si spingevano verso l'Africa.
Insieme con Gallieno era un valente generale, M. Cassiano Latinio POSTUMO. Si dovette a quest'ultimo se i Franchi in Gallia non riuscirono a far progressi. Dopo alcuni scontri vittoriosi con i barbari, Gallieno cercò di amicarseli e prese al servizio dell'impero alcuni loro capi cui affidò la difesa dei confini renani.
Nel 258 le legioni della Mesia e della Pannonia proclamarono imperatore INGENUO, loro prode generale, e Gallieno fu costretto a muovergli contro.

Prima di partire' dalla Gallia, temendo che, nella sua assenza, Postumo seguisse l'esempio di Ingenuo, Gallieno creò Cesare il figlio tredicenne Cornelio Salonino e, affidatolo alle cure di Silvano, lo mise a fianco di Cassiano Latinio, che lasciava governatore delle province galliche.
La campagna contro Ingenuo fu brevissima grazie al talento militare di un generale di Gallieno di nome Acilio Aureole: le legioni ribelli venute a battaglia con le truppe imperiali a Mursa sulla Drava, furono sconfitte; Ingenuo per non cader prigioniero si uccise e la provincia, che aveva parteggiato per l'usurpatore, venne saccheggiata.

L'INVASIONE DEGLI ALLEMANNI IN ITALIA 

Quel medesimo anno due avvenimenti importantissimi accaddero: la ribellione delle legioni della Gallia e l'invasione dell' Italia settentrionale da parte degli Alemanni.
Questi barbari, occupata la Rezia, erano entrati nella Gallia meridionale e si erano spinti sino a Mende. Alcune schiere, capitanate dal re Crocus erano state affrontate e sbaragliate dalle legioni romane, ma altre  numerosissime, per i valichi alpini scesero in Italia.
L'annunzio che i barbari avevano invasa la valle del Po ed erano giunti sino a Ravenna produsse un grande sbigottimento a Roma; non si perse d'animo però il Senato, il quale, di fronte al pericolo, seppe ritrovare la virtù dei padri e, improvvisato un esercito con gli stessi cittadini, lo mandò insieme con le coorti dei pretoriani contro gl'invasori.
Sorpresi dal pronto accorrere di questo esercito, gli Alemanni si ritirarono, ma presso Milano furono fermati dalle legioni di Gallieno, il quale, di ritorno dalla Pannonia, informato dell'invasione, si era affrettato a passare in Italia. Una battaglia sanguinosa ebbe luogo e gli Allemanni dovettero subire una grave sconfitta.

Per tenere buoni i Marcomanni che avevano fatto nuovamente la comparsa in Pannonia, Gallieno concesse loro alcuni territori di questa provincia con l'incarico di difenderla e, pur essendo sposato con la virtuosa Salonina, prese con sè Pipara, figlia del re marcomanno Attilo.

La ribellione delle legioni della Gallia fu la  conseguenza del dissidio sorto tra Latinio Postumo e i consiglieri del giovinetto Salonino. L'esercito proclamò imperatore Postumo, che fu riconosciuto in quasi tutta la Gallia, in parte della Spagna e nella Britannia.
Il nuovo imperatore assunse la potestà tribunicia e il pontificato massimo, creò consoli e un senato rafforzò il suo esercito con milizie ausiliarie composte di Galli e di Franchi.
Salonino e il suo ministro Silvano si trovavano a Colonia: Postumo mosse contro questa città ed espugnatela mise a morte il figlio di Gallieno e il suo consigliere (259).

Rimasto padrone delle province occidentali, Postumo rivolse le sue attenzioni a dare la sicurezza ai confini minacciati dalle popolazioni germaniche. Più volte dovette combattere contro di esse e sempre ne uscì vittorioso; numerosi castelli furono costruiti sulla riva destra del Reno e nello stesso fiume fu organizzata una flottiglia.
Essendo le coste settentrionali della Gallia infestate dai Sassoni, Gallieno mosse guerra a questo nuovo nemico e librò il mare britannico dalla pirateria. L'opera di Postumo fu benefica alla Gallia, che resa sicura e tranquilla, vide rifiorire l'agricoltura e il commercio.

LE DURE GUERRE IN ORIENTE
4 IMPERATORI E UN IMPERO ALLO SFASCIO

In Oriente intanto la guerra era finita e questo spiega come Gallieno non muovesse subito contro Postumo. Dopo la cattura di Licinio Valeriano, Shapur, infervorato, invase nuovamente la Siria e si impadronì un'altra volta di Antiochia. Partendo da qui, marciò verso la Cilicia ed occupò Tarso, poi penetrò nella Cappadocia e investì la capitale Cesarea, la quale dopo una strenua difesa fu presa per tradimento.
Qui si arrestarono i successi dei Persiani. Le forze romane delle province invase si erano raccolte a Samosata dove erano state riordinate dal prefetto pretorio M. Fulvio MACRIANO e da un certo Balista. Da Samosata fu iniziata la Guerra di riscossa, che in poco tempo diede ottimi risultati. Buona parte di questi si dovettero a Settimio Odenato II, signore di Palmira. Nominalmente questa fiorente città che sorgeva in una oasi del deserto era sottoposta all'impero romano fin dai tempi di Traiano e da Settimio Severo era stata innalzata a colonia romana ma effettivamente essa era quasi indipendente, aveva magistrati propri ed era quasi governata dalla famiglia degli Odenati. Dopo le vittorie dei Persiani Odenato II, temendo la vendetta di Shapur per avere egli aiutato Licinio Valeriano, si era affrettato a mandargli una carovana carica di preziosi doni, ma il superbo monarca aveva ordinato che fossero buttati nell'Eufrate, facendo chiaramente capire che non l'amicizia di Palmira voleva, ma la sottomissione e la punizione. Allora Odenato, spinto dall'affronto ricevuto e dalla necessità di difendersi, aveva raccolto alcune schiere di cavalieri arabi, gli avanzi delle legioni di Siria e la guarnigione romana di Palmira e, presi accordi con Macriano e Batista, era entrato arditamente in campagna contro i Persiani.

Il momento era buono: Balista con parte delle truppe, liberata Pompeiopoli dall'assedio in cui la teneva stretta Shapur. aveva costretto il nemico ad abbandonare la Cilicia; Macriano era entrato a Edessa e vi aveva posto il suo quartier generale ma anche facendone una forte base per le future operazioni. I Persiani, portandosi dietro il bottino fatto, si ritiravano verso l'Eufrate.
Odenato non si lasciò sfuggire l'occasione. Muovendosi da Palmira con le sue forze, raggiunse il nemico mentre in disordine si apprestava a passare il fiume e proprio lì scatenò l'attacco.
A stento i Persiani lasciato ogni cosa sulla riva, compresi i prigionieri, si misero in salvo al di là dell'Eufrate; ma ben presto incalzati e assaliti dalle truppe di Balista, di Macriano e ancora da Odenato, dovettero abbandonare la Mesopotamia. Carre e Nisibi ritornarono in possesso dei Romani.
 
Ma Odenato non lasciò tranquillo il nemico che si era ritirato precipitosamente verso il sud; inseguitolo, lo raggiunse a Ctesifonte, dove Shapur invano tentò di resistere. Ancora una volta i Persiani, assaliti dal valoroso arabo, vennero sconfitti, Ctesifonte fu espugnata e Shapur, nella fretta di fuggire, dovette lasciare in mano dei vincitori perfino molte delle sue donne (anno 262).

Odenato non potè sfruttare la vittoria. Notizie giuntegli dalla Mesopotamia lo consigliavano a non impegnarsi a fondo contro i Persiani: forse ubriacato dalle vittorie e spinto da Balista, Macriano si era proclamato imperatore associandosi i due figli Cajo Macriano e Cajo Quieto.

Odenato era fedele a Gallieno e male tollerava che un generale, il quale poi non aveva tutto il merito delle vittorie contro i Persiani, usurpasse l'impero. Nominato da Gallieno dux Orientis,  sospese le operazioni contro Shapur e si affrettò a marciare contro l'usurpatore.

Macriano intanto aveva lasciato il figlio Quieto e Balista ad Emesa e con l'altro figlio ed un esercito di quarantacinquemila uomini si era avviato verso l'Europa per combattere contro Gallieno. Ma l'impresa doveva non riuscirgli. Aveva mandato avanti un suo legato, CALPURNIO PISONE, il quale, giunto in Grecia, si trovò di fronte un esercito di GALLIENO comandato dal proconsole VALENTE. 
Improvvisamente Valente dai suoi soldati veniva acclamato lui imperatore e per disfarsi di Pisone lo fece assassinare dai suoi stessi soldati.

E' il momento in cui ci troviamo che l'Impero ha quattro imperatori: Gallieno, Postumo, Macriano e Valente. Ma quest'ultimo durò poco: le sue stesse milizie lo uccisero quando seppero che a sbarrare il passo a Macriano, avanzava per ordine di Gallieno l'esercito del Danubio comandato da Acilio AUREOLO. La morte di Valente fu seguita a breve distanza da quella di Macriano e del figlio, i quali, scontratisi con le truppe di Aureolo, abbandonati dalla maggior parte dai loro soldati, si diedero alla fuga ma inseguiti e catturati, furono giustiziati.

Rimaneva in Asia CAJO QUIETO. Gallieno diede incarico a Odenato di sbarazzarsi del figlio superstite di Macriano; l'impresa non fu difficile né lunga; assalita Emesa, il valoroso signore di Palmira la conquistò e, catturato Quieto, lo mise a morte. La stessa sorte, poco tempo dopo subiva Batista, che veniva trucidato nelle vicinanze di Dafne (anno 262)

UNA RIDDA DI IMPERATORI 

Dopo la morte di Quieto, GALLIENO era rimasto padrone della maggior parte dell'Impero. Già pareva che dovesse comnciare un'era di tranquillità poiché i nemici esterni erano stati sconfitti; e invece non fu così.

GALLIENO era un debole e dopo le anarchiche convulsioni degli ultimi tempi non poteva l'impero, senza una guida di una mano di ferro e di una mente geniale, ritrovare l'ordine, la pace e la floridezza. L'Impero subiva economicamente le conseguenze delle guerre e delle rivoluzioni, i prezzi erano saliti ad una altezza vertiginosa; l'agricoltura, le industrie e i commerci si erano arrestati; la moneta d'argento era terribilmente avvilita non contenendo che un ventesimo circa di metallo nobile; il fisco pretendeva che i tributi si pagassero in oro; gli abusi dei funzionari crescevano; e le guarnigioni non pagate si rifacevano sulle città delle province, le quali come a Bisanzio nel 262 venivano poi saccheggiate dalla soldatesca inferocita.
Ben presto ricominciarono i pronunciamenti (le acclamazioni) militari: nella Pannonia le truppe diedero l'impero al generale PUBLIO REGALIANO; in Egitto fu acclamato ALESSANDRO EMILIANO.

Questi pronunciamenti consigliarono Gallieno a imitare l'esempio del padre scegliendosi un collega e dandogli il governo dell'Oriente mentre egli prendeva quello dell'Occidente. Si continuava così ad adottare un espediente, che se era giustificato dalle necessità presenti, rappresentava un pericolo per il futuro e preludeva allo smembramento dell' impero.
La scelta del collega cadde sul prode Odenato, sulla cui fedeltà Gallieno poteva contare. Dato il comando dell'Oriente al signore di Palmira ed eliminati il pretendente d'Egitto e quello della Pannonia, Gallieno stabilì di muovere contro Latinio Postumo con un forte esercito comandato da Aureole e Clodio che erano i più rinomati generali dell' impero.
La campagna non fu fortunata: ferito all'assedio di una città gallica, Gallieno se ne tornò in Italia; uno dei suoi comandanti, M. Piavonio VITTORINO, disertò con cinque legioni e, passato nel campo di Postumo, fu da questo associato alil'impero. 

Intanto nella Gallia, che tornava ad esser teatro delle incursioni dei Germani, un altro pretendente sorgeva : Cornelio ULPIO LELIANO.
Latinio Postumo marciò contro il rivale, ma nel 267, avendo egli vietato alle sue legioni di saccheggiare Magonza, fu dai suoi soldati assassinato.
Le province occidentali estreme rimasero così in mano a due imperatori. LELIANO e VITTORINO, a cui presto se n'aggiunse un altro: Marco AURELIO MARCO. L'impero di quest'ultimo non durò che pochi giorni: i soldati che lo avevano eletto, comprati da Vittorino, lo uccisero. 
La stessa sorte toccò a Leliano. E nel 268 anche Vittorino perdette la vita insieme col figlio a Colonia per mano di un ufficiale cui l'imperatore aveva oltraggiato la moglie.
La Gallia rimase sotto il governo di Vittorina, madre del morto imperatore, donna energica e fiera che fu chiamata madre degli eserciti. Essa, dopo qualche tempo, creò imperatore il consolare ESUVIO TETRICO, già governatore dell'Aquitania, il quale temendo di terminare la vita allo stesso modo dei suoi predecessori, non curandosi dell'anarchia in cui lasciava le sue province, si ritirò a Burdigala (Bordeaux).

INVASIONI DI BARBARI IN GRECIA

Mentre questi avvenimenti avevano luogo in Gallia ed altri di maggior gravità accadevano in Oriente (che leggeremo più avanti), le frontiere del Danubio venivano nuovamente varcate da orde di barbari e dal Mar Nero i Goti e gli Eruli invadevano e saccheggiavano l'Asia Minore e la Grecia. Nicopoli, nella Mesia, venne presa dai Barbari, Efeso fu devastata e il suo tempio ad Artemide incendiato; l'Egeo fu percorso da una poderosa flotta barbarica e la Grecia fu sommersa da una terribile invasione di popoli del nord, che s'impadronirono di Atene, di Tebe, di Corinto, di Argo e di Sparta.
I Greci, in questa circostanza così terribile per la loro patria, seppero mostrare, dopo quattro secoli di sottomissione, come possa il valore di una volta risorgere. E fu uno storico ateniese  Publio Erennio Dezippo, che messosi alla testa di poco più di duemila volontari, scacciò gli Eruli da Atene e dall'Attica. Contemporaneamente un valoroso marinaio, l'ammiraglio Cleodamo, si impadroniva della flotta barbarica radunata al Pireo e tagliava agli invasori la via del mare costringendoli a ritirarsi via per terra verso il nord.
Nella loro ritirata verso il Danubio i barbari si scontrarono con un esercito romano, che Gallieno conduceva per liberare le province invase. Presso il fiume Nesto i barbari subirono una pesante sconfitta. L'imperatore avrebbe potuto sfruttare la vittoria continuando la guerra, così felicemente iniziata, ma non volle o non poteva farlo, forse per le notizie dei nuovi pronunciamenti in Occidente.
Anzi con i barbari ebbe alla fine anche dei buoni rapporti, e molti di loro entrarono al servizio dell'impero. Un capo degli Eruli, di nome Naulobado, ebbe persino da Gallieno le insegne consolari.

ALLA RIBALTA AUREOLO

Torna ora alla ribalta un prode generale che tanti servigi ha reso a Gallieno. È
 ACILIO AUREOLO. Proclamatesi anche lui imperatore mentre Gallieno era in campagna contro i Goti, si impadroniva di Milano e si preparava a muovere alla volta di Roma. Ma non ebbe neppure il tempo di passare il Po, che Gallieno, tornato rapidamente in Italia, lo raggiunse sull'Adda, lo attaccò, sconfisse il suo esercito e costrinse Aureolo a indietreggiare fino a ritornare a Milano.
Qui Gallieno lo strinse d'assedio, ma non riuscì ad assistere alla completa disfatta e alla fine del ribelle: il 22 marzo del 268 morì. 
Si vuole da alcuni che egli perisse vittima di una congiura che costò la vita anche al fratello Valeriane; sembra però che sia stato ucciso da un giavellotto sotto le mura della città mentre respingeva una sortita degli assediati. .
Poi a qualche giorno di distanza seguì pure  la morte di Aureolo, ucciso dai soldati comprati da un altro generale che voleva fare anche lui l'imperatore e per farlo se ne era comprati alcuni.  Aveva nome M. AURELIO CLAUDIO ed era uno dei più prodi generali dell'esercito, nativo dell' Illiria.

Saliva sul trono in un momento molto critico per l'impero: la Gallia, la Britannia e parte della Spagna erano in potere di TETRICO, buona parte dell'Asia e 1' Egitto erano in mano di ZENOBIA, della quale parleremo più tardi. Ma il pericolo maggiore era sul Danubio e sul Bosforo.

LE PRIME ORDE DI BARBARI

Un'orda di Alemanni scendeva, attraverso la Rezia, verso il Brennero con l'intenzione evidente d'invadere l'Italia e una gran massa di Goti, che si fa ascendere a trecentoventimila combattenti seguiti dalle loro famiglie, in cerca di nuove sedi valicava la frontiera danubiana.
Non si trattava, come le altre volte, di una scorreria con lo scopo di far bottino, ma di un grande movimento migratorio. Questa ingente orda barbarica calò lungo le coste occidentali del Mar Nero e investì Tomi e Marcianopoli. Respinta, si divise in due parti: la più numerosa, attraverso la Mesia, si avviò verso la valle del Margus (Morava), l'altra con imbarcazioni di ogni tipo, malgrado gravissime perdite subite a causa di una tempesta, forzò l'entrata del Bosforo, tentò senza riuscirvi un assalto a Cizico e, penetrata nell'Egeo, dopo aver saccheggiato le isole, assalì le coste traciche e macedoniche.
Qui i barbari si divisero ancora: il maggior numero di essi prese terra e, devastata la regione costiera, si spinse verso Tessalonica; mentre altri con le navi scesero verso i porti della Grecia dove Probo, governatore dell' Egitto, con la flotta di Alessandria, li assaliva e li sbaragliava.

Contro gli Alemanni e i Goti scesi già in Italia, rivolse la sua attività il nuovo imperatore.
I primi erano già arrivati al lago di Garda: Claudio li affrontò e fece loro subire una tremenda disfatta. Dicesi che i nemici lasciassero sul campo di battaglia metà delle loro forze. Dopo questa vittoria Claudio lasciò ad Aquileja perché facesse buona guardia dei confini d'Italia il fratello Quintilio con parte dell'esercito; col grosso delle sue milizie egli si spinse verso la Macedonia, invasa dai Goti che tenevano assediata Tessalonica.
Al suo avvicinarsi i Goti abbandonarono le operazioni di assedio e mossero incontro all' imperatore lungo la valle dell'Axios (Vardar). Qui ebbe luogo una sanguinosa battaglia che finì con la disfatta dei barbari. Claudio lasciò parte dell'esercito al comando del generale Aureliano a Tessalonica perché continuasse la lotta contro i resti del nemico in quella provincia, poi mosse verso il nord contro le numerose orde gotiche che si trovavano nella valle del Margus.

La battaglia decisiva contro i Goti fu combattuta nelle vicinanze di Naisso (Nisch), nella valle della Morava e fu una delle più sanguinose e gloriose battaglie sostenute dopo Settimio Severo: i Goti toccarono una disfatta terribile e lasciarono sul campo cinquantamila morti.
Gli avanzi dell'esercito sconfitto, vedendosi preclusa la via della ritirata, si gettarono nella Tracia e nella Macedonia, ma non ebbero tregua da Claudio, che diede loro una caccia spietata e parte ne distrusse, parte ne catturò. Numerosi furono quelli che perirono di fame e di freddo nelle gole dei monti.
Immenso fu il bottino e grandissimo il numero dei prigionieri; le donne dei barbari vennero distribuite ai soldati, dei prigionieri parte venne incorporata nell'esercito, parte fu impiegata per la coltivazione dei campi di quelle province, il bottino fu dato agli abitanti che erano stati danneggiati dai saccheggi e molte delle numerose greggi catturate furono date alle nuove colonie di agricoltori stabilite nella regione danubiana.
L'imperatore si ebbe meritamente il titolo di Gotico.

Ma le invasioni non erano finite: altri barbari penetravano nella Pannonia mentre una violentissima peste, prodotto delle invasioni gotiche, mieteva vittime nel territorio tra il Mar Nero, l'Egeo e l'Adriatico. Claudio si trovava a Sirmio, sulla Sava, e si preparava a marciare verso la Pannonia invasa, quando, colpito anche lui dalla peste, cessò di vivere nel marzo del 270.

FINE PERIODO 249 - 270

... passiamo al successivo periodo (da AURELIANO a DIOCLEZIANO)
cioè dal 271 al 285 d.C. > > >

Fonti, citazioni, e testo
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - GARZANTI 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
IGNAZIO CAZZANIGA , 
Storia della Letteratura Latina - ed. N. Accademia - 1962
ARIES/DUBY -Dall'Impero Romano all'anno 1000 Laterza 1988 
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